Seppure a denti stretti per il
motivo di cui ho parlato
qui,
devo ammettere che l’Integrale di
Blacksad
è proprio un bel volume. Contenutisticamente e non solo.
La genesi della serie è nota
(d’altronde è sulla piazza da quasi vent’anni): Juan Díaz Canales e Juanjo
Guarnido si conoscono in uno studio di animazione e decidono di tentare la
sorte con una serie a fumetti. Alla Dargaud (e forse ad altri editori) non
interessa il progetto di questi sconosciuti ma Regis Loisel, non a caso
ringraziato all’inizio del terzo episodio, ci mette una buona parola e
Blacksad vede finalmente la luce
diventando un best-seller e lanciando i due autori nell’Olimpo del fumetto: Díaz
Canales scrive
il seguito di Corto Maltese
e la produzione di
Blacksad procede
con la rilassatezza (un volume ogni tre anni circa) che solo un grosso successo
può permettere.
Il tema attorno a cui ruota la
serie è la rilettura del genere hard-boiled
interpretato in chiave furry, o
almeno credo si dica così: i personaggi sono cioè animali antropomorfi – il
protagonista è un gatto detective. Le storie sono ambientate nei primi anni ’50 negli
Stati Uniti, con riferimenti precisi al contesto storico e culturale, e sono
legate da una continuity labile ma
ben presente. Le tavole di Guarnido sono disegnate splendidamente e soprattutto
colorate magnificamente ad acquerello, e costituiscono senz’altro il punto di
forza del fumetto, soprattutto in quegli episodi in cui i testi non sono al
loro stesso livello.
Nell’Integrale non c’è uno
straccio di introduzione e nessun altro redazionale, quindi si comincia subito
coi fumetti.
Il primo episodio,
Da qualche parte tra le Ombre, è un
giallo classico: John Blacksad indaga sulla morte di una sua vecchia fiamma che
faceva l’attrice. Non è un capolavoro ma una buona storia solida e coinvolgente,
che probabilmente non sarebbe emersa tra tanti altri prodotti analoghi se non
fosse stato per la scelta di farla interpretare da animali antropomorfi, cosa
che ha offerto a Guarnido la possibilità di sfoderare il suo splendido stile
dinamico, espressivo e curatissimo. Datata 2000, questa storia mi ha dato
l’impressione di essere stata concepita originariamente come
one shot: la didascalia finale (citata
in quarta di copertina, quindi addio sorpresa) lascerebbe intendere che il
contesto vada interpretato in modo metaforico e
che quella ritratta è l’umanità reale trasfigurata in bestie. Non
mancano però anche giochi di parole sulla natura animale dei personaggi e
riferimenti alle loro caratteristiche, per cui probabilmente questa è solo una mia
interpretazione.
Il secondo episodio, Arctic Nation (2003), si discosta
parzialmente dagli stereotipi del genere mettendo sul fuoco della carne un po’
più originale, anche se forse troppo ambiziosa e secondo me fuori contesto. La
base di partenza è in effetti il razzismo di una associazione nazistoide e i
riflessi che ha su una comunità che avrebbe dovuto essere un complesso
abitativo modello e che adesso è allo sbando. Per fortuna l’indagine di
Blacksad sulla sparizione di un’orfanella incanala presto il racconto in una torbida
trama di adulterio, incesto, pedofilia e vendetta. Oltre a essere più originali,
i testi sono anche maggiormente articolati (le pagine di fumetto aumentano e da
46 toccano quota 54) ma sono ancora i disegni e i colori il pezzo forte della
serie.
E finalmente arriviamo al terzo
capitolo,
Anima Rossa (2005), in cui
finalmente i testi decollano: lo scenario è decisamente più originale, e i
riferimenti a figure storiche reali è molto efficace. Stavolta è di scena
l’incubo nucleare con tutto il codazzo di paranoia (e relativi approfittatori)
che ne consegue. La storia si muove tra sarcasmo spietato e cupa disperazione,
e introduce anche un personaggio femminile decisamente affascinante – certo,
qui il merito va probabilmente ascritto maggiormente a Guarnido.
Stesso discorso, anzi anche
meglio, con L’Inferno, il Silenzio (non
datato) in cui sono di scena dei disperati jazzisti alla deriva e il mondo che
gravita loro attorno. Diaz Canales gioca sporco con il lettore, perché la
soluzione del caso (peraltro originale) non era facilmente intuibile dai pochi
elementi che ci ha messo a disposizione, ma in fondo si può vedere la cosa come
un gioco col lettore e coi canoni del genere poliziesco. La presenza di un deus ex machina che salva il
protagonista delude un po’, ma immagino che si tratti di un elemento relativo
al passato di Blacksad che verrà sviluppato più avanti, come si evincerebbe da
alcuni particolare.
All’impennata dei testi
corrisponde la lenta ma già percepibile semplificazione dei disegni. Siamo sempre
a livelli altissimi, ma ora Guarnido risolve le sue figure preferibilmente con
delle vigorose pennellate piuttosto che con una serie di tratteggi, tendenza
che si confermerà nel quinto e ultimo episodio lungo,
Amarillo, del 2013.
Quest’ultima storia è forse la
migliore, con un “caso” che mette in scena uno scrittore beatnik e il suo amico (e amante?), in cui Blacksad si trova
coinvolto praticamente per caso e quasi senza interagire con il personaggio.
C’è un po’ troppa serendipità all’inizio (guarda caso, succedono proprio le
cose che servono a Blacksad per venire coinvolto nella vicenda, seppur
parallelamente alla storia portante) e forse il volume avrebbe tratto beneficio
da qualche pagina in più, visto che sul finale accelera di colpo e affastella dei
bruschi colpi di scena o cambi di prospettiva uno dopo l’altro.
Pur con la definitiva maturazione
semplificata del tratto di Guarnido, che a volte sembra quasi Mandrafina,
probabilmente Amarillo è la storia
migliore dell’albo.
Il fumetto in sé, insomma, è
veramente notevole e non mi stupisco che abbia avuto tanto successo e tutti i
riconoscimenti che gli sono stati tributati. Certo, se avessi cominciato a
leggerlo all’epoca della sua prima uscita (ma ero ancora uno studente
universitario, e non potevo comprare tutto) forse sarei rimasto un po’ deluso
dai testi di
Da qualche parte tra le
Ombre, ma sicuramente avrei apprezzato i disegni. Guarnido, tra le altre
cose, è fenomenale nel disegnare le donne, che risultano bellissime e seducenti
anche se trasfigurate nei panni di gatte, cagne, ecc.
Da notare una raffinatezza che
ignoro se fosse presente anche nei volumi originali: i singoli episodi hanno
una sorta di scena “dopo i titoli di coda”, un ultimo disegno in bianco e nero
dopo la fine dell’episodio che sviluppa, talvolta ironicamente, un aspetto
della trama.
A integrare il volume ci sono due
storie brevi realizzate per degli speciali di Pilote e una caterva di schizzi e layout. Non escludo che parte di
questo materiale sia stato ripreso da un libro sulla realizzazione di
storyboard a opera di Guarnido, di cui Matteo Alemanno mi ha magnificato la
qualità, la rarità e il valore.
Delle due storie brevi di due
tavole l’una, la prima è prettamente descrittiva e si basa tutta
sull’atmosfera, e considerando la data di realizzazione (2003) immagino che
servisse più che altro come presentazione della serie e del protagonista. La
seconda invece è molto bella.
Venendo all’edizione Rizzoli
Lizard, il lettering non è dei migliori, pur non essendo comunque pessimo. Ci
sarebbe invece un po’ da ridire sulle traduzioni: nel secondo episodio un
personaggio in fuga dice a un altro «slegami» anche se non è affatto
prigioniero (forse Gianluigi Gasparini ha tradotto così «sueltame» invece del
più corretto «mollami» perché non ha visto i disegni), e poi non si ricambia
l’affetto per uno che ci ha rifilato «un mucchio di bidoni» (terzo episodio).
Nel quarto, poi, ci sono pure due balloon invertiti! Ma i difetti di cui mi
sono accorto sono solo questi.
50 euro, che poi sarebbero 49, questo
volume li vale proprio tutti anche solo in considerazione del fatto che ogni
storia viene in pratica pagata meno di 10 euro e c’è un ricco apparato
iconografico alla fine.