giovedì 31 maggio 2018

Murena 4: Le Spine

Dopo ben 7 anni dall’ultimo volume 100% Panini Comics di Murena esce la nuova raccolta di due episodi originali, a ben 12 anni dall’uscita del primo. Le cause dell’attesa sono note: la dipartita di Philippe Delaby e la ricerca di un sostituto degno, oltre ai tempi tecnici necessari alla realizzazione di un volume franco-belga come dio comanda.
Ho sottolineato la distanza temporale dal primo volume per ricordare come all’epoca della sua prima apparizione in Italia Murena non beneficiasse del formato 19x26, introdotto in seguito proprio dalla Panini e che avrebbe caratterizzato le proposte franco-belghe di vari editori italiani. Nel 2006 la Panini, che ancora doveva prendere le misure alla BéDé, la pubblicava in un incongruo formato comic book che, se pure aveva un’altezza di 26 centimetri, poggiava su una base di soli 17 centimetri col risultato di dover rimpicciolire le tavole lasciando ampi margini bianchi sopra e sotto. Poi la Panini rimediò per Murena confezionando gli Integrali, ma prendere in mano questo volumetto dopo aver fatto l’abitudine al 19x26 è comunque un po’ uno choc.
Ma veniamo al fumetto in sé: Murena è una delle poche serie di Jean Dufaux che mi piacciono. Io trovo lo sceneggiatore molto dispersivo e più attento alle frasi a effetto che alla sostanza, ma qui ha saputo imbastire una vicenda di rude passionalità, con degli inserti grotteschi e sarcastici niente male e anche (se la memoria non mi inganna) con qualche riuscita punta drammatica. Questo, almeno, fino allo scorso volume visto che gli episodi di questo quarto “integralino” non mi sembrano molto riusciti, o comunque non ai livelli dei precedenti.
Il primo, che dà il titolo a tutto il volume, segue le vicende dell’apostolo Pietro e degli altri cristiani capri espiatori perfetti per l’incendio di Roma sotto il regno di Nerone, opportunamente consigliato da un arcinemico di Lucio Murena. Balba inoltre regola i conti con Massam, nell’unica scena un po’ vivace di tutto l’episodio. Il protagonista, che già di suo (se ben ricordo) è più un testimone che un eroe, comparirà in un terzo delle pagine o poco più, limitandosi a lamentarsi e a scopare. Ahinoi, a tal proposito si profila pure l’ipotesi di una censura, visto che la numerazione delle tavole salta la 35, guarda caso proprio quella in cui si sarebbe potuto approfondire il rapporto carnale tra Murena e Claudia.
Nel secondo episodio, Il Banchetto, Murena riconquista l’amicizia di Nerone ma con un abusato e inverosimile stratagemma narrativo si ritrova privo della memoria e finisce per far parte involontariamente di una congiura contro il suo ritrovato amico imperatore. La trama non sarebbe nemmeno male, funghetti psicotropi permettendo, e soprattutto rispetto a Le Spine qui una trama c’è, ma Dufaux (che pure scrive delle didascalie e dei dialoghi più ispirati e convincenti) si perde nei rivoli secondari della vicenda portante, spettegolando ad esempio sugli amori di Petronio, col risultato di rubare spazio alla vicenda portante, tanto che arriva alla fine col fiato corto e deve accelerare bruscamente per giungere alla conclusione prevista per questo episodio, nonostante conti ben 54 pagine.
Alla fine la cosa più riuscita di questi episodi sono le note finali con cui Dufaux approfondisce certi dettagli dei testi: non sto scherzando, l’ironia che traspare da molte annotazioni e gli occasionali “dietro le quinte” produttivi sono un piacere da leggere, ben più appassionanti di un fumetto che tende spesso a ristagnare o a girare a vuoto su se stesso.
Ai disegni Philippe Delaby si conferma il mostro di bravura che già conoscevamo. Il formato ridotto non gli rende molta giustizia ma in fondo nemmeno lo mortifica troppo. La qualità di stampa non è molto buona, e i colori di Sébastien Gérard, pur validi (per quanto possano esserlo dei colori fatti col computer), forse hanno contribuito a “pixellare” le tavole.
Theo (al secolo Theo Caneschi) si rivela una scelta azzeccatissima per continuare la saga: anche se il suo stile tende vagamente al caricaturale, il rigore delle anatomie e la profusione di dettagli non fanno affatto rimpiangere Delaby. I protagonisti hanno dei volti un po’ diversi nella sua interpretazione, ma è una cosa fisiologica e comunque il risultato complessivo è ottimo. La composizione dell’ultima tavola è veramente efficace, anche se immagino che sia dovuta a una intuizione di Dufaux. E anche nel suo caso il colorista (Lorenzo Pieri) ha fatto un buon lavoro, migliore di quello di Gérard, e se ha usato il computer non si vede proprio e i colori sembrano acquerelli e matite. La parte di Theo non accusa problemi di stampa.
È un po’ paradossale che per Cani Sciolti sia stato usato un incongruo formato extralarge quando per Murena, che ne avrebbe decisamente beneficiato, si è optato (coerentemente con la collana in cui è inserito) per il formato comic book.
Se ho ben capito, con il nono e il decimo episodio della saga qui raccolti dovremmo essere giunti a metà del terzo ciclo narrativo dei quattro previsti per Murena. Dopo la doccia fredda di questi testi non proprio appassionanti non è che abbia tutta ’sta voglia di leggermi i prossimi, e mi sa che se proprio dovrò farlo proverò a procurarmeli in un altro formato.

mercoledì 30 maggio 2018

Ricevo e pubblico



COMUNICATO STAMPA

MASTERCLASS SULLA CRITICA E SUL GRAPHIC JOURNALISM AL FESTIVAL DEL GIORNALISMO DI RONCHI DEI LEGIONARI

Le masterclass saranno ospitate all’auditorium comunale di Ronchi dei Legionari, sono gratuite e aperte a tutti e la prenotazione può essere anticipata fino al giorno 8 giugno compreso.

Il giorno 8 giugno (Piazzetta Francesco Giuseppe, ore 18.30) saranno ospiti del Festival del Giornalismo di Ronchi dei Legionari, alcuni dei principali esponenti del graphic journalism italiano: Claudio Calia (“Porto Marghera. La legge non è uguale per tutti”, 2007; “È primavera. Intervista a Antonio Negri”, 2008; “Caro Babbo Natale…”, 2008; “Dossier TAV. Una questione democratica”, 2014; “Piccolo Atlante Storico Geografico dei Centri Sociali Italiani”, 2014; “Kurdistan. Dispacci dal fronte iracheno”, 2017), Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis (“L’ammaestratore di Istanbul”, 2009; “A cena con Gramsci”, 2011; “Pertini fra le nuvole”, 2013; “Arrivederci Berlinguer”, 2013; “Diario segreto di Pasolini”, 2015; “Fedele alla linea. Il mondo raccontato dal graphic journalism”, 2017). Saranno moderati nell'occasione da Matteo Stefanelli, responsabile del più importante web magazine quotidiano italiano dedicato al fumetto.
A margine dell'incontro il Festival promuove per la mattinata del 9 giugno, a partire dalle 11, due masterclass (incontri di approfondimento), dedicate al ruolo della critica e alle sue trasformazioni nella società “tecnologica”contemporanea e all’importanza dell’impegno diretto nel mondo esterno per la restituzione illustrata dei fatti.
Le due masterclass saranno tenute da Matteo Stefanelli, docente di linguaggi audiovisivi presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Histoire de la bande dessinée italienne e Théories de la bande dessinée presso l'Ecole Européenne Supérieure de l'image di Angoulême, nonché direttore del web magazine “Fumettologica”, la pagina forse più importante dedicata in Italia all’informazione e alla cultura del fumetto e alle sue propagazioni, e da Claudio Calia, fumettista, attivo da anni per la casa editrice BeccoGiallo.
Le masterclass saranno ospitate all’auditorium comunale di Ronchi dei Legionari.
Le masterclass sono gratuite e aperte a tutti.
Le prenotazioni possono essere anticipate fino al 8 giugno compreso, inviando una email ad Associazione culturale ETRA,  info@culturaeticaetra.com.
Si prega di specificare nel testo la masterclass a cui si vuole assistere. È ammessa la prenotazione contemporanea ad entrambe le masterclass.



COMUNICATO VITTORIO GIARDINO 6/7 giugno 2018

Mercoledì  6 giugno 2018, ore 18.00
Incontro con  Vittorio Giardino, “La memoria sbiadita della frontiera. Il libraio di Praga” (organizzato dall’Associazione culturale ETRA di Monfalcone, che cura l’evento per Leali delle notizie).
Il giorno 6 giugno, alle ore 18.00, presso l’auditorium comunale di Ronchi dei Legionari, quale evento collaterale alla quarta edizione del Festival, sarà ospite Vittorio Giardino, uno dei maestri indiscussi del fumetto italiano e internazionale.
L’autore affronterà nell’occasione i temi a lui più cari: il racconto per immagini, l’impegno documentaristico, approfondendo contemporaneamente i fatti storici e le tematiche che hanno dato spunto alle storie narrate.
Il contesto in cui si sviluppano le narrazioni di Giardino sono le principali vicende del Novecento: l’antisemitismo, la Guerra di Spagna, la Primavera di Praga, gli Anni di Piombo.  I suoi lavori, sempre sorretti da sceneggiature letterarie e dialoghi colti, sono caratterizzati da un disegno che rielabora la tradizione della linea chiara franco-belga, di cui Giardino è in Italia forse il principale esponente.

In collaborazione con il Festival, Vittorio Giardino sarà anche ospite giovedì 7 giugno, alle ore 18.00, della Libreria Lovat di Trieste (Viale XX settembre, 20). L’incontro porterà a conclusione i temi trattati con l’autore nella giornata del 6 giugno, permettendo, nell’idea degli organizzatori, di garantire al pubblico una disamina approfondita dell’autore e del suo testo, affrontata sotto punti di vista molteplici. Se a Ronchi dei Legionari verranno approfondite le vicende storiche e politiche correlate alla trama del testo, a Trieste verrà approfondita l’attività quarantennale dell’autore nel panorama del fumetto internazionale, approfondendo la costruzione del suo ultimo lavoro.
I due incontri costituiranno di fatto un incontro unico, a beneficio della narrazione attenta e speculativa dell’autore.
A dialogare con l’autore in entrambi i contesti Alessandro Mezzena Lona.
A coordinare gli incontri Roberto Franco dell’Associazione culturale ETRA di Monfalcone


Vittorio Giardino
E’ uno dei più importanti autori del fumetto italiano.
Nato nel 1946 a Bologna, già ingegnere elettronico, a trent’anni abbandona la professione per dedicarsi al fumetto.
Tre anni dopo le sue opere cominciano ad essere tradotte all'estero e gli valgono i primi riconoscimenti internazionali come il premio "Yellow Kid" di Lucca, il "Saint Michel" di Bruxelles, i premi di Sierre, Reims, Lugano, Solliès-Ville, Charleroi, ecc.
Nel 1995 con Jonas Fink-"L'Enfance" vince il premio per il miglior album straniero al festival di Angoulême in Francia e l’Harvey Award al festival di San Diego in California.
Lavora da sempre anche nel campo dell'illustrazione e dell'affiche, ma il suo interesse principale resta il fumetto. I suoi lavori sono stati tradotti in 14 lingue e pubblicati in 18 paesi.
In Italia ha collaborato a quotidiani come il Corriere della Sera, La Repubblica, il Messaggero, l'Unità, a periodici come L'Espresso, Vogue, etc.
Tra i suoi volumi pubblicati in Italia si possono ricordare: Sam Pezzo-Un detective, una città (Rizzoli  Lizard), Rapsodia ungherese (Edizioni Lizard), La Porta d'Oriente (Edizioni Lizard), Little Ego (Edizioni Comic Art), Vacanze fatali (Rizzoli Lizard), Viaggi inquieti (Edizioni Lizard), Viaggi di sogno (Edizioni Lizard), Jonas Fink-L'infanzia e Jonas Fink-L'adolescenza (Edizioni Lizard), Max Fridman (Gruppo Editoriale L’Espresso), Eva Miranda (Edizioni Lizard), No pasarán (Rizzoli Lizard), L’avventuriero prudente (SCM edizioni).
Inoltre per approfondire la sua arte di illustratore e disegnatore: Lusso-Calma-Voluttà (Edizioni Di), La metà seducente (Edizioni Di), Cad Girl (Edizioni Di), Tratti d’autore (Edizioni Di).
Nel 2018 esce in Italia, per Rizzoli Lizard, “Una vita sospesa", volume che raccoglie l’intera saga dedicata a Jonas Fink, assieme alla sua inedita parte conclusiva intitolata “Il libraio di Praga”. 


Le informazioni specifiche su tutti gli appuntamenti del Festival e il programma completo sono consultabili all’indirizzo:
festivaldelgiornalismoronchi.wordpress.com
per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito:
lealidellenotizie.wordpress.com
o seguire la pagina facebook dell'Associazione.

martedì 29 maggio 2018

Immaginario Sexy Volume Quarto: Ediperiodici

Quarto e finora di gran lunga più corposo volume della collana regolare. Di conseguenza anche il prezzo è lievitato in proporzione, toccando quota 55 euro ma a fronte di ben 344 pagine.
Stavolta sotto i riflettori sono le varie case editrici ed etichette editoriali di proprietà di Giorgio Cavedon, riprendendo idealmente un discorso interrotto al primo volume quando venne ricordata la scissione tra lui e Barbieri.
La parziale delusione di non trovare nessuna introduzione (ma nemmeno il terzo volume ne aveva una) viene controbilanciata da una disquisizione sulla trovata delle “super antologie”, un marchio di fabbrica dell’editore che si concentrava principalmente su testate generiche, talvolta appunto antologiche, senza personaggi fissi. Anche per questo motivo mi sembra che i prodotti della Ediperiodici e associate fossero meno interessanti di quelli della concorrente Edifumetto, ma non me ne intendo ed è solo un’impressione, anche se suffragata dal fatto che Cavedon lanciava testate una dietro l’altra visto che spesso non duravano nemmeno sei mesi (ma le registrava tutte ogni volta?! Avrà speso un bel po’ solo per quello). Oltretutto, da una rapida scorsa non risulta che ci siano molte rarità ambite dai collezionisti né tra le collane più vecchie né tra quelle più recenti. Per chi volesse fare le opportune verifiche comparate rimando agli impagabili blog di Tippy e Charles.
A livello compilatorio questo volume deve essere stato il più impegnativo per Luca Mencaroni e il suo staff, visto che alcune collane nascevano in realtà come numeri speciali di altre oppure finivano la loro corsa come supplementi di altre collane ancora. Inoltre uno stesso numero di un pornetto, in particolare quelli della serie Corna Vissute, poteva avere un titolo diverso e una copertina stampata in maniera leggermente diversa, come dalle evidenze fornite da Mencaroni. E da un certo momento in poi Cavedon ristampò di tutto e indiscriminatamente, senza criteri tematici o cronologici. Non a caso questo volume è integrato da una ricchissima appendice che contempla anche le riviste fotografiche, i ricopertinati e i manga (o presunti tali).
Anche stavolta non mancano le chicche, sorprese inaspettate come un pornetto simil-comic book disegnato da Corrado Roi o una copertina di Storie Nere Ultra Hard nientemeno che del grande Sicomoro, realizzata in un’epoca (1996) in cui era già da almeno un decennio una star internazionale, o perlomeno europea. Sulla copertina di A Porte Chiuse 119, poi, mi sembra che Giovanni Alessandri alias Aller “citi” la Druuna di Eleuteri Serpieri!
Purtroppo questo quarto volume è caratterizzato da più refusi del solito, ma d’altra parte l’aspetto più rilevante di questa opera enciclopedica è quello iconografico. Fatte salve eventuali altre uscite extra come gli speciali dedicati a Zora e Isabella, il prossimo volume che tratterà gli editori minori dovrebbe essere l’ultimo della collana.

domenica 27 maggio 2018

Cani Sciolti: Sessantotto

Anni fa Sergio Rossi (mi pare fosse lui) aveva rilevato su Fumo di China come la collana Un Uomo Un’Avventura fosse un esperimento non del tutto riuscito, perché accanto a opere che necessitavano del grande formato e della confezione lussuosa ne venivano proposte altre realizzate secondo i consueti canoni produttivi della Cepim, che mal figuravano tra i lavori di Pratt, Battaglia, Toppi, Crepax, Micheluzzi e compagnia, risultando in definitiva un qualsiasi fumetto popolare ingrandito.
Quando ho ordinato Sessantotto mi aspettavo un po’ questo aspetto blowuppato sulla falsariga de L’Uomo del Texas, ma non pensavo che sarebbe stato così marcato, tanto più che la serie dovrebbe uscire con il nuovo formato bonelliano più grande – e un po’ lo si nota nella diagonale delle tavole, che sono leggermente più strette e alte.
Come dice il titolo, la storia prende le mosse dalle occupazioni studentesche a Milano nel fatidico 1968. Il primo episodio qui raccolto è prettamente introduttivo e presenta i sei protagonisti. Nel secondo c’è un salto in avanti di 20 anni esatti e ci troviamo in quella che è diventata la Milano da bere, in cui un fotografo ha allestito una mostra che contempla anche la foto scattata ai sei alla fine del precedente capitolo, con l’intenzione di trovare le tracce degli allora ragazzi per scoprire cosa fanno adesso. Titolo della foto e anche dell’episodio è appunto Dove siete?. In questo secondo capitolo si riallacciano alcuni fili col passato, viene mostrato o intravisto il destino dei sei e si seduce il lettore invogliandolo a scoprire cosa sia successo nei vent’anni trascorsi, alludendo all’adesione alla lotta armata di almeno uno dei “Cani Sciolti”. La narrazione apparentemente gira a vuoto, con lunghe parti puramente descrittive, lunghi dialoghi che al momento non sembrano essere indispensabili nell’economia della storia e qualche accenno di crisi esistenziale degli ormai quarantenni (pura fantascienza per un quarantenne precario del 2018). Eppure il fumetto è incredibilmente avvincente.
Lo stile di Manfredi è scorrevole e gradevolissimo, il ritmo sincopato dovuto ai flashback è incalzante e l’utilizzo di aneddoti di prima mano (impressione confermata nell’intervista in appendice) rende Cani Sciolti estremamente realistico. I dialoghi sono tra i più veri che abbia mai letto in un fumetto Bonelli, per quanto a Lina scappi un «Santa polenta» alla fine, e la cura per i dettagli è evidente ed encomiabile: di Auschwitz, ad esempio, viene citata la versione dell’Equipe 84, sicuramente più conosciuta all’epoca rispetto a quella di Guccini. Ma il fascino del fumetto non si esaurisce qui. Accanto alla scrupolosa ricostruzione della temperie di un’epoca (anzi, di due, e gli anni ’80 secondo me sono evocati addirittura con maggiore efficacia) Manfredi non risparmia qualche accenno sarcastico al fatto che il ’68 potrebbe anche essere stato per alcuni un paravento dietro cui azzardare gli approcci sessuali che il clima del momento consentiva. Non solo: c’è anche qualche considerazione a latere, assai meno sarcastica, sulla possibilità dell’adesione alla rivoluzione della borghesia, qui rappresentata anche dalla rampolla di un dirigente di Mediobanca – ma tra i “proletari” Turi è figlio di un vigile urbano, la mamma di Pablo ha un ristorante e i genitori di Lina hanno una pasticceria: un proletariato ben poco proletario, insomma. Veramente ficcante, poi, la considerazione sull’utilizzo che la società dei consumi ha fatto di quegli stessi slogan che erano nati per contestarla.
Come testi siamo quindi di fronte a un ottimo lavoro, dal soggetto molto originale (credo sia l’unico fumetto italiano non satirico sul ’68), scritto in maniera coinvolgente e realistica da uno dei testimoni oculari del movimento, senza mai cedere ad alcuna mitizzazione. E al lettore resta senz’altro la curiosità di vedere come si riempiranno i vent’anni tra una linea temporale e l’altra. Ai disegni, però, abbiamo Luca Casalanguida.
L’effetto blow up di cui ho detto sopra sarà anche colpa dello sceneggiatore, che in alcuni casi arriva a tre misere vignette per tavola e comunque non supera mai le sei, ma il sintetico disegnatore ci mette molto di suo. Casalanguida è uno di quei disegnatori che vengono alternativamente definiti “impressionisti” o “espressionisti”, quelli che risolvono con una pennellata bella grassa i contorni di una figura e che non stanno lì a perdere tempo a ricercare l’anatomia giusta o a perdersi in tratteggi, preferendo concentrarsi sull’espressività dei personaggi e sull’atmosfera che cercano di rendere, spesso in barba a una raffigurazione realistica dei soggetti. Quasi sempre i controtelai delle porte, i montanti delle finestre, le cerniere dei libri e l’aggetto delle mensole non vengono nemmeno disegnati: tanto il lettore sa che esistono comunque. Parecchi universi di distanza da Gaudenzi, Alligo, Angelici e Masciangelo, insomma, ma per alcuni tipi di storie questo stile può andare benissimo. Cani Sciolti non mi pare proprio una di queste.
Casalanguida rende in maniera magistrale il silenzioso fastidio di Milo contrapposto alla soddisfazione di Turi nell’ultima vignetta di pagina 21, e non manca qualche altro bell’exploit dello stesso tipo, ma gli sfondi, gli interni e le scene di massa sono desolatamente piatti e poveri. Laddove un qualsiasi fumettista franco-belga alle prime armi avrebbe riempito i muri e i cartelli branditi dagli studenti di scritte dettagliate, Casalanguida si limita spesso a mettere due ghirigori in croce e, santo cielo, non finge nemmeno di disegnare mattoni o increspature sui muri (tanto per rimanere all’abc) che anche se superflui sarebbero comunque serviti a vivacizzare un po’ le tavole. Le architetture trovano il loro punto più basso a pagina 24, con tanto di torre storta nell’ultima vignetta. Ok: è vero che le tavole sono pensate per un formato più piccolo, così come i disegni devono essere fisiologicamente “vuoti” per permettere ai coloristi di fare il loro lavoro (o almeno spero, alcuni commenti di Manfredi riportati in appendice farebbero temere che tutta la serie sarà in bianco e nero, spero di no perché altrimenti la povertà di certe vignette sarebbe veramente ingiustificabile) ma secondo me un altro disegnatore più dettagliato e volenteroso avrebbe fatto comunque una buona figura anche se ingrandito. Il ricorso al copia/incolla permesso dai mezzi informatici non aiuta a scrollare di dosso da Casalanguida la sua glaciale e austera frugalità, anzi la sottolinea ancora di più. Oltretutto, ogni tanto la qualità di stampa zoppica e i suoi tratti risultano un pochino pixellati, ma forse la colpa è anche del programma che ha usato per disegnare visto che i casi più macroscopici si verificano nelle “pennellate” più corpose e compatte. Inoltre, tutto il lavoro di documentazione fatto per ricostruire le due epoche anche tramite le architetture e i vestiti non ce lo vedo proprio, se non forse nel secondo episodio. Lo stile di Casalanguida avrà sicuramente i suoi pregi, ma è del tutto inadatto per Cani Sciolti.
A integrare questo volume cartonato e inutilmente grande (22,5x30: più dell’Integrale di Blacksad, dannazione) ci sono la presentazione dell’opera a cura di Manfredi, le schede dei personaggi e un’intervista allo stesso Manfredi, tutte cose che bastano a non farmi rimpiangere l’acquisto. Certo, ci sarebbe pure qualche schizzo di Casalanguida, ma è praticamente indistinguibile dal risultato finale vista la sua avarizia grafica. A proposito dell’acquisto, la Bonelli si trova anche in questo caso (come ormai da anni) a subentrare alle altre case editrici che in precedenza raccoglievano i suoi fumetti in formato da libreria, occupando la fascia alta del mercato. Il prezzo di vendita è 19 euro, forse qualcosina di meno si sarebbe potuto fare considerando che si tratta quasi di materiale promozionale propedeutico alla “vera” serie che uscirà tra qualche mese, e che il volume non è nemmeno stampato su carta patinata.
Questo primo assaggio di Cani Sciolti nel complesso mi è piaciuto, ma credo che aspetterò la serie da edicola per seguirlo nella sua dimensione corretta. Anche perché, se tanto mi dà tanto, Casalanguida potrebbe benissimo essere capace di buttare giù 60 tavole al mese ed essere quindi l’unico disegnatore della serie, assolutamente controproducente da “valorizzare” con altri volumi di queste dimensioni, che comunque non sono nemmeno sicuro che la Bonelli continuerà a pubblicare ancora dopo questo.

martedì 22 maggio 2018

Un croosover italiano prima dei crossover

Se non erro il primo vero crossover, o almeno un abbozzo di questa pratica tipica del fumetto statunitense, viene fatto risalire alla "Zatanna's Quest" che si sviluppò sullo sfondo più albi della DC Comics a metà anni '60.
Ma già nel 1960, sul numero 32, Il Monello ospitò una specie di crossover tra personaggi di due testate diverse:
Ok, più che un crossover mi sembra un team up. Anzi, più propriamente una marchetta pubblicitaria, ma comunque era una curiosità che meritava la segnalazione (e chissà quante altre simili ci sono state nel fumetto italiano meno conosciuto).

sabato 19 maggio 2018

Uhm...

La copertina dell'ultimo supplemento di Linus proclama la presenza anche di "Un Manifesto a colori di Ferdinando" ma nella mia copia non ce n'è traccia. Era già successa una caso simile con il foglio volante dove era stato presentato Calligaro (ma di quello ho l'originale dell'epoca).
L'assenza riguarda solo la mia copia/edicola o è una cosa generalizzata?

giovedì 17 maggio 2018

American Gods 1: Le Ombre

Questo fumetto potrebbe essere preso a paradigma di come non si dovrebbe trasporre la letteratura in letteratura disegnata, se non fosse che sicuramente lo stesso Gaiman, autore del romanzo da cui è tratto, avrà contribuito o perlomeno avallato questa versione.
In Le Ombre c’è una nettissima predominanza di didascalie che probabilmente sono prese di peso dalla fonte originale, e i dialoghi compaiono quasi solo quando erano previsti nel testo di partenza. Questa, almeno, è l’impressione che ho avuto io, che non ho letto il romanzo.
Il risultato porta così a un tempo di lettura molto lungo (cosa che è comunque gratificante, tanto più nell’asfittico mercato statunitense) ma anche a un freddo distacco tra il lettore e i personaggi, che sembrano recitare una parte piuttosto che “viverla”. C’è comunque un certo margine di libertà per l’utilizzo di alcuni espedienti propri del linguaggio del fumetto (la resa del passaggio del tempo con vignette molto simili, l’architettura creativa delle tavole) che non bastano però a modificare l’impressione generale.
La storia si sviluppa inoltre molto lentamente, con Shadow uscito di galera che viene ingaggiato come guardaspalle dal misterioso Wednesday in previsione di una prossima “tempesta” che sconvolgerà il piano della realtà in cui risiede. Volendo adattare fedelmente un romanzo che in quanto tale ha i suoi tempi specifici e può permettersi tutte le divagazioni che vuole, il fumetto comincia a ingranare appena dal sesto dei nove episodi che lo compongono, quando si ha la conferma di cosa sono (o erano) veramente Wednesday e i suoi bizzarri amici.
Le varie storie brevi che costellano la trama portante avranno sicuramente un loro peso nel quadro complessivo che avremo alla fine di tutta l’operazione, e in effetti già in questo primo volume si colgono alcuni collegamenti, ma per il momento danno più l’impressione di una zavorra non indispensabile, e si arriva al “finale” con più domande che risposte mentre nell’ultima pagina occhieggia l’annuncio del prossimo volume che immagino a sua volta non esaurirà ancora tutta la vicenda.
American Gods è stato trasposto a fumetti, con la benedizione dello stesso Gaiman, da Paul Craig Russell che ha curato sceneggiatura e layout delle tavole poi materialmente realizzate da Scott Hampton. L’inserimento di immagini fotografiche appena dissimulate a volte tende a essere un po’ invasivo. La presenza di storie-satellite ha portato alla partecipazione di altri disegnatori: Walter Simonson, Colleen Doran, Glenn Fabry (aiutato da Adam Brown) e lo stesso Craig Russell che disegna in prima persona una storia breve. Altri artisti hanno fornito il loro supporto a vario titolo: David Mack figura come responsabile del “layout degli interni” (più che altro, mi sembra che abbia disegnato e dipinto molte variant cover) e le copertine originali di Fabry diventano le intestazioni dei singoli capitoli. Curioso che il colorista (ammesso che sia solo uno) non venga indicato, forse è Lovern Kindzierski o forse lo stesso Hampton. Graficamente American Gods si situa tra il molto buono e l’eccellente (particolarmente apprezzabili i contributi della Doran e di Fabry), e ho gradito persino lo spigoloso Simonson.
In appendice a questa edizione Oscar Ink, immagino come nel volume originale, c’è una pletora di variant cover, tavole in bianco e nero e schizzi preparatori. Forse per arginare il dramma dei lettori fotosensibili che a loro dire rimangono accecati dai riflessi di luce artificiale sulla carta patinata, la Mondadori ha stampato American Gods su una uso mano opaca.

martedì 15 maggio 2018

Fumettisti d'invenzione! - 130

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

G SENJOU HEAVEN’S DOOR
(Giappone 2000, in Ikki, © Shogakukan, commedia)
Yoko Nihonbashi

I destini di due generazioni di mangaka si rincorrono in questo manga che alterna elementi leggeri ad altri decisamente drammatici.
Machizo Sakaida è figlio del mangaka di successo Daizou Sakai, con cui non ha un buon rapporto ritenendo che i suoi manga siano scadenti. Si è appena trasferito in una nuova scuola e dopo alcuni contatti problematici farà amicizia con Tetsuo Hasegawa, bravissimo mangaka dilettante che aveva cessato di disegnare ritenendo che un manga realizzato per il padre divorziato (l’aspirante mangaka Tetsuhito Akuta, ora editor presso la casa editrice per cui lavora Sakai) fosse stato la causa della malattia della madre.
Le vite dei vari personaggi sono strettamente intrecciate nel corso delle loro esistenze: fu dall’incontro con un giovanissimo Tetsuo che Daizou trovò lo stimolo per continuare a fare manga, così come il padre di Tetsuo diverrà redattore in capo della casa editrice minacciando di far concludere la serie di Daizou.
Oltre agli altri esordienti come Tetsuo e Machizo, viene citato come mangaka una certa Shukoh Ishinami, ultima “nuova proposta” pubblicata da Shonen Fight che scomparve misteriosamente sei anni prima (in realtà già nel cast della serie sotto falsa identità) e la mangaka Miyako Machida, che divide lo studio con l’assistente professionista che insegna a Machizo come disegnare manga. Viene anche citato tal Fujitani. Kishichi Ioka è un altro mangaka che lavora per Shonen Fight.
Seguendo il destino che le linee di sangue hanno tracciato per loro, Tetsuo diventerà un editor e Machizo un autore di manga, sia testi che disegni.
Pseudofumetti: Ore-Tachi no Banka di Daizou Sakaida. Ao ni Sai è il primo fumetto realizzato da Daizou Sakaida ancora col suo vero nome, che poi cambierà in “Sakai” per renderlo più facile da pronunciare ai giovani lettori. Sakura no Michi, il manga di Tetsuo, avrà a sua volta un grandissimo successo. Quando Tetsuo tenterà il suicidio rimanendo ferito nella mano che usa per disegnare, sarà Machizo a fornirgli le “mani” per fare i disegni con cui continuare la serie.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

I SOPRAVVISSUTI
(Italia 2017, in Linus, © Hurricane Ivan, grottesco)
Hurricane [Ivan Manuppelli]

Un cast variegato di personaggi dalle forme e dalle indoli diverse vive delle vicende surreali che talvolta sono il riflesso della realtà sociale italiana.
In previsione dell’imminente cambio di gestione della rivista Linus i Sopravvissuti cercano come possono di ritagliarsi un posticino al sole: chi scrivendo lettere d’amore a Elisabetta Sgarbi, chi tentando di riciclarsi come comparsa nei Ronfi di Carnevali, chi ostentando disinteresse per poi supplicare di nascosto la redazione. Ma gli spazi delle pagine sono già in procinto di essere venduti da professionisti competenti che però scappano non appena si parla di costi…

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

LE CONCOMBRE MASQUÉ (IL CETRIOLO MASCHERATO)
(Francia 1965, in Vaillant, © ?, umorismo surreale)
Kalkus [Nikita Mandryka]

Il Cetriolo Mascherato è un buffo personaggio che vive in un mondo surreale con una logica tutta sua, in cui anche il linguaggio si piega all’estro del suo autore. Autore che compare occasionalmente per aggiungere ancora un ulteriore livello di follia a questa serie (che contempla anche omaggi ad altri autori e fumetti).

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

I HATE FAIRYLAND (ODIO FAVOLANDIA)
(Stati Uniti 2015, © Skottie Young, umorismo nero)
Skottie Young

Gertrude è finita su Favolandia ancora bambina e per decenni ha cercato una via d’uscita senza mai invecchiare, finendo per diventare una psicopatica che va in giro ad ammazzare fatine e animali parlanti.

I Hate Fairyland Special Edition (2017). Skottie Young
Gertrude cerca di fuggire da Favolandia seguendo una pista che la conduce nientemeno che agli uffici della dirigenza della Image Comics. Nel tragitto massacrerà da par suo i protagonisti degli altri fumetti editi dalla Image, tra cui The Walking Dead, Southern Bastards, Saga e moltissimi altri.
Dopo aver mostrato il massacro dei suoi colleghi autori/editori, Skottie Young viene contattato da quelli che non ha disegnato (come Robert Kirkman e James Robinson) che pretendono di comparire anche loro in uno speciale.
Nato per il Free Comic Book Day del 2017, questo fumetto è stato usato come opuscolo pubblicitario dalle case editrici che in Italia pubblicano fumetti Image (Bao e SaldaPress) per promuovere uno sconto del 15% sul loro catalogo di numeri 1 delle varie serie.

sabato 12 maggio 2018

Historica Biografie 13: Giovanna d'Arco

Molto valido pur senza toccare vette di eccellenza, questo ultimo numero di Historica Biografie. La brevissima vita della Pulzella d’Orleans viene evocata tramite l’espediente della cornice narrativa in cui Carlo VII ripensa alla vicenda di Giovanna e decide di istituire un nuovo processo che la scagioni dalle accuse di eresia.
L’intensa vicenda della protagonista viene narrata da Jérôme Le Gris in modo misurato senza enfasi retorica e anche senza particolare trasporto, con un flusso narrativo equilibrato e senza intoppi, probabilmente agevolato dal brevissimo arco temporale (poco più di due anni) coperto dalla storia portante. Nelle occasioni in cui è necessario, l’infodumping non pesa nei dialoghi che risultano sempre scorrevoli e realistici (un commento apposito viene loro dedicato nel “making of” in appendice).
Ispirata dalla Voce di Dio sin da giovanissima, Giovanna d’Arco riesce dopo varie insistenze a ottenere un incontro con la corte dello spossessato Carlo VII tramite l’intercessione di Baudricourt, il signore locale. La sua intenzione è guidare, lei ragazza diciassettenne, le truppe francesi (armagnacche, per la precisione) contro i borgognoni che insieme agli Inglesi si stanno espandendo in tutto il Regno. Per quanto fosse ridicola un’idea del genere agli occhi dei militari dell’epoca, grazie alla dimostrazione dei suoi poteri profetici (riconosce Carlo VII senza averlo mai visto prima e gli dimostra di conoscere un suo segreto, entrambi “miracoli” ridimensionati nell’appendice storica) ottiene l’attenzione che cercava e riesce incredibilmente a mutare le sorti del conflitto, sgominando gli invasori. La sua parabola termina a metà 1430, dopo numerose e quasi inverosimili vittorie, con la cattura da parte degli Inglesi e il rogo.
Le Gris non pone molto l’accento sull’aspetto più singolare che il mito ci ha tramandato su Giovanna d’Arco (anzi, quasi non ne parla), ovvero le voci che diceva di sentire, ma riporta vari altri episodi e dettagli curiosi. Non sapevo ad esempio della macchia che Giovanna aveva dietro la nuca, né dell’aneddoto che la vide colpire delle prostitute tanto da spezzare la sua spada.
I disegni di Ignacio Noé sono comunque l’aspetto che più colpisce di questo volume. Probabilmente un lettore francese potrebbe rimanere perplesso davanti a delle immagini che non sono certo realistiche e che, squadrate come sono, spesso indulgono nel caricaturale più grottesco; io che conosco Noé sin dai tempi de Il Protettore e de L’Uomo Sotterraneo di Barreiro (oltre che delle sue copertine di cattivissimo gusto su L’Eternauta) sono rimasto piacevolmente colpito dalla sua evoluzione. In Helldorado era andato in stampa con delle matite non sempre precise, qui il tratto è invece molto robusto e corposo. Anche la tecnica di colorazione è stata affinata.
L’appendice storica di Murielle Gaude-Ferragu occupa meno spazio che nei volumi precedenti, in favore di un “making of” che si sviluppa su ben tre pagine.

giovedì 10 maggio 2018

Il Linus di Igort

Nonostante i vari tentativi di rilancio degli ultimi anni Linus non ha evidentemente trovato la rotta giusta che lo portasse fuori dalla bonaccia che da anni sta paralizzando il fumetto italiano e la storica rivista in particolare. E così al timone è arrivato Igort, che con questo numero 636 ha portato una grossa ventata di novità (e mi ha indirettamente fornito un po’ di materiale per i Fumettisti d’Invenzione visti gli interventi dei “trombati” dello scorso numero).
A livello estetico, non ricordo un’altra versione altrettanto ricca ed elegante di Linus, forse solo quella 14x21 degli anni ’80, che però era troppo piccola per godersela come una “vera” rivista di fumetti: la brossura ha sostituito i punti metallici, e la carta è una bella usa mano ad alta grammatura (forse non così alta, ma rispetto a quella di prima fa un figurone). La grafica, curata da Sara Fabbri e dallo stesso Igort, è sia gradevole (ironicamente austera) che funzionale: i segmenti in cima alle prime pagine di fumetti e articoli presentano un riquadro a sinistra con la data di realizzazione e uno a destra col nome dell’autore. Occasionalmente quello di sinistra si premura di specificare in quale categoria rientrino le pagine che seguono, dimostrando forse una scarsa fiducia nella perspicacia del lettore e specificando che le vignette da pagina 71 a 76, Samuel del finlandese Tommi Musturi, costituiscono un fumetto.
Per quel che riguarda i contenuti, c’è stato un netto ridimensionamento dei testi scritti che ha portato all’eliminazione della satira e della politica (purtroppo anche Ennio Peres non ha più la sua rubrica, ma d’altra parte non sarebbe stato molto in tono col resto) in favore dei fumetti. Tra questi però non ci sono praticamente più le strisce, punto forte degli ultimi decenni di Linus e limitate adesso solamente a due recuperi d’annata: Peanuts e Calvin & Hobbes.
Coerentemente con le precedenti esperienze redazionali di Igort, la rivista assume quasi l’aspetto di un volume autonomo, di un’antologia, piuttosto che di un periodico. È senz’altro gratificante avere in mano questo bell’oggetto per soli 6 euro, ma forse verrà a mancare quella continuità di contenuti che un personaggio o una serie ricorrente davano, fossero pure nell’effimero e frenetico formato delle strisce. E inoltre, dopo un esordio ad altissimi livelli, la qualità delle proposte a fumetti è scesa in maniera preoccupante a mano a mano che procedevo nella lettura.
Si comincia con le prime strisce dei Peanuts e di Calvin & Hobbes: poco da dire, dei capolavori. Stupisce vedere come già nel 1950 la serie di Schulz fosse divertente e l’autore sapesse giocare così bene con la grammatica del fumetto. Si procede con Rubber Stamp Diary di Seth, un fumetto realizzato con il metodo paventato da Hugo Pratt per El Sargento Kirk (della cui veridicità gli storici del fumetto hanno spesso dubitato): Seth si è fatto costruire dei timbri a partire da alcuni suoi disegni, che si vedono anche in foto a illustrare l’introduzione, e con quelli realizza questi “diari” estemporanei. L’intimismo evocato dall’operazione non deve spaventare: questo assaggio di tre pagine ha un finale ironico, o così ho voluto interpretarlo.
Si procede poi con SOS-Gatto, un fumetto breve a colori di Gabrielle Bell: la storia è divertentissima e i disegni non sono affatto male. Purtroppo temo che si tratti di un episodio isolato e che la storia non abbia seguito, di sicuro questa Bell è da tenere d’occhio. A cuore aperto è un episodio di Skinny Cat, un fumetto muto e stilizzato a opera di Fabio Viscogliosi: suggestivo, ma non mi sbilancio a incensarlo prima di aver letto altro dell’autore.
Gabrielle Bell (credo)
Arrivano poi altre riproposte di classici: Cheech Wizard di Vaughn Bodé (stampato malino, ma con un lettering che pare quasi fatto a mano) e tre misere pagine dei Kin-der-Kids di Feininger. Le direzioni in cui si muove il nuovo Linus sembrano insomma molteplici, e il resto dei fumetti lo conferma: Sammy Harkham presenta due one-pager ispirate al mondo del cinema hollywoodiano. Senza uno straccio di presentazione, la loro comprensione è alquanto ostica per quanto intuibile. A controbilanciare questa mezza delusione c’è il ritorno subito dopo di Minus di Marcello Jori (“J.”), che confeziona una storia semplice ma molto suggestiva, oltretutto in netta controtendenza rispetto alle derive splatter che aveva questo suo fumetto negli anni ’80. Purtroppo anche lui come Giardino si scansiona le tavole da solo e così si vede la trama della carta per acquerello su cui ha dipinto con gli acrilici liquidi.
Davide Toffolo presenta Il Cammino della Cumbia, una storia autobiografica (?) e surreale (?) in cui l’autore si imbarca nel compito di andare a cercare le origini della musica del titolo. Credo sia una delle cose disegnate meglio di Toffolo in assoluto, ma sono appena quattro pagine introduttive che chissà se avranno seguito nei prossimi numeri. Samuel di Musturi è una storia muta, disegnata e colorata con uno stile minimale ed elegante che è un po’ una costante anche di altri fumetti. A stento la si potrebbe definire “storia”, però, e al di là della suggestione grafica mi ha lasciato un po’ perplesso.
Visto che i fumetti durano al massimo sei tavole, e in molti casi sembrano orgogliosamente girare a vuoto, ho avvertito una certa sensazione di incompiutezza, a cui avrebbe dovuto sopperire il fumetto lungo di questo numero (è programma di Igort la pubblicazione su ogni numero di un fumetto che si sviluppi su più pagine). Si tratta di Nejishiki, un manga del 1968 a opera di Tsuge Yoshiharu che Oblomov pubblicherà poi (o ha già pubblicato) in volume, coerentemente con una comprensibile strategia di sinergia con la casa editrice dello stesso Igort. In Planetary Warren Ellis faceva dire ai suoi personaggi che qualsiasi cosa dopo dieci anni diventa ridicola, figuriamoci dopo 50. Nejishiki più che una storia è il resoconto di un sogno incoerente, immagino dovuto all’uso smodato di sakè da parte dell’autore, come lascerebbe intendere la sua biografia. A pagina 98 manca il testo di un balloon, ma la “trama” non ne risente minimamente. Oltretutto nelle ultime pagine Yoshiharu si stufa di disegnare e butta su segni e tratteggi alla meno peggio. 22 pagine per me sprecate, ma confido che con il promesso Pazienza del prossimo numero si farà meglio. Chiude il “lato A” fumettistico della rivista Theremapia Cimatica di Ron Regé Jr., cosetta in tre pagine che si vorrebbe spacciare per fumetto ma è un racconto illustrato – coerentemente con questo assunto, non serve che i disegni siano belli.
Ho parlato di lato A perché girando Linus c’è un “inserto” che riprende Resist!, rivista free press fondata e diretta dalla figlia e la moglie di Art Spiegelman. Si tratta di una raccolta di contenuti gratuitamente offerti da vari artisti, illustratori e fumettisti in reazione alla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali, distribuiti gratuitamente negli States – quindi non possiamo fare gli schizzinosi sulla qualità degli interventi. Certo, la breve striscia di Spiegelman è di una volgarità inusitata ed è disarmante notare che viene citato come autore di «Mouse» invece che di Maus! Tra i contributi che ho apprezzato cito Miss Lasko-Gross e Anita Kunz.
Per quel che riguarda gli articoli, oltre alle presentazioni dei fumetti, e quella di Emilio Tadini per i Kin-der-Kids risale addirittura al 1974, ci sono un “abbecedario” di Houellebecq, nome di un certo richiamo (io di suo ho letto solo un saggio su Lovecraft, ma l’abbecedario mi è piaciuto e l’ho trovato divertente), un breve saggio sulla fantascienza di Sergio Brancato e recensioni di film, dischi, serie tv e libri.
Nonostante l’impressione generale favorevole, temo che il nuovo Linus possa soffrire dello stesso difetto “centrifugo” di altre riviste senza un fumetto seriale o almeno un gruppo di autori ricorrenti a dare, se non un’identità definita, almeno un minimo di continuità. Ovviamente pensare di serializzare un albo francese su più numeri oggi sarebbe un’eresia (e a me piacerebbe tanto), ma le strisce non inedite di Peanuts e Calvin & Hobbes così come il fumetto a dosi omeopatiche di Toffolo (ammesso che continui sui prossimi numeri) sono un legame un po’ evanescente tra un numero e l’altro. Oltre al fatto che a ogni uscita ci sarà la roulette russa del fumetto lungo, che potrebbe essere un gioiello come uno spreco di pagine.
Io comunque rimarrò a bordo almeno per un po’, se il nuovo Linus non dovesse proprio piacermi tornerò a sfogliarlo a scrocco in biblioteca.

martedì 8 maggio 2018

Historica 67 - Napoleone Beresina 1: Mosca brucia

Il ritardo nell’uscita di questo volume mi ha offerto l’occasione per andare a rileggermi cosa ne pensavo del precedente lavoro di Rambaud-Richaud-Gil, riscoprendo un moderato entusiasmo che mi ha convinto a comprare anche questo nonostante l’argomento non sia in cima alle mie preferenze.
In realtà, a causa delle sue origine letterarie (nasce come romanzo di Patrick Rambaud), Beresina non è una biografia di Napoleone ma un racconto corale che ha per protagonisti il capitano D’Herbigny, lo scrivano Roque e una scalcagnata compagnia teatrale francese che ha la disgrazia di trovarsi a Mosca durante l’avanzata francese. Napoleone compare, e nelle occasioni in cui è presente ha chiaramente un ruolo incisivo, ma è più che altro un meccanismo al servizio della trama e una presenza incombente utile anche con la sua sola citazione a creare l’atmosfera.
A D'Herbigny manca una mano,
ma l'altra ha un dito in più...
Mosca brucia racconta l’inaspettata e drammatica presa della città da parte dell’armata napoleonica, dopo l’altrettanto drammatica avanzata in terra russa, ricordata dettagliatamente da Sergio Brancato nell’introduzione. Ad attendere i dragoni e gli ussari non c’era un esercito, ma una città apparentemente deserta in cui i pazzi e i criminali erano stati liberati per intralciare l’invasore, e in cui i sabotatori rimasti nei sotterranei bruciavano interi quartieri e distruggevano il cibo rimasto per affamare i francesi.
I disegni del dettagliato Gil si sono arresi a una logica più classica, arrivando a eccessi caricaturali utili però a esprimere i sentimenti dei personaggi. Le vedute mozzafiato de La Battaglia si sono rarefatte, ma va riconosciuta a Gil una grande maestria nel gestire gli spazi vuoti e pieni delle vignette in modo da indirizzare il lettore proprio dove deve guardare. Le sue tavole si leggono quindi in maniera molto scorrevole, facendogli perdonare volentieri certe anatomie un po’ discutibili e la fretta che gli ha fatto dimenticare di cancellare lo stipite su cui poggia una colonna o il bordo di un lenzuolo che dovrebbe coprire il piede di una suora suicida.
...e non distingue la destra dalla sinistra
I colori di Albertine Ralenti ed Elvire De Cock non sono affatto male, ma li trovo poco adatti, squillanti e accesi come sono, per una storia così drammatica. Da notare che la qualità di stampa del tratto di Gil è impeccabile, mentre i bordi delle vignette sono seghettati e a volte evanescenti. Misteri della riproduzione digitale.
Beresina è una storia coinvolgente che non si limita a una fredda esposizione dei fatti storici ma offre parecchi spunti originali. C’è anche una certa ironia che serpeggia ogni tanto nei dialoghi e nelle situazioni, e in definitiva si legge con trasporto per sapere quali saranno le sorti dei giocatori in campo. E qui arriviamo alla nota dolente del volume.
Approfittando della particolare struttura degli albi originali, divisi in due capitoli ciascuno pur contando le canoniche 46 tavole “alla francese”, la Mondadori ha stampato in questo numero 67 un volume e mezzo invece di due! In definitiva non arriviamo nemmeno a 100 pagine complessive (due pagine in appendice sono dedicate a un brevissimo approfondimento storico), di cui solo una settantina di fumetto. La serie originale è composta da tre volumi e di logica nel prossimo ci sarà la seconda metà di tutta la storia; posso capire che una saga in quattro volumi venga divisa in due per massimizzare gli introiti, ma qui si esagera… Anche perché nell’introduzione Sergio Brancato cita il cliffhanger con cui si conclude il primo volume, mentre in questa maniera la Mondadori ne ha creato un altro ben più fastidioso!

domenica 6 maggio 2018

Infinity 8 1: Amore e Cadaveri

Nuovo esperimento di Lewis Trondheim. Da quello che ho capito, si tratta di otto fumetti distinti legati dalla stessa situazione di partenza: l’astronave Infinity 8 si trova a dover affrontare una criticità e approfittando del potere del capitano, appartenente alla rara razza dei Tonn Shär, avrà otto occasioni diverse per risolverla, visto che può «esplorare una trama temporale per otto ore, e, allo scadere di questo lasso di tempo, tornare indietro o proseguire la trama in corso». Sì, è una cosa un po’ metanarrativa, visto che il ripristino a condizioni differenti di una linea temporale viene chiamato reboot.
Nel corso di questo primo volume la Infinity 8 incappa in un coacervo di detriti in mezzo allo spazio che ne bloccano l’avanzata. L’agente di sicurezza Yoko Keren è distolta dal suo obiettivo di trovarsi un maschio valido con cui procreare e viene mandata a indagare sul fenomeno, scoprendo che i detriti alla deriva sono rimasugli di tombe, sarcofagi o interi cimiteri di varie civiltà spaziali. Le cose si complicano perché tra gli 880.000 ospiti della Infinity 8 c’è una cospicua comunità di Kornaliani, razza che si nutre di cadaveri assimilando nel processo di digestione le caratteristiche morali e intellettive che aveva la salma. I Kornaliani sciamano in frotte verso quel bendiddio, e uno di loro si pappa le spoglie di un conquistatore galattico, aggiungendo violenza e desiderio di conquista al caos.
Yoko cerca come può di frenare l’impeto dei Kornaliani, che vogliono impossessarsi della Infinity 8, aiutata alla meno peggio da un Kornaliano che avendo divorato il “Buddha di Tryskell” (mistico di una civiltà fortemente erotizzata) è diventato un poeta follemente innamorato di lei.
Mica male come soggetto, no? È senz’altro originale, e poi presenta molte idee suggestive e varie altre trovate interessanti. Il guaio è che gli sceneggiatori Trondheim e Zep (creatore di Titeuf, fumetto famosissimo in Belgio e sconosciuto in Italia, che inutilmente la Panini provò a presentare nel Belpaese) hanno adottato lo stile narrativo dei comics a cui si sono ispirati anche come formato e struttura delle tavole. Dopo un inizio molto promettente con delle battute ben piazzate, si scade presto nell’azione più adrenalinica (e confusa) e nell’ostentazione di dialoghi troppo disinvolti per essere presi sul serio. È ovvio che il bello del gioco vuole essere proprio questo, ma mi rimane comunque un po’ di amaro in bocca per l’occasione sprecata con un soggetto così valido. Mi viene il sospetto che il misterioso autore dietro Lucy Lloyd sia proprio Trondheim, o forse Zep, o entrambi.
I disegni di Dominique Bertail sono veramente molto buoni, e anche i suoi colori sono validissimi pur se occasionalmente dimostrano troppo apertamente la loro origine digitale – in alcuni casi sembrano invece dei veri acquerelli. Ma ancora una volta, peccato che non sia stato sfruttato per un volume alla francese dal taglio più canonico.
Sull’Anteprima da cui ho ordinato questo primo numero di Infinity 8 venivano presentati contemporaneamente anche gli altri sette ma ho preferito per il momento prendere solo il primo per saggiare la qualità del progetto. Non credo che proseguirò, non tanto per l’esborso complessivo (ogni volume costa 10 euro) quanto per il taglio della serie, che alla raffinatezza franco-belga preferisce il fracasso statunitense. Nel suo genere sarà un capolavoro, ma non è quello che mi aspetto da Trondheim & co.
Il volume presenta in appendice dei brevi testi sulla genesi di Amore e Cadaveri, schizzi e prove vari, da cui si evince che le 87 tavole del fumetto erano state pubblicate preliminarmente in una miniserie di 3 comic book. Curiosamente, però, non ho riscontrato nessuno stacco ogni 29 tavole, come sarebbe stato logico aspettarsi.