Da quel poco che conosco Nevio Zeccara l’ho sempre considerato quello che si definisce “un onesto professionista” o un “operaio del fumetto”, cioè una di quelle figure che pur non essendo necessariamente scarse non brillano per personalità o manifesta eccellenza del loro lavoro. Testimonianza, in epoche andate, di quanto il fumetto fosse un’industria vera e propria con la necessità di macinare tavole su tavole. La possibilità di vederlo alle prese con materiale con cui si confrontarono mostri sacri come Alberto Braccia, Horacio Lalia e Dino Battaglia mi ha incuriosito molto, tanto quanto la pubblicazione su una rivista, Il Giornalino, che non mi sembrava affatto la destinazione più indicata per gli orrori e le inquietudini del Solitario di Providence. Evidentemente le medesime perplessità devono averle avute gli stessi Paolini, e nella sua introduzione (Guarino e Pollone ne firmano un’altra) Paolo Zeccara avanza l’ipotesi che il padre poté dar seguito alla sua passione per Lovecraft a fronte della sua disponibilità a disegnare qualcos’altro di imposto dalla redazione. I buoni vecchi artigiani del fumetto dei tempi andati, appunto. Comunque nei fatti i racconti qui adattati non sono quelli che presentano le situazioni più manifestamente orripilanti.
Si comincia con La Città sotto i Ghiacci, tratta da (Al)Le Montagne della Follia. Con il suo schematismo, il disegno rende bene la fredda ostilità dell’Antartide e le forme geometriche dei mostri che sfilano nella storia. Nel breve saggio che integra le introduzioni Stefano Franceschini ci fa notare la scelta di Zeccara di ribattezzare il protagonista originale William Dyer con il nome di Robert Angell, tratto invece da Il Richiamo di Cthulhu.
Subito dopo arriva il piatto forte: Il Miraggio dello Sconosciuto Kadath, pensato evidentemente sia per la serializzazione su rivista che per una successiva raccolta nel classico volume alla francese da 46 tavole, con tanto di copertine di prova per un’edizione che poi non si concretizzò. L’ambientazione onirica è molto affascinante ma non è facile tradurre in fumetto una storia del genere, e più che altro Kadath si fa apprezzare per il sense of wonder piuttosto che per l’azione o i colpi di scena, che latitano. Notevoli le mappe, ma praticamente chiunque si sia cimentato con le Dreamlands ne ha prodotte di affascinanti. Tra l’altro io ricordavo che Randolph Carter incontrava tutti i Grandi Antichi, ma forse era un altro racconto. Non ricordo se Pickman compariva effettivamente anche qui o se Zeccara ha imbastito un cross-over con Il Modello di Pickman. Franceschini sottolinea come la destinazione del fumetto abbia portato Zeccara a fornirgli un ulteriore livello assente nell’originale introducendo una certa attenzione ai rapporti umani e alla fratellanza universale. Non possiedo l’autorità per contraddirlo, io però ci ho visto principalmente la celebrazione della determinazione e dell’abnegazione di un uomo che cerca di raggiungere i suoi sogni (in senso letterale) contro ogni avversità e contro il parere sfavorevole di tutti.
Quasi a giustificare la presenza di una storia così particolare per le pagine de Il Giornalino, Zeccara approntò una splash page qui riprodotta in cui lo stesso Randolph Carter introduce Lovecraft spiegando che in occasione del centenario della sua nascita la redazione decise di rendergli omaggio con questa versione a fumetti.
Segue La Casa nella Nebbia, molto suggestiva ma forse poco soddisfacente per i lettori più giovani visto che il nocciolo del mistero non viene approfondito.
Poi I Gatti di Ulthar in cui la scelta di un’ambientazione mitteleuropea un po’ caricaturale può essere stata fatta per smorzare quel poco di inquietante che vi succede.
Infine Il Colore venuto dallo Spazio dove il realismo della ricostruzione dell’America rurale crea un bel contrasto con l’elemento fantastico introdotto dal fenomeno del titolo.
Nelle ultime tre storie, realizzate a distanza di una decina d’anni da Kadath, il tratto di Zeccara si fa più sintetico e io l’ho trovato più elegante, anche se i profili continuano a essere un po’ incerti tra realismo e caricatura.
Purtroppo la stampa non è buona. Meglio di Ipernova, ma peggio di quella di Steve Vandam in cui i software di upgrade delle tavole di cui mi aveva parlato Pollone avevano svolto con efficacia il loro compito.
Mi sembra che le ultime tre storie, forse a seguito dell’ingrandimento a partire da un formato più piccolo, abbiano particolarmente risentito del problema, ma pure Kadath ne ha sofferto, soprattutto a livello di colori che a volte hanno quell’effetto puntinato di quando di salva un’immagine in BitMap con un selezione ridotta di colori (sono consapevole di non aver usato una terminologia ottimale, spero di aver reso l’idea).
Questo almeno per quel che riguarda le tavole a fumetti, ovviamente riprese dalle riviste dove furono ospitate a suo tempo. Con gli “extra” la musica cambia. Eccome se cambia. La possibilità di accedere ad alcune tavole originali superstiti (e bozzetti, e prove per copertine, e illustrazioni…) ne ha permesso una riproduzione perfetta: insieme a ogni singolo tratteggio sono perfettamente visibili anche le tracce di matita e le rare pecette con cui Zeccara corresse o aggiunse qualcosa. Il confronto delle tavole originali con quelle stampate permette inoltre di scoprire gli interventi redazionali de Il Giornalino (fatti in autonomia o demandati all’autore?): sulla rivista si preferì ricorrere a dei balloon sostituendo le didascalie che Zeccara aveva previsto in origine.
Tra il generoso materiale aggiuntivo ho apprezzato due chicche in particolare: la prima è una delle storie brevi del Dottor Omega pubblicate su L’Eternauta (se non sbaglio alcune sono ancora inedite), presentata in virtù della sua atmosfera lovecraftiana – trattandosi di tavole in bianco e nero la resa tipografica è migliore. La seconda è ciò che rimane della versione a fumetti de La Celebrazione, splendidamente realizzata a tempera ma purtroppo rimasta incompiuta e quindi inedita, almeno fino a oggi.
Al di là delle considerazioni sul valore intrinseco (e filologico) dei fumetti e del resto del materiale, è interessante notare come un “profano” abbia interpretato mostri ed entità cui giochi di ruolo e altri fumetti e libri illustrati hanno dato una versione ormai standardizzata – i ghoul non dovrebbero avere gli zoccoli, comunque?
Anch'io mi stupii molto che queste cose uscissero sul Giornalino ("che c'entra il... con le Quarant'ore?, ecc.).
RispondiEliminaHo sempre apprezzato Zeccara, che del resto ha fatto anche altre storie horror (alcune proprio su Horror, ma anche per il mercato amerrigano).
Lì il suo tratto un po' pupazzesco e caricaturale abbandona la giocosità astrostoppisca e diventa inquieetaanteee...
Ho letto tutto Lovecraft, ma una vita fa e non mi aiuta la memoria a rispondere alle tue perplessità, trallallà.
Mi pare comunque che Pickman compaia anche in Kadath di sfuggita, ormai trasformato in Ghoul.
A proposito, per i Ghoul, zoccolo più zoccolo meno... che vuoi che sia... l'importante è non dare della zoccola a una Ghoul, che poi si offende e allora sono magri notturni amari!
Una storia americana di Nevio (non so se originale o importata dall'Italy) arricchita da almeno 2 bellissimi commenti:
https://thehorrorsofitall.blogspot.com/2015/08/and-blood-ran-green.html
quanto rimasi male quando scoprii in una sessione di Call of Cthulhu che i ghoul non possono essere feriti da armi normali, fossero anche da fuoco! Il Custode dovette inventarsi sui due piedi una serie di punti fato per farmi almeno scappare con successo senza finire divorato.
Elimina