Passata l’ubriacatura dell’entusiasmo per XIII William Vance mi si rivelò nella sua natura di miracolato, di
fumettista che (fatte salve le sue eccellenti doti di illustratore) non avrebbe
raggiunto le vette di popolarità e successo che ha ottenuto solo in virtù delle
sue figure statiche, dei suoi volti inespressivi, delle sue 2 o 3 inquadrature
buone per tutte le situazioni. Mi sono quindi accostato a questo Bruce J. Hawker con una certa riluttanza
anche se in alcune interviste William Vance aveva dichiarato, o comunque aveva
fatto capire, che il personaggio e l’ambientazione erano quelli a lui più
congeniali.
In effetti questo integrale di Historica
è stata una piacevolissima sorpresa, e secondo me si vede che Vance è
appassionato della materia, tanto più che ha anche scritto i testi –
comprensivi di spiegazioni dettagliate sull’uso dei cannoni, sui metodi di
arruolamento, ecc. I disegni dei primi due episodi sono spettacolari, molto più
sporchi e vivaci di quanto visto su XIII
e Marshal Blueberry, e anche i colori
di Petra contribuiscono alla suggestione dell’insieme – cosa ancora più
lodevole se pensiamo agli anni in cui è stato realizzato il primo episodio,
metà dei ’70.
Il protagonista è un giovanissimo (ma già canuto… un po’ un marchio di
fabbrica degli eroi di Vance e della bédé in generale) capitano di Marina che
nel 1800 si trova invischiato in un complotto che ne rovinerà la carriera.
Arrembaggi, azione, vendetta, personaggi tagliati con l’accetta (ma con un
certo margine di originalità), scrupolo documentaristico e illustrazioni
mozzafiato sono gli ingredienti di questo appetitoso Bruce J. Hawker, e francamente chi se ne importa se c’è poco di
storico e tutto di avventuroso in questa serie forse più adatta ad altri lidi
piuttosto che alla rigorosa Historica.
I tre episodi qui raccolti sono stati realizzati nell’arco di quasi dieci
anni e questo volume offre quindi l’occasione per ammirare l’evoluzione di
Vance e per estensione anche dell’editoria a fumetti franco-belga, con ritmi e
stili differenti a seconda delle mode e delle esigenze editoriali.
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"I lettori non se ne accorgeranno mai!" |
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Rotta su Gibilterra è denso, lento, didascalico e
occasionalmente ripetitivo: serializzato come striscia su una rivista femminile
doveva chiarire ogni passaggio e occasionalmente riallacciare i fili del discorso.
Integrato dalle tavole e mezze tavole della versione in volume è una lettura
solida e spettacolare.
Per motivi che ignoro la Mondadori ha avuto un attacco di “eurismo” nel
pubblicare Rotta su Gibilterra: la
data di realizzazione è stata cancellata dalle tavole.
(en passant, nella biografia di
Vance viene ricordato anche il misconosciuto XHG C3, unica incursione del disegnatore nel genere
fantascientifico, pubblicato anch’esso su Femmes
d’aujourd’hui, che molti tra cui lo stesso Vance ritengono la sua opera
migliore perché realizzata in tempi strettissimi e quindi più espressiva e
dinamica del solito – mi ha sempre incuriosito questo fumetto ma è improbabile
che lo vedremo vista anche la sua durata ridotta).
L’Orgia dei Dannati venne serializzato su una rivista per
ragazzi e Vance, libero di gestirsi il formato della tavole come meglio
credeva, optò per una struttura di massimo tre strisce con frequenti splash
pages. Me lo sono divorato nei 15 minuti di tragitto in autobus per andare al
lavoro.
Con Reclutamento forzato entriamo
nella fase della piena maturità di Vance, quando in contemporanea stava
disegnando il primo episodio di XIII. Ormai il fumetto era stato
abbondantemente sdoganato come letteratura tout-court
e passatempo adulto, e anche in Bruce J. Hawker
le situazioni diventano appunto più adulte e drammatiche. Stilisticamente si
nota un netto stacco tra le tavole del 1983/84 e quelle riciclate dalle storie
brevi di qualche anno prima. Per fortuna i dettagli delle divise e dei décors riescono a ravvivare queste
tavole.
Reclutamento forzato è anche l’episodio stampato meglio visto
che i primi due, sicuramente a causa dei materiali originali di stampa,
soffrono di qualche problema di resa.
A integrazione del fumetto vero e proprio vengono proposti alcuni scritti e
storie brevi che arricchivano le edizioni originali.
APPENDICE: “AMARE” NEL SENSO DI COSE NON DOLCI,
NON DEL VERBO
Non per fare lo stronzo, ma Sergio Brancato sembra aver voluto lanciare una
provocazione con alcune sue considerazioni all’inizio dell’introduzione. Se
così non fosse, è per me un piacere prendere in castagna uno studioso della sua
levatura, così come Guccini si compiacque di poter fare le pulci a Umberto Eco
(per cui Guccini era il cantautore che aveva fatto rimare “amare” con “Schopenhauer”,
fraintendendo però il significato di “amare”).
Dunque: non essendoci poi molto da dire sull’ambientazione storica, visto
che lo stesso fumetto di Vance non la approfondisce, Brancato prende tempo e
parla di come venivano presentati i fumetti su rivista dagli anni ’60 fino ai
primi ’80: «i fumetti di successo nascevano sulle volatili pagine dei
quotidiani, delle riviste popolari o dei rotocalchi, apparendo a puntate
composte da poche tavole, magari confuse tra un articolo e una réclame [...] tutti
nati senza particolare clamori su riviste che li proponevano nello spazio di
poche pagine»
Il punto è che fa gli esempi peggiori per suffragare questa sua tesi: Corto Maltese, Petra Chérie, Max Fridman.
Corto Maltese veniva pubblicato su Sgt. Kirk, con pochi articoli e nessuna pubblicità a inframmezzare
le almeno dieci tavole che venivano pubblicate di volta in volta (ok, con un
salto di due numeri), e anche pensando alla sua di poco successiva
pubblicazione sul Corriere dei Piccoli
la situazione non cambia affatto.
Petra Chérie, il cui fascino devo peraltro ancora
capire, forse veniva pubblicata «tra un articolo e una réclame», ma comunque si
trattava di episodi completi e conclusi, senza alcuna frammentazione.
Max Fridman, poi, fu pubblicato in soli 4 numeri di Orient Express a blocchi di 20 (venti)
tavole al colpo, per l’epoca una manna tanto che in una delle prime interviste
a Giardino di Fumo di China si
avanzava ironicamente l’ipotesi che Luigi Bernardi avesse varato la rivista
proprio per pubblicare Rapsodia Ungherese.
La situazione non cambia poi molto se Brancato si fosse confuso e avesse voluto
scrivere Sam Pezzo invece che Max Fridman: varrebbe lo stesso discorso
fatto per Petra Chérie, con ancora
meno pubblicità in mezzo a Il Mago.