sabato 31 gennaio 2015

Secret Avengers: Salvare il mondo



Preso d’impulso, mi è piaciuto più di Moon Knight, che comunque allo stesso prezzo si presenta in una confezione cartonata.
Mi sembra che qui Warren Ellis abbia saputo trovare maggiori margini di originalità senza eccessivi riferimenti ad altre sue opere precedenti, così come mi sembra che questi sei episodi siano maggiormente connessi all’universo Marvel e quindi più rispettosi della materia trattata.
Da quello che ho capito (il volume raccoglie sei episodi di una serie già in corso) Capitan America ha dismesso il costume e insieme a un gruppetto mutevole ed eterogeneo di altri eroi mette in atto delle operazioni che devono rimanere segrete. Dietro alle missioni in cui si trovano coinvolti i Secret Avengers pare ci sia sempre, o almeno molto spesso, un qui non meglio approfondito “Consiglio Ombra”. Le premesse e alcuni spunti ricordano molto Planetary con questo Consiglio Ombra al posto dei Quattro, ma le analogie in realtà sono poche e le storie di questo volume hanno un taglio molto più supereroistico.
Sparando idee a raffica laddove altri sceneggiatori avrebbero stiracchiato il soggetto di un solo episodio per dodici numeri, Ellis offre tra le altre cose una divertente e originale storia sui viaggi nel tempo, il concetto di continuum accidentato, un’incredibile interpretazione sulla produzione di droga (beh, un po’ intravista in Planetary 21) e un inaspettato omaggio a Modesty Blaise. Il tutto condito da battute spettacolari e da una perfetta caratterizzazione dei personaggi. Forse il solo Capitan America rimane un pochino anonimo e poco approfondito, e al suo posto avrebbe potuto benissimo esserci Nick Fury o un altro personaggio.
Purtroppo a livello grafico Ellis non ha potuto contare su artisti alla sua stessa altezza. Per fortuna gli abissi di Kev Walker (non solo esteticamente soprassedibile ma purtroppo anche pessimo narratore) non sono eguagliati dagli altri, ma sia Alex Maleev che (mi costa dirlo) Stuart Immonen si sono espressi ben al di sotto delle loro prove abituali, così come Jamie McKelvie e Michael Lark mi sono sembrati fuori posto (troppo pulitino, a tratti cartoonesco, il primo; troppo espressionista e non leggibilissimo il secondo). Alla fine (anche questo mi costa dirlo) il migliore forse è stato l’artsy David Aja, rigoroso e molto efficace anche se mi vien voglia di prenderlo a sberle dal suo autocompiacimento nel voler dimostrarsi cool.

mercoledì 28 gennaio 2015

Il potere di un'immagine



L’altro giorno in fumetteria ho adocchiato il volumetto cartonato Gatti! edito da ReNoir. La confezione è carina, i disegni sono gradevoli e il prezzo è abbordabile. Ma soprattutto l’immagine in quarta di copertina mi conquista:

donnine espressive calate in un’atmosfera che mi ha ricordato molto Gli Uccelli di Hitchcock, cosa probabilmente voluta. Insomma: mistero, avventura, donnine. Così ho ceduto e mi sono comprato il volume, che preventivamente sfogliato sembrava essere composto da storie lunghe.
In realtà si tratta di una classica serie umoristica francese, costituita principalmente da pagine singole o doppie ma con qualche rara incursione in storielline più articolate. Tutto ruota intorno a un gruppo di amiche che hanno ciascuna un gatto che riflette le loro personalità. Nonostante il buon nome di Brrémaud, che pure ha realizzato cose interessanti, e al netto dei bei disegni di Paola Antista, Gatti! non è un fumetto entusiasmante: la maggior parte delle gag sono semplici e risapute e solo in poche occasioni ho riso di gusto. Non che sia brutto, comunque, semplicemente secondo me non si distingue nell’oceano di altri prodotti simili.
Ottimo da regalare a conoscenti gattofili o a figli di amici, tanto più che la confezione ReNoir è appunto carina (se ho ben capito raccoglie due volumi originali), ma poca cosa per noi vecchi bacucchi criticoni.
Eppure ci sono cascato e l’ho preso comunque. Tutto grazie al potere di quell’immagine. Pubblicità ingannevole? Beh, è nata per quello.

martedì 27 gennaio 2015

Saria 2: La Porta dell'Angelo



Se il primo volume era molto (ma molto) buono questo secondo episodio è ancora meglio. Al maestro Eleuteri Serpieri è subentrato lo stupefacente Riccardo Federici, che ha saputo ricreare col suo stile le stesse atmosfere e le stesse ambientazioni ideate dal primo. Pur filtrandole con il suo stile più pittorico e illustrativo (ma perfettamente funzionale alla narrazione), Federici ha rispettato le scelte impostate da Eleuteri Serpieri, come gli edifici avvolti da strani cavi che sembrano piante rampicanti, la raffigurazione più meccanica che umana del Doge e la grandeur decadente di questa Venezia alternativa.
Il povero Orlando è stato catturato e torturato ma non ha tradito Saria/Luna anche perché dopo essere entrato in contatto con la Porta dell’Angelo ha acquistato dei poteri che gli hanno consentito di fuggire. Guarda caso, incappa proprio nella dyle dei forzati, dove incontra nientemeno che il mistico Ali Muslim (se avete seguito il link a Fucine Mute avrete capito che era a lui che si riferiva Federici nell’intervista). Questo potente guaritore darà prova dei suoi poteri ad una folla di disperati, cosa che potrebbe compromettere la stabilità del potere del Doge – apparentemente più macchina che uomo ma attaccato alla poltrona peggio dei nostri politici!
L’“angelo” Galadriel si limita a qualche apparizione, ma è sempre un piacere vederlo/a in azione.
Dal canto suo Saria getta i semi di quella che vorrebbe far diventare una rivolta, coinvolgendo i reduci della guerra dei «centomila demoni» ormai ridotti a mutanti scorticati e occasionalmente biomeccanici, costretti a vivere reclusi nell’unico posto dove possono passare inosservati e dove un’acqua particolare permette di lenire le loro sofferenze.
La situazione però precipita e a seguito del successo elettorale di Ali Muslim lo sconfitto Doge impone al mussoliniano Amilcare di procedere con un colpo di stato con relative restrizioni alle libertà personali, che renderanno ancora più arduo per i nostri eroi (ma ormai è rimasta solo Saria) raggiungere i loro scopi.
Un cliffhangerone di quelli tosti fa venire ancora più voglia di leggere il seguito, alla cui uscita spero non manchi molto – questo secondo episodio risale a 3 anni fa.
Come ogni parte centrale di una trilogia La Porta dell’Angelo è un momento di transizione e ovviamente non può avere né il fascino del primo episodio in cui venivano introdotti ambientazione e personaggi né quello dell’ultimo in cui tutti i nodi verranno sciolti. Rimane comunque un fumetto appassionante e originale, in cui le bizzarrie di Dufaux hanno finalmente un loro fascino e soprattutto una loro ragion d’essere giustificata dal contesto.
In un paio di occasioni mi è parso di intravedere un cedimento supereroistico (la mutazione di Orlando, la figura di Sirocco), ma nulla di particolarmente fastidioso.

lunedì 26 gennaio 2015

Multiversity 1: Casa degli Eroi



La copertina che ho preso io
È difficile capire dal solo primo episodio la validità di una miniserie, tanto più se realizzata dal funambolico Grant Morrison; comunque questo Multiversity finirà nell’elenco dei Fumettisti d’invenzione e solo per questo sono stati soldi ben spesi.
La storia ha delle basi per nulla originali visto che si tratta di una chiamata alle armi di vari eroi delle terre parallele contro un nemico comune che secondo me potrebbero anche essere i lettori stessi del fumetto. Nix Uotan, l’ultimo Monitor rimasto, si trova invischiato in questa trama (anzi, è proprio lui che dà una spinta propulsiva ad alcuni avvenimenti) e alla fine di questo primo tassello narrativo si manifesta radicalmente mutato in uno sfolgorante cliffhanger.
Multiversity è più che altro una scusa per illustrare la nuova cosmogonia dell’Universo DC, un tour guidato attraverso (alcune o tutte) le 52 Terre parallele che lo compongono, riesumate o rielaborate o create ex novo da Morrison. Se poi ci sarà qualche bello scossone a livello di trama come promesso nell’introduzione ben venga, dalle pagine viste finora mi pare che ci godremo più che altro la bizzarria di certe situazioni e i dialoghi spumeggianti. Oltre a goderci la qualità dei disegni, visto che già questo Ivan Reis ha fatto un ottimo lavoro, purtroppo vanificato ogni tanto da una qualità di stampa zoppicante.

Simpatica l’idea di fornire la mappa del nuovo universo DC all’interno della copertina: la grafica mi ha ricordato la struttura dei Piani Esterni del vecchio Advenced Dungeons & Dragons. Ma come per i moduli di AD&D la RW Lion avrebbe dovuto staccare la copertina dalle altre pagine per permettere al lettore di visualizzare compiutamente questo “planetario”.

domenica 25 gennaio 2015

Cosmo Color 17 - Australia DownUnder 3: Terra Nullius



Ultimo episodio della trilogia di Nathalie Sergeef e Fabio Pezzi, in cui una narrazione serratissima conduce allo sciogliersi dei nodi narrativi e alle inevitabili rivelazioni.
Non mancano però spunti e materiale per un ipotetico seguito, che spero venga realizzato visto che di carne al fuoco ne è stata messa molta (e di buona qualità) e meriterebbe qualche ulteriore approfondimento. Anzi, la conclusione mi è sembrata un po’ frettolosa e la risoluzione di alcune situazioni giustificata più che altro da una serie di coincidenze fortunate. Nulla di drammatico, ma qualche pagina in più avrebbe forse reso più credibili e quindi coinvolgenti certe sequenze. A mio avviso il fumetto resta comunque a livelli alti ed è un peccato che sia già finito.
Curioso come la sceneggiatrice si sia concessa in più di un’occasione qualche divagazione naturalistica splendidamente realizzata da Pezzi: il protagonista principale Ian McFarlane compare addirittura solo dopo una ventina di pagine. In effetti Terra Nullius risulta assai poco comprensibile senza la lettura dei capitoli precedenti, cosa non sempre così marcata nel caso dei volumi conclusivi di altre serie. Rimane comunque un appassionante e originale fumetto che conferma le mie ottime impressioni sugli altri episodi di Australia DownUnder. Peccato che alcuni balloon e alcune didascalie siano stati palesemente rifatti!
In quarta di copertina, ahimè, campeggia la copertina dell’ennesimo western che sarà ospitato su Cosmo Color: Colorado.

giovedì 22 gennaio 2015

Fumettisti d'invenzione! - 89



Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

ADVENTURE TIME
(Stati Uniti 2012, © Cartoon Network, parodia)
Ryan North (T), Shelli Paroline e Braden Lamb (D)

Versione a fumetti dell’omonimo cartone animato di Cartoon Network, realizzato ed edito negli Stati Uniti da KaBOOM! Studios e pubblicato in Italia da Panini. Il giovane avventuriero Finn e suo fratello il cane mutaforma Jake vivono strampalate avventure nel mondo di Ooo, parodia dei giochi di ruolo e della cultura pop in generale.

Marcelzine issue #30 in Adventure Time 30 (2014). Autori vari.

Questo numero viene presentato come la trentesima uscita di una fanzine confezionata da Marceline, l’amica vampira di Finn e Jake. Trovandosi senza materiale pronto Marceline ha dovuto raccogliere i contributi degli altri abitanti del mondo di Ooo che hanno realizzato brevi fumetti a seconda delle loro indoli e delle loro passioni.
Finale metanarrativo in cui il comic book viene letto da uno dei personaggi di questo universo narrativo.

[NARRATIVA] CARTOONIST COME PROTAGONISTA (pag. 71)

PANTEGANE E SANGUE
CANARD A L’ORANGE MECANIQUE
(Italia 2000-2010, racconti in Anatra all’arancia meccanica, Einaudi, hard boiled)
Wu Ming [almeno uno tra Roberto Bui, Giovanni Cattabriga, Luca Di Meo, Federico Guglielmi, Riccardo Pedrini]

Due racconti che condividono la stessa ambientazione, parodia in salsa pulp dei fumetti Disney qui attribuiti al genio di Walter (“Walt”) Elias Bizney. Nel primo il detective Topo Lino indaga su un sordido e intricatissimo caso, scoprendo alla fine di aver assistito all’intersezione di due universi grazie a un pezzo del fumetto che narra la vicenda stessa. Forse il processo di autocoscienza si è venuto a creare spontaneamente dopo una vita editoriale durata oltre 70 anni, ma sicuramente è stato importante l’apporto del disegnatore Jack T. che ha “sabotato” una sceneggiatura affidataglia dalla Bizney.
In Canard à l’orange mécanique è invece Anatrino a prendere coscienza di sé in autonomia senza l’aiuto di alcun autore. Non vengono citati fumettisti d’invenzione ma assistiamo a un carteggio e a una riunione tra gli alti dirigenti della Walt Bizney Entertainment e vengono citati fumettisti realmente esistiti come Carl Barks e Al Taliaferro. Carl Barks fa anche una comparsata alla fine.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

PK PAPERINIK NEW ADVENTURES
(Italia 1996, © Disney, umorismo, fantascienza)
Alessandro Sisto ed Ezio Sisto (T), Alberto Lavoradori (D)


Rivisitazione in chiave supereroistica e fantascientifica di Paperinik. Da annoverarsi tra gli eventi fumettistici italiani degli anni ’90, la serie ebbe un grande successo ed è a tutt’oggi considerata un cult. Successivi rilanci, anche molto recenti, non sono sempre stati accolti con lo stesso entusiasmo.

Trip’s Strip in PK Paperinik New Adventures 34 (1999). Bruno Enna (T), Silvia Ziche (D)
Back up story di 8 tavole: a seguito degli avvenimenti successi nella storia principale del numero 34, Niente di Personale, Paperinik deve proteggere Trip (figlio dell’arcinemico Razziatore) e lo confina nei sotterranei della Ducklair Tower dove gli ingiunge di passare il tempo. Siccome Trip non gradisce la lettura dei fumetti, ne crea uno suo coi mezzi di fortuna forniti da Paperinik. Le storie riguardano il suo alter ego supereroistico, Timeboy detto TB, con cui Trip ha un rapporto un po’ conflittuale che si traduce nell’uso strumentale delle convenzioni dei fumetti.
Questo spunto iniziale darà vita a una breve serie di storie brevi sempre realizzate da Enna e Ziche.
Pseudofumetti: tra i fumetti che Paperinik sottopone a Trip per fornirgli ispirazione ci sono Calamaro Man, Palt Face e Uncinetto Verde.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – ONE SHOTS IN PUBBLICAZIONI ANTOLOGICHE (pag. 56)

LETTRE D’UNE ÉPOQUE ÉLOIGNÉE
(Francia 1994, in [a suivre], © Mattotti, fantascienza)
Lorenzo Mattotti

Nel futuro l’umanità potrà modificare a piacimento le percezioni dei propri sensi. Una viaggiatrice scrive una lettera al bisavolo fumettista su come è cambiato il mondo e su quali siano le differenze rispetto al “futuro” che si era immaginato lui.
Pseudofumetti: i fumetti letti dalla viaggiatrice sono compresi nel terzo volume delle opere complete di Lucio Mazzotti.

lunedì 19 gennaio 2015

Kobane calling



Colta al balzo la dritta di Chemako oggi ho preso l’ultimo Internazionale e mi sono divorato la storia di Zerocalcare. Sul suo blog lo aveva scritto per scherzo (credo) ma in effetti non ha confezionato un vero e proprio reportage. Per fortuna, ché il graphic journalism mi è indigesto.
In Kobane calling non mancano certo testimonianze dirette, informazioni di prima mano e considerazioni su quanto vissuto, ma per almeno un terzo è più che altro il racconto di come Zerocalcare si sia preparato al viaggio oltre alle sue consuete divagazioni intrise di paranoie. Il che va benissimo, visto che le scenette sulle conseguenze del couscous scambiato per riso e sulla dipendenza da chai fanno pisciare addosso dal ridere.
Forse c’è un eccesso di sentimentalismo, e la trovata del cuore era già stata usata qui, ma sicuramente vale l’acquisto; non solo come intrattenimento ma anche per avere un’infarinatura su quello che sta succedendo a Kobane.
Il caso vuole che questo numero di Internazionale ospiti anche una tavola di Joe Sacco, che solitamente trovo tremendo per quel discorso sul graphic journalism ma che qui è riuscito a fare delle considerazioni non banali e a porre sotto i riflettori degli aspetti poco conosciuti della vicenda di Charlie Hebdo. Quasi meglio lui di Zerocalcare, che però inevitabilmente vince 42 a 1.

sabato 17 gennaio 2015

Moon Knight 1: Dalla Morte



Divorato subito dopo averlo preso. Non un capolavoro ma senz’altro un fumetto piacevole (oddio... abbastanza piacevole), in definitiva esattamente quello che ci si aspetterebbe dalla lettura di una storia di Warren Ellis, di cui questo Moon Knight rappresenta un po’ una summa di stile e contenuti. Forse in maniera addirittura troppo rispondente alle aspettative, visto che per tutta la durata della lettura ho avuto una sensazione di déjà vu.
I singoli “casi” in cui è coinvolto Moon Knight (qui in una versione diversa da quella della bella miniserie di Bendis e Maleev, ma comunque rispettosa di quanto realizzato dagli altri due autori) mi hanno ricordato quelli di Fell, e ogni espediente narrativo o ricercatezza sperimentale non è esattamente inedito. La resa grafica della frammentazione del tempo nello scontro finale del primo episodio, per dire, viene da Terra Occulta, il crossover tra Planetary e Justice League.
Anche a livello di soggetti l’encefalogramma è rimasto piuttosto piatto, con spunti riciclati principalmente da Global Frequency e Planetary, anche se con un piacevole picco di originalità nel quarto episodio (ma l’ossessione per i funghi si era già vista in Supergod) e per forza di cose nel sesto che attinge a piene mani dal Marvel Universe, almeno per quanto pertiene alla storia del protagonista. Il tutto servito comunque con la classe e i dialoghi elegantemente cool di Ellis.
Peccato che il disegnatore Declan Shalvey, per quanto passabile, non sia affatto ai livelli dello sceneggiatore.
Decisamente buona e conveniente la confezione scelta dalla Panini, che per 12 euro offre un robustissimo cartonato e tutti e sei gli episodi originali stampati dignitosamente su bella carta patinata. Evidentemente il nome di Warren Ellis garantisce quel minimo garantito di vendite da permettere condizioni di vendita più vantaggiose per il lettore.

martedì 13 gennaio 2015

Terry Dykstra

Ne parlavo l'altra sera con un amico. Terry Dykstra è stato, tra quelli meno famosi, uno degli illustratori migliori della TSR. Non ha raggiunto le vette di popolarità di Easley o di Brom (anche perché non mi risulta abbia realizzato copertine a colori) ma ha fornito delle ottime prove ospitate anche su dei capisaldi dell'hobby dei giochi di ruolo come la Rules Cyclopedia e vari Player's Handbook.
Dotato di un tratto rigoroso e di una buona conoscenza dell'anatomia, sfoggiava anche un'inchiostrazione molto marcata e decisa, cosa che non gli ha impedito di dedicarsi a divagazioni umoristiche ma che forse ne limitò l'efficacia su volumi come il Complete Book of Elves e alcune avventure di Dragonlance, in cui il suo segno statuario e virile non si sposava alla perfezione con i delicati soggetti ritratti.
Come nel caso degli altri suoi colleghi dell'epoca se ne sono perse le tracce.

domenica 11 gennaio 2015

Ma quanto è bravo Luca Salvagno?



Tantissimo.
La scorsa settimana ho visto su Il Giornalino 1 (che sono riuscito a trovare nonostante un periodo di distribuzione singhiozzante) una breve ma bella biografia di Totò disegnata da lui, con uno stile curatissimo. Nonostante l’inevitabile supporto di immagini fotografiche, Salvagno è riuscito a rendere molto espressivi e personali i suoi disegni, tra cui figurano anche dei manifesti cinematografici scrupolosamente riprodotti. Anche i colori non sono male, e mi pare oltretutto che il computer non sia stato minimamente usato per stenderli. A mio avviso un lavoro da mettere sullo stesso piano dell’analoga biografia di Totò realizzata sempre per Il Giornalino da Gianni De Luca. Considerato però il curriculum di Salvagno, che dalle mie informazioni (forse inesatte) ha raccolto il testimone di Jacovitti su Coccobill, ho pensato si fosse trattato di un exploit estemporaneo, una prova d’autore fuori dai canoni consueti.

Oggi su Il Giornalino 2 ho trovato una nuova serie umoristica disegnata da lui, Mik & Max, in cui sfoggia uno stile umoristico totalmente differente sia da quello realistico (com’è ovvio) che da quello del maestro Jacovitti. Ma nemmeno qui si è trattenuto vista la profusione di dettagli e tratteggi.

Insomma, oltre ad essere un disegnatore capace, esteticamente molto valido (cosa purtroppo non scontata per molti altri professionisti), è pure un artista versatile. L’ideale per gli editori e per i lettori.

sabato 10 gennaio 2015

Historica 27 - Isabella: La Lupa di Francia



Secondo volume della collana Historica dedicato alle “Regine di Sangue” della Delcourt. Come nel caso del precedente Eleonora anche qui il progetto verte più sulla ricostruzione storica che sull’affabulazione narrativa, finendo per diventare più simile a un’opera divulgativa che di intrattenimento. Il che probabilmente è proprio quello che si sono prefissati gli autori, garantendo (immagino) il nome della protagonista un minimo garantito di venduto presso il pubblico francese, colto e nazionalista.
Isabella, figlia di Filippo IV di Francia e sposa di Edoardo II d’Inghilterra, non conduce una vita felice pur essendo regina. Usata dagli uomini come merce di scambio e pedina nei loro giochi di potere, vive oltretutto una desolante vita coniugale col marito che preferisce la compagnia maschile ma che ha bisogno di un grembo per assicurarsi una discendenza e quindi il mantenimento del potere. Assistiamo così alla scena più torbida, per quanto non esplicita, che probabilmente mai vedremo su Historica.
Fattasi scaltra e calcolatrice a sua volta, Isabella intraprenderà un meticoloso percorso di vendetta (in cui, ironicamente, tratterà il figlio Edoardo III come il burattino che fu lei) che i coniugi Gloris, sceneggiatori del volume, suggeriscono essere addirittura alla base della Guerra dei Cent’Anni!
Nonostante inizi col botto (il rogo di Jacques de Molay, nientemeno) Isabella come detto sopra si uniforma allo stile più espositivo che narrativo di certo fumetto storico, inanellando sequenze frammentarie legate da didascalie – per quel che vale, un tratto di modernità viene dato dai pensieri di Isabella riportati in didascalie gialle. Poco importa che a differenza di Eleonora questa breve saga si concluda nei due soli volumi qui raccolti, col risultato di dover coprire circa 15 anni di storia in un centinaio di pagine: il ritmo della narrazione non diventa per questo più frenetico o serrato. (per mia fortuna c’è l’introduzione di Sergio Brancato che, oltre a fare delle interessanti considerazioni storiografiche, mi ha permesso di raccapezzarmi tra i vari Edoardi e Filippi)
Va segnalato però come la sequenza dell’avvelenamento sia condotta in maniera egregia, così come anche il colpo di scena finale riesca a dare uno scossone alla storia prima della sua conclusione.
Ai disegni Jaime Calderón svolge un lavoro eccellente. Realistico, espressivo, maniacale nella rappresentazione di edifici, divise e animali, si pone forse (FORSE) addirittura un gradino sopra a Carlos Gomez. Di sicuro Calderón ha beneficiato di una colorazione, a opera di Johann Corgié, molto più valida e integrata con il suo stile di quanto sia successo a Gomez con Eleonora.
A completare la foliazione del volume finora più smilzo di Historica ci sono alcuni splendidi bozzetti a matita di Calderón.

domenica 4 gennaio 2015

La Guardia dei Topi: Autunno 1152



Presente la vignetta di Pazienza in cui ci sono due tizi al ristorante e uno fa all’altro: «Questa zuppa fa schifo!» «Ok, ti credo.» «No, fa proprio schifo: la devi assaggiare!» «Ho capito, fa schifo.» «No, guarda, la devi assaggiare, uno schifo così non l’ho mai provato.» «Ma cazzo, ti credo!» «No, tu assaggia!»?
Ecco, la stessa cosa mi è capitata con un mio amico che ha letto La Guardia dei Topi e disgustato («Chiunque può scrivere una roba del genere!») me ne ha imposto la lettura. Eccomi quindi a condividere le mie impressioni qui sul blog – dove, notoriamente, non si butta via niente!
Nell’universo creato da David Petersen i sorci vivono in varie comunità sparse per un vasto territorio e a causa delle loro dimensioni minuscole e della ferocia dei predatori hanno istituito una forza d’elite per controllare i perimetri del regno, scortare i topi mercanti e prestare soccorso agli altri consimili non addestrati all’uso delle armi. Questa forza d’elite è la Guardia a cui è intitolata la serie, di cui in questo volume (dal bizzarro formato quadrotto un po’ più grande) vengono presentati i tre rappresentanti Saxon, Kenzie e Rand.
L’assunto di base e anche la trama del ciclo qui raccolto (l’indagine sulla scomparsa di un mercante porta alla scoperta di un tentativo di colpo di stato) non sono banali, ma la vicenda è condotta in maniera molto lineare, con pochissimi colpi di scena e alcune soluzioni narrative forse un po’ improvvisate, vedi ad esempio la scena del combattimento forzato tra Kenzie e Rand a Rocciacorteccia per distrarre i passanti e permettere a Saxon di agire indisturbato. E purtroppo con una media di tre vignette per pagina (in alcune tavole ce ne sono anche sei, ma in altre addirittura una sola) il tempo di lettura è quello che è.
Graficamente Petersen mi ha lasciato perplesso. Sarà anche bravo a disegnare, ma credo che la sua bravura andrebbe verificata con opere in cui non si limita a ritrarre, per quanto meticolosamente, degli animali prendendo spunto da fotografie o ricorrendo al disegno dal vero. I tre protagonisti, per dire, sono poco o per nulla antropomorfizzati e il lettore deve stare attento al colore del pelo e dei mantelli, e/o alla foggia delle armi, per ricordarsi chi è chi. Inoltre, nonostante i tentativi che oggettivamente (onore al merito) sono stati fatti, l’espressività è praticamente inesistente. L’abuso del computer mi ha veramente lasciato di stucco: oltre a essere troppo invasivo per i miei gusti, è possibile che Petersen per rappresentare la pioggia abbia voluto consapevolmente ricorrere a quegli effettacci degni dell’Euracomix di Bruno Bianco?
Al termine della lettura de La Guardia dei Topi non ero inorridito ma nemmeno entusiasta. Niente di più di un ulteriore tassello nella mia cultura fumettistica, per cui sono ben contento di non aver speso i 18 (!) euro del prezzo di copertina.

venerdì 2 gennaio 2015

Cosmo Pocket 8 - Kor One [sic]: Sul Ring



Avevo preventivato di metterlo tra il Meglio del 2014, per poco non finiva nel Peggio. Oltretutto è stato il volume Cosmo che ho faticato di più a trovare, e quasi dieci giorni dopo la data di uscita ufficiale cioè il 22 dicembre. Per fortuna c’è l’edicola di Turriaco.
Kor-One ha per me un’aura mitica: figurava nientemeno che nei primi numeri in assoluto de L’Eternauta che lessi in vita mia. Credo fossero due numeri estivi, perché nel ricordo li acquistai insieme, forse nel 1990, come all’epoca si usava con le uscite estive doppie della Comic Art. L’aspetto nostalgico però non esaurisce affatto la carica di questo gioiellino. Francamente di quei numeri della gloriosa rivista io mi ricordo appunto solo Kor-One, e sicuramente oltre agli indigesti avanzi di All American Comics quelle pagine mitiche avranno ospitato mostri sacri come Hermann, Gimenez, Corben.
Nella pagina della posta un lettore si spinse a dire che Kor-One era il fumetto migliore che avesse mai letto in vita sua. È chiaro che ci sono state molte opere che hanno lasciato nella storia del fumetto una traccia più profonda e duratura, ma a suo tempo mi sentivo quasi di condividere quel giudizio.
Inoltre (ma qui la memoria mi fa difetto e potrei essermi costruito un finto ricordo con elementi reali ma associati arbitrariamente...) era scritto da quell’Ade Capone che aveva già fatto capolino come aspirante sceneggiatore nella pagina della posta di Lanciostory e/o Skorpio di fine anni ’70, il che me lo rendeva istintivamente simpatico.
Nonostante gli oltre vent’anni che separano la prima pubblicazione di Kor-One da questa nuova versione Cosmo, il lavoro di Capone e De Angelis non ha perso smalto.
Ambientata in Australia in un imprecisato ma non troppo lontano futuro, la vicenda ha per protagonisti due rottami, in senso più o meno letterale. Shinji Ajiro era impiegato in una ditta di elettronica ma la crisi e l’illusione di trovare l’oro in un appezzamento lo hanno portato alla disperazione e all’alcolismo. Per ottimizzare le sue magerrime entrate si procura da un aborigeno un androide di recupero che scoprirà essere nientemeno che il vecchio androide elettronico Kor-One, campione di kick boxing fintanto che la sua stella ha brillato prima di spegnersi davanti alla nuova generazione di bio-androidi dalle performance molto più efficienti. Non viene spiegato quali siano le differenze tra i due tipi di androidi (e d’altra parte sono intuibili dai nomi) e in generale Ade Capone fa un ottimo uso del technobabble, con una terminologia che risulta evocativa e credibile ancora oggi; poco cambierebbe se alcuni termini fossero stati aggiornati con la versione del 1996, si era comunque agli albori dell’era digitale.
Una volta scoperta la vera identità dell’androide vendutogli come “Trek” Shinji intravede una occasione di riscatto, che lo stesso Kor-One (dotato di una propria personalità) caldeggia appassionatamente: si rimetteranno in gioco e proveranno a vedere quanta strada riusciranno a fare come boxeur e manager/allenatore/programmatore. Il confronto con i nuovi bio-androidi sembra essere impietoso, eppure Kor-One miete successo dopo successo. Le cose sarebbero molto più facili se in qualche maniera la coppia riuscisse a rientrare in possesso della fight memory dell’androide, misteriosamente scomparsa.
La storia avrà un lieto fine ma la cinica spiegazione del perché Kor-One sia riuscito a farsi largo tra i suoi contendenti più moderni è un vero tocco di disincantata e sarcastica classe, oltre a riempire perfettamente quello che avrebbe quasi potuto essere un buco di sceneggiatura: se nel mondo delineato da Capone i bioandroidi sono programmaticamente più forti di quelli elettronici le vittorie troppo facili del protagonista sarebbero state irreali.
Insomma, io Kor-One l’ho apprezzato forse ancora di più oggi che non 24 (o quanti erano) anni fa. Fatti salvi gli elementi oggettivamente originali (l’ambientazione australiana è stata una grande trovata, e lo era ancora di più all’epoca della sua prima apparizione) Capone è riuscito a mescolare e ad amalgamare tra di loro degli ingredienti classici con grande maestria: i temi della frontiera, del riscatto, dell’amicizia...
Lo stesso assunto di base non è proprio inedito: in un vecchio libero di Balcarce e Zoppi c’erano appunto un allenatore e il suo robot pugile, ma chissà quanti altri romanzi e racconti di fantascienza avranno delle basi simile. Il punto è che Capone ha trovato la perfetta alchimia per unire in maniera perfettamente equilibrata tutte le varie suggestioni che lo hanno ispirato e inserirle in un contesto favolistico ma tutto sommato credibile. Non manca il sense of wonder per la tecnologia ma, per dire, ci sono anche dei riferimenti alla spiritualità aborigena.
Ai disegni un (immagino) giovane Roberto De Angelis realizza una prova strepitosa, in cui mi è parso di assistere anche a una certa evoluzione: forse la seconda metà della storia, dal tratto più regolare e meno modulato, ha segnato il suo passaggio al pennarello.
Oltre al prologo realizzato da Alessio Fortunato questa edizione della Cosmo presenta un’appendice con varie pin up di disegnatori oggi famosi che, pur se già all’epoca bravi, fanno quasi tenerezza nel ravvisarvi le imprecisioni e le insicurezze degli esordi, oltre a far sentire tutti gli anni passati dalla loro prima pubblicazione, quando la Image dettava stili e modi di disegnare.

E fin qua il Meglio. Passando al Peggio...

L’edizione della Cosmo, pur dignitosa per la fascia di mercato in cui si inserisce, secondo me non rende giustizia a Kor-One. Mi è sembrato di cogliere una certa faciloneria nell’allestimento dell’albetto sin dal titolo scelto: in copertina la serie è stata ribattezzata Kor One senza trattino nonostante nel fumetto sia sempre indicato col nome originale e nonostante lo stesso Capone usi la grafia corretta anche nell’introduzione. Una bazzecola, per l’amor del cielo, ma inserendola nel complesso del volume mi è sembrata la classica ciliegina sulla torta. Mi è sembrato ad esempio che qualche punto di sospensione in origine fosse una virgola, con conseguente minore comprensibilità di alcuni passaggi. Si sarà perso qualcosa nel passaggio dal vecchio lettering manuale a quello digitale, ma questo (anche questo) mi spinge a chiedermi perché non utilizzare il vecchio lettering delle edizioni precedenti, che così sui due piedi non ho presente ma che comunque tanto male non sarà stato.
Anche la copertina mi ha lasciato perplesso. Non che l’elaborazione di De Angelis e Fortunato non sia esteticamente valida, però l’ho trovata molto poco spettacolare (mentre il fumetto avrebbe meritato i fuochi d’artificio: una cover densa e importante come il suo contenuto) e anche poco in tema col fumetto, che si basa fortemente sul bianco e nero e sui contrasti. Qui invece c’è un pugile scarlatto fuori fuoco che potrebbe essere chiunque.
Il limite più grosso secondo me sono però le stesse caratteristiche cartotecniche. Il formato 16x21 mortifica molto il lavoro minuzioso di De Angelis, che avrebbe meritato delle dimensioni maggiori per poter godere appieno dei suoi dettagliatissimi pubblici e anche per andare a caccia delle varie citazioni sparse per le tavole. A dirla tutta, anche la qualità della carta (magari solo della mia copia) non mi sembra la migliore: molto più valida quella impiegata per La Notte del Presepe vivente, che però in effetti costa il doppio.
In definitiva, questo Kor One targato Cosmo è consigliatissimo, ma confido di poter leggerne un giorno una edizione deluxe.