lunedì 30 maggio 2016

Wolverine: il migliore in quello che fa 2

Preso per i disegni di Juan José Ryp e perché nella fumetteria dove l’ho comprato lo vendevano col 25% di sconto per liberare il magazzino, nonostante fosse praticamente nuovo.
Sono salito sul carrozzone in corsa e non ho letto il primo volume ma posso dire che al netto dei disegni di Ryp il fumetto non è questa gran cosa. Il soggetto di partenza (una mega-infezione a Wolverine che tanto rigenera) è buono ma Charlie Huston è veramente troppo verboso e spesso le sue battute sono infelici, a volte troppo cervellotiche, a volte fuori luogo, a volte con un ritmo soporifero e a volte semplicemente non divertenti. I comprimari alieni del protagonista sono piuttosto ridicoli e lo stesso si potrebbe dire delle varie vittime del villain Contagio, che oltretutto portano con la loro presenza splatter alla solita considerazione sull’arretratezza del mercato mainstream USA: squartamenti, bubboni, deformità e quant’altro sono accettabili mentre un bel paio di tette (e pure il culo di Wolverine) bisogna industriarsi a coprirlo con mezzucci grafici degni del marchio di Garanzia Morale GM dell’Italia degli anni ’50 – e stiamo pure parlando di un prodotto che sin dalla copertina si fregia di essere destinato agli adulti!
Mi rendo conto che l’ipertrofico Ryp ha i suoi difetti: il mento dei personaggi è spesso esagerato e i loro occhi sono un po’ troppo piccoli e ravvicinati, ma è un vero toccasana rispetto alla stragrande maggioranza delle porcherie artsy e no che si vedono sui comic book. Purtroppo i colori di Andres Mossa non gli hanno reso pienamente giustizia e benché non si possano definire brutti sono troppo pesanti e coprenti soprattutto per quel che riguarda il panneggio dei vestiti, alcuni volti e il pancino di Emma Frost. Secondo me Ryp si apprezza di più in bianco e nero, e magari non in un volume brossurato come questo che per la sua struttura impedisce di godere dei particolari più vicini alla rilegatura.

martedì 24 maggio 2016

Il guaio di un fumetto come Ut...

...è che rimanda a un universo così complesso e usa un linguaggio talmente criptico che a volte si ha l'impressione di non aver compreso del tutto quello che si ha letto. Quando poi ci si mettono pure i refusi...
Ho controllato: il termine "ododre" non esiste, pensavo fosse una licenza vetusta.
Questo numero 3, immutata la splendida parte grafica di Roi (forse solo un po' avaro di sfondi in alcune delle prime tavole), è un punto di svolta nella miniserie e si comincia a delineare meglio l'ambientazione e con essa anche le caratteristiche dei personaggi che la animano. Cose a cui magari un lettore più intuitivo di me era già arrivato, ma per me si è trattato di precisazioni importanti del mondo in cui si muovono i protagonisti.
Purtroppo gli autori, mannaggia a loro, anche stavolta hanno strizzato l'occhiolino al lettore.

giovedì 19 maggio 2016

Fumettisti d'invenzione! - 99

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

NIJŪ SEIKI SHŌNEN (20th CENTURY BOY)
(Giappone 1999, in Big Comic Spirit, © Urasawa, fantascienza)
Naoki Urasawa

Complessa vicenda con varie ramificazioni e frequenti salti temporali. Il leader di una setta, “L’Amico”, conquista la ribalta mondiale nascondendosi dietro un simbolo che era stato ideato nel 1969 da alcuni bambini che avevano realizzato una sorta di fumetto sulla conquista del mondo, che l’Amico sta realizzando veramente in quei termini.
Grazie a Sauro Pennacchioli per le specifiche.

VARIE CATEGORIE ma principalmente CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

MULTIVERSITY (IDEM)
(Stati Uniti 2014, © DC Comics, supereroi)
Grant Morrison (T), disegnatori vari (D)

Affresco in 9 episodi di alcuni dei 52 universi alternativi venutisi a creare dopo il reboot dell’Universo DC del 2011. Ogni episodio di Multiversity viene anche indicato come numero 1 di una ipotetica collana dedicata alla Terra (o alle Terre) presentate in quel numero.
Un comic book maledetto, lo stesso Ultra Comics che anche noi leggeremo nel penultimo episodio, sta attraversando i vari mondi portando la rovina e gli eroi di tutto il Multiverso devono allearsi per evitare l’apocalisse.
Come in molti altri suoi lavori Grant Morrison preme pesantemente sul pedale del metafumetto, arrivando anche a farci dell’ironia (che però assume i contorni di un’autoassoluzione) ma non si limita a questo:

In Which We Burn (In cui bruciamo) in Multiversity 4/Pax Americana 1 (2015). Grant Morrison (T), Frank Quitely [Vincent Deighan] (D)
Intricata vicenda che non si sviluppa in maniera lineare, forse a rappresentare l’esistenza finita e destinata a ripetersi degli eroi dei fumetti, che non hanno una vita reale oltre le pagine e sono costretti a ripetere le stesse azioni.
Su Terra-4, abitata da versioni morrisioniane dai personaggi della Charlton Comics filtrate attraverso la lente di Watchmen (che a sua volta si basava sugli stessi modelli), il padre del Presidente degli Stati Uniti d’America, Vince Harley, era un supereroe fumettista.
Pseudofumetti: Vince Harley scriveva e disegnava per Major Comics i comic book del supereroe Maggiore Max, la cui ultima avventura Il Maggiore Max incontra Giano, l’Uomo Ubiquo (nella versione originale «The Everyway Man») conteneva forse la spiegazione dell’Algoritmo 8 con cui il figlio cercherà di viaggiare nel tempo per cancellare gli eventi che porteranno alla sua morte.
Inoltre ai componenti del supergruppo governativo Pax Americana verranno dedicati vari oggetti di merchandising per essere meglio accetti dalla popolazione, e tra questi ci sono anche delle serie di comic book a loro dedicate.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

FUMETTISTI RAGGUARDEVOLI
(Italia 2015, in Linus, © Tuono Pettinato, biografia)
Tuono Pettinato [Andrea Paggiaro]

Rubrica mensile con cui Tuono Pettinato introduce in due pagine l’autore di cui in quel numero di Linus vengono proposti estratti delle sue opere.
La serie si inserisce nell’ottica delle celebrazioni per il cinquantennale di Linus.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

VINCINO UNA VITA DISEGNATA
(Italia 2014, © Vincino, autobiografia)
Vincino [Vincenzo Gallo]

Autobiografia del vignettista Vincino che alterna scene familiari e fatti storici, parlando anche dei suoi esordi e del suo lavoro – e degli strascichi giudiziari che occasionalmente ebbe.

lunedì 16 maggio 2016

Morire in Piedi

Non ricordavo nemmeno di averlo ordinato, e francamente non ricordo perché lo avevo ordinato. Comunque, eccolo qua.
Morire in Piedi è una raccolta di sei racconti di Adrian Tomine, in cui l’autore dà prova della sua versatilità e della sua consumata abilità nel gestire lo specifico del fumetto. Se si fosse premurato di inventarsi delle storie degne di questo nome sarebbe stato perfetto.
Purtroppo Morire in Piedi spara la sua cartuccia di gran lunga migliore all’inizio e gli altri cinque fumetti ne risultano inevitabilmente sminuiti. Breve storia della forma d’arte nota come “Ortiscultura” è la divertente vicenda di un giardiniere che cerca di fare il colpo della sua vita con la teorizzazione, la realizzazione e ovviamente la promozione dell’“Ortiscultura”, una forma d’arte che coniuga scultura a botanica. Forse Tomine non conosce il lavoro di Giuseppe Penone, ma comunque qui la sostanza è un po’ diversa: le sculture hanno il bisogno di essere periodicamente curate, così Harold si assicura il lavoro di giardiniere sul lungo termine! Nonostante la frustrazione del protagonista sia tangibile e la sua vita alquanto miserevole, la storia è come dicevo sopra molto divertente anche perché Tomine l’ha realizzata come se fosse una raccolta di strisce quotidiane con le relative tavole domenicali (un appassionato di fumetti non può che apprezzare a prescindere). Al termine di ognuno di questi blocchi minimi deve quindi esserci una battuta, e Tomine non sbaglia un colpo. Eccellente, poi, la naturalezza e l’efficacia con cui riesce a rendere tangibile con pochi tocchi lo scorrere del tempo di questa vicenda.
Seguono:
Amber Sweet, un buon soggetto di partenza che avrebbe meritato di essere sviluppato laddove invece Tomine lo fa finire (il dramma di una studentessa troppo somigliante a una pornostar);
Forza Gufi, un viaggio nelle miserie umane di chi vive di espedienti «fuori dai radar» (stile Vincent Gallo, fratelli Cohen, ecc,), ottima lettura se non fosse che finisce con una trovata da barzelletta che è già stata sfruttata altrove, ad esempio in un episodio dei Simpsons;
Tradotto dal giapponese:, un racconto illustrato e non un fumetto;
Morire in piedi, originale storia di una ragazzina problematica che vuole fare la comica e del rapporto con suo padre: anche qui i dettagli per rappresentare lo scorrere del tempo dimostrano la grande maestria di Tomine, ma alla fine la vicenda è un po’ inconcludente e anche faticosa da leggere (non so se il formato originale fosse più grande, ma la griglia di venti vignette per tavola è un po’ ostica) – il monologo del comico di colore è divertentissimo, comunque;
Intrusi, una specie di noir anch’esso pericolosamente in bilico verso il racconto illustrato, difetto comune ad Amber Sweet.
Graficamente Adrian Tomine è fenomenale e riesce a raccontare e a esprimere i sentimenti (e persino le malattie) dei personaggi con i proverbiali due segnetti; queste “storie” non sono però indirizzate a chi cerca una soddisfazione intellettuale nel vedere raccontare e sviluppare un intreccio originale, ma piaceranno a chi ama le descrizioni degli struggimenti dei personaggi e le digressioni sull’animo umano.
L’edizione Lizard è un bel cartonato stampato su ottima carta uso mano ad alta grammatura e sicuramente vale i suoi 19 euro. Anche se siamo in epoca di internet e ci vuole un niente a reperire le informazioni, io avrei gradito qualche nota del traduttore che spiegasse cosa sono i «Chia pet», gli «extended stay America» e chi diavolo è John Boehner.

sabato 14 maggio 2016

E finalmente...

La data di pubblicazione riportata in seconda di copertina risulta essere l'ottobre 2015 (!!!) e anche le pubblicità all'interno rimandano a quel mese. Chissà che diavolo è successo. Vabbè, l'importante è che sia uscito, sperando che a breve escano anche gli ultimi due.

giovedì 12 maggio 2016

Curioso...

...proprio l'altro giorno mi chiedevo come mai dopo la prima apparizione su uno dei primissimi Corto Maltese la storia breve a colori di Pazienza e D'Angelo Shishna Pagna non fosse mai stata ristampata in volume; o almeno, non che a me risulti: pensavo di chiedere lumi qui sul blog.
Repubblica mi ha anticipato (v. sommario del volume 9).

mercoledì 11 maggio 2016

Cosmo Serie Gialla 44 - Golden Dogs 2: Il Giudice Aaron

Si conclude la serie in quattro episodi che aveva saputo attirare la mia attenzione il mese scorso nonostante il formato bonellide. Si conclude per modo di dire, perché dice e non dice, rivela e non rivela, mette nuova carne sul fuoco senza cucinarla a dovere. E la deriva vagamente sovrannaturale mi è sembrata ridicola, per quanto solamente accennata e descritta con scetticismo e distacco dallo stesso Desberg.
Chi era il traditore tra le fila dei Golden Dogs? Io non l’ho capito. Forse tutti e quattro.
Con chi dialoga Fanny nelle didascalie che accompagnano la vicenda? Non viene rivelato.
Nel complesso mi è sembrato che Golden Dogs sia stato chiuso in fretta e furia senza dargli il giusto respiro. Non sono tra quanti ritengono che ogni aspetto della trama vada per forza sviscerato in dettaglio, ma stiamo parlando di un mystery e le spiegazioni almeno alle questioni più importanti dovrebbero essere fornite, possibilmente in maniera chiara. Inoltre è più evidente in questi due ultimi episodi (un po’ più brevi: di 46 tavole ognuno) la fretta che aveva anche Griffo. Peccato, perché l’ambientazione era interessante.
Non finirà tra il Peggio del 2016 ma per me è stata una grossa occasione mancata.

martedì 10 maggio 2016

Il Morto 4: L'Ultima Casa in fondo alla Strada

Come credo di avere già scritto, è stata una fortuna che abbia cominciato a leggere Il Morto a serie già iniziata, quando hanno cominciato a distribuirlo nelle edicole, perché altrimenti non so se avrei seguito la collana vista la qualità non esaltante dei primi numeri, soprattutto per quel che riguarda i disegni. Di questo numero 4 in particolare, redistribuito in edicola come i precedenti 3.
Peg/Il Morto giunge nel paesino di Torrescura e viene ospitato per qualche giorno nell’agriturismo degli Zanerbi in cambio di un favore. Il suo passato nella veste di un manipolo di killer lo raggiunge sin lì, proprio quando ha trovato una persona che potrebbe far luce sulla sua identità e sui suoi trascorsi. Come da copione questo ex-commilitone finisce ammazzato prima di poter rivelare troppo, anche se gli indizi che fornisce sono fondamentali.
I disegni di Biagio Leone sono purtroppo molto acerbi, legnosi e spesso poco proporzionati. L’intervento dello Studio Telloli non è riuscito a smussare le sue imprecisioni, o forse in origine erano ancora peggio. Anche i testi di Giovacca stavolta non sono al top: c’è un po’ di confusione nello sviluppo della trama a causa dei nuclei familiari coinvolti non ben definiti (gli Zanerbi e i Moraghi) e l’espediente dell’incidente col trattore viene un po’ abusato. Non mancano momenti leggeri con intenti umoristici ma con un disegno migliore avrebbero funzionato meglio.
In appendice ci sono la parte conclusiva della storia di Gary di Fulber (bellissimi i disegni, mi aspettavo però qualcosina di più: alla fine tutto si riduce a una carrellata sulla storia del castello di Thun) e un simpatico episodio di H. W. Grungle ottimamente disegnato da Lucio Leoni ed Emanuela Negrin.

lunedì 9 maggio 2016

Cosmo Color Extra 18 - Il Crepuscolo degli Dèi 9: Il Sangue di Odino

Il seguito apocrifo dell’Anello dei Nibelunghi prosegue con un episodio interlocutorio. Tra gli elfi c’è chi complotta contro i due fratellini che dovranno salvare il mondo e quindi Lif e Lifthrasir devono essere portati al sicuro in attesa che giunga il momento in cui si compia il loro destino.
Nel frattempo il centurione Foca assiste alle angherie che il fratello dell’Imperatore di Costantinopoli perpetra tra i Germani e Yngvild cerca di aiutare l’amico Bjarnulf a liberarsi dallo spirito dell’orso che lo rende un berserker senza controllo.
Episodio interlocutorio, dicevo: c’è molta azione in questo volume, e vengono principalmente gettate le basi delle trame future. Lif e Lifthrasir ritornano infatti nel Mannheim immemori, secondo un copione consolidato, dell’addestramento ricevuto presso gli elfi e quindi sgravati al momento dal peso del loro destino.
Questo seguito mi sta piacendo più della storia canonica, probabilmente perché quella raccontata sino al settimo volume era risaputa e conosciutissima e qui invece Jarry può permettersi ampi margini di originalità e di inventiva. Djief, che pure aveva mostrato una promettente evoluzione nello scorso episodio, mi è sembrato non al massimo della forma e la sua linea morbida e diafana mal si presta a rappresentare rudi guerrieri e sanguinose scene di battaglia: in mano a un altro disegnatore più dettagliato e “rozzo” lo scontro con Thor avrebbe avuto tutt’altra rilevanza.
In quarta di copertina e nell’introduzione viene annunciato il prossimo fumetto che sarà ospitato su Cosmo Color Extra: Dwarf di Shovel e Fogolin. Sarà ancora un 19x26 o anche quello verrà presentato nel formato 16x21? Chi vivrà vedrà.

domenica 8 maggio 2016

Ms. Marvel 1: Fuori dalla Norma

Come ammesso da Simon Bisi nell’introduzione, la ragion d’essere di questa versione di Ms. Marvel è la copertura mediatica e la curiosità che avrebbe suscitato l’idea di base, ovvero che la protagonista è la prima supereroina musulmana (sarà poi vero?). Con una premessa del genere era lecito aspettarsi poca cosa, eppure la serie è stata addirittura premiata ad Angoulême. Quando vogliono i francesi sanno essere molto generosi. Forse troppo.
Basandosi anche sulle loro esperienze personali, l’editor Sana Amanat (di origine pakistana) e la sceneggiatrice G. Willow Wilson (convertita all’Islam) hanno optato per imbastire una storia a metà strada tra la situation comedy sul culture clash e la classica trama supereroistica, farcendo il tutto con inevitabili stereotipi.
Kamala Khan è una sedicenne pakistana nerd del New Jersey che a seguito delle conseguenze di quello che immagino fosse un crossover del 2014 (l’esposizione a una bomba terrigena) acquista dei superpoteri che le permettono di cambiare aspetto e dimensioni. Come da prassi uomoragnesca farà più disastri che altro nell’imparare a usare le sue nuove abilità e la sua vita sociale già martirizzata dal dogmatismo religioso che le viene imposto ne sarà ulteriormente danneggiata. Il cast contempla le solite figure standard viste in migliaia di altri film, fumetti, serial tv: l’amico sfigato innamorato della protagonista, i “popolari” del liceo, ecc.
Ogni tanto si sorride (il fratello fervente musulmano è una bella trovata) ma nel complesso questa Ms. Marvel non è nulla di epocale. E questo primo volume termina oltretutto proprio sul più bello, con l’apparizione del supernemico.
La parte migliore di questo fumetto sono i disegni di Adrian Alphona, e mi stupisco di scriverlo visto che il suo stile è diventato molto più caricaturale rispetto ai tempi di Runaways. Però non è un caricaturale deformed: sembra riallacciarsi di più alla lezione di certi disegnatori grotteschi inglesi, uno su tutti Ralph Steadman. Le scritte e i messaggini con cui Alphona riempie le sue tavole sono poi un buon motivo per soffermarcisi e alla fine costituiscono un elemento di interesse in più.
Ho trovato molto belle le copertine originali riprodotte nel volume, dal tratto realistico pulito e molto deciso, ma non sono riuscito a capire chi ne è l’autore.
Il volume cartonato della Panini raccoglie per 12 euro i primi cinque episodi della serie originale più una preview promozionale di 8 pagine. C’è di meglio nel mondo dei comic book ma anche di peggio.

sabato 7 maggio 2016

Historica 43 - L'Impero Azteco 1: I Presagi di Montezuma

Inaspettatamente, trattandosi di un’opera del popolaresco Jean-Yves Mitton, il nuovo volume di Historica mi è piaciuto molto. Con il titolo L’Impero Azteco vengono presentati i primi quattro episodi della saga Quetzalcoatl già edita in Italia da Alessandro Editore, non ricordo se nella sua completezza. È probabile che in Mondadori abbiano scelto questo titolo più anonimo per attirare legittimamente quei lettori che già possiedono l’altra versione.
La storia cattura sin dall’inizio, con una introduzione molto drammatica e un calcolato (e forse un po’ eccessivo) ritardo nel presentare i protagonisti. Siamo a Vera Cruz nel gennaio 1525 e l’inquisitore Padre Segura è stato chiamato dalla Spagna a raccogliere la testimonianza di una india accusata di stregoneria, tal Maïana Xochitla che da quando aveva 15 anni nel 1519 è riuscita a sopravvivere alle brutture della società che l’aveva generata e addirittura a diventare la concubina di uomini di potere come Montezuma e successivamente Hernán Cortés. In realtà, come il vescovo locale è sin troppo sincero ad ammettere con Segura, la confessione servirà principalmente a estorcere alla donna dove si trova il favoleggiato oro di Montezuma.
La schiettezza disincantata con cui Mitton introduce il vero scopo dell’Inquisizione si riflette anche nell’obiettività con cui rappresenta le barbarie a cui gli stessi sanguinari Aztechi sottoponevano le altre etnie come i Mixtechi di cui fa parte Maïana, che poco avevano da invidiare ai massacri perpetrati dai conquistadores.
La storia di Maïana viene raccontata quindi tramite la registrazione scritta delle sue memorie durante la notte, con l’espediente geniale della lotta contro il tempo: il tribunale si riunirà durante la mattina successiva e Padre Segura dovrà riuscire a trovare nella sua storia elementi a suo favore per salvarla dal rogo.
In questi primi 4 episodi assistiamo all’ascesa di Maïana da contadina appena maritata a concubina favorita di Montezuma per vendetta (l’idea alla base del suo piano ricorda quella di un episodio de Il Venditore di Sogni di Ferrandino) sino a diventare fuggiasca, dopo essere sopravvissuta a violenze indicibili. Ovviamente come succede agli eroi popolari la vicenda di Maïana procede anche grazie a smaccate botte di fortuna e agli incontri giusti al momento giusto. Mitton dimostra di essersi documentato parecchio e inserisce molte nozioni e dettagli storici in questa saga, tanto da rendere la lettura dei singoli episodi un po’ più densa della media.
Inoltre fa un ottimo lavoro sui protagonisti, che sono molto sfaccettati e rivelano nel corso della narrazione la loro vera natura: Padre Segura all’inizio ci viene introdotto come uno stronzo e invece si rivelerà uomo giusto e di buon cuore, mentre il suo giovane assistente frate Tancredi a cui inizialmente va la simpatia del lettore si dimostrerà meno innocente di quello che sembrava. Ciò detto, Mitton è pur sempre Mitton…
L’umorismo che affiora con eccessiva frequenza è di grana assai grossa: al di là della scena in cui Montezuma annoiato a morte sonnecchia durante i sacrifici, la bagarre di pagina 38 è talmente sopra le righe che nei commenti di Padre Segura, che la etichetta come una «farsa di paese», mi è sembrato di cogliere una certa autoironia da parte di Mitton.
Gli ammiccamenti pruriginosi, che sovente coinvolgono minorenni, sono praticamente la norma e non mancano sequenze boccaccesche come gli intermezzi con frate Antonino, omosessuale sin troppo intraprendente.
A livello di disegni Mitton conferma la sua attitudine di autore ruspante per cui l’anatomia e le proporzioni possono essere addomesticate per far stare le figure nelle vignette. Lo stesso Sergio Brancato nell’introduzione lascia intendere quanto lo stile di Mitton sia sin troppo classico, intendendo probabilmente la banalità delle inquadrature e certe licenze come i profili non riuscitissimi. I suoi campi lunghi e le scene di massa sono comunque oggettivamente molto curati e suggestivi.
In merito a questa edizione della Mondadori la prima cosa che si nota è che, come accaduto per altre serie meno recenti (il primo episodio di Quetzalcoatl è del 1997) la qualità di stampa non è ottimale, anche se il quarto volume viene riprodotto in maniera impeccabile. Non ci sono balloon invertiti, ma c’è stata qualche indecisione su quale articolo usare davanti alla zeta (“quei” Zapotechi invece di “quegli”, come “dei” Zolipotl e non “degli” ma poi altrove viene scritto correttamente “gli Zapotechi”).
Va segnalato come nel terzo episodio sia stato fatto un ottimo lavoro nell’adattare le onomatopee francesi. Come nel caso dell’ultimo I Passeggeri del Vento anche qui viene riportato in appendice un glossario, in cui però ogni tanto non viene rispettato l’ordine alfabetico e non sempre c’è omogeneità con i termini usati nel fumetto («Tonaltiuh» viene riportato come «Tonatiuh» e  «Omexochitl» come «Omexocitl»). Questi difetti probabilmente sono presenti già nei volumi originali,  mentre i traduttori dovrebbero sapere, o almeno intuirlo dai disegni, che in francese faire une pipe a un uomo («Poquietl», dicevano gli amerindi) non vuol dire certo fabbricargli una pipa.
Attendo con ansia il prossimo volume conclusivo della serie. Ed era un bel po’ che non mi capitava con Historica.

giovedì 5 maggio 2016

Il punto su Secret Wars

Con il quinto numero di Planet Hulk considero terminata la mia esperienza con le miniserie legate all’evento Secret Wars, ma d’altra parte immagino che uscirà ancora poco o nulla in merito.
La serie portante non l’ho seguita ma in ogni caso parecchie miniserie si sono rivelate molto interessanti. Almeno quelle che ho seguito io, pur se non sono mancate delusioni e magari anche tra quelle che non ho preso si celasse qualche gioiellino.
So che in altre occasioni venne fatto un esperimento simile, principalmente coi crossover Age of Apocalypse e House of M, ma credo che qui sia stata compiuta un’operazione più radicale: non essendoci un tema comune di fondo semplicemente le testate si sono trasformate ognuna per conto proprio in maniera indipendente riprendendo momenti diversi della storia Marvel, lasciando quindi il massimo della libertà agli autori per cui non era necessario un allineamento tra testate (che poi alla fine pare ci sia stato, almeno in alcuni casi) né il rispetto di una continuity inesistente.
Credo di poter dire che alla base di questa operazione ci sia stata una grande onestà. Mi rendo conto che sia un termine roboante ma è indubbio che tra editore e pubblico era manifesto il tacito accordo per cui in quei 4 o 5 mesi in cui le testate erano coinvolte dall’evento agli autori sarebbe stata lasciata carta bianca: tanto poi si torna alla normalità come al solito. E questa libertà creativa ha dato buoni frutti.
L’unico aspetto condiviso da molte miniserie è stato il revivalismo, il recupero di personaggi e ambientazioni passate per strizzare l’occhio al lettore Marvel più affezionato. Questo ovviamente ha portato a una quantità di citazioni e riferimenti che io non ho potuto cogliere ma che per il lettore Marvel più affezionato devono essere stati un bel valore aggiunto.
Va detto inoltre che la necessità di chiudere la narrazione in un numero prestabilito di episodi ha imposto agli sceneggiatori di racchiudere quanto più materiale possibile nei loro lavori, offrendo spesso una densità di scrittura che mi sembra latitasse da molto nei fumetti Marvel in favore della famigerata decompressione.
Le miniserie raccolte direttamente in volume che ho letto io non sono state molto interessanti: Captain Marvel & i Carol Corps è una lenta agonia verso un non-finale inconcludente incomprensibile senza aver letto Secret Wars (o forse le giuste miniserie collegate). Weirdworld è stato solo un divertissement, disegnato neanche poi così bene da Del Mundo. Dove dimorano i Mostri è stata la solita ennisata pur con qualche battutina divertente.
Credo che in Italia siamo stati fortunati a poter leggere le altre miniserie nelle consuete collane riorganizzate per l’evento visto che così una testata piacevole può aver risollevato le sorti delle comprimarie e che da un primo assaggio si poteva già capire se seguire o no tutti i 4/5 numeri. Quindi se i prossimi commenti sembreranno troppo positivi è anche dovuto al fatto che alcune miniserie mi hanno allontanato appena le ho lette inevitabilmente mi sono concentrato sul meglio di quello che rimaneva. Nel dettaglio:

Planet Hulk. Due belle storie, o meglio storiazze, piene di azione e sense of wonder. I due canovacci di Planet Hulk e Futuro Imperfetto non sono nemmeno così originali, se non vagamente quello del secondo (il primo una missione di recupero in un mondo devastato, il secondo una ribellione al potere condotto da due ex-nemici) però sono scritte molto bene, con un ottimo ritmo e appunto un bel po’ di inventiva (il sense of wonder di cui dicevo) che mantiene viva l’attenzione del lettore. I dialoghi di Peter David, poi, sono spesso una goduria da leggere. Entrambe hanno poi potuto beneficiare di due ottimi finali, anche se quello di Futuro Imperfetto mi ha ricordato un episodio della run di Millar-Hitch sui Fantastici Quattro.
Entrambe le miniserie hanno inoltre potuto fare affidamento su un repartografico eccellente: il Marc Laming di Planet Hulk è stato una graditissima sorpresa (realistico e dettagliato ma al contempo dinamico ed espressivo) mentre il tanto vituperato (anche da me) Greg Land è riuscito ad andare oltre il suo pinuppismo ricalcato creando delle tavole che non si limitano a essere belle esteticamente ma anche molto narrative.
Sicuramente non sono due fumetti che entreranno nella storia ma entrambi hanno dimostrato quanto i loro autori siano dei maestri nell’usare le potenzialità del mezzo e li ho letti proprio di gusto.

A-Force. Altro centro della Panini. La serie titolare è partita un po’ in sordina ma già dal secondo capitolo è decollata. Anche se ho avvertito a volte un po’ di lentezza nei testi di Marguerite Bennett e G. Willow Wilson, la trama basata sugli intrighi interni all’A-Force e sull’identità della nuova venuta extradimensionale è bastata ad appassionarmi alla storia. Certo, il finale è una lunga scazzottata con battute sceme appiccicata a un epilogo prolisso e melenso (la Bennett e la Wilson non conoscono mezze misure!) ma non basta a rovinare la buona impressine complessiva.
Squadrone Sinistro è stata una delle rivelazioni di Secret Wars. Marc Guggenheim ha scritto una storia fantastica, un complotto molto articolato e avvincente in cui oltretutto ha saputo gestire benissimo i molti attori coinvolti. E ognuno di questi personaggi (anche i comprimari come l’Uomo Sabbia o lo Starbrand Jacob Burnsley) è stato caratterizzato in maniera egregia. Credo cheSquadrone Sinistro sia la miniserie Secret Wars con la maggiore densità di scrittura: non solo la trama è molto complessa e variegata, ma la lettura impegna il lettore per un bel po’, il che in tempi di decompressione è un grandissimo pregio. Bellissimo, poi, il finale, così come anche l’epilogo cinico e disincantato.
1872. Altra grandissima rivelazione: la trasposizione western dei Vendicatori? Non le avrei dato una lira, e invece come miniserie è stata appassionante, sorprendente (vedi le morti eccellenti sparse qua e là a sorpresa) e veramente ben scritta. Anche la trasposizione dei classici Tony Stark, Bruce Banner, ecc. in un contesto western si è rivelata molto meno scontata di quello che avrebbe potuto essere. Il finale (anche qui, ottimo) lascia intendere che si tratti solo dell’inizio di una nuova serie ma sarà difficile restare a questi livelli.
Ciò che accomuna queste tre miniserie è che forse la parte grafica, che pure vanta il veterano Carlos Pacheco su Squadrone Sinistro, non è stata proprio all’altezza dei testi pur se il livello è abbondantemente dignitoso.

Civil War. Non male anche se inizialmente sembrava concentrarsi su un whodunit e poi la trama ha virato nettamente verso un più canonico scontro fra supereroi. La sterzata verso Secret Invasion, sia strizzata d’occhio ai lettori che effettivo colpo di scena, è stata tutto sommato simpatica e “filologicamente corretta”. Piacevole pur se non all’altezza dell’aura mitica che molti le avranno attribuito rifacendosi alla vecchia miniserie-evento omonima.
Armor Wars si è rivelata alla fine addirittura migliore della testata titolare. Sicuramente l’idea di partenza è una rimasticatura di un soggetto precedente, ma la parte di detection è stata intrigante così come sono stati gestiti molto bene i personaggi in gioco, con tanto di colpi di scena effettivamente inaspettati. Trovo che questa interpretazione di Wilson Fisk sia ottima e per me la storia poteva concludersi già al quarto capitolo prima della battaglia coi robottoni. Peccato per i disegni espressionisti/deformed di Marcio Takara, non proprio “brutti” (beh, non troppo) ma inadatti a questa ambientazione in cui i dettagli tecnologici avrebbero dovuto avere un maggiore risalto.

Hail Hydra. La serie titolare si è rivelata senza infamia e senza lode: una distopia in cui il protagonista spaesato profugo dell’universo pre-Secret Wars cerca di destituire il tiranno Ernim Zola. Certo, Rick Remender ha qualche idea abbastanza buona come la versione freak dei Vendicatori nelle fogne, ha saputo creare una discreta atmosfera di angoscia e oppressione e anche il finale non è male (per quanto mi sembri rimandare a un “vero” finale da leggersi altrove), però la miniserie non decolla. Anche i disegni di Roland Boschi sono conformi al livello del testo: ogni tanto c’è qualche guizzo un po’ più ardito e piacevole, non mancano però alcune anatomie poco credibili ma in generale regna un certo anonimato.
Red Skull mi ha invece preso di più: i personaggi sono originali e ben tratteggiati ed è stato interessante vedere all’opera dei criminali invece che i soliti eroi. Se ho continuato a comprareHail Hydra è stato principalmente per vedere se la mia intuizione che il Teschio Rosso fosse in realtà Steve Rogers fosse giusta (sbagliavo). Bello il finale beffardo – d’altra parte sono supercattivi, cosa ci si poteva aspettare? I disegni un po’ deformed di Luca Pizzari non sono stati proprio il massimo per me.
Essendo Red Skull una miniserie di soli 3 numeri ha lasciato il posto sul quarto a una storia autoconclusiva non proprio originale (la vita comune di uno sgherro anonimo, cosa già fatta tra i tanti da Grant Morrison su The Invisibles) ma comunque meno brutta di tante altre.

Thors è stata l’unica delusione. Delusione relativa, perché rimane comunque un buon fumetto, che però viste le premesse avrebbe potuto essere ottimo. Jason Aaron esordisce con un bel noir ma poi si incarta (o lo hanno fatto incartare a livello editoriale) con i topoi e la mitologia dei supereroi Marvel, non riuscendo a portare fino in fondo l’atmosfera hard-boiled che sfuma assai presto. Mi è sembrato inoltre che l’ultimo episodio si concluda in quella particolare maniera per esigenze commerciali, rimandando pesantemente alla miniserie portante (magari comprerò l’ultimo numero di Secret Wars e ci capirò qualcosa). Più che altrove, inoltre, ho avvertito la necessità di avere delle conoscenze pregresse della mitologia Marvel per godere appieno della storia.
Purtroppo la parziale schizofrenia dei testi è stata rispecchiata anche dai disegni di Chris Sprouse, che per quanto senz’altro superiori a quelli della maggior parte di altri non si sono rivelati sempre all’altezza. E il fatto che in un episodio si è anche fatto sostituire da Goran Sudzuka (che ricordavo molto meglio) non ha aiutato. E ha pure consegnato l’ultimo episodio in ritardo…
Thors ha avuto anche la disgrazia di dover condividere le pagine con l’imbarazzante Loki Agent of Asgard, un fumetto indeciso tra pacchiano e pretestuoso. Peccato, perché i disegni di Lee Garbett non erano affatto male.

Age of Ultron vs. Marvel Zombies. Il pezzo forte di Secret Wars. Solo i disegni di Steve Pugh valgono l’acquisto, pur se il suo stile realistico occasionalmente è stato sacrificato da esigenze editoriali (flashback contestualizzanti) a piegarsi a stilemi classici. Ma in realtà anche la storia di James Robinson è appassionante, ben scritta e originale. Peccato solo per il finale non tanto eccessivamente positivo (anzi…) quanto piuttosto affrettato. Ma va bene anche così.
Decisamente positivo anche il parere su Marvel Zombies, che in origine aveva un titolo meraviglioso (Journey into Misery) che faceva il verso alla testata storica Journey into Mystery. Simon Spurrier ha imbastito una bella storia di sopravvivenza con una protagonista originale e involontariamente (visto quanto è altezzosa e marziale) simpatica. Non sono mancati dei bei colpi di scena e sicuramente i tocchi di umorismo hanno avuto la meglio sulla parte più introspettiva e melensa che avrebbe potuto pregiudicare il mio gradimento. Oltretutto Spurrier è stato uno dei pochi con l’Humphries di Planet Hulk, almeno degli sceneggiatori di cui ho letto i lavori, ad aver saputo usare la peculiarità di Secret Wars (più versioni possibili di uno stesso personaggio) a suo vantaggio per imbastire una svolta nella trama perfettamente integrata nella narrazione. Alla fine perfino i disegni quasi deformed di Kev Walker mi sono sembrati buoni.

Anni di un Futuro Passato. La storia non ha carburato subito sin dall’inizio (eh, sempre la Bennett…) ma nel quarto episodio c’è stato un bel colpo di scena. Nel complesso nulla di memorabile anche perché mi è sembrato che questa miniserie fosse più che altro un tributo dedicato ai fan dei mutanti riprendendone e ribaltandone alcuni elementi della mitologia – cosa che si può dire anche di tutte le altri miniserie Secret Wars, ma qui l’ho percepito in maniera netta. Questo giudizio però si è drasticamente modificato alla fine, con quel bel colpo di scena che ha ridato lustro al tutto.
E come Estinzione è stato un omaggio agli X-Men di Morrison e Quitely che presto si è allontanato dal concetto originale per sfumare in una storia di supereroi mutanti più classica. Come tale è facile dire che fosse meglio l’originale ma tutto sommato è stata una lettura gradevole. Lo stile di disegno di Ramon Villalobos, che si è rifatto sia a Quitely che a stilemi indie, mi ha invece stufato presto.
Magneto è stata l’ennesima zavorra. Non è colpa della Panini che ha semplicemente dovuto arrangiarsi con quello che offriva la casa madre rispettando i sommari pre-Secret Wars, ma è inevitabile che a confronto con i fumetti coinvolti nell’evento quelli che non lo erano e continuavano le precedenti storyline risultassero “vecchi” in partenza: Magneto in particolare è stato il minimo sindacale dello sforzo per lo sceneggiatore Cullen Bunn che ha semplicemente stiracchiato per 4 numeri (il top è arrivato nell’ultimo) citazioni dalla storia del protagonista mentre intorno avvenivano eventi epocali che non hanno impattato molto sulla serie e che comunque da Magneto non sono stati toccati. E i disegni di Paul Davidson non sono nemmeno questo granché.

Di certo qualche miniserie finirà nel Meglio del 2016.

domenica 1 maggio 2016

Daredevil 1: Giustizia Cieca

Veramente molto buone le storie di questo volume cartonato dedicato a… Daredevil (che giustamente all’interno del fumetto è sempre chiamato Devil come lo conosciamo in Italia). Da quello che leggo nell’introduzione, Matt Murdock è tornato ad operare a New York nelle doppie vesti di avvocato e supereroe dopo un periodo di riflessione on the road a seguito di eventi drammatici e imbarazzanti per la sua reputazione.
Mark Waid scrive con piglio scanzonato e divertito producendo dei bellissimi dialoghi ed è incredibile come riesca a far funzionare il mix di realismo giudiziario e di scazzottate con alcuni tra i villain più ridicoli che abbia mai visto (un tizio fatto di… teletrasporto, un tizio fatto di onde sonore e una specie di wrestler mutante). I personaggi principali sono tutti interessanti e ben delineati.
Ai disegni Paolo Rivera fa un ottimo lavoro, ostentate citazioni kirbyane a parte: non è un disegnatore spettacolare come possono esserlo Van Sciver o Pasarin o Bryan Hitch ma non sbaglia un’inquadratura ed è molto elegante nella sua sintesi, oltre a essersi inventato delle soluzioni perfette per rendere la particolare percezione che il protagonista cieco ha del mondo. Poco importa che spesso i suoi personaggi siano degli armadi con una testolina in cima: dopotutto sono supereroi anche quando vestono in borghese. Peccato che i colori non siano allo stesso livello dei disegni e soprattutto che la qualità di stampa sia zoppicante (anzi, decisamente pessima soprattutto nel primo episodio presentato).
Marcos Martin che ha disegnato metà degli episodi del volume è a un livello nettamente inferiore rispetto a quello di Rivera: molta meno fantasia, poca attenzione alle anatomie e nasi impossibili. Si è visto di peggio nel mercato statunitense, ma anche tanto di meglio.
Nel complesso questo Daredevil è stato un’ottima lettura, spero che pubblichino il seguito quanto prima.