lunedì 23 giugno 2025

Fuck ze Tourists

Non conoscevo il lato caustico di Zidrou, e da quel poco di suo che ho letto non immaginavo nemmeno che ne avesse uno. Ma in una produzione vastissima come la sua c’è evidentemente spazio per tutto. Certo che, quando picchia, picchia davvero duro.

Come intuibile dal titolo, il fresco di stampa Fuck ze Tourists è un attacco al turismo di massa che i social network hanno portato a derive grottesche per non dire raccapriccianti. Il volume raccoglie una decina di storie che immagino sono transitate in precedenza su Fluide Glacial che è anche l’editore. Non siamo quindi dalle parti delle gag in una o al massimo due tavole così comuni nel mercato franco-belga ma si tratta di racconti un pochino più articolati anche se lo scopo è sempre giungere alla battuta finale. C’è un po’ di nozionismo e parecchio moralismo nel preparare le situazioni per arrivare al dunque, ma questo lascia sempre con un sorriso amaro che accompagna l’evidente fastidio che prova Zidrou nel narrarle. D’altro canto come si può reagire davanti a quanti si fanno i selfie davanti i cancelli di Auschwitz o ammirano estasiati l’arrivo dei migranti che documentano scrupolosamente coi loro aggeggi elettronici? Ogni storia è autonoma ma non mancano personaggi ricorrenti, talvolta i narratori sono addirittura funny animals ben poco funny. Come nel caso degli one pager riassumere le storie significa rovinarle e probabilmente ho già detto troppo. Segnalo solo che non mancano esempi degli effetti deleteri del surtourism dedicati anche all’Italia.

I disegni di Éric Maltaite si inserisco pienamente nel filone dei gros nez di scuola franco-belga, caricaturali con una inchiostrazione molto modulata che rende il tutto espressivo e dinamico. Al di là del rigore documentaristico tipico della BéDé migliore, Maltaite non lesina sui dettagli. Cosa ancora più lodevole, non manifesta alcuna sudditanza al politically correct nel rappresentare le varie etnie dei turisti.

I colori sono stati realizzati da Philippe Ory e Hosmane Benahmed, il secondo è subentrato dopo il decesso del primo ma non si avverte nessuno stacco rilevante nello stile di colorazione.

venerdì 20 giugno 2025

Nottingham 2: La caccia


Hugues de Morville suggerisce a Giovanni Senza Terra di eliminare il canonico William Langland, che oltre a essere zio dello sceriffo di Nottingham è anche il suo protettore e informatore. Origliando le accuse di sodomia rivolte a lui e al suo parroco, Langland corre a rifugiarsi da Marianne fingendo di andare dal nipote per depistare gli inseguitori. Nel frattempo a Sherwood la cricca di Robin Hood conosce i primi screzi interni e viene svelato che il loro capo incappucciato altri non è che l’odiato sceriffo – idea portante su cui si basa la serie di Brugeas ed Herzet. D’altro canto, pure dall’altra parte della barricata l’attendente Oddard ha capito che il suo sceriffo sta nascondendo qualcosa.

Coerentemente col titolo, La caccia è un episodio adrenalinico ma molto spazio viene dedicato anche allo sviluppo dei rapporti tra i personaggi e alla costituzione della compagnia come tramandata dal mito popolare: in questo episodio si palesano Little John e frate Tuck. Inoltre i due sceneggiatori eliminano a sorpresa già qui un personaggio molto importante.

Pur tra qualche rara concessione a certa esuberanza ipertrofica, Nottingham si conferma lettura piacevole e appassionante. Giocato magistralmente, poi, il flashforward iniziale con cui si anticipa la morte eccellente.

I disegni di Benoît Dellac (sempre colorato da Denis Bechu) sono sicuramente validi ma rispetto al primo episodio mi sembra che abbia inchiostrato le sue tavole in maniera un po’ più pesante, a tratti quasi rozza, e certe sequenze di lotta non sono immediatamente chiare. Comunque molto meglio di tantissima altra roba che si vede in giro.

mercoledì 18 giugno 2025

Double M 6: Le Chamois Blanc

Fine della corsa: questo volume è del 1999 e ormai Felix Meynet è diventato quello che tutti conosciamo. Caricaturale (l’inchiostrazione molto modulata mi ha ricordato Angiolini) ma anche sintetico, espressivo e sexy: dopo la scarsa grazia degli esordi Mirabelle riluce in tutta la sua bellezza. La copia che mi sono procurato annuncia in quarta di copertina un ipotetico settimo volume che però non è mai uscito, peccato.

Arrivati a questo punto della serie Pascal Roman deve ricorrere a una specie di retcon per imbastire una nuova storia. Apprendiamo così che Mel è amico di tal Simon (mai citato prima) e frequentava sua sorella Marinette (mai citata prima) e che il loro rapporto è un riflesso di quello di odio-amore che intercorreva tra i rispettivi padri (mai citati prima), innamorati della stessa donna (mai citata prima). Il loro particolare rapporto si concretizza con l’annuale caccia al camoscio bianco, un esemplare albino che anni prima Mel aveva impedito a suo padre di uccidere temendo che abbatterlo portasse sfortuna. Nell’arco di pochi giorni c’è sia l’anniversario della morte del padre di Mel che il suo compleanno; guarda caso, Mirabelle giunge in zona proprio in questo periodo perché ovviamente deve scrivere un articolo, mica per consegnare il suo regalo a Mel. Dovrà però accontentarsi di guardarlo da lontano con un telescopio visto che i due rivali stanno nuovamente inscenando il rito della caccia al camoscio bianco: Simon lo vuole uccidere, Mel che è contrario alla caccia vuole impedirglielo. Non so se i camosci, bianchi o meno, possano vivere più di 13 anni, ma forse l’esemplare che Mel vide da bambino non è necessariamente lo stesso di adesso: ma alla fine ciò che conta è quello che rappresenta.

Tra flashback e rivelazioni, si scopre un torbido passato il cui custode (e parziale responsabile) è l’insospettabile Matafan. Fanfoué è ormai parte fissa del cast.

Anche se non mancano le situazioni umoristiche (in certi frangenti si ride di gusto) questa ultima storia è venata da una certa patina malinconica. La storia è molto lineare e non c’è quasi intrigo, ma dalla dedica di Meynet capiamo che lo scopo del volume era anche e soprattutto rendere omaggio a suo padre.

Ottimi i colori dati nuovamente dallo stesso Meynet.

domenica 15 giugno 2025

La torre dell'elefante

Trasposizione a fumetti di uno dei più famosi racconti di Robert E. Howard, tanto famoso che persino io so di cosa parla pur non avendone mai letto la versione originale né un qualsivoglia adattamento.

Conan si fa tentare dai racconti in merito a un gioiello dal valore e dal potere inestimabili, il Cuore dell’Elefante che si troverebbe nella relativa torre. La Torre dell’Elefante è così chiamata perché si dice che vi risieda un esemplare di questi animali esotici che in pochi hanno visto. Il Cimmero azzarda il furto ma Taurus, il ladro più famoso del mondo, ha avuto la stessa idea. I due si alleano e tentano la sortita insieme, affrontando insidie più o meno fantastiche cui pongono rimedio con trovate altrettanto suggestive. Sense of wonder a badilate pur se mostri, veleni, trappole, ecc. sono quelli che ormai fanno parte del più classico immaginario fantasy. Alla fine si scopre che l’elefante non è quello che si pensava e persino il duro Conan si emozionerà nel dargli la sospirata libertà punendo il suo carceriere e torturatore in una maniera spettacolare.

Claudio Alvarez parte ricostruendo ambientazione e atmosfere e quindi ricorre inizialmente a un bel po’ di testo, ma non indulgerà poi in didascalie superflue nel resto del fumetto, dove non mancheranno addirittura delle sequenze mute. Ovviamente il principale motivo d’interesse di questo volume sono gli splendidi disegni di Enrique Alcatena, che come ricordato dallo stesso Alvarez nella postfazione è bravissimo a ricreare un intero mondo con il suo tratto. Verissimo, ma nel caso di queste tavole io ho apprezzato anche la sua abilità nel riempire gli sfondi con delle comparse espressive, dinamiche e ben caratterizzate che raccontano delle storie all’interno della stessa storia. Se nel caso di London after Midnight mi compiacevo dell’uso di una carta non patinata che ha permesso di toccarne la pagine (nerissime) senza lasciare ditate, in questo caso la carta patinata è stata una scelta azzeccata visto che Alcatena ha fatto molto ricorso a tratteggi e sfumature non andandoci troppo pesante con le campiture di nero. Da profano ho trovato molto interessante la sua interpretazione di Conan: capellone, sfregiato in volto e più longilineo che muscoloso. Purtroppo la qualità della riproduzione non è ai livelli dell’altro volume e quegli stessi tratteggi che costituiscono parte del fascino dei disegni risultano vittime di fastidiose dentellature pixellose. È stata inoltre evidentemente espunta la numerazione originale delle tavole di Alcatena come testimoniano i vuoti in basso a destra in alcuni punti strategici, forse a nascondere una successione non progressiva che avrebbe testimoniato un primo passaggio a puntate su qualche rivista: in ogni caso non si avverte alcun senso di frammentazione.

Sulla copertina accanto ai nomi di Alvarez e Alcatena campeggia anche quello di tal Brice di cui non viene indicato da nessuna parte il ruolo che avrebbe avuto nella realizzazione del fumetto.

La torre dell’elefante costa una ventina di euro ma conta 72 pagine, quasi tutte a fumetti, rispetto alle 64 o 48 di un albo cartonato classico. Alcatena merita sicuramente l’esborso – magari stampato un po’ meglio, però.

giovedì 12 giugno 2025

Ricevo e diffondo


Domenica 15 giugno WOW Spazio Fumetto termina la sua attività

Il museo del fumetto chiude al pubblico

15 giugno 2025

È con grandissimo dispiacere che la Fondazione Franco Fossati annuncia il definitivo abbandono degli spazi di WOW Spazio Fumetto, il museo del fumetto di Milano gestito con grande passione e successo per ben 14 anni. Il Comune di Milano, con il quale, grazie all’impegno dell’Avvocatura, abbiamo concordato l’estinzione del debito - che impediva di fatto alla Fondazione di partecipare al nuovo bando di assegnazione dello spazio - ha comunicato che lo stabile va comunque lasciato completamente libero entro il 15 giugno con conseguente cessazione di ogni attività.

È evidente a chiunque che per la Fondazione Franco Fossati non è possibile affrontare la spesa onerosa di un trasloco per lasciare i locali vuoti per poi rientrare dopo pochi mesi, una volta (auspicabilmente) vinto il bando: si è quindi ritenuto che si stesse lavorando per consentirci di restare fino alla risoluzione del bando stesso ma non è così.

Non si può chiedere alla Fondazione di svuotare tutto lo stabile, mettere tutto il materiale in un magazzino per pochi mesi, salvo poi rientrare come se nulla fosse: le spese di un’operazione di questo genere sono insostenibili. Qualora per qualsiasi motivo la Fondazione non dovesse vincere il bando, allora l’abbandono dei locali sarebbe la richiesta più logica e comprensibile, ma ora risulta del tutto incomprensibile.

A fronte del diniego da parte del Comune di poter restare per pochi mesi, la Fondazione Franco Fossati non può quindi fare altro che prendere atto delle decisioni burocratiche e lasciare libero uno spazio nel quale molto probabilmente non potrà più rientrare per mancanza di fondi, consumati per il trasloco.

Con la chiusura di domenica il Museo perde molte occasioni che avrebbero contribuito anche economicamente al suo futuro e al pagamento di futuri affitti: due grandi mostre che erano in programma, tra cui una con un’importante realtà internazionale, i campus estivi che sono sempre stati apprezzati dalla cittadinanza e visti come un servizio indispensabile ai cittadini della zona, il presidio culturale del Giardino reste del Buono e i corsi di fumetto per ragazzi.

Luigi Bona, presidente della Fondazione Franco Fossati, dichiara: “Siamo soddisfatti di aver portato a termine la pratica per l’estinzione del debito, in collaborazione con l’Avvocatura del Comune, che ringraziamo di cuore, così da non avere sulla coscienza un “enorme” (come è stato definito) danno erariale a scapito dei cittadini milanesi, ma siamo anche completamente scoraggiati da una burocrazia che chiede alla Fondazione di abbandonare uno spazio per poi rientrare dopo pochi mesi, sempre che si vinca un bando che si annuncia decisamente complicato, viste le condizioni dello stabile che si è anche recentemente allagato.

Abbiamo lottato contro i mulini a vento, siamo stati definiti ‘fumettari che vivono con la testa fra le nuvolette’, ma così è troppo anche per dei supereroi. Ringraziamo tutti coloro che in questi mesi hanno avuto belle parole per noi, che ci hanno aiutato con donazioni e sottoscrivendo una petizione che conta 12.000 firme. La soluzione? Farci restare fino alla risoluzione del bando (nella speranza che non presenti condizioni impraticabili) e permetterci di partecipare senza dissanguarci per affrontare due inutili traslochi. Non è possibile, ci dicono. Allora altro non resta che salutarci con un SOB.  Ci tengo a ringraziare di cuore tutti i membri del Consiglio della Fondazione, i nostri instancabili dipendenti che resteranno senza lavoro dopo anni di impegno, i collaboratori, i volontari e tutti i visitatori che ci sono stati vicini in questi anni! Resta aperto l’appello a qualsiasi Comune e Privato che voglia progettare seriamente con noi una possibile alternativa”.

 

Scarica il comunicato stampa

DOMENICA 15 GIUGNO, dalle 15.00 alle 20.00, invitiamo tutti gli amici per un saluto che – speriamo – sia un arrivederci. Saranno presenti disegnatori, sceneggiatori, amici e visitatori che in questi anni ci hanno aiutato, sostenuto e incoraggiato.

lunedì 9 giugno 2025

Talisman Adventures

Non è la prima volta che viene azzardata una versione gdr di quello che i detrattori definiscono il “gioco dell’oca fantasy” (che però mi risulta essere ancora il leader del settore o poco meno). Talisman è un gioco da tavola competitivo, quindi la sua trasposizione in un contesto collaborativo ne cambia drasticamente la prospettiva. Per cercare di mantenerne intatta l’atmosfera si può quindi rimanere fedeli ad alcuni dei suoi punti-cardine, ma la cosa è stata fatta solo fino a un certo punto.

Talisman Adventures si rivolge a giocatori principianti, con un’esposizione molto guidata e le classiche dissertazioni su cos’è un gioco di ruolo e come giocarlo. Se ho capito bene, si tratta di una produzione tedesca che è stata tradotta in inglese. Il procedimento non è riuscito alla perfezione, con dei pronomi che passano dal singolare al plurale nella stessa frase e qualche ripetizione evitabile. Il tomo da 300 pagine è diviso in due sezioni sulla falsariga del vecchio BECMI: si comincia con la parte per i giocatori e poi c’è quella per il Master.

Dal punto di vista delle regole mi pare che si sia cercato di coniugare il materiale dell’ultima edizione del Talisman da tavola con certe idee prese dall’ultimo Dungeons & Dragons, come il concetto dei riposi brevi e lunghi.

Si parte con un’introduzione di questa ambientazione, con citazioni che faranno piacere agli appassionati di Talisman pur tra qualche libertà nell’interpretare il mondo contenuto in quella plancia: il villaggio adesso ha un nome ufficiale, Villedoc, e vengono introdotti molti dettagli sulla Città di cui francamente (a parte gli immarcescibili spalatori di sterco) non ho colto i riferimenti alle relative espansioni, se ci sono.

La creazione del personaggio prevede curiosamente prima la scelta della razza e poi quella della classe. Sarebbe del tutto logico, ma la scelta è bizzarra perché la razza determina delle modifiche alle caratteristiche quando queste non sono ancora determinate ma vengono rivelate nel capitolo delle classi. Le proverbiali Strength e Craft (tratte di pesa dal gioco da tavola) sono scorporate in altre tre sottocategorie per offrire una maggiore varietà, ed è l’unico margine di manovra che ha il giocatore visto che i punteggi di partenza sono fissi e filologicamente fedeli al gioco da tavola. Sono presenti anche i punti Fato ma con un meccanismo di approvvigionamento diverso da quello del Talisman da tavola. I 16 personaggi del Talisman di base erano divisi indiscriminatamente tra razze e classi, in questa versione i due elementi sono autonomi permettendo quindi di generare combinazioni interessanti. Ian Lemke è stato molto generoso con le razze selezionabili, introducendo anche il “Leywalker” che immagino sia stato creato appositamente, anche se forse con dei rimandi all’espansione della Foresta. Di classi propriamente dette ne rimangono quindi 10, anche se il Monaco è stato incorporato al Sacerdote facendone una versione ibrida che cura, scaccia non-morti, ecc. ma al contempo non usa armi.

I personaggi hanno un valore di Vita che non conduce immediatamente alla morte una volta esaurito ma, non senza qualche reminescenza dall’ultimo Dungeons & Dragons, porta a verificare se il moribondo riesce a stabilizzarsi o meno con progressiva difficoltà.

Ognuna delle classi ha delle abilità specifiche che vanno a coppie: un Menestrello ad esempio può scegliere di essere «dashing», quindi tracotante, oppure «subtle» e apparire inoffensivo, ma non entrambi. Una maniera drastica ma efficace per caratterizzare i personaggi.

Le regole si riducono fondamentalmente al lancio di tre dadi a sei facce cui aggiungere gli eventuali modificatori per ottenere il minimo che le prove richiedono per essere superate. Come nel caso de I Figli dell’Olocausto questo meccanismo a campana di Andrews rende più determinante l’abilità del singolo personaggio piuttosto che un generico e più casuale lancio di dado a venti facce. Questa dinamica può essere modificata da tre semplici variabili: 1) una particolare abilità o un particolare oggetto in possesso di un personaggio possono permettere il lancio di un dado aggiuntivo da sostituire a uno già lanciato; 2) ogni risultato doppio (cioè se i dadi danno due numeri uguali) porta a un Great Success, a patto che la prova sia superata, mentre un risultato triplo porta a un Extraordinary Success, sempre che la prova abbia buon esito (con tre 1 di solito non si va da nessuna parte); 3) uno dei dadi lanciati è detto “Kismet” e se si ottiene un 1 oppure un 6 con esso avvengono rispettivamente delle situazioni nefaste o vantaggiose, indipendentemente dal successo o meno nella prova.

Il combattimento si risolve molto rapidamente con i giocatori che sono quasi sempre gli unici elementi in gioco che determinano il risultato di uno scontro: basta verificare il risultato sul grado di Minaccia dell’avversario per determinare se e come è stato colpito e se a sua volta ha colpito il personaggio. Talisman Adventures è uno di quei giochi di ruolo in cui le armature non rendono più difficile colpire il bersaglio ma sottraggono danni ai colpi andati a segno. Pur con la regola che le armature si rovinano progressivamente, mi pare che questo dia un vantaggio enorme a chi ne porta una pesante, che facendo due conti veloci può facilmente azzerare ogni danno inflitto da nemici di medio cabotaggio (ma anche dei più pericolosi).

Come in molti giochi di ruolo si avanza di livello acquisendo punti esperienza. Curiosamente, il combattimento non ha quasi alcuna importanza in questo ambito (o meglio la valutazione della pericolosità dei mostri è secondaria e arbitraria) e mi pare sia un’ottima cosa viste le alternative fornite. È previsto che si arrivi fino al 10° livello, almeno in questo manuale di base.

La magia contempla un sistema a punti che si riallaccia a quello del Talisman da tavola e che mi sembra semplice ed efficace anche se per assecondare le aspettative di alcuni giocatori di ruolo si fa riferimento alla memorizzazione degli incantesimi e ai metodi con cui impararli.

Prima della corposa appendice con tabelle (in cui vengono inseriti alcuni elementi iconici del gioco da tavola) viene presentata un’avventura abbastanza semplice con cui far prendere confidenza con le regole ai giocatori e al Master.

Chiarito quindi che le meccaniche di gioco apparentemente funzionano molto bene tra facilità di esecuzione e margini di manovra “drammatica” (il Master o i giocatori possono attivare abilità speciali o particolari situazioni spendendo i punti Fato), quanto c’è del “vero” Talisman in questo gioco di ruolo? Oggettivamente, meno di quello che avrei sperato. È vero che ci sono anche gli Stranieri e i Seguaci, due degli elementi più caratteristici del gioco da tavola, ma alcuni elementi iconici come la Runesword o la Rod of Ruin sono assenti – e l’elenco degli oggetti magici è bello corposo, spazio da dedicar loro non mancava. Lo stesso Talismano, elemento indispensabile del gioco da tavola, viene degradato a orpello di cui si può benissimo fare a meno. Ma d’altra parte nel Talisman originale è la chiave con cui si arriva al finale nella Regione Interna: qui le possibilità di esplorazione sono limitate alla Regione Esterna, quando il gioco da tavola ne contempla tre. Non mancano riferimenti a elementi presenti nelle altre due, ma rimangono appunto solo degli accenni e almeno la Sentinella che blocca il passaggio verso la Regione di Mezzo avrebbe meritato di essere trattata visto che viene citata più di una volta nel manuale. Forse questi argomenti saranno il piatto forte di altri supplementi, ma io vi ravviso un’urgenza di trattazione ben maggiore rispetto alla Città o al Dungeon a cui effettivamente sono stati dedicati dei volumi. D’altro canto il superamento delle prove della Regione Interna e quindi l’ottenimento della Corona del Comando (qui praticamente mai citata) è la dinamica con cui si vince nel Talisman da tavola e non ha molto senso in un gioco di ruolo cooperativo.

Al di là dell’interesse collezionistico, Talisman Adventures può interessare come gioco in sé? Le regole non sono affatto male e qualche aspetto dell’ambientazione potrebbe risultare originale, come l’interpretazione dei ghoul ma soprattutto (in ottemperanza a uno degli elementi di base del gioco da tavola) la possibilità di ferire non-morti e altri mostri non suscettibili ad armi non magiche con un confronto psichico. Ma forse però chi non conosce la versione originale non troverà poi sufficienti guizzi di originalità che ne elevino il contenuto e le modalità di gioco, mentre gli appassionati del Talisman da tavola non vi troveranno quanti riferimenti all’originale si aspettavano.

Il «lead design and development» è affidato a Ian Lemke, con elementi aggiuntivi a opera di Brian Campbell, Brandes Stoddard e Rabbit Stoddard. Curiosamente viene segnalato anche un lavoro di «writing» in cui oltre Lemke e agli Stoddard vengono indicati altri cinque autori che non so quale apporto abbiano concretamente dato. Le illustrazioni sono prodotte da una pletora di disegnatori che immagino nella maggior parte dei casi siano esordienti ben felici di prestare per poco o nulla la propria opera pur di farsi un nome, e in molti casi questa situazione è evidente anche se col digitale è facile metterci una pezza – o illudersi di averlo fatto.

Il volumone cartonato è corredato di mappa e segnalini Fato contenuti in una tasca interna della terza di copertina.

venerdì 6 giugno 2025

Il ritorno di Dorian Gray

Gioco fumettistico-letterario forse anche più raffinato de La Divina Congrega: da un’idea di Alfredo Castelli, viene dato seguito al romanzo di Oscar Wilde raccontando il destino dei vari personaggi e imbastendo una trama investigativa con ipotetiche derive soprannaturali. A quanto pare Dorian Gray non è morto e l’impresario ora tenutario Aaron Isaacs ingaggia il detective privato Jerome Caminada per stanarlo dopo che ha ucciso il suo vecchio sodale e mentore Wotton e il suo cocchiere. Inizialmente titubante in merito alla possibilità della resurrezione di Gray (ma consapevole delle dicerie sul suo ritratto), il detective assiste invece agli omicidi di altri personaggi coinvolti nella vicenda del dandy.

Apparentemente si arriva alla soluzione del mistero con una rapidità eccessiva, ma il lettore avvertito intuirà che è solo un espediente per introdurre il vero colpevole – plausibile e congruente con il materiale di partenza. D’altro canto l’intrigo, per quanto centrale, forse non era nemmeno ciò che più interessava a Barzi (e/o a Castelli) quanto ricostruire l’atmosfera decadente del romanzo e della sua epoca e farne delle chiose non prive di tocchi pungenti. E ovviamente riempire il fumetto di citazioni, letterarie e non, da Jack lo Squartatore a Elephant Man.

Per una volta, e spero che non sarà una tantum, un volume cartonato Bonelli viene realizzato quasi coi crismi della produzione franco-belga non limitandosi alle canoniche sei vignette per tavola o comunque riempiendone il più possibile gli sfondi e la parte retrostante delle pagine senza inficiarne la leggibilità. Simpatico l’uso di due tavole doppie nel finale, non velleitario sfizio estetico ma utili per generare parossismo in “cinemascope”.

Oltre alle 60 pagine del fumetto il volume comprende un’appendice di un’altra decina in cui vengono spiegati i vari riferimenti sparsi nel fumetto, ad esempio che Caminada non era un personaggio del romanzo originale ma un poliziotto (poi detective) realmente esistito a cui forse Arthur Conan Doyle si ispirò per Sherlock Holmes. Dagli schizzi e dai disegni preparatori che accompagnano questa parte mi pare di capire che Werner Maresta non si sia avvalso solo di strumenti digitali.