lunedì 30 novembre 2015

Cosmo Noir 6 - Battaglia 5: ...e le foibe?

Torna alla grande Battaglia, con quello che forse è l’episodio migliore della serie. Ambientato a Trieste nel 1945, vede il vampiro e un povero disgraziato fuggire dall’orrido dove sono stati gettati insieme ad altri infoibati. Dopo le prime tavole molto evocative e ben documentate, perfette per ricreare la giusta atmosfera e i presupposti di tutta la storia senza farsi tirare per la giacchetta da nessuno, comincia il dungeon crawl in cui Pietro e il suo fortuito accompagnatore cercano una via di fuga. Alla disperazione di Graziano Tonetto fa da contrappunto la fredda razionalità di Pietro Battaglia, sicuramente cinico e calcolatore come sempre ma in questo episodio anche un pochino più umano del solito (per quanto possa esserlo).
Le grotte carsiche si rivelano popolate da altri vampiri ma per il forzuto e paraculo protagonista non costituiscono poi una grande minaccia.
Ho apprezzato in questo episodio la presenza ridotta delle battute cool e delle frasi a effetto: non è che manchino del tutto, però possono essere interpretate come parti integranti dei dialoghi e non sono delle semplici boutade estemporanee. La rilevanza politica e storica dell’argomento e dell’ambientazione incombe su tutto l’episodio senza mai tramutarsi in occasione per fare prediche o assecondare una corrente di pensiero piuttosto che un’altra, e mi sembra una grande prova di professionalità da parte di Giulio Gualtieri non aver voluto aderire a nessuna delle scuole di pensiero in merito.
Ovviamente se si vuole si può leggere il discorso che Battaglia fa a Tonetto sull’“innocenza” in chiave metaforica e anche i vampiri possono assumere connotati allegorici anche se non credo che l’intenzione dello sceneggiatore fosse proprio quella, visto che alla fine Tonetto non diventa un vampiro.
Curiosamente i disegni del veterano Walter Venturi (io me lo ricordo dai tempi di Napoli Ground Zero, se è lo stesso) non mi sono sembrati all’altezza della media di quanto visto finora sulla serie, con l’eccezione di Ryan Lovelock. È anche vero che gli esordienti o quasi avevano tutto l’interesse a far vedere quello di cui sono capaci anche a fronte di una retribuzione non milionaria, ma Venturi mi è sembrato comunque un po’ troppo schematico e in alcuni dettagli verso la fine forse anche in lotta contro la data di consegna.
Ottima fine d’anno per Battaglia, comunque (nell’editoriale in apertura la Cosmo ne annuncia nuovi episodi per il 2016), che in maniera speculare al Multiversity di cui ho parlato ieri ha scalato qualche posizione del Meglio del 2015.

domenica 29 novembre 2015

Multiversity 9

E finalmente siamo arrivati al capolinea.
L’aspetto più desolante di questo ultimo episodio è che tutto si risolve con una lunghissima e noiosa scazzottata.
L’aspetto più desolante di Multiversity nel suo complesso è che questo ultimo episodio è comunque il migliore della serie. Tutte le potenzialità che aveva questo progetto sono sfumate davanti a una conclusione che non è una vera conclusione ma solo un ennesimo rilancio o tutt’al più, a voler essere buoni, una riflessione sulla deriva dei comic book, oltretutto con un twist finale che ricorda da vicino la rivelazione di una stagione di John Doe – ho letto solo il primo numero di John Doe ma da qualche parte ho saputo chi erano le “alte sfere” a cui doveva rispondere il protagonista.
Difficile consolarsi con l’elevata qualità dei disegni di Multiversity (in questo nono episodio è tornato Ivan Reis) perché la qualità di stampa della RW Lion è quella che è.
Buoni i redazionali di Riccardo Galardini. Almeno quelli.

sabato 28 novembre 2015

La maledizione del sesto dito

Stavolta ha colpito Ario Anindito:
La cosa ironica è che si tratta del disegnatore di gran lunga migliore della maxi-serie Wolverines, che tanti orrori sta facendo vedere dal punto di vista grafico.

mercoledì 25 novembre 2015

Providence 1

Non è che crossed +100 non mi sia piaciuto, ma gli ho preferito di gran lunga questo Providence. Così a occhio mi pare che Alan Moore abbia voluto riprendere lo schema di Watchmen per applicarlo al corpus delle opere di H. P. Lovecraft e nel suo pezzo conclusivo La Strada per Providence Antonio Solinas è dello stesso parere. Anche qui c’è una parte a fumetti (dannatamente piena di rimandi e strutturata in maniera complessa e niente affatto lineare) integrata alla fine di ogni capitolo da parti scritte la cui lettura è obbligatoria per cogliere tutte le sfumature della storia e capire certi collegamenti e particolari non enunciati espressamente nella parte a fumetti. E ricordo oltretutto di aver letto da qualche parte che Providence si comporrà in totale di 12 episodi, altra analogia con Watchmen.
Robert Black è un giornalista dell’Herald che lavora nella New York distopica del 1919, in cui tra le altre cose sono attivi dei sistemi per il suicidio assistito come in Futurama (ma fanno molto meno ridere, soprattutto dopo aver riletto il primo episodio e aver capito chi è il personaggio che ne usufruisce). La sua carriera di giornalista si avvia comunque alla fine visto che, alla ricerca di argomenti per riempire una mezza pagina e affascinato dal mistero che pervade il libro Sous le Monde, finisce invischiato nella ricerca delle fonti originali del libro maledetto e dei suoi sottoprodotti per farne un romanzo, addentrandosi di capitolo in capitolo sempre più in profondità nel New England descritto da Lovecraft alla ricerca di una fantomatica «America sotterranea».
Moore è stato grandioso nell’associare e rielaborare alcuni elementi di questo quest fondendoli in un unico immaginario che rimanda a qualcosa di spaventoso che si sarebbe concretizzato in Europa qualche anno dopo gli avvenimenti di questa storia.
Providence è un’opera monumentale sin dai primi 4 episodi qui raccolti: le parti a fumetto sono molto dense e ovviamente ricche di citazioni, e la “zibaldone” d’appendice in cui Robert annota i suoi appunti e archivia documenti trovati nel percorso è ancora più ricco di informazioni e di suggestioni. C’è in effetti anche la sensazione che Moore giochi con il lettore (era veramente presente un vaso di colla sul tavolo di Willard Wheatley? Robert aveva o non aveva il cappello quando è entrato in casa di Suydam?) anche a livello metaletterario, soprattutto quando Willard fa riferimento all’appartenenza del protagonista a «n’altra storia». Nonostante questo, per quanto si tratti di una lettura molto impegnativa, Providence è molto appassionante grazie anche alla sua struttura per cui progressivamente il protagonista arriva sempre più vicino alla fonte del mistero. Inoltre le parti scritte, per quanto piuttosto ponderose  (anche una ventina di pagine per capitolo…) offrono occasionalmente qualche inaspettato spunto umoristico come ad esempio gli esiti degli interessi sentimentali del protagonista – Robert Black è omosessuale, ma a quanto trapela da alcune scene è solo una delle cose che dovrà tenere nascoste ai puritani americani di inizio secolo.
Certo, sarà un supplizio aspettare la prossima uscita, anche al pensiero che le parti scritte fanno talvolta da ponte tra un episodio e l’altro, introducendo particolari che il lettore accorto saprà ritrovare nel capitolo a fumetti immediatamente successivo, con la speranza che l’ultima annotazione del 18 agosto finisse veramente così e non sia stata tagliata dalla Panini. Ma per quando uscirà il secondo numero chi se li ricorderà più i vari indizi disseminati. E chissà quando capiremo i riferimenti all’enigmatica prima tavola del quarto capitolo.
Ai disegni Jacen Burrows ha fatto un buon lavoro, trovo che sia molto cresciuto rispetto agli altri suoi lavori che conosco – cioè, così a memoria, solo Cicatrici scritto da Warren Ellis. La sua rappresentazione del protagonista nella sequenza della fuga nel lago sotterraneo del secondo capitolo mi ha ricordato a tratti addirittura l’eleganza di Vittorio Giardino. Purtroppo il colorista Juan Rodriguez interpreta praticamente sempre le cavità orali delle bocche anche appena socchiuse come fossero denti, ma dopo un po’ non ci si fa quasi caso.
L’edizione cartonata italiana mi è sembrata molto valida, ben stampata e tradotta con la cura che necessita il diabolico Moore sempre prono all’invenzione di birignao (la citazione di cui sopra è corretta: «n’altra storia» e non «un’altra storia») e amante dei calembour. Ad arricchirla c’è anche un’appendice con il florilegio di variant cover realizzate da Burrows. Quasi del tutto assenti i refusi, Suydam diventa Suydman nel diario del secondo capitolo ma magari è stata una trovata per vedere se il lettore stava attento. Questa versione italiana, «per la prima volta al mondo in volume», è arricchita da un’introduzione e una postfazione di Antonio Solinas, in cui si dice anche (quelle finesse!) che Alan Moore scrisse il precedente Neonomicon spinto da necessità economiche.

domenica 22 novembre 2015

Certo che pure la Rizzoli - Milano Libri...

Forse qualcuno ricorderà le traduzioni creative di Blueberry ad opera della Nuova Frontiera, in cui si ricorse a un adattamento piuttosto originale (poi giustamente ridimensionato dopo qualche volume) zeppo di turpiloquio che finiva per generare un effetto un po' straniante, visti anche i disegni già all'epoca percepiti come vintage.
Qualche anno prima la Rizzoli - Milano Libri aveva fatto qualcosa di simile con lo Spirit di Eisner, in cui riversarono oltretutto anche un po' del gergo giovanile della contestazione, ad esempio la "pula" a indicare i poliziotti:
(da Alter Alter 11/anno 6 del novembre 1979)

giovedì 19 novembre 2015

Ricevo e volentieri condivido



Indieversus porta gli autori di webcomics a casa dei lettori!
Sul sito internazionale www.indieversus.com, durante tre eventi esclusivi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, i lettori potranno finalmente entrare in contatto diretto con autori di webcomics da tutto il mondo.
I lettori che comprano il biglietto avranno accesso ad una Secret Room, in cui potranno seguire il proprio autore preferito mentre disegna LIVE per loro, potranno chattare con lui e fare domande, esprimere il loro apprezzamento e il loro sostegno, parlare fra di loro e con l'autore.
Alla fine di ciascuna sessione, e a seconda del tipo di biglietto acquistato (vanno da 3$ ad un massimo di 10$), i lettori riceveranno regali esclusivi, opere firmate e dedicate, step by step e lineart ad alta risoluzione che gli autori si impegnano a non spedire a nessuno se non ai partecipanti.
I primi tre autori sono tutti italiani e gli incontri ad orari accessibilissimi al pubblico italiano:
- Sara Fabrizi, disegnatrice di Racers.
20 nov 2015 – 09.00 pm Central Europe Time (GMT+1)
-Mega-Ne, disegnatore e autore di tutorial su MEMO.live.
23 nov 2015 – 09.00 pm Central Europe Time (GMT+1H)
-Linda Cavallini, autrice di Lùmina.
25 nov 2015 – 09.00 pm  Central Europe Time (GMT+1H)
Queste prime tre session LIVE sono solo l'inizio di una serie di incontri che nascono dall'esigenza da parte di lettori ed autori di incontrarsi e stringere un legame più forte.
Gli organizzatori di Indieversus sono consapevoli che nell'incontro fra queste due figure sta il segreto di un webcomic che duri nel tempo, che coinvolga tante persone e che aiuti gli autori ad acquisire più visibilità presso un pubblico internazionale.
Chi saranno i prossimi autori ad entrare a far parte dell'Indieversus?
Per ogni informazione o domanda: info@indieversus.com
Per rimanere sempre aggiornati sulle novità: http://eepurl.com/bF_GbD


mercoledì 18 novembre 2015

Cosmo Color Extra 17 - Il Crepuscolo degli Dèi 6: Crimilde

E andiamo avanti con la saga del Crepuscolo degli Dèi. Un po’ perché ormai che ci sono li prendo tutti (e il prossimo sarà l’ultimo) e un po’ anche per sovvenzionare, per quanto ormai sia inutile, i Cosmo Color.
Dal punto di vista dei testi questo Crimilde non è affatto male: il miscuglio di fantasy e pseudo-realismo storico è originale ed è interessante vedere il parallelismo tra i conflitti e le trame degli dei e quelli che coinvolgono Burgundi e Sassoni.
Sigfrido è diventato l’eroe dei Burgundi e grazie ai suoi poteri è stato indispensabile per fermare il soverchiante impeto dei Sassoni, che possono vantare nel loro esercito anche dei mostri tolkieniani. Ma Sigfrido non ha intenzione di rimanere presso i suoi ospiti ancora a lungo visto che il suo pensiero va costantemente all’amata Brunhilde con cui ha dichiarato di volersi ricongiungere una volta finita la guerra. Ai Burgundi non resta quindi che fargli bere una pozione dell’oblio e fargli sposare Crimilde, sorella del re, per tenerlo con loro. Ma la presenza di Crimilde, in possesso dell’Anello e divenuta nel frattempo regina d’Islanda, è sempre più incombente e inevitabilmente le strade dei due protagonisti si incroceranno di nuovo nel prossimo episodio che si annuncia (e ci mancherebbe altro) apocalittico.
Purtroppo il problema de Il Crepuscolo degli Dèi, e soprattutto di questo volume, sono i disegni di Djief. Non è che sia proprio un cane, ma lo trovo inadatto a questo tipo di fumetto coi suoi personaggi efebici e il suo tratto morbido e un po’ esangue. È anche vero che ha saputo infondere in Loki una splendida espressività, ma la resa non ottimale di molte mani e anche di alcuni volti lo pone al di sotto degli standard di opere franco-belghe dello stesso genere.
Appuntamento a gennaio con il gran finale: assume contorni ironicamente profetici il fatto che l’ultimo baluardo del meritevole esperimento Cosmo Color sia il volume di un fumetto intitolato Il Crepuscolo degli Dèi.

lunedì 16 novembre 2015

Milo Manara: Nuove storie brevi

Uscito alla fine del 2013 ma annunciato sull’Anteprima solo qualche mese fa e (immagino) reso disponibile nelle fumetterie da poco, Nuove storie brevi di Milo Manara è un bell’esempio di strategia editoriale. Queste «storie brevi» erano «nuove» quarant’anni fa, quando fecero la loro comparsa sul Corriere dei Ragazzi e sul Corrier Boy, quindi Mondadori ha voluto creare un fittizio trait d’union con i fascicoli delle storie brevi editi anni fa da Nuova Frontiera, puntando sulla presunta prurigine del contenuto: in effetti in copertina campeggia una donnina che, per quanto effettivamente ripresa da una delle storie, c’entra ben poco col contenuto.
Non c’è lo straccio di un redazionale e, cosa assai più grave, mancano del tutto le indicazioni sulla paternità delle sceneggiature, ideate da personalità del calibro di Mino Milani e (credo) Alfredo Castelli. In epoca virtuale possiamo recuperare queste informazioni ad esempio da qui ma oltre a non rendere giustizia agli autori originali (che si sarebbero potuti citare genericamente nel colophon) ciò crea il rischio che il solito lettore povero di spirito, viste attribuite tutte le storie al solo Manara, ritenga per principio che siano porcherie prima ancora di leggerle visto che, come va tanto di moda dire, Manara è un ottimo disegnatore ma non sa scrivere.
Al di là di queste considerazioni, il volume mi è proprio piaciuto visto che va a colmare alcune lacune che avevo nella produzione di Manara. Pur essendo palesemente stato stampato a partire dalle scansioni delle riviste (non potevano recuperare da lì i nomi degli sceneggiatori? I riferimenti alle macro-serie in cui erano inserite questi “liberi” si sono pure presi la briga di toglierli…), il risultato è buono e anche le pagine che in origine erano a colori, qui rese con toni di grigio, sono stampate in maniera più che accettabile.
Il materiale è tratto dal periodo della “prima maturità” di Manara, quando era riuscito dopo alcuni tentativi infruttuosi a fare il salto di qualità e a passare dai pornetti alle pagine del “Corrierino” in quello che forse fu il periodo migliore della testata. Se non vengono indicati i nomi degli sceneggiatori figuriamoci se c’è lo straccio di una indicazione sulla data di pubblicazione originaria delle storie, comunque la Storia del fumetto ci insegna che la collaborazione di Manara col settimanale durò dal 1974 al 1976 e d’altra parte la collocazione temporale è evidente anche dall’ambientazione delle storie stesse.
Si tratta infatti di fumetti inseriti nei vari filoni del “Fumetto-Verità”, dell’Inviato nel Tempo e di La Parola alla Giuria, in cui erano presenti massicci riferimenti all’attualità del tempo anche se le vicende erano ambientate in epoche diverse. Oltre agli splendidi disegni di un Milo Manara già bravissimo in queste storie si nota l’alta qualità dei testi. Il Corriere dei Piccoli non era Lanciostory e si vede: ogni tanto affiora un intento didattico nei testi di alcune storie, così come ci sono delle forme di autocensura per cui i “buoni” non ammazzano mai e le eventuali morti non sono mai rappresentate in maniera cruenta (salvo laddove effettivamente indispensabile, vedi il processo ad Attila), però la sapiente architettura di alcune trame o l’originalità di certi soggetti rendono la lettura piacevole anche a un pubblico adulto e smaliziato, tanto più che ogni tanto fa capolino una certa ironia – da qui la mia ipotesi che Castelli abbia scritto alcuni di questi fumetti.
Il volume raccoglie anche Chris Lean, una serie del Corrier Boy con cui evidentemente si cercava di percorrere la stessa strada di Intrepido e Lanciostory, che Manara abbandonò al secondo episodio a causa dell’avversione per la professione del protagonista. Dopo aver finalmente letto questi episodi mi pare che la sua idiosincrasia fosse esagerata: è vero che Chris Lean era un poliziotto ma i suoi nemici erano altri poliziotti corrotti. Ma c’è poco da fare: erano altri anni. Chris Lean è stata una serie importante visto che dopo l’abbandono di Manara vi si fecero le ossa altri nomi poi diventati importanti del comicdom nazionale, fra tutti Luigi Piccatto.
Riflettendo sul fatto che Un Fascio di Bombe è contemporaneo a questi fumetti, e che lì Manara non era molto ispirato (ma io resto convinto che ci mise mano anche qualcun altro), credo che Il Corriere dei Ragazzi pagasse bene i suoi collaboratori, quanto bastava a Manara per prendersi tutto il tempo necessario a trovare la documentazione e a lavorare di cesello sulle sue elaboratissime tavole.
Con o senza la paraculaggine della Mondadori, questo volume è un acquisto indispensabile per i fan di Manara, del Corriere dei Ragazzi e del fumetto italiano in generale.

sabato 14 novembre 2015

C'era una volta in Francia 3: Il piccolo giudice di Melun

Si conclude la saga del signor Joseph e tutti i nodi vengono al pettine, strigliati con pazienza dal giudice Jacques Legentil che impiegherà quasi vent’anni per ottenere la sua vendetta.
Il primo dei due volumi qui raccolti ha un inizio farraginoso in cui si procede come in un legal thriller a raccogliere testimonianze e dossier e a stabilire una tattica di attacco per demolire il protagonista sempre in bilico tra opportunismo e fatalismo, tra calcolata crudeltà e slanci disinteressati. Dopo una ventina di pagine, però, la storia si fa coinvolgente.
La molla che porterà alla caduta di Joseph Joanovici è l’esecuzione del giovane partigiano Robert Scaffa, ammazzato nello scorso volume perché aveva visto troppo degli intrallazzi del protagonista. Ma ci vorrà un sacco di tempo prima che il giudice di Melun possa intravedere una possibilità di colpire la sua nemesi (e come per Al Capone il pretesto sarà una questione di frode fiscale) e nel percorso verso la fine Nury mette a nudo la varia umanità che compone questa tragedia con tutte le sue piccolezze, i suoi opportunismi e i vorticosi cambi di campo, non risparmiando praticamente nessuno dei protagonisti al suo sguardo che ne rivela le bassezze.
Il ritmo della storia è nettamente cinematografico, praticamente senza didascalie ma con inquadrature dinamiche e occasionalmente ardite (penso principalmente a quella dell’aggressione a Eva) e un montaggio molto narrativo e anch’esso dinamico delle vignette, in cui Nury fa ricorso al sistema di produrre senso smentendo quello che succede nella vignetta immediatamente precedente o contrapponendo situazioni opposte.
Cedo alla tentazione e mi sbilancio a dire che C’era una volta in Francia oltre a essere un ottimo fumetto dalle grandi ambizioni pienamente soddisfatte diventa anche un apologo sulla condizione umana, coi suoi personaggi che escono praticamente tutti sconfitti dalla vicenda. È andato vicinissimo a diventare un capolavoro, ma un fumetto è composto anche della parte grafica.
Sgombro il campo da eventuali equivoci: Sylvain Vallée è un bravo disegnatore e un ottimo fumettista, uno che sa sicuramente raccontare per immagini. Purtroppo, però, ha anche delle derive caricaturali molto marcate che secondo non lo rendono affatto adatto a questa storia cupa e rigorosa. I suoi personaggi sono sicuramente molto espressivi ma come si fa, per dire, a prendere sul serio il giudice Legentil con quel suo mento spropositato? Francamente io non me lo ricordavo così grottesco nelle sue prove precedente. È vero che la componente gros nez è presente nel DNA di quasi tutti gli autori di BéDé, ma qui si è esagerato e per me non è stato facile empatizzare con questi personaggi che risultano poco credibili nelle loro fattezze grottesche. Come se Watchmen lo avesse disegnato Sandro Angiolini (altro grande professionista, ma anche lui nettamente caricaturale): non sarebbe stata la stessa cosa.
Comunque bando alle remore: C’era una volta in Francia è stata una delle migliori letture del 2015, che la pubblicazione ravvicinata da parte della RW Lineachiara ha reso ancora più avvincente.

mercoledì 11 novembre 2015

Hellcat - Questa ragazza potresti essere tu!

Difficile stabilire l’impulso che mi ha spinto a ordinare questo volume, ma quasi sicuramente saranno stati i disegni di Immonen. Il punto è che quei paraculi della Panini hanno sottolineato a dovere il fatto che a disegnare queste storie fosse lui, sorvolando sul fatto che in realtà la maggior parte del volume è opera di David Lafuente. E se queste storie sono rimaste nel cassetto per quasi dieci anni (la prima risale al 2007) viene il sospetto che un motivo ci sarà pur stato. E in effetti…
Nonostante in copertina campeggino esclusivamente i nomi dei coniugi Immonen, i due hanno realizzato solo la prima, chiamiamola così, “mini-miniserie”, cioè una storia divisa in 4 parti da 8 tavole l’una pubblicata originariamente a puntate in un antologico. La successiva storia Effetto Palla di Neve è invece opera della Immonen e di Lafuente ed è una miniserie propriamente detta di cinque episodi; Stuart Immonen tornerà solo in una risibile storiellina in appendice, oltretutto nemmeno colorata benissimo.
Non avevo un buon ricordo di Kathryn Immonen e la lettura di questo volume ha confermato lo scarso gradimento. Non che la conosca poi così bene, ma il suo Pixie colpisce ancora! mi aveva lasciato assai perplesso, e ogni tanto mi dico di rileggermi Moving Pictures per vedere se stavolta riesco a capire cosa diavolo succede in quel fumetto.
Questa ragazza potresti essere tu! racconta della frantumazione delle personalità della protagonista a opera di un incantesimo, così che le sue varie incarnazioni (il personaggio ebbe una vita editoriale lunga e travagliata riassunta nell’introduzione di Marco Rizzo) si manifestano fisicamente nel momento meno opportuno, cioè durante un appuntamento romantico. È poco più di una barzelletta, certo, ma uno sceneggiatore con un certo mestiere avrebbe potuto renderla almeno interessante. Purtroppo Kathryn Immonen si diverte a complicare quello che dovrebbe essere semplice, quasi a voler dare una patina di ricercatezza a un soggetto che di suo può essere divertente e basta, e a livello di dialoghi non è che tutte le battute risultino poi così divertenti come vorrebbero essere.
Effetto Palla di Neve è una storia stupidotta e abbastanza confusa in cui Iron Man (all’epoca si era nel post-Civil War in piena Iniziativa dei 50 Stati) manda Hellcat a pattugliare l’Alaska. Qui la protagonista avrà a che fare con sciamane, orsi-cervi, spiriti totemici, ragazzine rapite, calendari aztechi parlanti, yeti… lo stile della Immonen vorrebbe essere leggero e scanzonato ma anche originale e cool, col risultato di essere poco comprensibile e a volte irritante nel suo continuo strizzare l’occhio al lettore. Credo inoltre che se a scrivere Effetto Palla di Neve fosse stato un uomo sarebbe stato bollato di misoginia e maschilismo. Unico elemento che emerge in questi cinque capitoli è la figlia della strega e il suo rapporto col presunto rapitore, ma nulla di originale per chi ha letto la saga di Roxana di Dago – e il personaggio ricorda moltissimo, anche fisicamente, la Gertrude Yorkes dei Runaways.
Cotanti testi sono oltretutto illustrati dal caricaturale David Lafuente, i cui difetti maggiori secondo me si concentrano nei volti. Perché diavolo deve mettere gli occhi così vicini alla fronte? Certo, nemmeno Stuart Immonen è un disegnatore realistico: anche lui si prende qualche licenza (vedi i culi quadrati e le gambe sottilissime) ma oltre a essere molto espressivo e dinamico è anche estremamente elegante nel suo essere occasionalmente deformed. Cosa che purtroppo Lafuente non è.
Con ogni probabilità il volume non nasce per portare alla luce dei capolavori dimenticati ma come instant book da abbinare alla presenza lucchese dei coniugi Immonen. Non che meriti di figurare tra il Peggio del 2015, ma è comunque parecchio deludente. Almeno ci fosse stato sempre Stuart Immonen a illustrare i deliri di sua moglie…

lunedì 9 novembre 2015

Le mirabolanti avventure di Edson Paz 3: Edson Paz e la Ragnatela di Brasilia

Termina con il botto la trilogia di Edson Paz. Il primo episodio era una bella avventura con un bel retroterra archeologico, il secondo un’indagine con qualche elemento sovrannaturale (che non ho gradito del tutto) e in Edson Paz e la Ragnatela di Brasilia siamo di fronte a una spy story frenetica e appassionante, in cui si riallacciano alcuni nodi del passato.
Il Summit 2015 dei Brics a Brasilia è l’occasione per furti d’antichità, scambi di persona e scontri fra servizi segreti. In realtà alla base di tutto c’è un machiavellico piano: il traffico di un nuovo esplosivo sperimentale che non ha bisogno di innesco. La descrizione che viene fatta delle modalità di attivazione dell’arma (onde sonore) è un po’ inquietante perché sembra avere delle basi scientifiche piuttosto solide.
Edson si troverà coinvolto in questa frenetica girandola di avvenimenti in cui ricompaiono anche il suo amico archeologo Roland e il villain storico Eriberto Guillon e fanno capolino nuovi personaggi molto affascinanti come l’agente giapponese (!) del Mossad Kyoko, una vecchia fiamma di Roland passata dalla capoeira allo spionaggio e un losco trafficante d’armi. La storia si dipana frenetica, e con qualche inevitabile concessione alla convenzioni di genere (dubito che sia così facile scappare dal quartier generale del Mossad!), tra l’America Latina e l’Africa. Il lavoro di ricerca e documentazione è evidente e dona alla storia una dimensione realistica.
Babich è cresciuto ancora, e la sua linea chiara si è impreziosita di tratteggi e neri più profondi e ragionati. Da segnalare che è riuscito in un compito non facile, anzi diciamo pure un banco di prova da cui si capisce se un disegnatore è veramente bravo: quello di far capire al lettore che un personaggio non è quello che sembra senza fare ricorso a caricature o ad altri mezzucci ma anzi mimetizzando bene il travestimento (qui si tratta di una donna che si spaccia per un uomo) agli occhi degli altri personaggi del fumetto che lo guardano ignari, mentre il lettore accorto può cogliere tutti gli indizi.
Anche dal punto di vista della sceneggiatura c’è stato un ulteriore sviluppo qualitativo. La storia, come dicevo sopra, è documentatissima, sia dal punto di vista iconografico che da quello contenutistico (e se non lo è, PiElle e Marco Zovi hanno fatto un buon lavoro a rendere tutto così credibile), inoltre stavolta affiora un po’ di ironia nei dialoghi che rende la lettura ancora più gradevole.
Una storia tanto articolata e con così tanti personaggi probabilmente avrebbe meritato un respiro più ampio, tanto più che il finale sembra aprire nuove possibilità o far intravedere nuovi squarci narrativi. Ma dopotutto è meglio che una storia lasci ancora la voglia di leggere piuttosto che dia l’impressione di essersi trascinata troppo a lungo.
Prossimamente un’intervista a Fabio Babich su Fucine Mute.

sabato 7 novembre 2015

Agenzia Investigativa Carlo Lorenzini - Stagione 2



Secondo volume dedicato a questa sorta di Fables all’italiana. C’è stato un parziale avvicendamento
di autori sia nella parte scritta che in quella grafica e Manfredi Toraldo viene affiancato da Luca Baino alle sceneggiature mentre ai disegni fa il suo esordio Andrea Broccardo che si affianca a Jacopo Tagliasacchi (chinato da Virginia Chiabotto e in un’occasione da Valeria Rossotto). A Elisabetta Barletta è toccato solo l’onere della copertina, peraltro non esaltante.
Come nel volume precedente Pinocchio/Carlo Lorenzini si trova coinvolto in vari casi che riguardano personaggi letterari (ce n’è anche per Bukowsky ed Evangelisti in questo volume) facendo attenzione a non attirare le attenzioni dei mortali ignari del fatto che dividono il mondo con personaggi di fantasia. Il tutto mentre il “Tribunale delle Storie” a cui deve rispondere in quanto agente rivela lati sempre meno rassicuranti.
Gli autori hanno dimostrato anche stavolta la loro abilità nel gestire la dimensione piuttosto esigua di sole 4 tavole per episodio, anche se è vero che in alcuni casi ci sono state trame spalmate su due o tre puntate e ormai si è creata una certa continuity che permette di saltare le presentazioni di alcuni personaggi secondari. Ci sono azione, mistero e colpi di scena nella giusta dose, oltre alle felici intuizioni che sono forse l’aspetto più interessante di questa serie (la Creatura di Frankenstein ad esempio viene rappresentata come un uomo di colore, perché probabilmente i lettori contemporanei della Shelley la immaginavano così).
Esattamente come nel caso dello scorso volume anche questo termina con una storia più articolata che modifica lo status quo della serie, vedremo come andrà avanti.
Unica pecca del volume: forse la qualità della carta non rende del tutto giustizia ai colori che avrebbero meritato di brillare di più.

venerdì 6 novembre 2015

Annihilator 1-6 (col cofanetto)

A rileggere la recensione che avevo dedicato ai primi due capitoli l’anno scorso, Annihilator non mi aveva entusiasmato – forse anche per la prospettiva di non sapere se e quando ne avrei letto il seguito. Adesso che l’ho letto tutto di fila e col suo bel cofanetto-raccoglitore credo di poter dire che, al di là degli spettacolari disegni di Frazer Irving, è un prodotto simpatico e nulla di più, confezionato da un Grant Morrison sicuramente non al top dell’ispirazione che si affida a trucchi del mestiere già abbondantemente collaudati.
Ricapitolando: Max Nomax è in fuga dal suo universo dove è stato rinchiuso nella prigione di Dis mentre nel nostro mondo lo sballato sceneggiatore cinematografico in disarmo Ray Spass si ritrova un tumore inoperabile nel cervello. Con un ardito impeto metanarrativo (Spass sta appunto scrivendo la storia di Nomax per un nuovo film) le esistenze dei due si incrociano e viene rivelato che in realtà il tumore è un “proiettile di informazioni” che Spass deve liberare per spiegare a Nomax come è riuscito a fuggire e come continua la sua storia.
Dal terzo episodio in poi la storia diventa un romanzo on the road visto che i due protagonisti devono fuggire inseguiti dall’implacabile Makro e nella loro fuga raccatteranno anche Luna Kozma, ex di Spass ancora traumatizzata dal passato rapporto con lo sceneggiatore. Luna servì da modello per Olympia, la donna (che proprio una donna non è, come verrà rivelato) amata da Nomax, primo stimolo alla sua ambizione di sconfiggere la morte e quindi motore della storia.
Le due vicende, quella “reale” di Spass con Nomax e la fiction nella fiction, proseguono parallele aprendosi a nuove prospettive e introducendo vari colpi di scena. Ovviamente, dato il suo carattere fantascientifico in cui tutto è possibile, la storia fittizia di Nomax è quella in cui si accumulano più sorprese e rivelazioni. Ma, a parte un brusco ribaltamento di ruoli, niente di quello che si legge è poi così rivelatore o sconvolgente, tanto più che Morrison scrive a chiare lettere che quello che ha voluto fare è stato dimostrare quanto bene padroneggia le regole delle sceneggiature cinematografiche.
Non mancano dialoghi brillanti, sequenze divertenti e (a volere stare al gioco) trovate fantasy-mistiche abbastanza carine, ma Annihilator non rientrerà sicuramente tra i fumetti migliori che ho letto nel 2015. Sempre meglio di Multiversity, comunque.

giovedì 5 novembre 2015

Historica 37 - Ribelli: La Nascita degli Stati Uniti d'America

Interrompo momentaneamente la rassegna degli acquisti di Lucca per rimanere sul pezzo con un’uscita recente.
Nuova sorpresa sulla collana Historica: dopo un volume di origine italiana presenta materiale di origine statunitense. Nel primo caso, però, la scelta era giustificata dalla volontà di omaggiare il disegnatore Piffarerio recentemente scomparso, mentre questo Ribelli non capisco proprio come sia finito nella collana.
La saga in sei comic book è ambientata nell’ultimo quarto del XVIII secolo e racconta come facilmente intuibile dal titolo la guerra tra le colonie e la madrepatria. Con tutto il rispetto per gli autori Brian Wood e Andrea Mutti, entrambi con ottimi curriculum, questo Ribelli risulta un corpo estraneo nella collana, in cui non fa certo una bella figura.
Il formato 17x26 mal si adatta a un ingrandimento (e mi è pure balenato il dubbio che qualcosa delle tavole originali sia rimasto fuori dai margini delle pagine), tanto più che Mutti ha optato per un tratto sintetico e a volte anche abbastanza schizzato. Inoltre, ben conscio di quello che va di moda oggigiorno, Wood ha alternato nelle sue sceneggiature dialoghi secchi e sequenze quasi mute a squarci diaristici che non bastano comunque a rimpinguare il tempo di lettura della storia, sicuramente il più basso di tutta la collana.
La storia narra la vicenda di Seth Abbott (per la precisione, è lui stesso a narrarcela) che, partito con i Green Mountain Boys a diciassette anni appena accasatosi con la coetanea Mercy, avrà un ruolo fondamentale nelle azioni di guerriglia contro l’esercito imperiale. Ma la gloria, i conseguenti emolumenti economici e la soddisfazione di aver contribuito a creare una terra libera non valgono forse il rimpianto per aver abbandonato per anni la giovane moglie e per non aver visto crescere il figlio.
Oltre al rigore storico Ribelli offre qualche spunto interessante, come una visione per nulla agiografica del generale Washington e uno sguardo approfondito e complice sul ruolo delle donne durante la guerra d’indipendenza, anche se quest’ultimo elemento sembra un po’ forzato come quando in un fumetto/libro/film storico i protagonisti si fanno portatori di ideali e concetti moderni contro ogni logica. Anche questi motivi di interesse comunque non riescono a togliere l’impressione che questo volume sia un “fratello minore” di quelli di origine franco-belga che hanno ben altri respiro e profondità. È anche vero che nella sua destinazione originaria, cioè il classico brossurato 17x26 di 128 o 144 pagine, il fumetto sarebbe costato probabilmente di più dei 13 euro a cui ce lo ha offerto Mondadori.
Particolarmente buona l’introduzione di Sergio Brancato che, pur avendo colto nel fumetto dei riferimenti e delle suggestioni che secondo me non sono poi così preponderanti, offre degli interessanti paralleli con la situazione attuale.

mercoledì 4 novembre 2015

Pervers Pépère/Hamster Jovial

Questa è stata una bella sorpresa di Lucca 2015: una nuova casa editrice, ComicArt City, ha intrapreso la pubblicazione di materiale franco-belga. Detta così non sembra questa grande intuizione vista la frenesia con cui negli ultimi anni gli editori italiani si sono gettati sulla BéDé, ma le proposte della ComicArt City si caratterizzano per l’alto livello della confezione e per il fatto che pubblicano un autore geniale venerato in patria e praticamente sconosciuto in Italia: Marcel Gotlib.
Gotlib è stato anche un autore per l’infanzia e l’ideatore di un sacco di fondamentali riviste post-sessantottine, ma da quello che si può ammirare in questi due volumi il suo ruolo nella storia del fumetto non si esaurisce lì.
I volumi editi al momento sono Pervers Pépère e Hamster Jovial. Entrambi sono dei cartonati di grande formato (24x32) rispettivamente di 56 e 40 pagine. Sia l’uno che l’altro presentano in appendice delle pagine a colori, che al tatto mi sembrano di grammatura superiore alle altre, che comunque sono patinate.
Pervers Pépère è una raccolta di gag, di solito di una tavola, di cui è protagonista un vecchiaccio che fa degli scherzi a sfondo sessuale e si gongola nel vedere i risultati. Nelle primissime pagine vengono ospitate delle tavole e delle strisce generiche senza un personaggio fisso (forse il protagonista in nuce), che vertono principalmente sugli esibizionisti.
A dispetto del titolo, spesso l’effetto esilarante delle sue malefatte si basa sulle aspettative maliziose del lettore, e così assistiamo allo sbigottimento del poliziotto chiamato dalla vecchia beghina a cui Pervers Pépère non voleva mostrare altro che dei santini, o allo sconcerto dell’infermiere che vede Pervers Pépère preferire la sua rivista di economia a quelle porno per “ispirarsi” durante una donazione del seme.
Hamster Jovial è invece una presa in giro, corrosiva ma forse anche un po’ affettuosa, dello scoutismo e delle sue ritualità. Il protagonista eponimo è un giovane capo-scout un tantinello represso che deve tenere a bada i suoi tre “lupacchiotti” (due maschietti e una femminuccia), che quando non si scaccolano si dedicano alle delizie del sesso.
La struttura più comune di queste gag, anche stavolta quasi sempre in una tavola sola, è il rimando aun cantante o a un gruppo in voga all’epoca e il successivo tentativo di impostare la didattica come suggerito dal loro stile: ciò mi fa pensare che in origine Hamster Jovial comparisse su Rock & Folk o qualche altra rivista musicale (come avvenne per La Nuit di Druillet), nel solco di quelle ibridazioni tra musica e fumetto impensabili in Italia ma comuni in Francia. Wikipedia francese mi darebbe anche ragione, ma mi pare che sia addirittura meno affidabile di quella italiana: rimanendo all’oggetto di questa recensione riporta ad esempio che Pervers Pépère venne creato nel 1981, quando invece risale ad almeno 5 anni prima.
In entrambi i casi è stato emozionante rituffarsi in un’epoca irripetibile, in cui le inibizione e le autocensure degli anni precedenti venivano disintegrate a colpi di piccone (oggi è shockante vedere come la pedofilia fosse così facilmente oggetto di burla, anche se il volume di Pervers Pépère risparmia le scene più turpi come la quarta di copertina di Fluide Glacial 34). I disegni di Gotlib sono fenomenali e anche se si trattava solo di one pager non si risparmiava come facevano altri suoi contemporanei.
Entrambi i volumi costano 15 euro e la loro qualità di stampa è ineccepibile.
Certo, resta il dubbio che anche Gotlib non riesca a ottenere l’interesse dei lettori italiani come è successo ad altri capisaldi del fumetto franco-belga come Franquin, ma non fasciamoci la testa prima di essercela rotta e speriamo che queste prime due uscite possano essere l’avanguardia di altri volumi.
Prossimamente su Fucine Mute un’intervista al nume tutelare di ComicArt City, Massimo Giudici.

lunedì 2 novembre 2015

Acc... Dannaz... Malediz...

Comincio questa cernita degli acquisti lucchesi da un volume uscito qualche anno fa ma che non ero riuscito a trovare a suo tempo: l’integrale de Il Quarto Potere di Juan Gimenez edito nella collana dei Maestri del Fumetto della Mondadori.
Purtroppo mi sono accorto solo durante la lettura che la maggior parte delle (poche, per fortuna) tavole doppie di Gimenez sono state fatte ruotare di 90° per farle stare in un’unica pagina… da qui il titolo del post.
Al di là di questo spiacevole elemento (oltretutto quelle orientate correttamente sono le ultime come a dare un contentino al lettore, mentre le precedenti erano molto più belle e meritevoli) ho apprezzato la lettura, di cui a suo tempo mi ero fermato solo al palloso primo episodio pubblicato dalla Comic Art, che per l’occasione si era inventata le censure più improbabili.
Addirittura due tavole doppie rovesciate affiancate.
Al frenetico e dettagliatissimo Sovramentale fa seguito un divertente e originale Morte su Antiplona, che presenta oltretutto dei personaggi simpatici e molto ben caratterizzati. Il terzo e conclusivo episodio, Inferno Verde, è il seguito del precedente ed è anch’esso originale e molto divertente, altro che gli infiniti inseguimenti del primo, però l’ho gradito un po’ di meno visti gli inserti in computer grafica a cui ha fatto ricorso Gimenez. Ovviamente Il Quarto Potere si mantiene sui livelli grafici a cui ci ha abituati il Maestro di Mendoza.
Un grande recupero, peccato non aver trovato anche il volume dedicato a Christin e Bilal.