sabato 27 aprile 2024

Alfredo De La Maria

Era l'eccezionale copertinista delle riviste della Columba. Ma non è stato solo questo e nemmeno "era", perché scopro che è ancora attivo, soprattutto in un settore pittorico molto originale: la celebrazione quasi impressionista dell'automobilismo.

giovedì 25 aprile 2024

A Vicious Circle 1

Forse c’è ancora speranza per il fumetto. Forse. Immagino che ci sia tanto computer in queste tavole di Lee Bermejo, ma che spettacolo. A Vicious Circle (alla Panini «Circolo Vizioso» suonava male?) comincia come una storia iperrealista ambientata negli anni ’50 nel profondo sud degli States scandalizzato dalle proposte di desegregazione. C’è però un elemento dissonante nella vita del nero Shawn Thacker: tiene imprigionato in cantina un tizio mascherato.

Come scopriremo, questo tale è parte integrante di un fenomeno per cui lui e Shawn si inseguono attraverso epoche diverse, che possono anche sfociare in universi alternativi; se ho ben capito, il fattore scatenante sono le uccisioni del mascherato: ogni morto ammazzato è un cambio di scenario.

Questo primo volume è solo l’antipasto e non viene ancora svelato tutto il retroscena, per il momento sappiamo che la multinazionale Kang Turing creò/creerà un qualche marchingegno distruttivo che Shawn avrebbe dovuto distruggere mentre l’altro, Ferris, aveva il compito di attivare. Comunque, davanti alle splendide tavole di Bermejo chi se ne fotte delle spiegazioni e della trama. La ricchezza di ambientazioni differenti, alcune lunghe il tempo di una sola striscia, offre a Bermejo la possibilità di scatenarsi in una pletora di virtuosismi con cui rappresentarle, non disdegnando di omaggiare ogni tanto correnti pittoriche o stili diversi.

Ma anche i testi di Mattson Tomlin non sono niente male. I dialoghi sono curati, il ritmo è incalzante e le varie imbeccate sulla vera natura della vicenda incuriosiscono e appassionano il lettore.

Spero di non dover aspettare troppo per vedere il seguito, che in patria risulta uscito un anno fa.

martedì 23 aprile 2024

Lumière Froide 1-3

Il fastidio per la mancata pubblicazione in Italia di questa breve serie di uno dei miei disegnatori preferiti si è sempre accompagnata alla curiosità di saperne il motivo. Era troppo spinta? Trattava argomenti blasfemi? Ridicolizzava temi intoccabili per gli italiani? Era troppo difficile da capire? Macché, niente di tutto ciò.

La storia rappresenta al meglio lo stile di Makyo, almeno per quel poco che lo conosco io. Come nel caso della Balade au Bout du Monde, del Ciclo dei Due Orizzonti e de La Porte aux Ciel si carbura lentamente e leggendo le prime pagine viene da chiedersi dove diavolo voglia andare a parare e se ci sia effettivamente una trama sotto quell’accumulo di situazioni e sequenze apparentemente scollegate. Ma è solo un’astuta strategia per presentare i personaggi e l’ambientazione e forse per giocare un po’ a disorientare il lettore. Il riassunto della trama non rende quindi giustizia alla stratificazione di suggestioni che il fumetto offre, ma lo azzardo comunque.

Eva Gello è un’attrice di grande successo (forse Sicomoro si è un po’ ispirato a Nicole Kidman per ritrarla), dotata di un magnetismo irresistibile di cui cade vittima l’istruttore di aikido Lou che recita una particina nel suo ultimo film – e a cui teoricamente era intitolata la serie. Purtroppo anche i due amici fraterni di Lou, sopravvissuti insieme a lui da bambini a un attentato, cadono vittime del carisma della misteriosa donna, che sembra possedere un vero e proprio potere sovrannaturale con cui può piegare la volontà degli uomini. Ossessionato da Eva, Lou la segue fino a scoprire che partecipa a festini degni di Eyes Wide Shut (la citazione è dello stesso Makyo) e soprattutto che è coinvolta in una situazione incredibile: figlia di un eminente etnologo, ha ereditato i poteri di fascinazione delle sacerdotesse-prostitute caldeo-assire da sua madre che assunse una droga ricavata dalla coda di una lucertola. Ma lo stesso potere della “luce fredda” sta consumando il biologo Arnold Xulle il cui figlio Mathias tiene in scacco Eva controllando la figlia che ha avuto con lei, Luce. Xulle junior è a sua volta condannato dalla “luce fredda” e visto che non può liberarsene diffonde il più possibile il suo dono/morbo tramite trasfusioni coatte di sangue: il magnetismo della piccola Luce è più potente di quello dei suoi genitori ed è facile procacciarsi vittime.

Lumière Froide non si limita ad affascinare il lettore col suo romanticismo, il sense of wonder, i rari tocchi di erotismo, il richiamo all’amicizia e un po’ di commedia, ma è anche un solido thriller con un uso magistrale dei McGuffin. Non penso sia malizioso pensare che Makyo abbia cambiato certe cose in corsa aggiungendo certi dettagli per giustificare meglio alcuni aspetti della vicenda, ma l’importante è che alla fine tout se tient e lo fa alla perfezione. E non scordiamoci che la serie è nel formato classico di sole 46 tavole a volume, veramente ricchissime di azione e trovate originali senza mai risultare affrettate. Ma purtroppo, nonostante quanto scritto sino al secondo volume, questo «premier cycle» nei fatti è rimasto l’unico e Les Aventures de Lou Chrisoée sono finite qui.

I disegni di Sicomoro sono stupendi, né mi aspettavo di meno; forse sono addirittura in crescendo, con l’ultimo episodio ancora più bello dei precedenti. A supportarlo nei colori fu Cristiano Spadoni. Al di là della consueta perizia tecnica è ammirabile ancor più del solito la recitazione e il dinamismo dei suoi personaggi, tanto che molte sequenze sono affidate interamente ai suoi disegni senza dialoghi o didascalie a spiegare quello che è già perfettamente comprensibile.

In ultima analisi, l’unico motivo per cui Lumière Froide è inedito in Italia e lo sarà probabilmente per sempre è che è un fumetto troppo bello per il nostro mercato.

Annotazione finale: incuriosito da Makyo ho approfondito un po’ la sua storia scoprendo che la Balade au Bout du Monde (che in Italia abbiamo visto su Skorpio) non fu un fumetto di nicchia come pensavo io, ma uno dei più grandi successi della BéDé degli anni ’80! E continuando a informarmi ho scoperto che il disegnatore Vicomte è morto nel 2020. A proposito di cose troppo belle per l’Italia.

domenica 21 aprile 2024

L'Effetto He-Man

Questo volume è un ottimo esempio dei limiti del graphic journalism e della sua sostanziale inutilità, almeno concepito così. Abbraccia pienamente la rivoluzione apportata dal gruppo Valvoline, cioè ridurre il fumetto a una serie di didascalie accompagnate da illustrazioni; i valvolinici però disegnavano bene (alcuni di loro, almeno).

Partendo da Giulio Cesare Brian “Box” Brown parla di come le strategie di propaganda abbiano la capacità di costruire nell’immaginario collettivo un mondo ideale di cui ambire a far parte, strategia di cui si sono appropriati i pubblicitari e quindi anche i produttori di giocattoli. Un certo approfondimento viene dedicato a Edward Bernays, che sviluppò per primo dei sistemi di controllo delle masse. Spacciate per verità rivelate, non so quanto queste informazioni siano attendibili, anzi il riferimento a Giulio Cesare mi pare decisamente arbitrario.

Ma al di là delle sue considerazioni personali (alcune palesemente sbagliate: Freud fu il padre della psicanalisi, non «della psicologia»!) Brown riporta anche degli interessanti aneddoti sullo sviluppo dei giocattoli e sulla storia della televisione statunitense. Incredibile e assai inquietante la vicenda della banana Chiquita e del Guatemala.

Non dovendo seguire nessuna trama è facile ritagliarsi lo spazio per parlare di tutto un po’: la storia della Disney, l’origine del concetto patologico di nostalgia, l’importanza dell’immaginazione nello sviluppo infantile, il pensiero di Orson Welles (tirato un po’ per i capelli), l’articolata vicenda di Star Wars, ecc. Uno degli argomenti trattati mi sembra approcciato da un punto di vista pregiudiziale e sostiene che i cartoni animati con protagonisti giocattoli altro non fossero che lunghi spot pubblicitari: è ovvio che fossero anche questo (il punto di vista è condiviso da chi controllava la qualità delle trasmissioni per bambini) ma tutto sommato erano prodotti di intrattenimento veri e propri e quindi il frutto di tutto il lavoro e la professionalità necessari alla realizzazione di un cartoon, con trame originali e quant’altro.

La dimensione ideale per trattare tutti questi argomenti non è comunque un fumetto. E già il termine “fumetto” mal si adatta al lavoro di Brown, che è più che altro un pamphlet illustrato (male) pur con qualche rarissima scenetta narrativa, come il bulletto che sostiene di non essere influenzabile e poi canticchia il motivetto della birra. Con lo stesso numero di pagine un saggio esclusivamente scritto avrebbe contenuto moltissime informazioni in più, approfondendo quello che qui è stato solo accennato. E nemmeno l’aneddotica è poi così ricca.

Forse ancora meglio sarebbe stato del graphic journalism basato su foto e non su disegni, come fatto ad esempio nel Biographic di Alan Moore realizzato da Gary Spencer Millidge. Tanto più che i disegni illustrano i fatti e non li raccontano, e leggendo il testo mi è venuta la curiosità di vedere com’era fatto Henshin Cyborg (l’antenato dei Transformers), di ammirare le locandine dei film dei Transformers e dei G. I. Joe, di leggere gli articoli sulle suffragette pro-fumo, di vedere qualche fotogramma delle pubblicità transgender citate a pagina 135. Anche perché l’estrema semplificazione grafica di Brown, oltretutto sbilenca, non riesce affatto a dare forma alle immagini per chi non conosce già quegli oggetti. Oltretutto vedere le foto dei vari Presidenti degli USA (e non le loro caricature) avrebbe avuto tutto un altro effetto, anche perché le limitatissime doti grafiche di Brown li rendono irriconoscibili.

Stavo invece per complimentarmi con l’autore per la bibliografia (almeno quella!) ma scorrendo i “titoli” scopro che ha fatto massicciamente riferimento a documentari e materiali reperibili online.

Quello della pubblicità è un meccanismo risaputo e conclamato, quasi onesto nella sua disonestà, cionondimeno il paladino Brown sembra volerlo demonizzare: la sua postfazione pare essere stata scritta proprio per pararsi il culo e non essere tacciato di ingenuità o faziosità. Intanto però ha fatto la morale e forse non è la persona più indicata per farla. Al di là dei disegni mostruosi degni di Scozzari e Panebarco (ma mi ha ricordato, in peggio beninteso, anche il Mattioli di quando faceva consapevolmente il verso all’estetica pop), non è stato un gran furbacchione a mettere He-Man nel titolo quando dei Masters of the Universe comincerà a parlare solo a metà volume? E anche per molti altri argomenti si resta con la bocca asciutta, in un’interpretazione perfetta del capitalismo che l’autore tanto critica: come i fumetti moderni di supereroi sono organizzati per cicli pensati per deludere il lettore e spingerlo a rifarsi con il prossimo eventone che perpetrerà il circolo vizioso (o virtuoso a seconda di come lo si guardi), anche qui il lettore è invitato a cercare altrove qualcosa che spieghi ad esempio certe politiche dei network o approfondisca il passaggio dai Micronauti ai Transformers. E magari sarà lo stesso Brown, che con questo libro si è preparato il terreno, a venderglielo!

A proposito di morale posso vantarmi di esserne un fulgido esempio visto che ho foraggiato Bao e Brian “Box” Brown, e colgo l’occasione per scusarmi di non essere riuscito a stare sul pezzo e recensire questo volume, uscito ancora a febbraio, per tempo. Per quanto uno ci provi, non sempre è così immediato ottenere fumetti (in inglese “to GetComics”).

giovedì 18 aprile 2024

Cosmo Classic 17: Smalto & Jonny

Sicuramente ho letto almeno un episodio della serie ma non me lo ricordo minimamente, il che fa capire quanto mi abbia colpito. Ben venga quindi questo volume della Cosmo con cui coprire una mia lacuna fumettistica e magari scoprire un capolavoro dimenticato. Almeno uno degli obiettivi è stato raggiunto.

I due protagonisti sono titolari della «Smalto & Jonny S. p. A. – Società per Assassini» e si offrono per furti, pestaggi, spionaggio, assassinî, ecc. non disdegnando di cogliere autonomamente le eventuali occasioni di fare il colpo grosso con estorsioni e rapimenti. La grottesca miseria dei due antieroi (che vivono in un carro armato dismesso e all’occorrenza anche nei bidoni della spazzatura) fa il paio col parossismo surreale dei casi in cui sono coinvolti, in un tripudio di violenza cartoonesca da cui escono sempre sani e salvi. Non ci sono ambientazioni né temi fissi, le vicende si svolgono a tutte le latitudini e possono anche sfociare nel sovrannaturale con la presenza di un licantropo. Ogni tanto c’è lo spazio per un po’ di satira politica o di costume: ai lettori ignari come me il piacere di scoprire chi, o meglio cosa, fosse Lisa Biondi. La struttura iniziale di otto tavole viene poi abbandonata negli ultimi due episodi che sono più lunghi e articolati.

Giorgio Pezzin si inventa delle trovate simpatiche che sfociano anche nel metanarrativo ma Smalto & Jonny mi sembra molto ancorata allo stile e alle tematiche dell’epoca in cui venne concepita e ciò non la aiuta a emergere, tanto meno se confrontata con Altai & Jonson con cui ha non pochi punti di contatto. È anche vero però che durò solo sette episodi e non ebbe quindi la possibilità di crescere e affermarsi come forse avrebbe potuto: secondo me gli ultimi episodi sono i migliori. Ciò detto, i disegni di Cavazzano sono stupendi e da soli valgono l’acquisto.

Data la brevità dell’esperienza, la foliazione di questo Cosmo Classic è integrata da due storie brevi sempre di Cavazzano. Vedere i suoi fumetti per Alter sarebbe stata una goduria, ma l’opera di recupero filologico è ben più rilevante così: Home in the range venne infatti pubblicata solo su Tam Tam Portfolio e in un volume dell’ANAF mentre la sfortunatissima Carcere modello approdò su Fumo di China dopo anni dalla sua realizzazione.

La prima, scritta da Alfredo Castelli, è una parodia dissacrante del western che forse con la sensibilità di oggi ha perso lo shock value che voleva avere, la seconda è una specie di thriller tragicomico scritto da Rudy Salvagnini che però presenta delle pesanti revisioni nel testo che hanno introdotto elementi del tutto estranei alla volontà dell’autore!

I redazionali di Alberto Brambilla sono puntuali e gustosi come sempre, e l’apparato iconografico che li integra è altrettanto ricco e interessante. Purtroppo le caratteristiche cartotecniche della collana non sono migliorate dai tempi di Nick Carter: la carta è assai povera e i margini dell’impaginato sono così vicini alla rilegatura che bisogna spalancare il volume per vedere tutto il contenuto delle pagine (e nel caso del testo scritto non ci si riesce sempre). Almeno la qualità della riproduzione di Smalto & Jonny è praticamente perfetta, fatta evidentemente a partire dagli originali. Ma anche nel caso delle due storie brevi di cui dichiaratamente non è stato possibile usare le tavole di Cavazzano (sicuramente per Home in the range, perse da Castelli) il risultato non è male.

martedì 16 aprile 2024

Love and Rockets Collection 3 - Locas 3 - Perla la Loca

Riprendo a leggere la saga delle Locas e, accidenti, non è facile raccapezzarcisi vista la quantità di personaggi e la strettissima correlazione che hanno tra di loro i singoli cicli. Come farà Jaime Hernandez a tenere conto di tutto il piano generale? Ci sarà poi un “piano generale” o naviga a vista? E nonostante questa raccolta sia intitolata a “Perla” (che poi sarebbe Maggie, come la chiamava suo padre che poi si risposò con un’altra donna) si perde in molteplici rivoli che sgorgano dalla trama principale. Anche se una trama principale in fondo non c’è e a voler proprio trovare un filo conduttore lo si potrebbe identificare nei tentativi infruttuosi di riavvicinarsi delle due amiche/amanti. Ma nel mentre succedono un sacco di altre cose.

La scena si sposta dalla California a una città non meglio specificata (io almeno non ho capito qual è) con i suoi abitanti ricchi e snob. Ma è solo l’inizio: Jaime Hernandez incuriosisce il lettore lasciando intendere che Maggie è tornata in città, eppure anche se se ne parla non la vediamo mai – se non nei flashback. La ricerca di Maggie da parte di Izzy sarà il leitmotiv del primo lungo ciclo di questi episodi, Wigwam Bam, insieme al mistero su chi effettivamente ha messo Hopey tra le persone scomparse sui cartoni del latte che avevano già fatto capolino nello scorso volume.

Nel frattempo Hopey vive un’esperienza surreale presso la magione di una vecchia diva della televisione e Maggie deve vedersela con una colossale wrestler innamorata di lei. La rediviva Danita (e chi si ricordava della sua esistenza?) va poi a vivere con Maggie e sua sorella Esther. E si riallacciano anche dei fili lasciati in sospeso sin dall’inizio della saga, quando aveva ancora un lato fantascientifico. Jaime si ritaglia anche lo spazio per omaggiare ogni tanto il lavoro del fratello Beto.

Più che Perla la Loca si può dire che la protagonista sia Perla l’allocca, che per risolvere i suoi problemi ne crea di ancora più gravi per se e per quelli che le stanno attorno, generando un vortice di situazioni incontrollate. Tanto ingarbugliata diventa la faccenda che lo stesso autore deve ricorrere al vecchio imbroglio di svelare che era tutto un sogno. No, non cade così in basso: era solo uno scherzo al lettore!

Lo stile di disegno di Jaime Hernandez si “asciuga” un pochino, per così dire, nel corso del fumetto, ma mantiene sempre la sua eleganza e la sua espressività. Il suo stile di narrazione ellittico e sincopato può lasciare a volte spaesati, ma ha il vantaggio di tenere il lettore incollato alle tavole richiedendo la giusta attenzione ai cambi di scena repentini e per ricostruire la cronologia di quanto mostrato in una stessa pagina.

Data la stratificazione di personaggi su personaggi e la complessità delle loro relazioni penso che sarà superfluo cercare di ricostruire tutto l’ordito della serie ma mi godrò i prossimi volumi così come verranno.

domenica 14 aprile 2024

Linette 2: Il Drago Salsiccia

Tutti ce l’hanno con Linette: il suo cagnolino le fa un dispetto e i grandi non vogliono che mangi anche lei quelle salsicce che sembrano così gustose. Se nel primo caso l’animale ci mette un po’ di malizia, il divieto degli adulti è a ragion veduta come si accorgerà la bambina quando ne assaggerà una di straforo: le salsicce sono piccantissime. Il che offre a Linette l’idea per una rappresaglia contro il cagnetto, che si vede offerta una salsiccia che lo fa letteralmente sputare fuoco. Da quel momento si trasfigura in un drago (ma sempre col suo musetto) che Linette affronta nelle classiche situazioni fantasy: ben vengano quindi anche gli elementi di contorno del giardino per alimentare l’immaginazione della bambina. Riappacificazione finale con il proverbiale terzo che gode a gustarsi l’insaccato.

Il Drago Salsiccia è un fumetto jeunesse godibile anche dagli adulti per la sua sfrenata fantasia e l’originalità di alcune reinterpretazioni di topoi classici. Essendo muto si basa su una comicità slapstick travolgente. Il disegnatore Jean-Philippe Peyraud disegna però in maniera sintetica e stilizzata e forse si arriva al finale della storia ideata da Catherine Romat un po’ troppo presto, senza nemmeno avvertire l’urgenza di riguardare le tavole per coglierne i dettagli. E probabilmente non è una bella sensazione considerando che per 14 euro il volume contempla 32 pagine – ma non sono io il pubblico di riferimento e come regalo per un bambino è ottimo.

Ovviamente anche questo è stato un acquisto-cuscinetto in attesa che arrivi qualcosa che avevo ordinato.

venerdì 12 aprile 2024

Maco

È una bravissima disegnatrice uruguayana che mi sono sempre scordato di segnalare anche se è presente nel blogroll. Dal segno molto elegante, sintetico ed espressivo, è molto brava a lavorare sulla costruzione delle tavole (sempre di grandi dimensioni, almeno negli ultimi anni). Il suo blog permette di ammirarne l’evoluzione, visto che ha iniziato a postare nel 2009.

mercoledì 10 aprile 2024

Gilles Hamesh, Privé (de Tout)

Altro che Wood e Olivera, questo Gilgamesh è tutta un’altra cosa! Sul numero 147 de L’Eternauta venne risposto a un lettore che chiedeva la pubblicazione di Polar Extreme che il volume sembrava «un tantino troppo forte» per la rivista, così come quando ne suggerii la pubblicazione a Mauro Paganelli mi rispose che era «in lettura» ma poi non se ne fece nulla. Eh, già, le indagini di Gilles Hamesh sono un po’ particolari. Poi in realtà ne vedemmo comunque qualcosina anche in Italia, cioè solo il primo episodio su Comic Art 145 (che quella volta si chiamava Comic Art & L’Eternauta ma ci siamo capiti), dove quel bacchettone di Traini fece censurare ulteriormente la versione già censurata che transitò su (A Suivre) 197, anche in quel caso unico episodio apparso sulla gloriosa rivista francese. D’altra parte in quegli anni, chiuso Corto Maltese della Rizzoli – Milano Libri, era la Comic Art a essere diventata un po’ la succursale italiana della Casterman.

Gilles Hamesh è un detective privato, ma non disdegna di arrotondare consegnando foto scandalistiche truculente ai giornali. Le sue indagini sono introdotte ogni tanto da brani dell’Epos di Gilgamesh che francamente non ho ben capito che attinenza abbiano con i singoli episodi. I casi di cui si occupa hanno spesso un retroscena soprannaturale o fantastico, con camice fantasma che vendicano i loro proprietari, crocifissi sodomizza tori mossi dalla magia, golem di sperma e mosche da compagnia. Ma sono gli elementi di contorno a caratterizzare maggiormente la serie. Cito alla rinfusa: prostitute con la sindrome di Down, cannibali squartatori ma raffinatissimi, formiche che mangiano genitali e seni dal didentro, la lotta per accaparrarsi gli intestini pieni di feci di un cadavere sventrato con gli esiti facilmente immaginabili. Forse il top viene raggiunto con gli ebrei ortodossi gestori di un pornoshop che vendono snuff movies a nazisti. Ma Jodorowsky è ecumenico nelle sue provocazioni e ridicolizza anche cattolici, musulmani e praticanti del vudù.

La volontà dello sceneggiatore era insomma principalmente quella di épater la bourgeoisie con coprofilia, stupri, liquami e violenze assortite ma è incredibile come sia riuscito a inventarsi sempre delle soluzioni perfettamente coerenti ai casi di Gilles Hamesh, costruendo delle trame plausibili (spesso con finale a sorpresa) ricorrendo magistralmente ai McGuffin giusti. Ah, l’arte dimenticata di scrivere storie brevi! Che poi a volte tanto brevi non sono, toccando e sforando le 20 pagine. E anche i dialoghi non sono niente male, una volta fatto il callo a questo universo così particolare. E ancora, lo stesso Jodorowsky sembra voler farsi gioco della sua stessa ostentata depravazione nell’ultimo divertentissimo episodio in cui uno spaesato Gilles Hamesh non riesce più a raccapezzarsi in un mondo in cui il vizio e la crudeltà sembrano spariti – per la cronaca, ammazzerà e poi piscerà sul cadavere dell’angelo responsabile della cosa, apostrofandolo con l’adeguata terminologia.

I disegni sono affidati a un fumettista che per non shockare la mamma preferì celarsi dietro uno pseudonimo. Pseudonimo che consiste semplicemente nell’aggiungere due lettere al suo vero cognome, che oltretutto sulla copertina di (A Suivre) era riportato correttamente! “Durandur” disegna molto bene, con uno stile molto corposo e modulato in cui fa capolino all’occorrenza anche un po’ di mezzatinta. Mi sembra che sia riuscito ad assecondare alla perfezione le fantasie di Jodorowsky producendo una fauna umana originalissima e variegata e soprattutto molto espressiva e dinamica. Purtroppo per meglio nascondere la sua identità (sì, come no…) a volte si è limitato ad abbozzare certi dettagli o a “dimenticarsi” di cancellare le matite, ma va bene anche così.

Alla sua prima uscita Polar Extreme fu un discreto fiasco per i canoni del fumetto franco-belga (ricordo che in un numero di BoDöi Jodorowsky si vantava di potersi permettere anche progetti come questo che vendevano solo 5.000 copie) e le ragioni vengono riassunte nella prefazione dello stesso sceneggiatore con il timore dei librai che preferivano non metterlo in vetrina per evitare guai. Raggiunto però un certo status di culto, ecco quindi che ne venne fatta questa riedizione nel 2003 che però a sua volta non credo abbia avuto riscontri molto favorevoli: evocando una sua teoria degli opposti, Jodorowsky promise infatti che in caso di successo avrebbe realizzato un fumetto con Padre Pio detective, che disgraziatamente non mi risulta essere mai uscito.

lunedì 8 aprile 2024

Jak Mandolino

Non sono un conoscitore esperto dell’opera di Benito Jacovitti ma immagino che nel confezionare questo volume Sbam! Comics abbia privilegiato, per questioni filologiche o di diritti d’autore, le storie “pure” del personaggio eponimo, quelle cioè di cui era protagonista unico senza dividere la scena con altri eroi dell’universo jacovittiano. Poco male, visto che il materiale abbonda comunque.

La vicenda editoriale di Jak Mandolino ha inizio nel lontano 1953 quando vengono pubblicate delle storie brevi sulle pagine di Capitan Walter. Si trattava però di una versione embrionale del personaggio, un canonico gangster anni ’20 (in salsa jacovittiana, ovviamente) che poco avrà da spartire con la sua incarnazione definitiva e più originale: più che l’aspetto fisico diverso viene introdotto soprattutto il “diavolo custode” Satanicchio (poi Pop Korn e poi ancora Pop Corn) a fargli da suggeritore per le sue malefatte, immancabilmente destinate a fallire con le conseguenti rappresaglie verso il diavoletto. Il piatto forte è una storia lunga del 1967 (Un parazumparappappà di Jacovitti), un profluvio di trovate surreali tra soldi falsi e neonati rapiti in cui si incrociano un sacco di personaggi, tanto che lo stesso Jacovitti deve essere caduto nella trappola ipnotica della sua vulcanica inventiva e ha dovuto ricorrere al metafumetto per sbrogliare la matassa – che ha un bel finale del tutto ignorato nelle storie successive. Jak Mandolino torna infatti qualche anno dopo con due avventure di otto e sei tavole in cui fanno nuovamente capolino idee e trovate già viste nel Parazumparappappà. A chiudere la serie arriva una scatenata sequenza di otto storie brevi «per…» (cominciare, seguitare, far bumbum, far cucù…). Qui secondo me la qualità arriva al top: queste “jam session” di quattro tavole l’una sono veramente spumeggianti non avendo l’obbligo di sottostare a un’unica trama comune.

Visto l’ampio arco temporale che contempla il volume, dal 1953 al 1973, Jak Mandolino offre anche l’opportunità di assistere all’evoluzione dello stile di Jacovitti, che si coglie anche nella sempre più raffinata realizzazione del lettering.

A inframmezzare le storie del ladruncolo sfigato e incapace ci sono le strisce mute di Giuseppe, delle gag visive talvolta dall’esito poeticamente splatter. Non condivido l’idea che il protagonista rappresenti un fantomatico “italiano medio”, visto che a dominare sono trovate surreali e uno stile slapstick senza il minimo accenno a satira di costume.

Generoso l’apparato redazionale: Gianni Brunoro firma la prefazione (un «elzevirino») e sparsi per il volume ci sono interventi di Dino Aloi e Paolo Pizzato mentre in appendice Roberto Orzetti e Antonio Marangi spiegano la genesi del volume.

La stampa non è stata fatta a partire dalle tavole originali ma dalle scansioni delle riviste su cui comparvero i fumetti. Pur con i limiti che ciò comporta, il risultato non è affatto male, probabilmente anche grazie al particolare tipo di inchiostrazione di Jacovitti che procedeva per accumulo di trattini e segnetti. Piuttosto, il problema del volume è che è stato confezionato con materiali un po’ poveri: il cartoncino della copertina non è rigido e la carta è piuttosto sottile e può rovinarsi facilmente. Ma per 24 euro la Sbam! ci offre pur sempre ben 128 pagine a colori.

sabato 6 aprile 2024

Fumettisti d'invenzione! - 190

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

IT’S LONELY AT THE CENTRE OF THE EARTH (TUTTA SOLA AL CENTRO DEL MONDO)

(Stati Uniti 2022, © Zoe Thorogood, autofiction)

Zoe Thorogood

Dopo la fine di una relazione e il conseguente tentativo di suicidio (reale o immaginario che sia) l’autrice del graphic novel di successo Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott racconta i mesi successivi, in un crescendo di vittimismo e autocommiserazione più qualche vago accenno alla scena attuale del fumetto made in USA. Per fortuna disegna bene.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

PARODIE (pag. 67)

ARCH AND THE TEEN-STALK! (IL FAGIOLO FATATO!)

(Stati Uniti 1968, in Not Brand Ecch, © Marvel Comics Group, parodia)

Roy Thomas [Roy William Thomas Jr.] (T), Jim [James Noel] Mooney (D)

Lo staff della “Marble” è riuscito a trovare delle trame libere da copyright da sfruttare per evitare di inventarsene di nuove: quelle delle fiabe. L’occasione è quella di “omaggiare” personaggi e riviste del mondo del fumetto.


Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

SENZA TITOLO

(Stati Uniti 2006, in Legion of Super-Heroes, © Dc Comics, umorismo, supereroi)

Mark Waid (T), Amanda Conner (D)

Occasionalmente la pagina della posta della testata Legion of Super-Heroes veniva gestita dai protagonisti stessi del fumetto. Sul numero 13 ecco quindi Karate Kid (si chiama davvero così!) e Shadow Lass duettare momentaneamente con gli autori.


CINEMA  (pag. 81)

HEAVY TRAFFIC

(Stati Uniti 1973, commedia, animazione)

Regia: Ralph Bakshi; sceneggiatura: Ralph Bakshi, con Joseph Kaufmann (Michael Corleone), Beverly Hope Atkinson (Carole)

Lungometraggio misto di animazione (la maggior parte) e riprese dal vero. Lo sfaccendato Michael gioca ossessivamente a flipper e immagina, o forse trasfigura, una realtà a cartoni animati in cui tra il degrado della metropoli e la violenza della sua famiglia disfunzionale italo-ebrea disegna fumetti che almeno gli valgono qualche bevuta offerta dall’amica barista Carole e con cui potrebbe raggiungere il successo presentandoli a un editore moribondo. Nella sua immaginazione la situazione degenera sempre di più, ma per fortuna la realtà è ben diversa.

giovedì 4 aprile 2024

Marvel Age #1000

Ennesimo volume celebrativo della Marvel. Alla Marvel sono sempre che celebrano qualcosa, beati loro.

Si esordisce con una storia che riguarda la prima Torcia Umana, l’androide degli anni ’30 (o ’40, o quando diavolo era). Potentissimo ma ingenuo, vorrebbe seguire le orme del suo personaggio radiofonico preferito tratto dai fumetti invece di essere esibito come curiosità dal suo inventore. Di fronte alla scoperta che il suo eroe non esiste nella realtà riceve una lezione sulla necessità di avere delle figure-guida irrealistiche che incarnino dei valori assoluti che un essere umano comunque non può mai seguire del tutto ma da cui può trarre ispirazione. Una metafora dei supereroi, insomma. Un bel fumetto, non a caso l’ha scritto Mark Waid. Disegni per nulla disprezzabili di Alessandro Cappuccio, che però disegna certi particolari come se la storia fosse ambientata adesso e non 80 anni fa – ma magari è proprio così?

Segue la solita storiella infantile con l’Uomo Ragno, impegnato a messaggiare mentre combatte Lizard. Scritta e disegnata (pupazzettisticamente) da Ryan Stegman, potrebbe avere un certo fascino per lettori dai 10 anni in giù.

Rainbow Rowell e Marguerite Sauvage allineano alcuni sprazzi della vita dei primi X-Men concentrandosi principalmente su una Jean Grey un po’ sola tra gli altri membri maschi e soprattutto desiderosa di non essere considerata solo la classica damigella in pericolo. Storia molto carina e soprattutto disegnata (e colorata) bene.

Dan Slott si diverte poi a raccontare una storiellina su Capitan Marvel con lo stile degli anni ’60 (o ’70?) coadiuvato dai disegni in tema dei coniugi Allred. Immagino riprenda un soggetto classico, comunque è molto carina.

Ma subito dopo ci pensa la storia su Devil ad abbassare il livello generale. Non che i testi di Armando Iannucci non siano interessanti, anzi: il supereroe cieco soffre di un sovraccarico uditivo che si scopre manifestarsi quando gli altri mentono! Bisogna un po’ sospendere l’incredulità e il finale è affrettato e irrisolto, ma il problema di questa storia non sono certo i testi quanto i disegni di Adam Kubert, che oltre a essere fastidiosamente deformed è spesso anche svogliato.

Arriva poi il solito desolante monologo interiore di Silver Surfer che si trasforma in un dialogo con Mefisto. Patetico e noioso, già visto molte altre volte, ma che belli i disegni i McNiven (che firma anche i “testi”).

Un po’ più interessante, per quanto conosca io i supereroi, la storia successiva a opera di Jason Aaron e Pepe Larraz, che mette in scena un’adolescente che odia i supereroi. Non mi pare che i personaggi Marvel visti “dal basso” siano una novità, e alla fine si tratta di una reclame della versione femminile di Thor di Aaron. Forse sviluppata un po’ di più la storia avrebbe avuto un minimo di sugo. Almeno Larraz disegna bene.

Per concludere, una simpatica ricognizione sulla trimurti Lee-Ditko-Kirby in versione bambini che “vedono” i supereroi e vogliono diffonderne la conoscenza nel mondo. Probabilmente Joseph Michael Straczynski avrebbe voluto fare un omaggio strappalacrime, ma io l’ho trovata una storiellina molto divertente. Stupefacente Kaare Andrews ai disegni: io me lo ricordavo pessimo, qui ha sfoderato uno stile realistico ed espressivo.

In appendice Tom Brevort spiega il senso e la progettualità di Marvel Age #1000, da cui evinco che di celebrazioni come questa ne fanno praticamente una all’anno. In questa postfazione c’è anche spazio per un divertente aneddoto sulle vecchie promozioni della Marvel – non molto divertente per i collezionisti, però.

Rispetto ad altri prodotti analoghi che conosco questo volume è quantomeno interessante con qualche punta di eccellenza; nulla per cui stappare lo champagne ma comunque una lettura gradevole. Al di là della bellezza che è lecito aspettarsi da Gary Frank, la sua copertina sintetizza bene i contenuti del volume.

martedì 2 aprile 2024

Double M 1: Le Trésor des Chartreux

Ho già spiegato quanto sia vantaggioso avere amici scienziati che periodicamente vanno in missione in giro per il mondo. Questo volume è un altro bonus, che mi ha lasciato stupito. Come quando si vedono i primi fumetti di Milo Manara. Eh, già: anche Felix Meynet ha dovuto fare un po’ di gavetta e agli esordi aveva uno stile ben diverso rispetto a quello con cui è conosciuto e apprezzato oggi.

La storia è ambientata nel 1969 ma prende le mosse durante la Resistenza francese, quando un maquisard fuggendo a un agguato rinvenne il favoleggiato tesoro del titolo che i monaci nascosero sulle montagne dell’Alta Savoia alla fine del XVIII secolo. Ma questo lo scopriremo solo a un terzo abbondante del volume: prima Roman e Meynet ci presentano i protagonisti della serie.

Mel Dalvoz è un escursionista e un istruttore di sci con un certo talento artistico, adesso che è bassa stagione viene ingaggiato come guida dalla bella Mirabelle, imbranata e vanesia (all’inizio pensava di affrontare le pendici con i tacchi alti) che però alla fine riserverà qualche sorpresa. Si trovano coinvolti nella ricerca del tesoro, ma non è una situazione semplice perché l’antico monastero venne inghiottito nel terreno da una delle periodiche frane della zona e leggenda vuole che ci sia pure un enorme lupo a custodirlo. E qualcuno quel lupo lo ha anche visto.

Come intuibile dalla copertina, la vicenda per quanto solida passa spesso in secondo piano rispetto ai battibecchi della coppia di protagonisti, lui sportivo un po’ orso e lei modaiola estroversa. Con ogni probabilità la destinazione originaria era la serializzazione su rivista: certi misteri vengono risolti nell’arco di una pagina (aspettare una settimana o un mese dopo un cliffhanger dava una tensione che qui è assente) e l’azione procede spedita pur tra ellissi. Alcuni passaggi possono sembrare un po’ inverosimili o forse Pascal Roman procedeva senza avere ancora in mente l’esatto sviluppo della storia, comunque alla fine tout se tient: anche troppo, purtroppo, perché il finale risulta affrettato e viene risolto con un deus ex machina. Ma da una parte i protagonisti non sono degli eroi classici e dall’altra nel 1991 i volumi inseriti nelle collane consolidate (in questo caso Génération Dargaud) dovevano essere di 46 tavole, salvo poche eccezioni di certo non riservate agli esordienti. Un discreto rammarico, ma niente di drammatico, è l’uso occasionale dell’argot della zona, che probabilmente mi ha fatto perdere certe sfumature dei dialoghi – dialoghi peraltro molto divertenti.

È impressionante vedere questo sgorbietto sproporzionato sapendo che poi sarebbe diventato la bellissima Mirabelle, l’archetipo delle stupende donne di Felix Meynet – ma già dopo metà volume le sue gambe si allungheranno provvidenzialmente! Lo stile del disegnatore savoiardo presentava all’epoca dei contorni ben marcati e una grande cura per i dettagli, alternando un tratto morbido a un altro più squadrato ma sempre con uno stampo caricaturale. Un po’ Sandro Angiolini e un po’ Martin Veyron, se rendo l’idea. Una certa attenzione, sempre spostata sul caricaturale, viene riservata agli animali che popolano le montagne.

Che bello tornare a leggere una bella storia investigativa/avventurosa come si usava una volta, anche se virata sull’umoristico. E anche se Meynet avrebbe spiccato il volo alla grande solo dopo un altro po’ di rodaggio, era già gradevole all’epoca.

Se non sbaglio recentemente è uscita una ristampa di Le Trésor des Chartreux con una nuova copertina. Chissà se hanno anche modificato la rappresentazione di un infermiere di colore all’inizio dell’albo, ben poco politically correct.

sabato 30 marzo 2024

Legione dei Super-Eroi di Mark Waid 1

Beh, il Daredevil di Mark Waid mi era piaciuto molto e da quel poco che ho visto di Barry Kitson mi sembrava disegnasse in maniera piacevole ed elegante: perché non dare una chance a questo loro lavoro comune?

La premessa è che nel XXXI secolo l’universo è pacificato e i minorenni sono controllati da un sistema virtuale di monitoraggio. La Legione dei Supereroi, se ho ben capito, è una formazione mutevole men che secondaria dell’universo DC e si oppone a questo stato di cose intuendo la necessità di intraprendere un approccio proattivo nei confronti delle minacce latenti costituite da quei sistemi che non fanno parte della coalizione dei Pianeti Uniti, o che minacciano di abbandonare questa ONU cosmica. Ed è qui che intervengono le miriadi di giovani idealisti che costituiscono la Legione, tra il sospetto (se non il disprezzo) della maggior parte degli altri abitanti del cosmo più vecchi che non capiscono i modi di questi giovinastri. Teddy Bob di Pier Carpi ma con tute sbriluccicanti.

A differenza della maggior parte degli altri fumetti di supereroi contemporanei pensati per la futura raccolta in trading paperback, queste storie (che esordirono a cavallo tra 2004 e 2005) sono sì tese verso un traguardo preciso ma offrono una trama abbastanza soddisfacente e conclusa in ogni singolo episodio, in equilibrio tra scontri contro minacce più o meno occasionali e sequenze da soap-opera. C’è la minaccia incombente di una guerra galattica ma si manifesterà solo alla fine del dodicesimo numero (su 13), e circa a metà strada farà la sua comparsa il villain dietro alle macchinazioni complessive. Un personaggio originale, tra l’altro, ad averlo conosciuto prima avrei ridimensionato una storia degli X-Men che evidentemente non era poi cosìoriginale.

Scrivere questo tipo di fumetto non deve essere facile. Ci sono una pletora di personaggi da mettere a turno sotto i riflettori e molti cadono fisiologicamente nell’anonimato oppure sono caratterizzati ricorrendo a stereotipi: Brainiac è il Dottor Spock della situazione, Cosmic Boy il leader carismatico, Ultra Boy la testa calda, Projectra la rampolla viziata… Anche come superpoteri i margini sono ristretti e alla fine ciò che caratterizza di più i Legionari sono i loro anelli che permettono il volo, il contatto telepatico e l’esclusione dal sistema di monitoraggio dei minorenni. Per allentare un po’ le catene di questi vincoli ogni tanto qualche back-up feature approfondisce la storia dei singoli personaggi oppure fa vedere alcune sequenze da un’altra prospettiva – da notare che oltre a un giovane Dale Eaglesham e un tal Scott Iwahashi che evidentemente ammira Eduardo Risso anche Dave Gibbons ha prestato le sue matite a queste appendici, in un paio di occasioni disegnate da Ken Lashley (chine di Greg Parkin e Paul Neary). Anche Waid in quei casi è stato sostituito da Stuart Moore.

La foliazione della serie era comunque più generosa della ventina canonica di pagine di un comic book e Mark Waid ha saputo infilarci un po’ di tutto creando suspense ma anche facendo sorridere. Poi neanche lui ha potuto fare miracoli col materiale di partenza e quindi alla fine tutto si risolve con una caterva di mazzate.

Barry Kitson è veramente molto piacevole da leggere e ammirare. Il suo stile grazioso e pulito può sembrare un po’ lezioso ma in realtà è perfettamente funzionale a raccontare queste storie in cui c’è sempre un po’ di dinamismo. E la bellezza del suo tratto rende meno traumatiche le immagini di un corpo squartato per un teletrasporto che non funziona o una spalla fatta esplodere da un personaggio che si ingrandito nel corpo di un altro. Ho notato un suo particolare pregio: inizialmente i volti dei suoi personaggi sembrano tutti uguali, e li si distingue per le tute o le capigliature. Ma una volta fatto l’occhio al suo stile ci si accorge dei molti raffinati espedienti che Kitson ha discretamente messo in atto per personalizzare i vari protagonisti.

Come dicevo il comic book della Legione era abbastanza corposo e forse Kitson non è il più rapido dei disegnatori, quindi già sul numero 4 viene sostituito (ottimamente) da Leonard Kirk e poi gli daranno man forte (o lo sostituiranno temporaneamente) Kevin Sharpe (con chine di Prentis Rollins) e Georges Jeanty.

Ovviamente un segno così pulito come il suo, quasi una Linea Chiara, finisce per rendere manifeste quelle pochissime sviste anatomiche in cui gli è capitato di incappare: un volto un po’ troppo allungato verso destra, un profilo non bellissimo come il volto dell’eroina presentata fino a quel momento, degli occhi non a bolla ma, dannazione, avercene di disegnatori come lui. E poi come mi insegnano i cultori dei comic book gli inchiostratori servono anche a questo: a prendersi le colpe del lavoro finito. Ma oltre a Mick Gray, James Pascoe, Drew Geraci e soprattutto Art Thibert, Kitson si è anche inchiostrato da solo!

giovedì 28 marzo 2024

Les Hautes Ténèbres

Il vantaggio di avere amici scienziati che vengono mandati in missione in giro per il mondo è che quando vanno nei paesi francofoni (il Belgio, nel caso specifico) magari passano per qualche fumetteria e mi portano dei volumi. Non che questo sia granché, ma a caval donato…

Pubblicato in volume extralarge nel 1985 Les Hautes Ténèbres si svolge agli inizi del XVI secolo, quando in Europa imperversano i contrasti religiosi. In una regione della Svizzera vengono individuati degli eretici e i Cattolici organizzano una squadra guidata da Jean De Corde, il suo amico Guido e un prevosto per far tornare sulla retta via i Luterani (o quello che sono) preferibilmente sterminandoli nel processo. La missione è dura perché i montanari padroneggiano il loro territorio impervio e sanno come far esplodere le montagne, ma grazie a un traditore i Cattolici potrebbero averne ragione. 56 tavole inframmezzate da vignettone di raccordo costituiscono la prima parte della storia.

Chiude il volume un episodio più breve, La Traque, di 43 tavole (anche queste inframmezzate da splash page) in cui si prepara l’ultimo assalto mentre Guido agonizza fino al frettoloso finale.

La storia non è malaccio, peccato che i disegni siano atroci. Non riesco veramente a trovare qualcosa a cui paragonare gli obbrobri di Gérald Crépel. Sembra un Muñoz o un Pratt a cui però manca qualsiasi base di disegno. Ignoro se in origine il fumetto fosse a colori, questa versione in volume presenta delle mezzetinte a volte molto scure che rendono ancora più ostica la lettura, anche perché il testo delle didascalie a volte è scritto proprio su un grigio molto scuro. E pure Glénat ci mise del suo invertendo l’ordine di due delle prime tavole e stampando Les Hautes Ténèbres su una carta assai porosa ma con la qualità tecnica di quella felice epoca pre-computer: in sostanza si intravedono ancora le matite usate per fare il lettering ma contemporaneamente il tratto è sbaffato.

Se ho capito bene questa collana “Grandes Chapitres” ospitò quelle serie pensate non tanto per la riproposizione nel classico volume di 48 o 64 pagine quanto per la serializzazione su rivista. Anche se numerati progressivamente in entrambe le parti, i singoli capitoli della prima hanno infatti un titolo proprio. L’elenco in quarta di copertina degli altri fumetti ospitati dalla collana contempla Rebecca di Brandoli e Queirolo, un integrale di Ernie Pike e Il Prigioniero delle Stelle di Font. Tutti altri pianeti rispetto agli sgorbi di Crépel. Il formato è inusitatamente grande per un fumetto che si basa su una struttura a sei vignette poco o nulla dettagliate, e che anzi proprio per le sue dimensioni sottolinea ancora di più le carenze del disegnatore. In appendice lo sceneggiatore Daniel Varenne approfondisce i temi trattati nel fumetto, esordendo curiosamente con considerazioni apparentabili a quelle che ho fatto io su Dago Nuova Ristampa 99.

mercoledì 27 marzo 2024

Ravenloft: L'Orfana di Agony Isle

Non bastava cambiare sesso ed etnia ai Lord di Ravenloft nella Quinta Edizione per assecondare i dettami del politically correct. Ci hanno pure fatto un fumetto e lo hanno disegnato come fosse un manga!

Ok, mi turo il naso e gli do una chance. La storia è ambientata a Lamordia, cioè il dominio frankensteiniano. Mi pare una nota originale: io un fumetto ambientato su Ravenloft lo avrei fatto esordire su Barovia. Un rottame umano femminile tenuto assieme dalle bende si risveglia nel laboratorio della dottoressa Viktra (eh, già, non più Viktor) Mordenheim, che ci va giù con l’infodumping: siamo a Lamordia e lì fuori c’è la sua arcinemica Elise. La rianimata tenuta su con lo sputo non ricorda niente della sua vita e viene ribattezzata Miranda. Un flashback ci induce a pensare che potrebbe trattarsi di tal Ursina Lenole perita per salvare il figlioletto. Ma è una falsa pista: ogni episodio a partire dal secondo è introdotto da una storiellina a se stante che mostra la morte di altri personaggi (storie astutamente mimetizzate coi racconti di Lamordia che legge Miranda) che sono entrati a far parte del puzzle ambulante che è Miranda. In sostanza in questo volume non succede nulla di rilevante ed è solo l’antipasto di qualcosa che dovrebbe uscire prossimamente. Che non ho la benché minima fretta di leggere.

Il ritmo della storia è sincopato e si fa un po’ fatica a seguirlo. Le sceneggiatrici Casey Gilly e Zoë Quinn non hanno preso bene le misure dei comic book e certi dettagli sono solo accennati, basandosi molto sulle ellissi. D’altro canto deve starci anche lo spazio per i racconti sui vari passati di Miranda. Al di là di questo, i dialoghi sono tanto artefatti da risultare ridicoli.

I disegni di Bayleigh Underwood sono il disastro cui accennavo sopra. Come si fa a prendere sul serio dei personaggi con gli occhioni e che si muovono come se fossero Kenshiro che attacca? E magari in origine il fumetto voleva pure essere drammatico se non horror, e invece finisce per essere ridicolo.

Un paio di “racconti nel racconto” sono occasionalmente sceneggiati da altri autori, Ryan Cady e Ro Mediavilla, e sono disegnati rispettivamente da Corin Howell (un po’ anonima all’interno dello stile caricaturale che va di moda negli USA), Vincenzo Riccardi (troppo grottesco per i miei gusti ma accidenti se è dettagliato e scrupoloso: forse c’è Moëbius tra i suoi ispiratori), Kayla Felty (manga ma più controllata e meno irritante) e Lisa Sterle (tratto marcato e caricaturale). Ottimo (almeno quello!) il lavoro dei coloristi Cris Peter, Patricio Delpeche e Agustina Vallejo – Vincenzo Riccardi si è colorato da solo.

Data la scarsissima carne sul fuoco immagino che lo scopo di questo fumetto sia anche e soprattutto quello di divertire gli appassionati di Ravenloft e della Quinta Edizione in generale a trovare le varie citazioni. E qua ho perso la bussola. O meglio, la mia bussola è aggiornata a trent’anni fa.

Quali «riti funebri» si sarebbero tenuti per Ursina Lenole se il canone del vecchio Ravenloft dice che a Lamordia non ci sono preti? I golem di Viktra/Viktor Mordenheim non dovrebbero essere impossibilitati ad attaccarlo (vedi l’avventura Adam’s Wrath)? Che c’azzecca l’Isola dell’Agonia che in origine era la tana di Adam? Come fa un tizio a sapere dell’esistenza del Faerun (Forgotten Realms) se dichiaratamente viene da Lekar, cioè da Darkon che è su Ravenloft? Cosa diavolo sono gli elfi del crepuscolo? E via così.

Sono troppo vecchio per questa roba…

lunedì 25 marzo 2024

Gli insetti 1

Nessuna novità in fumetteria, quindi ho dovuto spulciarmi vari volumi per non tornare a casa a mani vuote. E ho trovato, se non una chicca, comunque un fumetto piuttosto divertente.

Se non ricordo male queste tavole erano già transitate, almeno parzialmente, su Il Giornalino. Si tratta di brevi storielle, in una sola occasione di tre tavole ma più spesso one-pager, in cui vengono illustrate le proprietà di varie specie di insetti. A fare da collante occasionale tra le varie parti ci sono un nipote entusiasta del suo libro sul mondo degli insetti e la nonna che è invece disgustata dall’argomento. A chiudere un bel po’ di questi “flash” ci sono delle figurine ironiche sulle caratteristiche della singola specie finita sotto i riflettori, strutturate un po’ come carte di Pokemon (che non so come siano fatte, quindi diciamo in generale come un gioco di carte collezionabili).

Ovviamente questo prodotto è destinato all’infanzia, ma all’infanzia franco-belga e quindi per la sua qualità è godibile anche da un pubblico maturo. La spumeggiante irriverenza di Cazenove e Vodarzac non esclude quando necessario una buona dose di humour nero e i disegni di Cosby (al secolo Jérôme Pillot) sono pienamente inseriti nella tradizione della BèDè, con una grande attenzione alla modulazione del tratto che rende espressive e dinamiche le tavole, che pur essendo caricaturali mantengono sempre almeno un minimo di attenzione documentaristica. È strabiliante che questo sia stato il suo primo lavoro, anche se non era certo un ragazzino quando lo realizzò avendo già 32 anni. Buono anche il lavoro realizzato dai coloristi Alexandre Amouriq e Mirabelle.

In appendice Gli insetti presenta un dossier scritto, generosamente corredato di foto e con qualche disegno, che si occupa principalmente di mimetismo e camuffamento. Scritto dal solo François Vodarzac con lo stile leggero e ridanciano della parte a fumetti, riveste a sua volta un certo interesse – ho sempre ammirato gli insetti-stecco e gli insetti-foglia, ma la mantide-fiore è favolosa. E nelle ultime pagine c’è anche lo spazio per alcuni sketch a matita.

Un bel volume, insomma, che lo sarebbe stato ancora di più se stampato su carta patinata.

Ho visto che la #Logos Edizioni (che pubblica vari tipi di fumetti e non solo) ha in questa collana “I Fumetti della Ciopi” altre proposte che sembrano interessanti: dovessero ancora esserci ritardi di quanto ordinato, potrebbero essere un buon acquisto-cuscinetto.

domenica 24 marzo 2024

Ricevo e diffondo