C’è gente che sostiene i progetti
E a Lucca ritira i fumetti
Io che sfoglio l’Anteprima
Li ordino da lì
Per questo aspetterò
Quel che resta della mia gioventù
I versi immortali di Sergio Endrigo spiegano bene la mia situazione di lettore drammaticamente in ritardo rispetto a chi si muove per tempo. Così vuole la distribuzione, e meno male che questi due fascicoli mi sono arrivati – mesi e mesi dopo averli ordinati ma che ci posso fare?
Dov’eri finita? è un’unica vicenda che si sviluppa da due punti di vista diversi nei rispettivi volumetti. Ovviamente non è un’idea molto innovativa, pensiamo solo a Berceuse Assassine di Tome e Meyer, ma Miryam Di Capo ha sfruttato bene questo artificio. Il mio consiglio è di leggere i due episodi seguendo la numerazione scelta dal CFAPaz, cominciando da Anna (numero 1 della collana Storie del tempo perso, «alias Schizzo 167») per poi passare a Mei, numero 2 «alias Schizzo 168».
Anna è una studentessa a cinque o sei esami dalla fine del suo percorso universitario: non lo sa con precisione nemmeno lei perché si è limitata a seguire le aspettative degli altri senza passione e senza pensare a cosa volesse fare veramente; così adesso si macera nei dubbi sul suo futuro. Un minimo di sollievo glielo dà il disegno, probabile parallelo con la biografia dell’autrice. Un giorno in una sala studio incontra una bella ragazza orientale che proprio il disegno farà avvicinare. Si danno appuntamento in Piazza Maggiore per la sera successiva, proprio quando si svolge una fiera satura di gente che rende impossibile trovare qualcuno a colpo d’occhio. Ormai rassegnata, Anna viene invece raggiunta da Mei.
Come abbia fatto a individuarla lo scopriamo in Mei, che rivela anche dettagli sulla vita della ragazza e sul curioso meccanismo affine al complesso di Edipo che l’ha fatta interessare ad Anna.
Gli anni ’90 sono finiti da un pezzo e nelle 16 pagine di un fumetto moderno non c’è più l’urgenza di raccontare una storia ma di dare sfogo ai propri patemi d’animo e di descrivere con puntiglio degno di miglior causa il mondo interiore dei protagonisti. Il risultato è comunque meno soporifero e più intrigante di molti altri casi, sia per il fraseggio tra le due parti che per la vicenda satellitare della madre di Mei che ho trovato interessante.
I disegni non sono niente male, anche considerando la giovane età dell’autrice e il suo percorso formativo eclettico. Qualche influenza manga, ma nulla di eccessivo. Purtroppo la realizzazione digitale ha portato ad alcune dentellature del tratto una volta in stampa, e nelle ultime pagine di Mei è saltata parte della traduzione di una canzone. O almeno credo sia colpa del computer.
Molto bella la grafica delle copertine.
La gioventù è un concetto relativo.
RispondiEliminaComunque a norma delle regole, ti restano una decina d'anni più di me, più o meno.
Oh, la mia gioventù è bella che finita. Ma mica potevo stravolgere i versi del maestro Endrigo.
EliminaPer fare un fumetto ci vuole la carta
RispondiEliminaPer fare la carta ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un fumetto ci vuole un fiore
Verità incontestabili, ma non puoi demandare a Gaspare Fiore la realizzazione di tutti i fumetti del mondo.
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