domenica 31 dicembre 2023

Il Meglio e il Peggio del 2023


Meglio

1

Mattéo Sesto Periodo. Doveva essere un capolavoro e lo è.

2

Torpedo 1972: Un Uomo chiamato Mammola. Abulí e Fernandez al top.

3

Torpedo 1972: Fa male, lo so!. Abulí e Risso al top.

4

E alla fine muoiono. Non è propriamente un fumetto ma un saggio a fumetti, però è molto divertente e documentatissimo.

5

100 Anni con Jacovitti. Un saggio sotto forma di avvincente romanzo, con un sacco di inediti e rarità (almeno per me)

6

49 Storie Brevi. Un piacevole tuffo nel passato.

7

I Grandi Maestri Special 48: New York Blues e altre storie. Meritoria ristampa di alcune opere minori ma comunque eccellenti di Trillo, Saccomanno e Altuna. Alcune lette talmente tanto tempo fa che mi sono sembrate nuove – probabilmente qualcuna non l’avevo proprio mai letta. Stampa accettabile (cosa per nulla scontata) e formato che non mortifica troppo le tavole, soprattutto le ultime pensate con un’altra gabbia in mente.

Peggio

1

Not Simple. Una telenovela disegnata ai livelli di Scozzari e Panebarco. Peccato perché l’incipit e l’idea dell'amico scrittore non erano male.

2

Rise of the Dungeon Master. Un po’ deludente.

3

I Grandi Maestri della Historieta 5: New York Anno Zero. Assurdo pubblicarlo senza gli splendidi colori che fece Zanotto, e oltretutto la stampa lascia a desiderare.

Meglio o Peggio?

1

Nick Carter Story. L’edizione è curata ma l’allestimento lo è di meno. La passione e lo scrupolo sono evidenti dagli approfondimenti, dal recupero di varie chicche, dal ricorso alle tavole originali come base per la stampa, però il risultato non è all’altezza di tante attenzioni.

2

Il bestiario del crepuscolo. Questo volume mi ha fatto venire qualche dubbio che mi ha lasciato spiazzato, tanto che non sono nemmeno riuscito a cavarne una recensione. Daria Schmitt è brava, o meglio abbastanza brava, ma vedere quelle tavole in cui ha cercato di scimmiottare un po’ le incisioni mi ha portato inevitabilmente alla memoria i lavori di Andreas e il paragone è ingrato. Lui poi mica usava il computer per le sequenze a colori.

BUON 2024!

martedì 26 dicembre 2023

Le lune di Giulio Grablovitz

Ah, gli insondabili misteri della distribuzione! Finito di stampare a novembre 2022, questo volumetto (che mi si informa in fumetteria avevo ordinato dall’Anteprima di febbraio) mi è arrivato solo pochi giorni fa.

Le lune del titolo sono l’artificio metanarrativo usato da Giuseppe Palumbo, autore anche della sceneggiatura, per scandire i momenti più importanti della vita del protagonista, che pur essendo triestino e autodidatta divenne un’autorità nel campo della sismologia. Un altro elemento che offre la possibilità di uscire da un freddo schematismo enunciativo è la personificazione della luna, che ogni tanto interviene direttamente per guidare Grablovitz nelle sue intuizioni.

Questi espedienti non servono però a rendere più narrativo quello che risulta inevitabilmente un elenco delle principali scoperte e degli eventi salienti della vita del protagonista, che inventò il sismografo, fu nominato direttore dell’osservatorio di Ischia, conobbe alcune personalità fondamentali della sua epoca (visse tra 1846 e 1928), scoprì l’esistenza delle tre diverse tipologie di onde sismiche (e dovette lottare contro Richard Dixon Oldham per farsi riconoscere la paternità della scoperta) ma fu anche un donnaiolo e giocatore d’azzardo – quest’ultimo dettaglio viene solo accennato mentre l’episodio della carcerazione per adulterio viene messa in scena. D’altro canto nello spazio delle 42 pagine che occupa il fumetto non era possibile fare altrimenti, anche per il numero limitato di vignette per tavola e basandosi il fumetto sugli appunti autografi dello stesso Grablovitz.

Il soggetto è stato elaborato da Graziano Ferrari che cura anche la ricca appendice (con un interessante intervento dello stesso Palumbo), Gianfranco Giardina collabora ai disegni con uno stile perfettamente inserito nel solco di quello del Maestro. C’è molto computer, ma funzionale al lavoro: la resa delle vecchie fotografie dei palazzi è suggestiva, il rendering di edifici, scrivanie, ecc. è rigoroso senza risultare freddo o artefatto e il fatto che certi elementi come i calamai di uno scrittoio o i fregi ai lati di un portone siano copiaincollati non disturba (anzi non si nota nemmeno e forse neppure lo sono).

Pur non essendo un lavoro mainstream di Giuseppe Palumbo non è nemmeno una delle sue prove più autoriali o sperimentali e secondo me sarebbe stata bene, mutatis mutandis, nella meritoria collana Comics&Science.

domenica 24 dicembre 2023

X-Cellent volume 2: Unsocial Media


A conclusione dello scorso ciclo, Zeitgeist è tornato in vita e ha rubato un libro di incantesimi al Dottor Strange. Il suo piano si svela in questo volume: vuole diventare una divinità e per farlo compie azioni spettacolari che gli valgono badilate di follower sui social media. X-Statix risponde cavalcando a sua volta la strada della spettacolarizzazione, tra finti amorazzi tra i suoi componenti e la morte simulata di uno dei loro. Zeitgeist risponde impossessandosi di un marchingegno dall’aspetto alquanto demodé che gli dà accesso a tutte le comunicazioni: così può ricattare X-Statix scoprendo gli scheletri nell’armadio del gruppo.

L’intento di Peter Milligan è quello di stigmatizzare la società dell’immagine e le derive woke, magari tirando qualche stoccatina alle convenzioni dei fumetti (vedi l’uso delle didascalie). Ma oltre al fatto che questi suoi bersagli li aveva già colpiti meglio altrove, Unsocial Media manca di mordente, forse perché dichiaratamente non si prende troppo sul serio o forse perché ci sono troppi personaggi in campo (le pagine a fumetti sono solo 100) e inevitabilmente le potenzialità di alcuni non vengono sviluppate. E così tra spunti interessanti subito abortiti e un’interpretazione dei poteri in campo che si piega alle necessità della trama (da quando Zeitgeist può ipnotizzare la gente?) ci vuole un deus ex machina (anzi ex mortis) per arrivare al finale, comunque affrettato. Non che si tratti di un brutto fumetto, soprattutto se paragonato a quello che esce adesso, ma si legge e si dimentica in fretta.

Validi come al solito i disegni di Mike Allred opportunamente colorati dalla moglie Laura.

venerdì 22 dicembre 2023

I racconti del terrore di Gogol

Il catalogo a fumetti di Nicola Pesce Editore non si limita alle ristampe dei Maestri italiani ma presenta anche qualche inedito interessante. Non lo scopro oggi, certo.

Come da titolo, questo volume raccoglie tre adattamenti da Nikolaj Vasil’evič Gogol’; il termine «terrore» va inteso in senso molto lato, a farla da padrone è un grottesco che può suscitare un po’ di inquietudine, ma stemperata dal filtro della satira sociale che viene invocata in quarta di copertina e nell’appendice.

Ne Il Naso un funzionario si sveglia senza naso: cercandolo imbarazzatissimo in giro per la città scoprirà che il suo organo olfattivo ha delle mire da arrampicatore sociale.

Ne Il Ritratto è di scena un dipinto maledetto che dona denaro, successo e fortuna ma anche la rovina.

Ne Il Vij tre giovani sperduti mendicano un riparo da una vecchiaccia: a seguito di questo incontro quello dei tre che è seminarista-filosofo vivrà un’avventura sovrannaturale. Qui in effetti il terrore c’è, perché inevitabilmente la rappresentazione grafica mostra quello che nel testo scritto può essere solo descritto.

Le riduzioni sono un buon esempio di come dovrebbe essere adattato a fumetti un testo letterario: niente didascalie ridondanti ma una narrazione affidata al comparto grafico (anche i cambi di scena vengono introdotti dai panorami o dagli edifici rappresentativi di una località), talvolta con sequenze mute e altri virtuosismi. Confesso però che non conosco i testi di partenza e non so quanto siano fedeli queste versioni.

Lo stile di disegno potrebbe inizialmente ricordare quello di Sergio Toppi per la libertà nell’organizzazione della tavola, la sontuosità monumentale di alcuni soggetti e la generosità nel tratteggio, che in questo caso alterna il sottile pennino al corposo pennello. Nei fatti, però, ha una sua netta personalità ed è giocato molto sapientemente anche sul completamente amodale (soprattutto ne Il Naso, dove i profili privati di quell’elemento ne fanno risaltare ancora di più l’assenza). Gli effetti digitali, o che tali mi sono sembrati, non stonano con l’insieme ma sono anzi ben integrati col resto – vedi la texture puntinata di alcuni abiti. Non è dato sapere chi dei due autori si sia occupato della parte grafica: anche nelle gerenze viene indicata come opera congiunta di Luca Franceschini e Francesco De Benedittis. Forse hanno effettivamente realizzato insieme sia i testi che i disegni: nelle poche “firme” (in realtà sigle) che affiorano nelle pagine campeggia una B, ma il resto mi è incomprensibile. Il solo Franceschini ha invece curato un apparato critico in appendice in cui spiega e commenta genesi e significato dei tre racconti di Gogol.

Sicuramente un volume meritevole, che potrebbe però essere penalizzato dall’impostazione adottata per la copertina (realizzata da Nino Cammarata) in cui i pochi elementi disegnati si notano appena, messi in secondo piano dai caratteri cubitali del titolo.

mercoledì 20 dicembre 2023

Torpedo 1972: Un Uomo chiamato Mammola

Torpedo viene coinvolto da un tizio chiamato Mammola (Capullo in originale) in un colpo facile facile: si tratta di rapinare quattro riccastri che giocano a poker, avvicinabili grazie a Mona, la ragazza di Mammola che ha concupito uno dei vegliardi. Niente sangue, niente morti, niente nomi… ma le cose non vanno come previsto (pare che Mona, forse innocentemente, abbia remato contro) e quello che doveva essere un lavoretto tranquillo e fruttuoso si trasforma in una carneficina contrappuntata da battute taglienti e situazioni grottesche.

La violenza tocca il parossismo e le due coppie di soci adesso rivali (sempre a causa della ragazza), Torpedo e Rascal da una parte contro Mammola e il suo socio Talpa dall’altra, finiscono per concludere i loro battibecchi armati in una chiesa. Tra dialoghi esilaranti e sequenze cattivissime e sopra le righe, mi pare che questo nuovo volume del Torpedo “moderno” sia addirittura migliore del precedente, che già era molto buono.

Ai disegni Leandro Fernández, che non è parente di Lito, riprende sia la lezione di Risso che quella di Jordi Bernet. È un’affermazione azzardata, lo so, ma secondo me ha dato una prova addirittura migliore di quelle di Risso, avendo le sue tavole molto più corpo e più dettagli. I colori smorti di Héctor Marper sembrerebbero remargli un po’ contro, ma su carta patinata avrebbero fatto tutto un altro effetto.

Come di consueto, il volume è integrato da un’introduzione (stavolta a firma Antoni Guiral) e da un’appendice di 10 pagine si schizzi, studi e riproduzioni rimpicciolite di tavole in bianco e nero. Non sono convinto che siano tanto irrinunciabili da far pagare il volume una ventina di euro, tanto più che il formato non è nemmeno molto grande. Ma questo è quello che propone il mercato, prendere o lasciare.

martedì 19 dicembre 2023

Un'Avventura di Blake e Mortimer a New York: L'Arte della Guerra

Come talvolta accade, a prepararsi al peggio (e i segnali c’erano tutti) si finisce meno delusi del previsto. Anche se non ci troviamo di certo di fronte a un capolavoro.

Blake e Mortimer prendono parte alla conferenza di pace indetta dall’ONU in un anno non specificato; da alcuni dettagli mi par di capire che potrebbe essere il 1953. Durante la loro permanenza nella Grande Mela avviene però un curioso episodio: un frenastenico ha sfregiato una stele egizia del Metropolitan Museum, cercando di incidervi quello che sembra essere un messaggio indirizzato proprio alla coppia. Rasato della barba, l’esagitato si rivela essere (ma guarda un po’!) nientemeno che Olrik, affetto dall’ennesimo controllo mentale con conseguente amnesia della sua vita. I due protagonisti cercano di vederci chiaro, tanto più che la loro vecchia conoscenza scappa dal manicomio in cui era stato internato, ma ci si mettono di mezzo anche un colonnello russo e un magnate stile Howard Hughes sparito dalla scena dopo che un suo prototipo di aereo invisibile ai radar si è rivelato un disastro.

L’Arte della Guerra è una discreta storia spionistica che richiede una grande sospensione dell’incredulità per accettare il machiavellico piano del cattivo di turno (indovinate chi è…), puntellata però di rare battute che ne rendono piacevole la lettura. Ma dalle dichiarazioni tracotanti di Floc’h risulta difficile attribuire i meriti della scrittura visto che il disegnatore ha rimaneggiato la sceneggiatura originale. Le proverbiali didascalie della serie, per dire, sono quasi del tutto assenti.

La parte più debole di questo volume fuori collana è quella grafica. Floc’h infatti ha lavorato su una struttura che prevede poche vignette per tavola, con frequenti primi piani (e poi sono i francesi a prendere per il culo i fumetti Bonelli chiamandoli «talking heads»). La sua inchiostrazione è grassa e pesante, non so se preferirla al cachettico tratto che aveva ne L’Appuntamento a Sevenoaks visto che l’espressività dei personaggi è compromessa o congelata in maniera bizzarra, vedi l’agente O’Rourke che sembra sempre sorridere come uno scemo – e non è il solo. I dettagli sono poi del tutto assenti e i campi lunghi e le panoramiche non presentano nessun particolare da cogliere o almeno da apprezzare; anzi, le chiome degli alberi e alcuni mezzi sembrano proprio disegnati svogliatamente. Persino il Baldazzini più schematico è più espressivo e dinamico (e sicuramente più elegante) di Floc’h. Sicuramente certe immagini (quelle in cui Floc’h non sfoggia anatomie strambe o strani tagli degli abiti) farebbero un figurone su un poster, sull’etichetta di una bottiglia, sulla pagina pubblicitaria di un giornale o in una galleria di Pop Art, ma non in un fumetto. Con buona pace di quelle anime candide che pensano che sia la quantità di tratteggi (di un Toppi, un Eleuteri Serpieri, un Sicomoro…) a essere l’ago della bilancia per decretare se un fumetto tenda o meno all’illustrazione. Oltretutto non capisco perché optare per un volume dalla foliazione doppia rispetto al solito se poi lo si è riempito di pagine con poche vignettone dal tratto pesantemente marcato. Rimpicciolite e montate diversamente si sarebbero benissimo toccate le canoniche 62 pagine. Che però non avrebbero giustificato l’esborso di una trentina di euro…

In definitiva, non certo una porcheria, ma si sente un po’ l’odore dell’occasione mancata. Certe sequenze si sarebbero prestate a uno spettacolare dinamismo che qui è del tutto assente. Il finale è simpatico (anche questo, da attribuirsi a Bocquet e Fromental o a Floc’h?) ma trattandosi di un’opera fuori collana si sarebbe potuto osare di più come fece Schuiten e magari sorprendere i lettori con la morte dei loro beniamini! Non dico che ci speravo ma sarebbe stato un bel colpo di scena.

domenica 17 dicembre 2023

Nerd in Action

Forse sarebbe potuto tornarmi utile per i Fumettisti d’invenzione. Sbagliato.

Probabilmente avrebbe contenuto un sacco di scenette esilaranti di “vita vissuta” di fumetteria come quelle in appendice a Volt. Sbagliato.

Nerd in Action è in sostanza un depliant pubblicitario (ma venduto a 12 euro) dei due Star Shop di Roma. Vengono quindi fumettate le personalità e le idiosincrasie degli otto protagonisti, o almeno di alcuni di loro visto che le pagine sono in totale 48 e nemmeno tutte a fumetti. C’è il commesso vittima di una bambina terribile che rompe le action figure, l’impiegata con il complesso della primadonna, il boss un po’ esaurito. E viene mostrata anche l’altra metà del cielo, o meglio del bancone: c’è il cliente ossessionato dalle condizioni dei fumetti, il conversatore sfibrante, quello innamorato perdutamente della commessa e soprattutto il ragazzino straniero, che a quanto pare è la peggiore piaga delle fumetterie romane.

Il risultato ricorda un cartellone di laurea: esilarante per chi conosce le persone coinvolte, incomprensibile per chiunque altro. Ma i protagonisti sono anche star del social network (o così viene fatto intendere) quindi sono io a non essere aggiornato. Per me le parti migliori sono state quelle poche vignette in cui, appunto come in Volt, vengono passate in rassegna alcune delle situazioni e delle richieste assurde dei clienti.

Ogni tanto un mezzo sorriso ci scappa, ma è deprimente l’immagine che viene data del settore, con manga, supereroi, carte di Magic ed action figure come unica merce venduta nelle fumetterie. E penso che si tratti di una testimonianza attendibile e non di una concessione al gruppo editoriale e distributivo alle spalle dei negozi: la Star Comics (ammesso che sia direttamente coinvolta con gli Shop) manco pubblica più supereroi, giusto?

Martina Masaya, che firma sia testi che disegni (i primi col contributo di «Animanga S. r. l.»), utilizza uno stile caricaturale un po’ stilizzato che mi è sembrato più interessante e personale che il facile ricorso alle derive “euromanga”. Per il tipo di fumetto che illustra va benissimo.

La confezione è decisamente buona (un 17x24 a colori in carta patinata, e 48 pagine non sono poi così poche) e non ho trovato un refuso che fosse uno, cosa ormai rara anche nel caso di case editrici ben più grandi di Tora Edizioni.

venerdì 15 dicembre 2023

The Ambassadors 1

Dopo alcuni tentativi andati storti e tanta propaganda, gli Stati Uniti hanno perso la corsa al supereroe. A vincerla è la Corea del Sud: Choon-He si è creata un corpo sintetico potentissimo per vendicarsi dell’ex-marito Jin-Sung che l’ha denunciata e fatta finire in prigione a causa della visione differente che avevano dei superpoteri: lui voleva venderli al miglior offerente, lei in una conferenza mondiale dichiara che li darà ai rappresentanti più degni e altruisti del proprio Stato d’appartenenza. Basta mandare la propria nomination e se si è ritenuti meritevoli si entra in questo team di pronto intervento e si viene forniti di un bracciale che permette di connettersi al database dei superpoteri per sceglierne un massimo di tre per volta.

Gli Ambassadors si occupano di problemi di poco conto come di calamità naturali, ma alla fine dovranno vedersela anche con l’elite di spietati miliardari capitanati da Jin-Sung, che a loro volta hanno i superpoteri. Occasionalmente fa capolino una figura misteriosa che giustifica almeno un po’ il prologo eccessivamente lungo e sarà fondamentale nel massacro finale con cui (sempre di supereroi si tratta) si conclude il volume. Piccola nota di merito per Millar: il traditore tra le file dei “buoni” è una figura insospettabile ma molto logica.

Come spesso avviene nei fumetti di Millar, più che una storia di supereroi è una satira. E come altrettanto spesso avviene, l’umorismo nerissimo di Millar sfiora il grossolano e sfocia nello splatter  senza che ce ne sia alcun motivo, solo per il gusto di épater la bourgeoisie abituata ai più blandi fumetti DC e Marvel.

Purtroppo la carrellata di disegnatori diversi è straniante. Dopo Frank Quitely c’è l’eccessivamente schematico Karl Kerschl (i colori di Michele Assarasakorn assecondano il suo rachitismo), poi il freddo e dettagliatissimo realismo di Travis Charest, un efficace Olivier Coipel sospeso tra espressività e naturalismo, il più canonico ma anch’egli espressivo Matteo Buffagni e per finire lo stilizzato ma elegante Matteo Scalera.

Ognuno è quantomeno passabile in sé, con molte punte di eccellenza, ma vedere tutti questi stili diversi in un’unica soluzione è stordente, né c’è stata una supervisione attenta a mantenere la coerenza grafica dei protagonisti: al di là di Scalera che non si è ricordato del piercing al naso dell’Ambassador brasiliana, soprattutto Jin-Sung è butterato, grasso e occhialuto o qualsiasi combinazione di queste caratteristiche a seconda dell’estro del singolo disegnatore.

Completano il novero dei coloristi Dave Stewart, Giovanna Niro e Lee Loughridge (e poi ci sarebbe Vincent MG Deighan che ha aiutato Quitely).

A differenza di altre raccolte in volume di fumetti più o meno seriali, questo primo volume ha il pregio di essere perfettamente concluso – e si chiude con una bella battuta urticante.

mercoledì 13 dicembre 2023

Britannia: Tra Nebbie, Spettri e Incanti

Tomo mastodontico di 250 pagine. Ce n’è di roba da raccontare su questa Provincia, e Francesca Garello sembra essere la persona più indicata per farlo, visto che padroneggia molto bene l’argomento – oppure si è documentata approfonditamente in merito.

La prima parte (poco più della metà) si concentra sul materiale d’ambientazione: quindi la storia, la geografia, la politica e la ricchissima e variegata etnografia del posto. Scopro grazie a questo libro che la mitica Hibernia sarebbe l’Irlanda. Gli argomenti (tra cui persino l’architettura rurale) vengono sviscerati in dettaglio e lo stile di scrittura è molto piacevole, ma al di là di questo i primi tre capitoli presentano parecchi spunti per avventure e non solo le proverbiali tabelle di Lex Arcana con cui determinare eventi casuali a seconda del luogo in cui si trovano i personaggi.

La ritualità druidica (da ricordare che in Lex Arcana i druidi figurerebbero tra i “cattivi” dell’ambientazione) viene sviscerata in profondità, insieme alla cultura e alle tradizioni celtiche e non solo: oltre alla misteriosa e poco esplorata Hibernia esiste anche una realtà ancora più antica a settentrione.

Seguono poi le parti regolistiche. Curioso che le regole per azioni abbastanza comuni come imparare una lingua, stordire o disarmare un avversario siano state demandate a un manuale geografico e non a quello di base. Dalla lettura degli effetti della Commixtio Belluina capisco che devo ripassarmi le differenze tra animali mostruosi e creature magiche in Lex Arcana.

Le varie creature (e anche le popolazioni) non corrispondono necessariamente all’idea stereotipata che uno può essersene fatta a seguito della loro canonizzazione da parte di certa letteratura o di altri giochi di ruolo: segno che Britannia è frutto di una scrupolosa documentazione e non si basa sulla rimasticatura di luoghi comuni.

Le avventure occupano una sessantina di pagine in fondo al volume. La prima, Gli Smeraldi di Morrigan, mi ha un po’ deluso: con tutte le mirabilie che si potevano introdurre in Hibernia Marzio Morganti si è limitato a una vicenda di successione dinastica piuttosto semplice con pochi elementi fantastici (in realtà ce ne sono e anche importanti, ma meno incisivi rispetto a quello che l’ambientazione può offrire). La prosa prolissa di Morganti e il suo lessico strampalato non agevolano la lettura. Come introduzione alla Britannia può starci, peccato però “bruciarsi” così l’Hibernia.

Da un cielo oscuro e lontano (di Francesca Garello e Andrea Garello) è in sostanza la reinterpretazione di un celebre film: basti dire che i Custodes devono vedersela con uno Xenomonstrum… Vabbè, non è che la trama sia seguita pedissequamente e alla base c’è un’indagine su dei minatori corrotti, ma il nucleo centrale è quello – forse si saranno ispirati a qualche seguito del primo film che non ricordo. Al di là della trovata che ad alcuni potrà sembrare pacchiana (ma ricordiamoci che l’avventura distribuita gratuitamente L’Isola delle Sabbie Morte aveva lo stesso soggetto, e infatti ne viene anche riciclata l’illustrazione), non capisco perché non sfruttare ed approfondire gli spunti che sono stati introdotti nelle altri parti di questo volume invece di cercare ispirazione altrove.

Rassegnato a considerare le avventure la parte più debole di Britannia, sono stato piacevolmente smentito da Il Regno che è stato, il Regno che sarà di Morganti. In questa avventura è di scena nientemeno che il mito arturiano (più britannico di così…), la trama è molto ricca e articolata, la missione è qualcosa di epico e vengono usati molti degli spunti e delle novità introdotti nei capitoli precedenti. L’avventura è blandamente legata a un’altra contenuta nella raccolta I Misteri dell’Impero II che non ho ancora comprato, ma da quello che ho capito le affinità si limitano all’ambientazione e a poco altro (come alcuni png). Forse a causa della necessità di compattare molto materiale in un numero generoso ma limitato di pagine, lo stile di Morganti è molto più asciutto e gradevole.

A Lucca le copie venivano vendute già dedicate

A voler proprio trovare un difetto in questo volumone, forse la serietà e lo scrupolo della trattazione vengono un po’ sviliti dalle citazioni più o meno ridanciane e dalle strizzatine d’occhio: i riferimenti al Mostro di Loch Ness, ad Asterix e Obelix, al Mastino dei Baskerville e ai corvi della Torre di Londra/Londinium potrebbero sembrare un po’ fuori luogo – e ci sono anche rimandi ad Alice nel Paese delle Meraviglie e al Dottor Jekyll e Mister Hyde, e chissà quanti altri mi sono perso. Non che la cosa costituisca un grosso problema (per fortuna nella traduzione latina non si è giocato sul doppio senso della parola inglese “dick” del nome della balena bianca di Melville), però ricordo che anche Mauro Longo indulge in queste citazioni ma secondo me le gestisce in maniera più elegante.

Nonostante la mole del volume i refusi sono pressoché inesistenti, tanto che a pagina 173 i “Capi” Elisi giungono inaspettatamente come un calcio nelle palle.

Le illustrazioni sono concentrate principalmente nella seconda parte del volume e sono opera di Angelica Donarini, Giorgio Donato, Alessandro Manzella, Moreno Paissan, Fabio Porfidia, Elena Conte e Louis Laurent – la copertina è di Antonio De Luca e viene riproposta parecchie volte all’interno del volume. Spesso c’è tanto, troppo computer nel comparto grafico: a volte il tentativo di riprodurre digitalmente gli effetti delle tempere porta a risultati artificiosi, altre volte certi azzardi artsy rendono poco comprensibili i soggetti e le scene raffigurati. Ben vengano quindi i disegni a matita (di un artista che non ho identificato dalla firma) che danno un tocco più verace ed espressivo alle pagine.

Le mappe sono come di consueto curate da Francesco Mattioli: buone se non ottime, confesso che ho dovuto farci un po’ l’occhio alla Gran Bretagna ruotata di 90° per esigenze di impaginazione e chiarezza – fosse stata riprodotta in verticale su un’unica pagina, le scritte sarebbero risultate illeggibili.

Per quel che può valere il mio giudizio e limitatamente ai manuali di Lex Arcana che ho letto (mi mancano la seconda raccolta di avventure e l’atlante sull’Italia, che ho già nell’edizione originale) trovo che Britannia sia il migliore uscito finora.

lunedì 11 dicembre 2023

Non tutto il male viene per nuocere

Forse. Le avvisaglie le avevo già colte, la pagina della posta dell’ultimo CaseMate confermerebbe i miei sospetti. Quindi se il Blake e Mortimer di Floc’h che sto aspettando da un po’ dovesse perdersi nei meandri della distribuzione potrebbe non essere questo dramma, anzi.

venerdì 8 dicembre 2023

L'Ultimo Volo della Farfalla

Carissimo, ti mando questa maldestra recensione dell'unico manga da me letto. Dopo averlo letto capisco meglio alcune cose dette dall'autrice.

L'ho scritta mentre ero privo del collegamento a internet, ora c'è, ma va  e viene... e io pago...

Se vuoi usala pure quando non sai cosa scrivere sul blog, se no leggila e basta, e una lettura interessante (ovvio, l'ho scritta io).

RECENSIONE: L’ULTIMO VOLO DELLA FARFALLA.

“Cho-no-Michiyuki”, di Kan Takahama, Dynit Manga, 2018

E’ una graphic novel di 158 pagine, suddivisa in 8 capitoli, bianco e nero con tonalità di grigio.

Si legge da destra verso sinistra, leggere è la sola occasione in cui un giapponese si butta a sinistra!

Non essendo assolutamente un esperto di manga (che, di base, mi fanno abbastanza schifo) tralascerò ogni osservazione sullo stile del disegno e limiterò il mio esame alla scrittura, cioè alla narrazione elaborata da Takahama-San.

La storia è ambientata nella Nagasaki di fine 800, a Maruyama, quartiere “a luci rosse” sede del rinomato bordello Chikugoya (in realtà Kagetsu).

Vi si narra la vicenda di Konoha, più conosciuta come Kicho, una richiestissima “Tayu” (a quanto capisco, un tipo di Geisha particolarmente versata nel procurare piacere agli uomini … una prostituta di altissimo livello, via), venduta giovanissima ai tenutari del bordello.

Questa ragazza era stata poi riscattata, a costo di grandi debiti, da Gen, un medico di osservanza cinese che la conosceva e l’amava fin da bambina e che, rimasto vedovo, l’aveva sposata anche per dare una nuova madre a suo figlio Kenzo.

Successivamente, Gen si ammala di “ascesso cerebrale” (probabilmente un tumore al cervello) e Kicho non ha altra scelta che tornare spontaneamente a lavorare al Chikugoya, destinando tutti i proventi della sua attività, e tutto quel che di extra può ricavare, a lui e a Kenzo, che però ignora i retroscena, e pensa che Kicho abbia abbandonato lui e suo padre per egoismo.

Kicho, essendo una donna intelligente e di mentalità aperta, non disdegna di frequentare anche gli stranieri olandesi, che hanno una colonia commerciale a Nagasaki, ed è così che conosce il dottor Thon, un medico di osservanza occidentale con cui allaccia un rapporto molto dolce e confidenziale. Sarà proprio Thon a procurare medicine e cibi nutrienti al “fratello malato” di Kicho (in realtà Gen), e avrà modo di conoscere e aiutare anche Kenzo, interessato a imparare la medicina occidentale.

Solo con il precipitare degli eventi (l’aggravarsi di Gen, e la sua morte) Thon e Kenzo capiranno quale sia stato il vero ruolo di Kicho ed il suo sacrificio, e mentre per Thon, innamorato della geisha, sarà inevitabile la delusione (suo fratello Bart gli dice: “Ti sei svegliato da un sogno… è giusto che sia così”), per Kenzo vi sarà un cambio di prospettiva tale da voler riscattare a sua volta Kicho qualche anno dopo, nel 1870, quando è ormai avviato a una brillante carriera di medico (e si veste all’occidentale), mentre lei è già “sul viale del tramonto” come Tayu. Ma Kicho rifiuta: “Gen ormai non c’è più, e non voglio ingannare me stessa, con un altro sogno”.

La storia si chiude con Kicho che rivolge al suo Gen un saluto, “Mi sa che presto arriverò anch’io”, che sembra alludere a una sua prossima fine (sulle sue braccia appaiono delle pustole, forse conseguenza della sifilide).

Pur essendo ambientata in un lupanare (Casa di tolleranza? Bordellone extra-lusso?… temo che tutti questi termini non rendano l’equivalente giapponese), questa storia non presenta MAI scene di sesso, al massimo dei nudi, molto castigati.

E’ in effetti una storia molto poco erotica, e molto sentimentale, diciamo, nel senso migliore del termine.

Ciò che interessa a Takahama-San, evidentemente, è illustrare un certo tipo di ambientazione storica, e ancor più descrivere la vita e la mentalità di queste donne imprigionate (ma allo stesso tempo protette) nel loro ruolo di Tayu.

Dice la vecchia O-Taki: “Da giovani, diciamo sempre che il bordello è un mare di dolore. Io non sono d’accordo. Se ti ci immergi una volta, capisci che il vero dolore è fuori. Una volta uscite da qui, noi non sopravviviamo”. Questo, chiaramente, può essere egualmente inteso come una sconfitta da parte di queste donne, o piuttosto come una comprensione e accettazione di quella realtà crudele che è la vita. Sfruttate insomma, ma in qualche strano modo, al tempo stesso salvaguardate, però costrette in un “ruolo”, una bolla da cui difficilmente si può evadere.

Sarà stato vero anche per le prostitute dei “saloni” occidentali? Chissà.

A Takahama-San non interessa giudicare, e forse per questo riesce a costruire un’ottima storia, che potrebbe anche essere una perfetta sceneggiatura cinematografica (con tanto di storyboard!) per un bel filmone di genere sentimental-drammatico, che comunque io non andrei mai a vedere.

Le sequenze centrate sulla vita quotidiana nel bordello, e in generale sulla vita com’era nella Nagasaki di fine 800, oltre ad essere storicamente accurate riflettono senz’altro la sensibilità personale di questa piccola, ma grande mangaka.

Ribadisco la mia inadeguatezza ad addentrarmi nella ricerca di eventuali influenze, o particolari stili nel suo disegno. Da perfetto ignorante rilevo che la caratterizzazione del Dr. Thon (un gentile signore olandese di mezza età, con baffi e capelli bianchi) mi ha ricordato alcuni personaggi di Miyazaki.

L’interessante, e per certi versi toccante, post-fazione (o prefazione, se come me aprite il libro come Dio vuole, cioè all’occidentale) al volume, di Takahama-San, chiarisce meglio alcuni aspetti della genesi dell’opera (vedasi l’aneddoto delle due farfalle).

Curiosa la frase di Kicho: “Nonostante le preghiere e le offerte, Tenjin è rimasto indifferente. Puah! Tanto valeva pregare Hanta Maruya [Santa Maria, cioè la Madonna], magari mi avrebbe ascoltata!”. Come sono pragmatiche queste giapponesi!

Concludo la “recensione” con un consiglio “alla Kit Carson”: Se vi accingete a leggere questa storia… preparate una montagna di fazzoletti, fratelli !!

CIAO CIAO

martedì 5 dicembre 2023

Il Morto 58: Cose dell'altro mondo

Peg rientra in contatto con un ex-commilitone che confesso di non ricordare minimamente. D’altra parte sono passati dieci anni dalla sua ultima apparizione, sul numero 12…

Questo Cardezzi detto Card lo coinvolge in un’indagine che sta svolgendo: sta aiutando una donna argentina a trovare la figlia che le venne sottratta quarant’anni prima. Per quanto riluttante, Peg coinvolge Jenny la hacker punk per aiutarli sul fronte informatico. Nel mentre, con quella serendipità tipica delle storie d’avventura, l’amato della donna rapita è a sua volta tornato dopo una prigionia di anni (nel frattempo è nata sua figlia che adesso va alle medie) e improvvisandosi aiutante del giardiniere è riuscito ad avvicinarla col proposito di liberarla dalla clinica dove il padre adottivo l’ha rinchiusa. Alla fine sarà Il Morto a farlo, ma le sue titubanze iniziali sul coinvolgere Jenny si rivelano fondate: a quanto pare, è stata rapita.

Cose dell’altro mondo è una bella storia d’azione con un retroscena interessante e tocchi di sano cinismo. Come nelle migliori occasioni, il titolo gioca con quanto si leggerà nel fumetto: a tal proposito Ermete Librato fa un lavoro esemplare nel frontespizio. Peccato che si concluda con un cliffhanger che introduce quello che vedremo tra non prima di tre mesi!

Le new entry Luca Bonardi e Davide Celletti ai disegni fanno un buon lavoro, anche se ovviamente molti dettagli e l’omogeneità del tratto si devono all’intervento dello Studio Telloli e del veterano Gioachini alle chine.

La back-up feature di questo numero è Lo Specchio di Paolo Forni e Giuliano Bulgarelli: una storiella piuttosto suggestiva e disegnata anche benino, ma poco incisiva.

domenica 3 dicembre 2023

La Ballata del Barbieri

Non mi è chiara quale sia la genesi di questo volume. Dall’introduzione di Marco Ardemagni e da quanto si legge nel fumetto sembra ci sia stato il coinvolgimento di un gruppo musicale, mentre gli omaggi in appendice risalgono ancora al 2015 – e non c’entrano poi molto coi contenuti. Ma da una rapida ricerca su internet non ho trovato edizioni precedenti e/o spiegazioni sulla nascita del progetto.

Sia come sia, La Ballata del Barbieri è una sintetica (molto sintetica) carrellata sulle imprese grottesche di Ezio Barbieri, che fece comunella con l’altro bandito Sandro Bezzi ma fu più di un semplice criminale, sempre nel segno della rivincita sociale e delle beffe verso l’autorità. Questa cavalcata viene introdotta da una doppia cornice con i componenti del gruppo Banda Putiferio e uno spettatore del processo a Barbieri del 1946, probabile alter ego dello sceneggiatore Antonio Serra. Tolte queste quattro pagine e mezza, il compte à rebours che occupa le restanti non può fisiologicamente che concentrarsi su una manciata di episodi e si resta con la voglia di conoscerne ancora e di approfondire l’argomento.

Gero Grassi è sicuramente un valido disegnatore ma lo sarebbe ancora di più se vincesse la sua dipendenza dal computer. Non è riuscito a ritagliarsi quei pochi secondi che (immagino) sarebbero serviti per differenziare un po’ le finestre degli edifici, spesso copiaincollate in massa, né per disegnare i peli di un pube preferendogli un effettino digitale. Per il tipo di storia che viene raccontata avrei visto meglio un autore più espressivo e “caldo”. Oltretutto, la scelta di Grassi di annerire gli occhi in ombra con profonde pennellate nere trasmette una sensazione cadaverica.

Come anticipato, il volume si compone anche di un’introduzione (interessantissima) di Marco Ardemagni e di un’appendice con vari contributi grafici dalla qualità altalenante, opera di Daniele Manini, Aka B, Anna Lazzarini, Emanuele Boccanfuso, Oskar e Riccardo Chiereghin. Di Luca Enoch, che viene elencato tra gli omaggianti, non ho trovato traccia. Il sipario cala con una postfazione di Antonio Serra.

Considerato che il fumetto in sé occupa solamente 30 pagine mi sembra che il prezzo di 20 euro sia eccessivo, per quanto il volume sia cartonato (ma le dimensioni non sono enormi né la carta è patinata). Avessero almeno fatto più attenzione ai refusi.

sabato 2 dicembre 2023

Vanish Volume Uno

Harry Potter contamina l’Uomo Ragno.

In questo universo i supereroi sono maghi che provengono da un’altra realtà (anche se non dovrebbero): il protagonista Oliver è un derelitto che anni prima, quand’era ancora un ragazzino che studiava magia, salvò il suo mondo da un rinnegato potentissimo. Adesso in città è arrivata una nuova squadra di supereroi, uno dei quali lo aiuta in una brutta situazione: ma Oliver non si lascia ingannare e capisce che dietro il suo salvatore c’è uno dei seguaci di Vanish (il mago cattivo) che all’epoca non furono eliminati. Confezionatosi quindi un improbabile costume con la sua vecchia divisa di studente di magia va a caccia degli altri “supereroi” per sventare i loro piani di dominio.

A me il soggetto sembra abbastanza originale, anche se la commistione di fantasy e supereroi mi è un po’ indigesta. Ma sicuramente con tutti i miliardi di supereroi che sono stati inventati ci sarà qualche precedente. Pur se la storia si riduce alla fine ai soliti scontri tra buoni e cattivi, non si può comunque dire che Donny Cates non sappia scrivere: i suoi dialoghi sono mediamente molto buoni, e impone un bel ritmo al fumetto. Ho avvertito inoltre la volontà di uscire un po’ dal purgatorio del genere, pur rientrandovi pienamente, evocando situazioni più mature come l’elenco delle sostanze a cui fa ricorso Oliver oppure il rimando ad altri problemi concreti che devono affrontare gli adulti, e non manca una rappresentazione iperbolica ma abbastanza esplicita della violenza. Anche il fatto di intitolare la serie al cattivo e non al protagonista è un tocco di originalità (ma hai visto mai che alla fine della fiera scopriremo che sono la stessa persona?).

I disegni di Ryan Stegman fan venire voglia di cavarsi gli occhi. Emulo tardivo di Todd McFarlane, segue con devozione la filosofia secondo cui se non si padroneggia l’anatomia allora bisogna riempire le vignette di più tratteggi possibili, assecondato da JP Mayer che inchiostra in maniera esageratamente pesante i pochi elementi “sicuri”. È probabile che il lettore statunitense voglia vedere solo le splash pages e ignori il resto, quindi i due responsabili della parte grafica non perdono tempo a rendere riconoscibile un personaggio nei campi lunghi o a rendere comprensibili le espressioni dei volti in primo piano. Ben vengano quindi gli effetti con cui la colorista Sonia Oback sfoca certi elementi. Eppure proprio il raccapriccio che evocano queste tavole si adatta bene a una storia che non vuole prendersi troppo sul serio e al contempo vuole trasmettere una sensazione di disagio.

Vanish non si conclude con questo primo volume che anzi termina con un cliffhanger. Quei furbacchioni della saldaPress non hanno però aggiunto la lettera A al numero 1 (onore al merito, loro almeno lo fanno), quindi immagino che non si tratti di un trading paperback spezzato in due come già successo ma che anche in USA sia stato raccolto così. Resta un po’ di curiosità di sapere come andrà a finire la storia, per quanto sia certo che non rimarrà nella Storia del fumetto (al massimo in quella dei supereroi e probabilmente neanche là).

giovedì 30 novembre 2023

Legends of the Dark Knight 12

Memore di alcuni acquisti delle Leggende di Batman della compianta Planeta DeAgostini ho voluto vedere com’erano queste “Legends” di tre autori britannici – il concept della collana era di focalizzarsi sulle avventure che Batman avrebbe vissuto a inizio carriera, se ben ricordo.

Apre le danze una storia in due parti di Warren Ellis, Infetto. Batman incappa per caso nella scena di un massacro perpetrato da quelli che si riveleranno essere due militari usati come cavie per un virus che li trasforma in armi biologiche da guerra. La cosa si complica quando quello sopravvissuto rischia di spargere il virus in giro. Storia banalotta, non del tutto salvata dalla sottotrama del sergente stronzo e dai dialoghi brillanti di Ellis. Per quanto si impegni (ma praticamente solo nel primo dei due episodi), John McCrea è sempre John McCrea: ridicolo e sproporzionato, non si possono prendere sul serio i suoi scarabocchi e questo toglie pathos a una vicenda che avrebbe dovuto invece essere bella drammatica se non addirittura horror.

Garth Ennis scrive una storia in tre parti che si apre come un poliziesco, con Batman che incontra due detective privati dalla mano assai pesante, mentre a Gotham la criminalità è all’erta per una questione di droga. Tra divertenti sequenze violente e battute sarcastiche Lo Sballo promette assai bene, ma poi entra in scena un villain strafatto che sembra essere messo lì solo per far ostentare a Ennis la sua proverbiale vena provocatoria, con Batman sotto LSD e truculenze varie – in realtà il primo aspetto è stato probabilmente molto ridimensionato rispetto alle intenzioni originali. Will Simpson è certamente lodevole per la cura che mette nelle sue tavole: conosce l’anatomia e non lesina certo sui dettagli. Solo che a volte gli viene fuori una bocca storta, o un occhio non è esattamente dove dovrebbe essere, o un profilo non è proprio corretto, o una postura è decisamente innaturale… a quel punto, i difetti dell’intelaiatura di base risaltano di più proprio a causa della sua scrupolosa inchiostrazione.

La storia di Millar vede un Batman furioso cercare tra la fauna di criminali chi ha rubato una cosa preziosissima per Bruce Wayne, mentre una banda di giovani criminali imita il Joker e un’altra si ispira ai pezzi degli scacchi e deruba i riccastri di Gotham. Dialoghi anche abbastanza simpatici, ma è una storia natalizia e alla fine si scade inevitabilmente nel patetico. Non male, comunque, anche se probabilmente avrebbe meritato di essere sviluppata su più numeri invece che su uno solo: così le buone idee che ci sono finiscono per essere un po’ sprecate, e la storia è troppo frenetica (ma sempre meglio così che allungare il brodo). Sorprendenti i disegni di Steve Yeowell, che io ricordavo terribilmente scarno e legnoso. Alla fine niente di eccezionale, ma si vede che l’intervento alle chine del veterano Dick Giordano ha dato buoni frutti.

Nel complesso, quindi, nessuna storia è memorabile ma nemmeno troppo deludente – a parte quella di Ellis e McCrea.

martedì 28 novembre 2023

Foreste di morte

Seguito di Occhi di lupo (leggendo l’introduzione che riassume la storia mi è venuto un colpo pensando di aver preso un doppione), avrebbe dovuto servire da ponte per un terzo capitolo che non vide mai la luce.

Ducario è presente ma sullo sfondo: i veri protagonisti sono una legione di soldati romani che decidono infine di penetrare in una foresta sacra dei Boi, per provocarli e spingerli a rivelarsi in battaglia.

La vicenda si mostra sin da subito inquietante, con il benvenuto di corvacci di malaugurio e soprattutto con il rinvenimento dei resti di uomini e cavalli fatti a pezzi e deturpati da una forza che non sembra umana. A mano a mano che Postumio Albino e i suoi uomini si avventurano sempre più in profondità (si fa per dire: la foresta è un labirinto in cui anche la guida celta perde l’orientamento) montano l’inquietudine e la paranoia, con avvistamenti di mostri e ombre sfuggenti, fino all’inevitabile finale tramandato dalla Storia: il fumetto è basato sulla battaglia di Silva Litana, realmente avvenuta.

A supportare Brizzi alla sceneggiatura stavolta c’è un altro Giovanni: Marchi, che firma insieme a lui anche l’introduzione. I due sono stati bravissimi a trasmettere l’atmosfera inquietante della foresta e al contempo a fornire il quadro complessivo della situazione dell’epoca (sia sul fronte gallico che romano) senza risultare pedanti. Ma la parte del leone la fanno come sempre i disegni e soprattutto i colori del compianto Sergio Tisselli, la cui perizia nell’evocare la luce e la nebbia e nel disegnare ogni singola foglia e ramo della foresta è encomiabile come i salti mortali che forse dovette fare a suo tempo (l’albo uscì per la prima volta nel 2006, e non so se Tisselli usasse il computer) per trovare la maniera giusta di raffigurare la pioggia battente nelle tavole già così cariche di colore e dettagli.

La cura è quella consueta a cui ci ha abituato Nicola Pesce Editore (pur se la nota a pagina 19 è un florilegio di refusi) e di certo 16,90 euro sono un buon prezzo per un albo cartonato a colori di 64 pagine. Ma a causa delle tinte livide che inevitabilmente sono state scelte per rendere la maggior parte delle sequenze, qui più altrove ci sarebbe stata bene la carta patinata.

lunedì 27 novembre 2023

Collana Reprint 216: Gil 1

Quando alle medie ci fecero vedere il film Il Cavaliere Elettrico rimasi un po’ deluso. Non era un film di fantascienza e men che meno un fantasy, ma un misto di dramma, commedia ed ecologismo su un “cowboy” contemporaneo che cercava di salvare sé stesso e il suo cavallo dallo show business. Ma appunto rimasi deluso solo un po’, perché il film non era niente male e ancora oggi a distanza di decenni ne ricordo alcune parti. A quanto pare, non era un caso isolato ma parte di un filone minore del cinema hollywoodiano, in cui Gianni Bono nell’introduzione di questo albo inserisce a forza persino Un uomo da marciapiede, che di “western contemporaneo” aveva solo il cappellaccio indossato, e neanche sempre, da Jon Voight!

Può darsi che Ennio Missaglia si fosse ispirato a questo sottogenere per confezionare le storie del protagonista che è un po’ Tex e un po’ Ken Parker alle prese con le insidie della metropoli tentacolare. Gil Moran è un reduce del Vietnam; figlio di un allevatore fallito, percorre gli Stati Uniti col suo cavallo privo di nome e dalla grande pazienza vista la frequenza con cui lo “parcheggia” nei posti più insoliti.

Il primo episodio eponimo si dilunga inevitabilmente a presentare il protagonista e la sua filosofia, innescando però nel contempo quella catena di eventi che costituiranno l’ossatura della trama. In cerca di uno di quei lavori occasionali che gli permettono di campare da vagabondo, Gil finisce per essere coinvolto in un omicidio involontario di cui crede che la polizia potrebbe accusarlo. Il padre straricco del vero colpevole e lo stesso rampollo si mettono quindi sulle sue tracce, il primo con l’intento pacifico di verificare se effettivamente possa riconoscere e accusare il figlio. Tra gli inevitabili stereotipi (Gil picchia come Tex, tutti ce l’hanno con lui, la divisione tra buoni e cattivi è spesso nettissima – questi ultimi apostrofati anche come «ciccioni», cosa che oggi solleverebbe un putiferio) la storia presenta una vaga originalità e un’ambientazione che immagino insolita per i Bonelli anni ’80, ma manca di mordente e non si capisce neanche bene in che direzione voglia andare. Non male comunque il finale dal tono molto più leggero.

Vladimiro Missaglia sfoggia un ruspante stile popolare in cui non lesina sui tratteggi e le pennellate. In alcuni punti mi ha ricordato Franco Bignotti.

Il secondo episodio, I “Cani” della notte, è molto più riuscito. L’azione si sposta dalla cittadina di Jerome (esisterà veramente?) a Phoenix, dove scopriamo che Gil ha sia un amico sfasciacarrozze che una frequentazione femminile. Questo serve sicuramente a inquadrare meglio il personaggio, ma il punto forte dell’episodio è un altro: Gil e il suo amico assistono involontariamente a uno scontro tra bande di motociclisti per impossessarsi di un camion con della refurtiva preziosissima (di cui non verrà svelata la natura). Dietro i “Cani Arrabbiati” ci sono due gangster locali e Gil dovrà anche proteggere la sua amica. Il ritmo è travolgente e la storia si legge tutta d’un fiato, oltretutto è anche ben costruita e alla fine a salvare Gil saranno quei poliziotti che tanto disprezza.

I disegni di Ivo Pavone sono molto migliori rispetto a quello che mi sarei aspettato ricordando le sue ultime apparizioni su Lanciostory e Skorpio. Sullo stesso solco di Vladimiro Missaglia, ha un tratto più incisivo e le sue tavole sono più ricche.

Gil fu un insuccesso e, come ricordato da Gianni Bono, durò solo 11 numeri. Aveva una certa originalità e magari si volle azzardare qualche strizzatina d’occhio cameratesca ai lettori più reazionari disgustati dai Kiss e dalle altre mode musicali che però già all’epoca, nel 1982, erano sorpassate (ma davvero nelle discoteche mettevano Ted Nugent?!), ma erano gli spietati anni pre-Dylan Dog e persino Sergio Bonelli doveva chiudere i rami improduttivi con la crisi che si profilava.

Oggi alcune situazioni stereotipate e il linguaggio desueto possono far sorridere, ma un po’ del fascino del fumetto risiede anche in questo.

La qualità di stampa è perfetta. I due numeri originali ci stanno giusti giusti nella foliazione di 192 pagine quindi non c’è spazio per redazionali, ma in seconda di copertina c’è la presentazione della serie a cura di Gianni Bono e in terza di copertina la riproduzione delle copertine originali a opera di Vincenzo Monti.

A proposito di copertine, veramente molto bella quella di Michele Benevento che reinterpreta la prima di Monti.

domenica 26 novembre 2023

Frankenstein: Nel nome del padre

La collana dedicata ai classici dell’orrore assume una fisionomia più definita e infatti in questo secondo volume ne viene fornita una presentazione complessiva (il primo volume dedicato a Dracula a quanto ne so rimarrà l’unico, al massimo integrato da qualche pagina per concludere la storia all’interno di quella che sarà la foliazione standard di un centinaio di pagine).

Stavolta mi sembra che il gioco di Marco Cannavò non sia più quello di reinterpretare il testo di partenza avanzando delle considerazioni illuminanti sull’epoca della sua realizzazione e quindi sulla temperie culturale del periodo, quanto quello di prestare maggiore fedeltà possibile al testo. Che però non ho letto e quindi non so quanto questa mia impressione sia corretta – il ricco saggio finale di Marco Grasso lascia comunque intendere che abbia introdotto qualche elemento esterno, come la mummia di Ruysch (che esiste veramente ma forse non c’era nel libro della Shelley).

Victor Frankenstein è dedito alla scienza quanto all’esoterismo e unendo i saperi di Paracelso e Galvani riesce a donare la vita a un costrutto formato da tre cadaveri di criminali. Oltre che di dubbia provenienza, il materiale di partenza è di ancor più dubbia moralità: il fatto che il cervello del novello Prometeo sia quello di un assassino ossessionato dall’attrice Karolina Niuber (che uccise) fa di lui un soggetto alquanto pericoloso. Ma le amorevoli cure di Elizabeth, fidanzata di Frankenstein opportunamente istruita da lui in tal senso, ne fanno se non un vero damerino comunque una personcina rispettabile. Se non fosse per il suo aspetto che allontana i suoi simili e provoca sdegno e derisione nei professori a cui viene mostrato come risultato degli esperimenti del “mad doctor”.

Un certo peso viene dato al background di Frankenstein, rampollo viziato e monomaniaco di un ricco banchiere che dispone delle strumentazioni dell’università a suo piacimento e non esita a ricattare il rettore pur di raggiungere i suoi scopi – ignoro se le inclinazioni sessuali alla base del ricatto fossero o meno presenti nel testo originale. Non escludo che proprio l’interpretazione psicanalitica del romanzo sia quella privilegiata da Cannavò, con Victor che si costruisce un “figlio” per dimostrare al padre di essere in grado di allevarlo meglio di come ha fatto con lui, che è venuto fuori alquanto stronzo. Ma forse mi sono solo lasciato trasportare dal titolo.

La storia si svolge nell’arco di oltre vent’anni, tra flashforward e arditi salti temporali, con la cronaca degli incontri più rilevanti tra lo scienziato e la sua creatura. La fedeltà al romanzo, sempre che effettivamente ci sia stata (ripeto che non l’ho letto), offre delle sorprese al lettore abituato alle versioni cinematografiche che ne hanno adattato e tradito l’essenza: qui il mostro è una creatura sensibile e anche molto agile e scaltra, inoltre il finale presenta una sorpresa inaspettata che mi guardo bene dal rivelare.

I disegni di Corrado Roi sono al solito fantastici, l’unico appunto che gli si può muovere è la scelta (se di scelta consapevole si è trattato) di non far invecchiare Victor Frankenstein nonostante tutti gli anni passati dall’inizio degli esperimenti fino all’epilogo nell’Europa del nord.

In appendice è presente un ricco approfondimento a cura di Marco Grasso, che abbracciando sia la storia del romanzo che dei suoi adattamenti si concede delle considerazioni sociologiche forse eccessivamente accalorate.

Il formato non è quello classico dei libri de Lo Scarabeo, cioè un quadrotto di grandi dimensioni, ma un più canonico 24x32. La stampa è ottima, e infatti nella prima vignetta di pagina 31 si vedono ancora le tracce delle matite di un quadro alla parete che Roi non ha inchiostrato, ma che farà regolarmente capolino nelle pagine successive.