venerdì 8 dicembre 2023

L'Ultimo Volo della Farfalla

Carissimo, ti mando questa maldestra recensione dell'unico manga da me letto. Dopo averlo letto capisco meglio alcune cose dette dall'autrice.

L'ho scritta mentre ero privo del collegamento a internet, ora c'è, ma va  e viene... e io pago...

Se vuoi usala pure quando non sai cosa scrivere sul blog, se no leggila e basta, e una lettura interessante (ovvio, l'ho scritta io).

RECENSIONE: L’ULTIMO VOLO DELLA FARFALLA.

“Cho-no-Michiyuki”, di Kan Takahama, Dynit Manga, 2018

E’ una graphic novel di 158 pagine, suddivisa in 8 capitoli, bianco e nero con tonalità di grigio.

Si legge da destra verso sinistra, leggere è la sola occasione in cui un giapponese si butta a sinistra!

Non essendo assolutamente un esperto di manga (che, di base, mi fanno abbastanza schifo) tralascerò ogni osservazione sullo stile del disegno e limiterò il mio esame alla scrittura, cioè alla narrazione elaborata da Takahama-San.

La storia è ambientata nella Nagasaki di fine 800, a Maruyama, quartiere “a luci rosse” sede del rinomato bordello Chikugoya (in realtà Kagetsu).

Vi si narra la vicenda di Konoha, più conosciuta come Kicho, una richiestissima “Tayu” (a quanto capisco, un tipo di Geisha particolarmente versata nel procurare piacere agli uomini … una prostituta di altissimo livello, via), venduta giovanissima ai tenutari del bordello.

Questa ragazza era stata poi riscattata, a costo di grandi debiti, da Gen, un medico di osservanza cinese che la conosceva e l’amava fin da bambina e che, rimasto vedovo, l’aveva sposata anche per dare una nuova madre a suo figlio Kenzo.

Successivamente, Gen si ammala di “ascesso cerebrale” (probabilmente un tumore al cervello) e Kicho non ha altra scelta che tornare spontaneamente a lavorare al Chikugoya, destinando tutti i proventi della sua attività, e tutto quel che di extra può ricavare, a lui e a Kenzo, che però ignora i retroscena, e pensa che Kicho abbia abbandonato lui e suo padre per egoismo.

Kicho, essendo una donna intelligente e di mentalità aperta, non disdegna di frequentare anche gli stranieri olandesi, che hanno una colonia commerciale a Nagasaki, ed è così che conosce il dottor Thon, un medico di osservanza occidentale con cui allaccia un rapporto molto dolce e confidenziale. Sarà proprio Thon a procurare medicine e cibi nutrienti al “fratello malato” di Kicho (in realtà Gen), e avrà modo di conoscere e aiutare anche Kenzo, interessato a imparare la medicina occidentale.

Solo con il precipitare degli eventi (l’aggravarsi di Gen, e la sua morte) Thon e Kenzo capiranno quale sia stato il vero ruolo di Kicho ed il suo sacrificio, e mentre per Thon, innamorato della geisha, sarà inevitabile la delusione (suo fratello Bart gli dice: “Ti sei svegliato da un sogno… è giusto che sia così”), per Kenzo vi sarà un cambio di prospettiva tale da voler riscattare a sua volta Kicho qualche anno dopo, nel 1870, quando è ormai avviato a una brillante carriera di medico (e si veste all’occidentale), mentre lei è già “sul viale del tramonto” come Tayu. Ma Kicho rifiuta: “Gen ormai non c’è più, e non voglio ingannare me stessa, con un altro sogno”.

La storia si chiude con Kicho che rivolge al suo Gen un saluto, “Mi sa che presto arriverò anch’io”, che sembra alludere a una sua prossima fine (sulle sue braccia appaiono delle pustole, forse conseguenza della sifilide).

Pur essendo ambientata in un lupanare (Casa di tolleranza? Bordellone extra-lusso?… temo che tutti questi termini non rendano l’equivalente giapponese), questa storia non presenta MAI scene di sesso, al massimo dei nudi, molto castigati.

E’ in effetti una storia molto poco erotica, e molto sentimentale, diciamo, nel senso migliore del termine.

Ciò che interessa a Takahama-San, evidentemente, è illustrare un certo tipo di ambientazione storica, e ancor più descrivere la vita e la mentalità di queste donne imprigionate (ma allo stesso tempo protette) nel loro ruolo di Tayu.

Dice la vecchia O-Taki: “Da giovani, diciamo sempre che il bordello è un mare di dolore. Io non sono d’accordo. Se ti ci immergi una volta, capisci che il vero dolore è fuori. Una volta uscite da qui, noi non sopravviviamo”. Questo, chiaramente, può essere egualmente inteso come una sconfitta da parte di queste donne, o piuttosto come una comprensione e accettazione di quella realtà crudele che è la vita. Sfruttate insomma, ma in qualche strano modo, al tempo stesso salvaguardate, però costrette in un “ruolo”, una bolla da cui difficilmente si può evadere.

Sarà stato vero anche per le prostitute dei “saloni” occidentali? Chissà.

A Takahama-San non interessa giudicare, e forse per questo riesce a costruire un’ottima storia, che potrebbe anche essere una perfetta sceneggiatura cinematografica (con tanto di storyboard!) per un bel filmone di genere sentimental-drammatico, che comunque io non andrei mai a vedere.

Le sequenze centrate sulla vita quotidiana nel bordello, e in generale sulla vita com’era nella Nagasaki di fine 800, oltre ad essere storicamente accurate riflettono senz’altro la sensibilità personale di questa piccola, ma grande mangaka.

Ribadisco la mia inadeguatezza ad addentrarmi nella ricerca di eventuali influenze, o particolari stili nel suo disegno. Da perfetto ignorante rilevo che la caratterizzazione del Dr. Thon (un gentile signore olandese di mezza età, con baffi e capelli bianchi) mi ha ricordato alcuni personaggi di Miyazaki.

L’interessante, e per certi versi toccante, post-fazione (o prefazione, se come me aprite il libro come Dio vuole, cioè all’occidentale) al volume, di Takahama-San, chiarisce meglio alcuni aspetti della genesi dell’opera (vedasi l’aneddoto delle due farfalle).

Curiosa la frase di Kicho: “Nonostante le preghiere e le offerte, Tenjin è rimasto indifferente. Puah! Tanto valeva pregare Hanta Maruya [Santa Maria, cioè la Madonna], magari mi avrebbe ascoltata!”. Come sono pragmatiche queste giapponesi!

Concludo la “recensione” con un consiglio “alla Kit Carson”: Se vi accingete a leggere questa storia… preparate una montagna di fazzoletti, fratelli !!

CIAO CIAO

martedì 5 dicembre 2023

Il Morto 58: Cose dell'altro mondo

Peg rientra in contatto con un ex-commilitone che confesso di non ricordare minimamente. D’altra parte sono passati dieci anni dalla sua ultima apparizione, sul numero 12…

Questo Cardezzi detto Card lo coinvolge in un’indagine che sta svolgendo: sta aiutando una donna argentina a trovare la figlia che le venne sottratta quarant’anni prima. Per quanto riluttante, Peg coinvolge Jenny la hacker punk per aiutarli sul fronte informatico. Nel mentre, con quella serendipità tipica delle storie d’avventura, l’amato della donna rapita è a sua volta tornato dopo una prigionia di anni (nel frattempo è nata sua figlia che adesso va alle medie) e improvvisandosi aiutante del giardiniere è riuscito ad avvicinarla col proposito di liberarla dalla clinica dove il padre adottivo l’ha rinchiusa. Alla fine sarà Il Morto a farlo, ma le sue titubanze iniziali sul coinvolgere Jenny si rivelano fondate: a quanto pare, è stata rapita.

Cose dell’altro mondo è una bella storia d’azione con un retroscena interessante e tocchi di sano cinismo. Come nelle migliori occasioni, il titolo gioca con quanto si leggerà nel fumetto: a tal proposito Ermete Librato fa un lavoro esemplare nel frontespizio. Peccato che si concluda con un cliffhanger che introduce quello che vedremo tra non prima di tre mesi!

Le new entry Luca Bonardi e Davide Celletti ai disegni fanno un buon lavoro, anche se ovviamente molti dettagli e l’omogeneità del tratto si devono all’intervento dello Studio Telloli e del veterano Gioachini alle chine.

La back-up feature di questo numero è Lo Specchio di Paolo Forni e Giuliano Bulgarelli: una storiella piuttosto suggestiva e disegnata anche benino, ma poco incisiva.

domenica 3 dicembre 2023

La Ballata del Barbieri

Non mi è chiara quale sia la genesi di questo volume. Dall’introduzione di Marco Ardemagni e da quanto si legge nel fumetto sembra ci sia stato il coinvolgimento di un gruppo musicale, mentre gli omaggi in appendice risalgono ancora al 2015 – e non c’entrano poi molto coi contenuti. Ma da una rapida ricerca su internet non ho trovato edizioni precedenti e/o spiegazioni sulla nascita del progetto.

Sia come sia, La Ballata del Barbieri è una sintetica (molto sintetica) carrellata sulle imprese grottesche di Ezio Barbieri, che fece comunella con l’altro bandito Sandro Bezzi ma fu più di un semplice criminale, sempre nel segno della rivincita sociale e delle beffe verso l’autorità. Questa cavalcata viene introdotta da una doppia cornice con i componenti del gruppo Banda Putiferio e uno spettatore del processo a Barbieri del 1946, probabile alter ego dello sceneggiatore Antonio Serra. Tolte queste quattro pagine e mezza, il compte à rebours che occupa le restanti non può fisiologicamente che concentrarsi su una manciata di episodi e si resta con la voglia di conoscerne ancora e di approfondire l’argomento.

Gero Grassi è sicuramente un valido disegnatore ma lo sarebbe ancora di più se vincesse la sua dipendenza dal computer. Non è riuscito a ritagliarsi quei pochi secondi che (immagino) sarebbero serviti per differenziare un po’ le finestre degli edifici, spesso copiaincollate in massa, né per disegnare i peli di un pube preferendogli un effettino digitale. Per il tipo di storia che viene raccontata avrei visto meglio un autore più espressivo e “caldo”. Oltretutto, la scelta di Grassi di annerire gli occhi in ombra con profonde pennellate nere trasmette una sensazione cadaverica.

Come anticipato, il volume si compone anche di un’introduzione (interessantissima) di Marco Ardemagni e di un’appendice con vari contributi grafici dalla qualità altalenante, opera di Daniele Manini, Aka B, Anna Lazzarini, Emanuele Boccanfuso, Oskar e Riccardo Chiereghin. Di Luca Enoch, che viene elencato tra gli omaggianti, non ho trovato traccia. Il sipario cala con una postfazione di Antonio Serra.

Considerato che il fumetto in sé occupa solamente 30 pagine mi sembra che il prezzo di 20 euro sia eccessivo, per quanto il volume sia cartonato (ma le dimensioni non sono enormi né la carta è patinata). Avessero almeno fatto più attenzione ai refusi.

sabato 2 dicembre 2023

Vanish Volume Uno

Harry Potter contamina l’Uomo Ragno.

In questo universo i supereroi sono maghi che provengono da un’altra realtà (anche se non dovrebbero): il protagonista Oliver è un derelitto che anni prima, quand’era ancora un ragazzino che studiava magia, salvò il suo mondo da un rinnegato potentissimo. Adesso in città è arrivata una nuova squadra di supereroi, uno dei quali lo aiuta in una brutta situazione: ma Oliver non si lascia ingannare e capisce che dietro il suo salvatore c’è uno dei seguaci di Vanish (il mago cattivo) che all’epoca non furono eliminati. Confezionatosi quindi un improbabile costume con la sua vecchia divisa di studente di magia va a caccia degli altri “supereroi” per sventare i loro piani di dominio.

A me il soggetto sembra abbastanza originale, anche se la commistione di fantasy e supereroi mi è un po’ indigesta. Ma sicuramente con tutti i miliardi di supereroi che sono stati inventati ci sarà qualche precedente. Pur se la storia si riduce alla fine ai soliti scontri tra buoni e cattivi, non si può comunque dire che Donny Cates non sappia scrivere: i suoi dialoghi sono mediamente molto buoni, e impone un bel ritmo al fumetto. Ho avvertito inoltre la volontà di uscire un po’ dal purgatorio del genere, pur rientrandovi pienamente, evocando situazioni più mature come l’elenco delle sostanze a cui fa ricorso Oliver oppure il rimando ad altri problemi concreti che devono affrontare gli adulti, e non manca una rappresentazione iperbolica ma abbastanza esplicita della violenza. Anche il fatto di intitolare la serie al cattivo e non al protagonista è un tocco di originalità (ma hai visto mai che alla fine della fiera scopriremo che sono la stessa persona?).

I disegni di Ryan Stegman fan venire voglia di cavarsi gli occhi. Emulo tardivo di Todd McFarlane, segue con devozione la filosofia secondo cui se non si padroneggia l’anatomia allora bisogna riempire le vignette di più tratteggi possibili, assecondato da JP Mayer che inchiostra in maniera esageratamente pesante i pochi elementi “sicuri”. È probabile che il lettore statunitense voglia vedere solo le splash pages e ignori il resto, quindi i due responsabili della parte grafica non perdono tempo a rendere riconoscibile un personaggio nei campi lunghi o a rendere comprensibili le espressioni dei volti in primo piano. Ben vengano quindi gli effetti con cui la colorista Sonia Oback sfoca certi elementi. Eppure proprio il raccapriccio che evocano queste tavole si adatta bene a una storia che non vuole prendersi troppo sul serio e al contempo vuole trasmettere una sensazione di disagio.

Vanish non si conclude con questo primo volume che anzi termina con un cliffhanger. Quei furbacchioni della saldaPress non hanno però aggiunto la lettera A al numero 1 (onore al merito, loro almeno lo fanno), quindi immagino che non si tratti di un trading paperback spezzato in due come già successo ma che anche in USA sia stato raccolto così. Resta un po’ di curiosità di sapere come andrà a finire la storia, per quanto sia certo che non rimarrà nella Storia del fumetto (al massimo in quella dei supereroi e probabilmente neanche là).

giovedì 30 novembre 2023

Legends of the Dark Knight 12

Memore di alcuni acquisti delle Leggende di Batman della compianta Planeta DeAgostini ho voluto vedere com’erano queste “Legends” di tre autori britannici – il concept della collana era di focalizzarsi sulle avventure che Batman avrebbe vissuto a inizio carriera, se ben ricordo.

Apre le danze una storia in due parti di Warren Ellis, Infetto. Batman incappa per caso nella scena di un massacro perpetrato da quelli che si riveleranno essere due militari usati come cavie per un virus che li trasforma in armi biologiche da guerra. La cosa si complica quando quello sopravvissuto rischia di spargere il virus in giro. Storia banalotta, non del tutto salvata dalla sottotrama del sergente stronzo e dai dialoghi brillanti di Ellis. Per quanto si impegni (ma praticamente solo nel primo dei due episodi), John McCrea è sempre John McCrea: ridicolo e sproporzionato, non si possono prendere sul serio i suoi scarabocchi e questo toglie pathos a una vicenda che avrebbe dovuto invece essere bella drammatica se non addirittura horror.

Garth Ennis scrive una storia in tre parti che si apre come un poliziesco, con Batman che incontra due detective privati dalla mano assai pesante, mentre a Gotham la criminalità è all’erta per una questione di droga. Tra divertenti sequenze violente e battute sarcastiche Lo Sballo promette assai bene, ma poi entra in scena un villain strafatto che sembra essere messo lì solo per far ostentare a Ennis la sua proverbiale vena provocatoria, con Batman sotto LSD e truculenze varie – in realtà il primo aspetto è stato probabilmente molto ridimensionato rispetto alle intenzioni originali. Will Simpson è certamente lodevole per la cura che mette nelle sue tavole: conosce l’anatomia e non lesina certo sui dettagli. Solo che a volte gli viene fuori una bocca storta, o un occhio non è esattamente dove dovrebbe essere, o un profilo non è proprio corretto, o una postura è decisamente innaturale… a quel punto, i difetti dell’intelaiatura di base risaltano di più proprio a causa della sua scrupolosa inchiostrazione.

La storia di Millar vede un Batman furioso cercare tra la fauna di criminali chi ha rubato una cosa preziosissima per Bruce Wayne, mentre una banda di giovani criminali imita il Joker e un’altra si ispira ai pezzi degli scacchi e deruba i riccastri di Gotham. Dialoghi anche abbastanza simpatici, ma è una storia natalizia e alla fine si scade inevitabilmente nel patetico. Non male, comunque, anche se probabilmente avrebbe meritato di essere sviluppata su più numeri invece che su uno solo: così le buone idee che ci sono finiscono per essere un po’ sprecate, e la storia è troppo frenetica (ma sempre meglio così che allungare il brodo). Sorprendenti i disegni di Steve Yeowell, che io ricordavo terribilmente scarno e legnoso. Alla fine niente di eccezionale, ma si vede che l’intervento alle chine del veterano Dick Giordano ha dato buoni frutti.

Nel complesso, quindi, nessuna storia è memorabile ma nemmeno troppo deludente – a parte quella di Ellis e McCrea.

martedì 28 novembre 2023

Foreste di morte

Seguito di Occhi di lupo (leggendo l’introduzione che riassume la storia mi è venuto un colpo pensando di aver preso un doppione), avrebbe dovuto servire da ponte per un terzo capitolo che non vide mai la luce.

Ducario è presente ma sullo sfondo: i veri protagonisti sono una legione di soldati romani che decidono infine di penetrare in una foresta sacra dei Boi, per provocarli e spingerli a rivelarsi in battaglia.

La vicenda si mostra sin da subito inquietante, con il benvenuto di corvacci di malaugurio e soprattutto con il rinvenimento dei resti di uomini e cavalli fatti a pezzi e deturpati da una forza che non sembra umana. A mano a mano che Postumio Albino e i suoi uomini si avventurano sempre più in profondità (si fa per dire: la foresta è un labirinto in cui anche la guida celta perde l’orientamento) montano l’inquietudine e la paranoia, con avvistamenti di mostri e ombre sfuggenti, fino all’inevitabile finale tramandato dalla Storia: il fumetto è basato sulla battaglia di Silva Litana, realmente avvenuta.

A supportare Brizzi alla sceneggiatura stavolta c’è un altro Giovanni: Marchi, che firma insieme a lui anche l’introduzione. I due sono stati bravissimi a trasmettere l’atmosfera inquietante della foresta e al contempo a fornire il quadro complessivo della situazione dell’epoca (sia sul fronte gallico che romano) senza risultare pedanti. Ma la parte del leone la fanno come sempre i disegni e soprattutto i colori del compianto Sergio Tisselli, la cui perizia nell’evocare la luce e la nebbia e nel disegnare ogni singola foglia e ramo della foresta è encomiabile come i salti mortali che forse dovette fare a suo tempo (l’albo uscì per la prima volta nel 2006, e non so se Tisselli usasse il computer) per trovare la maniera giusta di raffigurare la pioggia battente nelle tavole già così cariche di colore e dettagli.

La cura è quella consueta a cui ci ha abituato Nicola Pesce Editore (pur se la nota a pagina 19 è un florilegio di refusi) e di certo 16,90 euro sono un buon prezzo per un albo cartonato a colori di 64 pagine. Ma a causa delle tinte livide che inevitabilmente sono state scelte per rendere la maggior parte delle sequenze, qui più altrove ci sarebbe stata bene la carta patinata.

lunedì 27 novembre 2023

Collana Reprint 216: Gil 1

Quando alle medie ci fecero vedere il film Il Cavaliere Elettrico rimasi un po’ deluso. Non era un film di fantascienza e men che meno un fantasy, ma un misto di dramma, commedia ed ecologismo su un “cowboy” contemporaneo che cercava di salvare sé stesso e il suo cavallo dallo show business. Ma appunto rimasi deluso solo un po’, perché il film non era niente male e ancora oggi a distanza di decenni ne ricordo alcune parti. A quanto pare, non era un caso isolato ma parte di un filone minore del cinema hollywoodiano, in cui Gianni Bono nell’introduzione di questo albo inserisce a forza persino Un uomo da marciapiede, che di “western contemporaneo” aveva solo il cappellaccio indossato, e neanche sempre, da Jon Voight!

Può darsi che Ennio Missaglia si fosse ispirato a questo sottogenere per confezionare le storie del protagonista che è un po’ Tex e un po’ Ken Parker alle prese con le insidie della metropoli tentacolare. Gil Moran è un reduce del Vietnam; figlio di un allevatore fallito, percorre gli Stati Uniti col suo cavallo privo di nome e dalla grande pazienza vista la frequenza con cui lo “parcheggia” nei posti più insoliti.

Il primo episodio eponimo si dilunga inevitabilmente a presentare il protagonista e la sua filosofia, innescando però nel contempo quella catena di eventi che costituiranno l’ossatura della trama. In cerca di uno di quei lavori occasionali che gli permettono di campare da vagabondo, Gil finisce per essere coinvolto in un omicidio involontario di cui crede che la polizia potrebbe accusarlo. Il padre straricco del vero colpevole e lo stesso rampollo si mettono quindi sulle sue tracce, il primo con l’intento pacifico di verificare se effettivamente possa riconoscere e accusare il figlio. Tra gli inevitabili stereotipi (Gil picchia come Tex, tutti ce l’hanno con lui, la divisione tra buoni e cattivi è spesso nettissima – questi ultimi apostrofati anche come «ciccioni», cosa che oggi solleverebbe un putiferio) la storia presenta una vaga originalità e un’ambientazione che immagino insolita per i Bonelli anni ’80, ma manca di mordente e non si capisce neanche bene in che direzione voglia andare. Non male comunque il finale dal tono molto più leggero.

Vladimiro Missaglia sfoggia un ruspante stile popolare in cui non lesina sui tratteggi e le pennellate. In alcuni punti mi ha ricordato Franco Bignotti.

Il secondo episodio, I “Cani” della notte, è molto più riuscito. L’azione si sposta dalla cittadina di Jerome (esisterà veramente?) a Phoenix, dove scopriamo che Gil ha sia un amico sfasciacarrozze che una frequentazione femminile. Questo serve sicuramente a inquadrare meglio il personaggio, ma il punto forte dell’episodio è un altro: Gil e il suo amico assistono involontariamente a uno scontro tra bande di motociclisti per impossessarsi di un camion con della refurtiva preziosissima (di cui non verrà svelata la natura). Dietro i “Cani Arrabbiati” ci sono due gangster locali e Gil dovrà anche proteggere la sua amica. Il ritmo è travolgente e la storia si legge tutta d’un fiato, oltretutto è anche ben costruita e alla fine a salvare Gil saranno quei poliziotti che tanto disprezza.

I disegni di Ivo Pavone sono molto migliori rispetto a quello che mi sarei aspettato ricordando le sue ultime apparizioni su Lanciostory e Skorpio. Sullo stesso solco di Vladimiro Missaglia, ha un tratto più incisivo e le sue tavole sono più ricche.

Gil fu un insuccesso e, come ricordato da Gianni Bono, durò solo 11 numeri. Aveva una certa originalità e magari si volle azzardare qualche strizzatina d’occhio cameratesca ai lettori più reazionari disgustati dai Kiss e dalle altre mode musicali che però già all’epoca, nel 1982, erano sorpassate (ma davvero nelle discoteche mettevano Ted Nugent?!), ma erano gli spietati anni pre-Dylan Dog e persino Sergio Bonelli doveva chiudere i rami improduttivi con la crisi che si profilava.

Oggi alcune situazioni stereotipate e il linguaggio desueto possono far sorridere, ma un po’ del fascino del fumetto risiede anche in questo.

La qualità di stampa è perfetta. I due numeri originali ci stanno giusti giusti nella foliazione di 192 pagine quindi non c’è spazio per redazionali, ma in seconda di copertina c’è la presentazione della serie a cura di Gianni Bono e in terza di copertina la riproduzione delle copertine originali a opera di Vincenzo Monti.

A proposito di copertine, veramente molto bella quella di Michele Benevento che reinterpreta la prima di Monti.