sabato 27 luglio 2024

Batman/Catwoman: Casi che scottano

Inizio con il botto, in senso letterale: una critica iperbolica alla diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti. Non me l’aspettavo una presa di posizione così diretta. Ma l’impatto delle prime tavole non si limita a questo: la serie di rutilanti immagini offerteci da Van Sciver altro non è che un flashback di Catwoman, che non ricorda come sia arrivata a quel punto col costume strappato e circondata da cadaveri in un negozio di giocattoli. Per i media lei è la colpevole della strage in cui si è risvegliata, così contatta un giornalista per raccontare la sua versione dei fatti cercando di mettere ordine tra i suoi ricordi e capire come è arrivata fino a quel punto.

A Gotham si è saputo dell’arrivo di una pistola miracolosa che non sbaglia mai bersaglio perché i proiettili seguono il calore corporeo delle future vittime. Catwoman disprezza le armi da fuoco ma è interessata all’oggetto per il suo valore, e viene anche assoldata da un fabbricante di armi (degno figlio di un padre che però adesso odia le armi) affinché gliela consegni il tempo sufficiente per studiarne le caratteristiche e replicarle. E c’è anche in ballo il titolo di Re dei Ladri di Gotham, cosa che porta a un bel colpo di scena verso la fine. Batman aleggia qua e là ma è funzionale alla vicenda solo nella sequenza finale, e solo per darle una dirittura morale.

Ann Nocenti è un po’ didascalica nel descrivere le ragioni a favore o contrarie alla diffusione delle armi da fuoco, e alla fine il creatore dell’arma spiega un dettaglio logico che un lettore dovrebbe aver capito sin dall’inizio a differenza dei pazzi che vogliono usarla, ma chi se ne fotte: l’importante sono i disegni magnifici di Ethan Van Sciver.

La storia di Howard Chaykin non è male, peccato che l’abbia disegnata lui. La vita in borghese e quella da supereroe di Bruce Wayne si intrecciano quando le sue industrie finiscono in grossi guai a causa di uno scandalo finanziario in cui sono stati bruciati milioni destinati ai fondi pensione dei dipendenti. I tre colpevoli sono stati identificati, ma la pista porterebbe gli inquirenti alla bat-caverna e quindi Catwoman (che in questa versione è una supereroina e conosce l’identità segreta di Batman) gli suggerisce di far sparire i libri contabili simulando un furto, pur tra le sue perplessità. Sullo sfondo (ma neanche tanto, si scoprirà alla fine) un criminale ridicolo vestito da moschettiere affronta sia Batman che Catwoman riuscendo inizialmente a sfuggire a entrambi. Ignoro se facesse già parte della cosmologia batmaniana o se sia un’invenzione di Chaykin, propendo per la seconda ipotesi visto che offre lo spunto per un omaggio a Blake e Mortimer. Una storia semplice ma simpatica, con qualche dialogo piacevole. Se già di suo non può più essere portato a esempio di bel disegno, se mai lo fosse stato, il confronto con Van Sciver lascia Chaykin con le ossa rotte.

Seguono due storie brevi, ancora opera di Ann Nocenti: la prima è uno speciale di San Valentino in cui viene rievocato il primo incontro tra Catwoman e Batman. Buoni i disegni di Emanuela Lupacchino, ma pensando alle altre sue cose che ho visto di recente temo che le chine di Jaime Mendoza ne abbiano un po’ banalizzato il lavoro. La seconda fa parte della serie del Batman “bianco e nero”, già letta in altre occasioni. Soggetto originale e imprevedibile realizzato graficamente dal John Bolton più scazzato di sempre, comunque meglio di tanti altri colleghi.

giovedì 25 luglio 2024

Batman di John Van Fleet

Ahia. Lo stile di questo strombazzato John Van Fleet non è quello della copertina del volume, che già di suo faceva presagire troppo computer. Le sue tavole sono caratterizzate da figure molto stilizzate tagliate con l’accetta, dai contrasti nettissimi che tanti altri disegnatori hanno messo in opera molto meglio di lui senza che venisse loro intitolato un volumone. Le sue tavole sembrano più che altro dei collage, senza che i soggetti scelti siano necessariamente quelli più adatti come contesto e men che meno come espressività e dinamismo.

Nella prima storia Bruce Wayne si ritrova a custodire nientemeno che il Sacro Graal. La missione non è facile perché la reliquia interessa anche a Ra’s al Ghul e a una misteriosa Fratellanza. Altri cattivi del cast della serie prenderanno parte alla storia, e addirittura Jean Paul fa una comparsata. Sul serio: Jean Paul. No, dico, vi rendete conto? Jean Paul! Chissà chi diavolo è questo Jean Paul.

La storia procede tra banalità e scene affastellate (guarda caso i personaggi giusti compaiono al momento giusto quando è funzionale la loro presenza). La soluzione finale però non è malaccio e le battute che Chuck Dixon mette in bocca ad Alfred sono gustose.

Nella seconda storia l’artefatto del titolo (The Ankh) c’entra solo di sfuggita: Batman deve vedersela con una donna dell’antico Egitto sopravvissuta magicamente alla sua epoca e adesso intenta a rubacchiare antichità del suo paese, mentre i miliardari di Gotham vengono rapiti uno dietro l’altro. Purtroppo tocca stare al gioco per non sghignazzare di fronte alla trovata ridicola dei miliardari malati terminali rianimati come mummie. E tutto sommato la soluzione al “problema” di Katar/Khatera non necessitava di un centinaio di pagine in cui Batman è quasi superfluo.

Le tavole di Van Fleet sono ancora peggio, tanto più che non può basarsi su una persona reale per “disegnare” Killer Croc. Infatti, se ho ben capito, Van Fleet parte da fotografie che poi modifica con un software rendendole sempre più semplici e schematiche, solo che a volte si dimentica di elaborarle e le immagini che rimangono iperrealiste risaltano come un pugno in un occhio. E comunque queste elaborazioni dimostrano tutti i vent’anni che le separano dalle tecnologie moderne. Ciliegina sulla torta, come modello per Batman ne ha scelto uno troppo mingherlino.

Con l’ultima storia il testimone dei testi passa ad Ann Nocenti. L’aggancio non è male: un riccastro di Gotham sta facendo costruire il suo nuovo palazzo che a causa di forma e dimensioni impedisce che il sole arrivi in alcune zone della città. Poison Ivy, reclusa nell’Arkham Asylum, si incazza ma in realtà il colpevole degli attentati botanici che fanno impazzire la gente è un altro – purtroppo abbastanza prevedibile, niente colpo di scena. I disegni migliorano un po’, ma trasmettono ancora l’impressione di essere stati presi a caso da copertine di dischi o locandine cinematografiche stilizzate e comunque realizzate con un programma desueto.

lunedì 22 luglio 2024

Cthulhu Bay

Gioco di ruolo di ultima generazione: non prevede livelli, campagne continuative, scenari con una trama predeterminata ma storie “one shot” la cui creazione è condivisa tra Master e giocatori senza sapere in anticipo quali saranno le soluzioni ai casi che i personaggi dovranno affrontare, il tutto con un eventuale piglio metanarrativo laddove necessario.

Regole ce ne sono, ma poche e semplici: citando solo quelle di base, ogni personaggio ha quattro valori definiti da “taglie di dadi” che mi hanno ricordato quelle di Savage Worlds, con le quali cercare Indizi oppure far fronte alla pressione fisica o psicologica cui sarà sottoposto. La riduzione della “taglia” dei dadi a seguito di fallimenti potrà cagionare effetti spiacevoli, ma i personaggi non possono mai morire se non nell’Epilogo. Ogni Racconto necessita del ritrovamento di un massimo di 20 Indizi che aprono ognuno tre possibili alternative tra cui scegliere per continuare l’indagine inventandosi i retroscena. Al momento del redde rationem («Svelare il Mistero del Racconto») bisognerà rispondere alle domande che ogni scenario pone all’inizio; si lancia un dado da 20 confrontandolo con il numero di Indizi trovati e si determina così la sorte dei personaggi, pur se c’è ancora il tempo di agire per modificare l’esito della narrazione.

Dalla mia esperienza con altri prodotti dalle dinamiche simili (Sorcerer, La Mia Vita Col Padrone, Non Cedere Al Sonno) ho riscontrato che alla fine le meccaniche la fanno da padrone, talvolta riducendosi a calcoli matematici, e paradossalmente gli interventi creativi che dovrebbero costituire il fulcro del gioco risultano un po’ forzati. Ma ovviamente giocare Cthulhu Bay potrebbe rivelarsi tutt’altra esperienza.

Il volumetto propone ben quattro scenari, ambientati in epoche e contesti molto diversi – tutti suggestivi e, per quanto possibile (Il Pianeta Sconosciuto si svolge nel futuro), ben documentati; uno è un omaggio a un’avventura classica di Call of Cthulhu, l’ultimo non è opera del suo creatore Jack Gentile ma di Stefano “Pepote Luvazza” Bordandini.

La grafica è eterogenea e accanto a illustrazioni da varie fonti presenta pagine pubblicitarie vintage. Piuttosto naif la copertina di Leon Ant, ma forse vuole omaggiare Erol Otus. Considerando le cifre che a Modena ho visto toccare molti giochi di ruolo, mi pare che 15 euro per 62 pagine siano un buon prezzo. È anche vero che una revisione in più sarebbe stata d’uopo per evitare refusi ed errorini vari, e che la carta usata è veramente molto povera. Però questo ultimo aspetto aggiunge un tocco “pulp” che ben si adatta all’atmosfera.

Viene da chiedersi perché dell’universo lovecraftiano invocato sin dal titolo non vengano spiegati nemmeno i punti cardine per fornire coordinate entro cui far muovere Master e giocatori. Non credo che si tratti di una dimenticanza o del timore di infrangere qualche copyright o della consapevolezza di rivolgersi a un pubblico selezionato già edotto in merito. Più semplicemente sarà stato l’acume commerciale di Jack Gentile a fargli tirare in ballo i Miti di Cthulhu senza che il gioco in sé abbisogni necessariamente del retroterra dell’ambientazione di H. P. Lovecraft, visto che il sistema può adattarsi a qualsiasi contesto.

martedì 16 luglio 2024

Fumettisti d'invenzione! - 191

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

SOMA (IDEM)

(Spagna 2023, in Planeta Manga, © Fernando Llor/Carles Delmau, fantascienza, umorismo)

Fernando Llor (T), Carles Delmau (D)

Fumettista pressata dalle scadenze, Maya si rivelerà la chiave di volta nell’impedire un’invasione aliena.

Pseudofumetto: Martha Gundam Super.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)

IT’S A BIRD… (…È SUPERMAN!)

(Stati Uniti 2004, © DC Comics, drammatico)

Steven T. Seagle (T), Teddy Kristiansen (D)

Lo sceneggiatore Steve (una proiezione dello sceneggiatore?) riceve l'offerta della vita quando gli viene proposto di scrivere Superman. Ma tra guai in famiglia e la minaccia di una malattia genetica la notizia lo deprime ancora di più, a maggior ragione perché non ha mai avuto un buon rapporto col personaggio, che gli ricorda traumi infantili.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

GIRL JUICE (IDEM)

(Stati Uniti 2022, sulla pagina Patreon dell’autrice, © Benji Nate, umorismo)

Benji Nate

Quattro giovani coinquiline dividono le gioie e i dolori della convivenza, ognuna con il proprio carattere e le proprie manie. Ma affrontano anche qualche avventura più articolata.

Ana detta Nana è l’artista del gruppo e disegna anche fumetti.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

EYE EYE AIH!

(Italia 2023, in Fumetti di menare, © Pierluca Galvan/Latitudine 42, erotismo surreale)

Pier [Pierluca Galvan]

Un occhio voglioso fugge alla sua orbita e si insinua nell’oggetto del suo desiderio; il suo esempio viene seguito anche da quelli di altre persone. Anche il lettore stesso della rivista su cui compare questa storia vivrà la stessa esperienza.

sabato 13 luglio 2024

Dov'eri finita? Anna - Mei

C’è gente che sostiene i progetti

E a Lucca ritira i fumetti

Io che sfoglio l’Anteprima

Li ordino da lì

Per questo aspetterò

Quel che resta della mia gioventù

I versi immortali di Sergio Endrigo spiegano bene la mia situazione di lettore drammaticamente in ritardo rispetto a chi si muove per tempo. Così vuole la distribuzione, e meno male che questi due fascicoli mi sono arrivati – mesi e mesi dopo averli ordinati ma che ci posso fare?

Dov’eri finita? è un’unica vicenda che si sviluppa da due punti di vista diversi nei rispettivi volumetti. Ovviamente non è un’idea molto innovativa, pensiamo solo a Berceuse Assassine di Tome e Meyer, ma Miryam Di Capo ha sfruttato bene questo artificio. Il mio consiglio è di leggere i due episodi seguendo la numerazione scelta dal CFAPaz, cominciando da Anna (numero 1 della collana Storie del tempo perso, «alias Schizzo 167») per poi passare a Mei, numero 2 «alias Schizzo 168».

Anna è una studentessa a cinque o sei esami dalla fine del suo percorso universitario: non lo sa con precisione nemmeno lei perché si è limitata a seguire le aspettative degli altri senza passione e senza pensare a cosa volesse fare veramente; così adesso si macera nei dubbi sul suo futuro. Un minimo di sollievo glielo dà il disegno, probabile parallelo con la biografia dell’autrice. Un giorno in una sala studio incontra una bella ragazza orientale che proprio il disegno farà avvicinare. Si danno appuntamento in Piazza Maggiore per la sera successiva, proprio quando si svolge una fiera satura di gente che rende impossibile trovare qualcuno a colpo d’occhio. Ormai rassegnata, Anna viene invece raggiunta da Mei.

Come abbia fatto a individuarla lo scopriamo in Mei, che rivela anche dettagli sulla vita della ragazza e sul curioso meccanismo affine al complesso di Edipo che l’ha fatta interessare ad Anna.

Gli anni ’90 sono finiti da un pezzo e nelle 16 pagine di un fumetto moderno non c’è più l’urgenza di raccontare una storia ma di dare sfogo ai propri patemi d’animo e di descrivere con puntiglio degno di miglior causa il mondo interiore dei protagonisti. Il risultato è comunque meno soporifero e più intrigante di molti altri casi, sia per il fraseggio tra le due parti che per la vicenda satellitare della madre di Mei che ho trovato interessante.

I disegni non sono niente male, anche considerando la giovane età dell’autrice e il suo percorso formativo eclettico. Qualche influenza manga, ma nulla di eccessivo. Purtroppo la realizzazione digitale ha portato ad alcune dentellature del tratto una volta in stampa, e nelle ultime pagine di Mei è saltata parte della traduzione di una canzone. O almeno credo sia colpa del computer.

Molto bella la grafica delle copertine.

giovedì 11 luglio 2024

Storie di H. P. Lovecraft

Da quel poco che conosco Nevio Zeccara l’ho sempre considerato quello che si definisce “un onesto professionista” o un “operaio del fumetto”, cioè una di quelle figure che pur non essendo necessariamente scarse non brillano per personalità o manifesta eccellenza del loro lavoro. Testimonianza, in epoche andate, di quanto il fumetto fosse un’industria vera e propria con la necessità di macinare tavole su tavole. La possibilità di vederlo alle prese con materiale con cui si confrontarono mostri sacri come Alberto Braccia, Horacio Lalia e Dino Battaglia mi ha incuriosito molto, tanto quanto la pubblicazione su una rivista, Il Giornalino, che non mi sembrava affatto la destinazione più indicata per gli orrori e le inquietudini del Solitario di Providence. Evidentemente le medesime perplessità devono averle avute gli stessi Paolini, e nella sua introduzione (Guarino e Pollone ne firmano un’altra) Paolo Zeccara avanza l’ipotesi che il padre poté dar seguito alla sua passione per Lovecraft a fronte della sua disponibilità a disegnare qualcos’altro di imposto dalla redazione. I buoni vecchi artigiani del fumetto dei tempi andati, appunto. Comunque nei fatti i racconti qui adattati non sono quelli che presentano le situazioni più manifestamente orripilanti.

Si comincia con La Città sotto i Ghiacci, tratta da (Al)Le Montagne della Follia. Con il suo schematismo, il disegno rende bene la fredda ostilità dell’Antartide e le forme geometriche dei mostri che sfilano nella storia. Nel breve saggio che integra le introduzioni Stefano Franceschini ci fa notare la scelta di Zeccara di ribattezzare il protagonista originale William Dyer con il nome di Robert Angell, tratto invece da Il Richiamo di Cthulhu.

Subito dopo arriva il piatto forte: Il Miraggio dello Sconosciuto Kadath, pensato evidentemente sia per la serializzazione su rivista che per una successiva raccolta nel classico volume alla francese da 46 tavole, con tanto di copertine di prova per un’edizione che poi non si concretizzò. L’ambientazione onirica è molto affascinante ma non è facile tradurre in fumetto una storia del genere, e più che altro Kadath si fa apprezzare per il sense of wonder piuttosto che per l’azione o i colpi di scena, che latitano. Notevoli le mappe, ma praticamente chiunque si sia cimentato con le Dreamlands ne ha prodotte di affascinanti. Tra l’altro io ricordavo che Randolph Carter incontrava tutti i Grandi Antichi, ma forse era un altro racconto. Non ricordo se Pickman compariva effettivamente anche qui o se Zeccara ha imbastito un cross-over con Il Modello di Pickman. Franceschini sottolinea come la destinazione del fumetto abbia portato Zeccara a fornirgli un ulteriore livello assente nell’originale introducendo una certa attenzione ai rapporti umani e alla fratellanza universale. Non possiedo l’autorità per contraddirlo, io però ci ho visto principalmente la celebrazione della determinazione e dell’abnegazione di un uomo che cerca di raggiungere i suoi sogni (in senso letterale) contro ogni avversità e contro il parere sfavorevole di tutti.

Quasi a giustificare la presenza di una storia così particolare per le pagine de Il Giornalino, Zeccara approntò una splash page qui riprodotta in cui lo stesso Randolph Carter introduce Lovecraft spiegando che in occasione del centenario della sua nascita la redazione decise di rendergli omaggio con questa versione a fumetti.

Segue La Casa nella Nebbia, molto suggestiva ma forse poco soddisfacente per i lettori più giovani visto che il nocciolo del mistero non viene approfondito.

Poi I Gatti di Ulthar in cui la scelta di un’ambientazione mitteleuropea un po’ caricaturale può essere stata fatta per smorzare quel poco di inquietante che vi succede.

Infine Il Colore venuto dallo Spazio dove il realismo della ricostruzione dell’America rurale crea un bel contrasto con l’elemento fantastico introdotto dal fenomeno del titolo.

Nelle ultime tre storie, realizzate a distanza di una decina d’anni da Kadath, il tratto di Zeccara si fa più sintetico e io l’ho trovato più elegante, anche se i profili continuano a essere un po’ incerti tra realismo e caricatura.

Purtroppo la stampa non è buona. Meglio di Ipernova, ma peggio di quella di Steve Vandam in cui i software di upgrade delle tavole di cui mi aveva parlato Pollone avevano svolto con efficacia il loro compito.

Mi sembra che le ultime tre storie, forse a seguito dell’ingrandimento a partire da un formato più piccolo, abbiano particolarmente risentito del problema, ma pure Kadath ne ha sofferto, soprattutto a livello di colori che a volte hanno quell’effetto puntinato di quando di salva un’immagine in BitMap con un selezione ridotta di colori (sono consapevole di non aver usato una terminologia ottimale, spero di aver reso l’idea).

Questo almeno per quel che riguarda le tavole a fumetti, ovviamente riprese dalle riviste dove furono ospitate a suo tempo. Con gli “extra” la musica cambia. Eccome se cambia. La possibilità di accedere ad alcune tavole originali superstiti (e bozzetti, e prove per copertine, e illustrazioni…) ne ha permesso una riproduzione perfetta: insieme a ogni singolo tratteggio sono perfettamente visibili anche le tracce di matita e le rare pecette con cui Zeccara corresse o aggiunse qualcosa. Il confronto delle tavole originali con quelle stampate permette inoltre di scoprire gli interventi redazionali de Il Giornalino (fatti in autonomia o demandati all’autore?): sulla rivista si preferì ricorrere a dei balloon sostituendo le didascalie che Zeccara aveva previsto in origine.

Tra il generoso materiale aggiuntivo ho apprezzato due chicche in particolare: la prima è una delle storie brevi del Dottor Omega pubblicate su L’Eternauta (se non sbaglio alcune sono ancora inedite), presentata in virtù della sua atmosfera lovecraftiana – trattandosi di tavole in bianco e nero la resa tipografica è migliore. La seconda è ciò che rimane della versione a fumetti de La Celebrazione, splendidamente realizzata a tempera ma purtroppo rimasta incompiuta e quindi inedita, almeno fino a oggi.

Al di là delle considerazioni sul valore intrinseco (e filologico) dei fumetti e del resto del materiale, è interessante notare come un “profano” abbia interpretato mostri ed entità cui giochi di ruolo e altri fumetti e libri illustrati hanno dato una versione ormai standardizzata – i ghoul non dovrebbero avere gli zoccoli, comunque?