lunedì 30 giugno 2014

Curiosità ancora insoddisfatta...

Era segnalato in uscita ancora una settimana fa, ma io non l'ho visto da nessuna parte... Monta la curiosità per il nuovo corso di Ristampa Dago a colori (se mai uscirà, a questo punto).

domenica 29 giugno 2014

Risparmio=guadagno

Stamattina sono passato in una delle mie edicole di fiducia e visto che non ho trovato NULLA di quello che aspettavo ho guardato sconsolato la quarta di copertina di Juan Solo per vedere cosa ci avrebbe riservato la Cosmo nei prossimi mesi. Altra delusione: con tutto il ben di dio che attende un'edizione italiana, dal prossimo mese pubblicheranno su Cosmo Color USA la serie "stupidina" di Juan Gimenez Leo Roa, che ho già a puntate su L'Eternauta (e forse pure in volume).
Delusione relativa, comunque, anzi alla fine mi sono pure sentito sollevato. Evitando l'acquisto di Juan Solo, che tra volumi Grifo/Edizioni Di e versioni originali già possiedo interamente, ho risparmiato quasi una ventina di euro, ed evitando l'acquisto di questa saga per nulla fondamentale di Gimenez ne risparmierò ancora qualcuno. E di questi tempi non è male...

sabato 28 giugno 2014

Si ricomincia...

Che fatica trovare il terzo numero di Ric Roland... il mio edicolante di fiducia, lo stesso da cui acquistavo Michel Vaillant e Lucky Luke, non sa spiegarsi il perché di questo "salto". Un po' imbeccato da me ha detto che forse dopo i primi numeri promozionali a 1 euro hanno diminuito la tiratura e quindi la diffusione è meno capillare. Mah!
Spero che la situazione si stabilizzi presto e di non dover fare come per i primi numeri di Michel Vaillant, ovvero farmeli comprare da amici di Trieste. Uff...

mercoledì 25 giugno 2014

Omaggio o coincidenza?

Questa è la celebre copertina di Giant-Size X-Men 1:
Questa è la copertina di un numero di Mustang Presente:
(sì, la risoluzione è orrenda ma ho dovuto fotografarla da un vecchio numero di Bodoi in cui era riportata in formato minuscolo, e su internet non ho trovato nessuna immagine)

lunedì 23 giugno 2014

Cosmo Color 10: Juarez

La storia è quella risaputa è già trattata in film, romanzi, servizi televisivi e articoli (alcuni citati nell'introduzione del volume): a Ciudad Juarez, in Messico, scompare un numero impressionante di donne e se vengono ritrovate i segni sui loro cadaveri testimoniano delle orribili torture subite. A Juarez ritorna il giovane Gael per indagare sulla sparizione della sorella Gabriela, trovandosi invischiato in una sordida e intricata storia in cui sono coinvolti anche poliziotti, narcotrafficanti e politici.
Juarez è uno dei titoli migliori proposti dalla Cosmo, la trama procede serrata e coinvolgente (anche grazie a un buon uso dei flashback) e il grandissimo colpo di scena finale riscatta il piccolo cedimento di cattivo gusto di un elemento vagamente sovrannaturale presente nella storia, che non ho molto gradito.
La Sergeef è riuscita a rendere alla perfezione l'ambiente sordido, corrotto e disperato in cui si svolge la vicenda, in cui anche apparenti insospettabili benefattori hanno qualcosa da nascondere.
I disegni sono eccellenti, Corentin Rouge mi ha ricordato Christian Rossi al suo meglio (anche se, a onor del vero, non ricordo di aver mai visto Rossi "al suo peggio"). Rigoroso e realistico ma anche molto espressivo e dinamico. Data l'ambientazione è stato bravissimo a ritrarre così tante donne rendendole distinguibili tra di loro, pur senza mai scadere nella caricatura. Sfortuna vuole che questo numero di Cosmo Color sia stampato un po' meno bene rispetto agli altri. E' anche vero che lo stesso Rouge ci mette del suo disegnando a matita senza ripassare a china (così è inevitabile che alcuni segni risultino meno marcati o tremolanti), ma la canna dell'acqua a pagina 32 si riesce quasi solo a intuire tra i puntini e i tratteggi che la compongono una volta stampata. E chissà che le mutande nere che compaiono a pagina 42 non siano una censura (i danni che può fare una vita di letture di Lanciostory e Skorpio...).
Paranoie a parte, un volume consigliatissimo. Raramente avventura e denuncia riescono a convivere così bene.

venerdì 20 giugno 2014

Considerazioni sull'andamento storico del prezzo di Lanciostory



Per una delle cose che sto elaborando per Fucine Mute mi sono fatto un file di riferimento con le indicazioni dei prezzi di Lanciostory e delle variazioni che ha subito nel corso del tempo. È una cosa rozza fatta in fretta e non giurerei che sia esatto al 100%, comunque al massimo avrò sbagliato di qualche numero e anche a partire da questa base ho fatto delle scoperte incredibili. Che si prestano a considerazioni inquietanti.
Lanciostory inizialmente costava 250 lire. A voler essere pignoli al suo esordio in realtà non costava proprio nulla, perché il numero 0 veniva regalato con Le Avventure di Jacques Douglas e altri diffusissimi fotoromanzi della Lancio. Comunque, ad aprile 1975 il prezzo era di 250 lire, immagino (non mi sono imbarcato a fare ricerche) in linea con quanto proponeva la diretta concorrenza dell’allora neonata Eura, ovvero la Universo che pubblicava Intrepido e Monello.
Tempo un anno, col numero 18 del 1976 Lanciostory passa da 250 a 300 lire. Un aumento del 20% netto! Sergio Loss ha periodicamente dichiarato (e altrettante volte si sarà morso la lingua per averlo fatto) quanto agli esordi delle riviste dell’Eura i fumetti costassero poco, meno di una bibita al bar. Questo primo aumento sarà quindi stato accettato con comprensione dai lettori: tutto sommato si potevano ancora spendere i soldi e sicuramente il passaggio alle 300 lire sarà stato in linea con quanto altre case editrici all’epoca leader del settore stavano facendo. Al di là di queste considerazioni mi sembra comunque strano che un acquirente del 1976 non potesse provare un minimo di fastidio per un aumento di questa portata: erano gli anni dell’austerity, delle domeniche a piedi, delle targhe alterne, dello sciopero dei cinematografari, della crisi petrolifera e via di seguito. Ma erano anche anni in cui probabilmente le possibilità di spesa erano più ridotte, non tanto per la minore disponibilità dei consumatori quanto per l’effettiva mancanza dell’offerta di svago che abbiamo oggi. Solo mie supposizioni, non suffragate da dati certi.
Lanciostory numero 27 del 1977: l’aumento del prezzo continua a cadenza aritmetica, adesso la rivista costa altre 50 lire in più. L’aumento sarà costante anche con il successivo “scatto”: dal numero 34 del 1978 Lanciostory costa 400 lire. Evidentemente all’epoca i fumetti costavano veramente poco o nulla se il mercato poteva assorbire queste testate (e immagino molte altre) ad un prezzo molto più alto di soli 3 anni prima. Oltretutto, all’epoca le cose all’Eura stavano andando a gonfie vele visto che si erano concessi il lusso di varare una seconda testata nel 1977, Skorpio. Che a sua volta non avrà problemi di permanenza nel settore sino a oggi, quindi più che un lusso è stato un investimento andato a buon fine.
All’approssimarsi del nuovo decennio le cose subiranno una netta sterzata: dalle 400 lire di prima, Lanciostory 24 del 1979 costerà 500 lire. Un altro aumento del 20% come nel 1976, che porterà la testata a costare IL DOPPIO di quanto costava solo 4 anni prima, al suo esordio. Certo: c’era l’austerity, la crisi e tutto il resto ma forse questo era anche il segnale di una crisi specifica che stava coinvolgendo il settore. Le televisioni private avevano invaso l’etere dopo la sentenza 202/76 e nonostante l’Eura non abbia dato credito alla teoria secondo cui il forte ridimensionamento del mercato fumettistico italiano fosse dovuto alla televisione (assecondandone anzi la visibilità con l’inserto Off-Story), la trasformazione dei lettori onnivori in telespettatori avrà senz’altro determinato la flessione e la conseguente dipartita di alcune realtà, tra cui gli stessi concorrenti diretti dell’Eura sul cui formato era basato Lanciostory
Questo aumento a 500 lire non deve quindi essere passato inosservato come forse avevano potuto esserlo quelli precedenti, tanto più che a partire proprio da Lanciostory 24/79 e per 5 numeri verrà data una copia omaggio della rivista allo stesso prezzo. Ignoro di cosa si trattasse di preciso; testimoni dell’epoca asseriscono che era un “paghi uno prendi due”, due copie dello stesso numero allo stesso prezzo, ma mi sembra assurdo: raddoppiare la tiratura per poi svenderla così? O forse i numeri del venduto erano già tali da consigliare di regalare un bel po’ di esemplari per evitare giacenze? Io resto dell’idea che avranno allegato a quei numeri delle copie vecchie per decongestionare così il magazzino senza passare per le raccolte.
Nei primi anni ’80, nonostante quella che si rivelerà la bolla speculativa delle riviste d’autore, il fumetto italiano conosce un momento di stagnazione. Tante realtà storiche sono prossime alla capitolazione o al ridimensionamento e persino l’azienda leader del settore, quella che nel volgere di pochi anni sarà conosciuta come Sergio Bonelli Editore, arriverà a chiudere due testate a pochi (per gli standard del colosso milanese) episodi dal loro esordio (Bella & Bronco, 16 numeri tra 1984 e 1985; Gil, 11 numeri tra 1982 e 1983), e sorte ben peggiore conoscerà Full, un tentativo di inserirsi nel mercato dell’Eura e della Universo (questo secondo ormai agonizzante). Appunto perché è un momento di stagnazione, apparentemente senza particolari scossoni negativi, l’Eura continua ad andare adelante, ma rigorosamente con juicio: le testate aumenteranno il prezzo di copertina di 100 lire al colpo, e la frequenza degli aumenti sarà meno regolare che in passato. Dal 23/1980 Lanciostory costa 600 lire (dal numero successivo si darà evidenza con uno strillo in copertina che le pagine erano ben 132), col numero 3/81 avviene il passaggio a 700 lire, dal 27/82 arriveremo a quota 800 lire (già da una decina di numeri prima si segnalava in copertina che l’offerta era di ben 140 pagine), per poi arrivare a 900 lire col 20/1983 e, solo 18 numeri dopo, a 1000 lire con il numero 38 del 1983.

Lanciostory e Skorpio tengono duro, è anzi probabile che facciano pure dei buoni numeri, ma “buoni” se riferiti alla desolazione circostante. Probabilmente in quegli anni è cambiato il modo di percepire e di fruire i fumetti. Non sono più solo roba per bambini, ma magari lo fossero ancora: a metà anni ’80 il pubblico infantile e adolescenziale italiano ha altri svaghi tra cui scegliere, e una congiuntura economica finalmente favorevole per potercisi dedicare. Un bambino che non legga fumetti non è più considerato strano come probabilmente succedeva nel decennio precedente. Il bacino d’utenza dei lettori si è probabilmente stabilizzato, o sta per stabilizzarsi, ed è un pubblico consapevole, attento, appassionato, non più (solo) casuale. È probabilmente (quinto “probabilmente” in questo capoverso, io non vendo verità) un pubblico che segue le sue testate preferite decretandone con i propri umori, più che in passato, il successo o l’insuccesso. Questi nuovi lettori più consapevoli non vanno ovviamente irritati con cambiamenti repentini alle formule che, forse con fatica o forse con fortuna, si è riscontrato hanno avuto successo: anche in quest’ottica il costo di una rivista, per quanto basso rispetto ad altre forme di intrattenimento e svago, è preferibile che non subisca troppe impennate.
Nel 1984 Lanciostory non subirà variazioni di prezzo e solo nel 1985, col numero 26, passerà a 1200 lire. Un ulteriore rialzo, di sole 100 lire, si avrà col numero 28/1986. È chiaro che per riuscire a calmierare i prezzi bisogna andare a ritoccare qualcos’altro: oggi è risaputo che in quegli anni, a fronte del contatto diretto con gli autori argentini che ne avevano fatto la fortuna, l’Eura ridusse drasticamente i compensi dei collaboratori italiani, che dovettero riparare in altri lidi (e per molti fu una fortuna). Cose che un lettore non è ovviamente tenuto a conoscere, ma che giustificano il motivo dei rincari più modesti rispetto alla frenetica corsa degli anni ’70, probabilmente gli ultimi in cui il fumetto in Italia fu un genere veramente popolare.
Andrebbe segnalato che per giustificare in parte l’aumento a 1200 lire del 1985 potrebbe essere stata funzionale l’offerta del secondo inserto (quello sconsideratamente inserito nella foliazione della rivista, difficilissimo da staccare e conservare dignitosamente), ma ho ancora meno basi concrete per supportare questa supposizione rispetto alle altre.
Numero 27 del 1987: Lanciostory costa 1500 lire. Esattamente un anno dopo toccherà quota 1700, ma durerà poco: già col numero 2 del 1989 ci sarà un piccolo aumento di 100 lire. Nemmeno questo assestamento durerà a lungo visto che con il numero 27 Lanciostory costerà 2000 lire tonde. Ricordo di aver letto che a differenza del fumatore di pipa (attento, preciso, critico) il fumatore di sigarette tende a privilegiare l’immediatezza dell’appagamento del suo vizio piuttosto che la scelta razionale o la valutazione di alternative, quindi più che il costo basso è la cifra tonda a determinare il successo di una marca piuttosto che un’altra. Teoria forse balzana (letta sicuramente in uno di quei libri in cui chi fuma la pipa viene spacciato per genio e il tabagista tradizionale è un coglione) ma che si adatta comodamente a questa fase della vita di Lanciostory, in un’epoca in cui esistevano appunto banconote da 2000 lire che permettevano l’acquisto immediato della testata.

Sta di fatto che questo nuovo prezzo non subirà ritocchi per un anno e mezzo: solo col numero 1 del 1991 si passa a 2200 lire, per poi toccare quota 2500 lire con l’1/92 e 2800 lire con l’1/93. La sequenza annuale del rincaro fisiologico tornerà ad accompagnare l’anno legale solo nel 1999, forse per dare respiro a dei lettori sempre meno numerosi e sempre più potenzialmente attratti da altre occasioni di spesa. Anche se già alla fine degli anni ’90 si intuisce che la situazione economica non tornerà più rosea come quella degli anni ’80.
Col numero 27 del 1994 Lanciostory passerà da 2800 a 3000 lire: 200 lire in più, bazzecole per l’epoca. Diverso sarà il discorso per l’aumento che avverrà a un anno esatto: da 3000 si passa a 3500 lire. Vent’anni prima non ci si scomodava a spiegare i motivi di un aumento in proporzione ben più consistente, né probabilmente i lettori ne chiedevano conto (se mai se ne fossero accorti, in anni in cui i fumetti costavano evidentemente molto poco): stavolta si rilascia una lunga spiegazione, una sorta di comunicato ufficiale. Con questa spiegazione si copriranno i successivi 3 anni e mezzo: il prossimo ritocco (a 3800 lire) arriverà appena con il numero 1 del 1999! È vero che all’epoca il giustamente vituperato aumento del costo della carta ebbe un’influenza tremenda, ma è pur vero che entro qualche anno rientrerà. Io ricordo ad esempio (ma potrei anche ricordare male) che ai tempi dell’Istituto d’Arte una cartella di fogli Fabriano 33x48 costava 10.000 lire, per poi schizzare a 14.000 lire qualche anno dopo e tornare a costi più abbordabili verso la fine degli anni ’90. Sarebbe bello illudersi che fosse stato l’assestamento di questa situazione a determinare il mancato aumento del prezzo per tutto quel lungo periodo, e magari qualche peso l’ha anche avuto, ma non dobbiamo dimenticare che proprio alla fine degli anni ’90 comincerà il distacco di nomi storici ed eccellenti dall’Eura per dichiarate ragioni economiche.

Col primo numero del 1999, abbiamo visto, Lanciostory costa 3800 lire. Col numero 1 del 2000 arriverà alla cifra tonda, già presaga per ragioni legali della sua traduzione in euro: per la precisione 2,07.
Da questo momento in poi la storia dell’andamento dei prezzi di Lanciostory e Skorpio assumerà contorni sconcertanti. Ci vorranno quasi due anni prima che il prezzo torni a salire, e comunque relativamente di poco: solo col numero 32 del 2001 ci sarà un ritocco a 4300 lire/2,22 euro.
Una volta che l’euro diverrà la moneta ufficiale avverrà una cosa inaudita: per venire incontro a lettori che potrebbero non avere confidenza con la nuova valuta o che potrebbero avere in antipatia le cifre non tonde, l’Eura diminuisce il costo delle sue riviste. Si tratta di un ritocco minimo, solo due centesimi, ma sta di fatto che i numeri a partire da Lanciostory 9 del 2002 portano alle casse dell’Eura qualche soldo in meno che se avesse rispettato pedissequamente il cambio. È ovvio che se ha agito così la casa editrice poteva permetterselo (e il Dago mensile già si profilava, o forse si era già confermato, quale asso pigliatutto), ma per quanto irrisorio fosse il decremento comunque moltiplicato per le copie vendute avrà avuto il suo effetto.
E infatti il prezzo di 2,20 euro non dura a lungo: già col numero 31 dello stesso anno il prezzo arriva a 2,40.
Da qui in poi si sfiora la fantascienza: per un breve periodo il numero del “ritocco” è il 31, così come in passato lo erano stati il 27 e l’1. Il numero 31 del 2003 aumenterà di 10 centesimi, toccando quota 2,50 euro, col 31 del 2004 si arriverà a 2,60 euro. Un aumento di 10 centesimi all’anno non è affatto oneroso, visto che anche vent’anni prima la cifra dell’aumento era la stessa! Non solo: il passaggio a 2,80 euro avverrà solo con il numero 1 del 2006 ed è rimasto invariato sino a oggi. DA OTTO ANNI E MEZZO LANCIOSTORY COSTA LA STESSA CIFRA.
La cosa forse è meno miracolosa di quanto sembri, e probabilmente è frutto di una precisa scelta strategica: a quanto pare ritoccare il prezzo di una proposta è quasi un tabù di questi tempi e viene fatto come extrema ratio solo a fronte di cause conclamate, e possibilmente giustificabili dal compratore. Tutto sommato anche una volta era così, e ad esempio il tentativo di salvataggio di Horror (o era All American Comics?) da parte della Comic Art puntando sui fedelissimi e portando la testata da 5.000 a 7.000 lire si rivelò fallimentare. D’altra parte se persino le riviste di architettura, arredamento e arte contemporanea hanno stabilizzato i loro prezzi negli ultimi anni (pur potendo teoricamente contare su un bacino d’utenza con meno problemi di solvibilità) un motivo ci sarà.
Ora: è chiaro che per il lettore questa è una pacchia ma mi viene spontaneo chiedermi: se apparentemente i compensi che corrisponde l’Aurea hanno subito dei drastici ridimensionamenti durante una prima crisi (primi anni ’80, tariffe dei collaboratori italiani equiparate a quelle del materiale acquistato all’estero) e poi un’ulteriore seconda crisi (intorno al 2000, quando persino nomi eccellenti come Trillo e Risso si videro decurtate le loro retribuzioni – cfr. le ultime interviste su Fumo di China), oggigiorno quanto può guadagnare un collaboratore della casa editrice se le sue due testate principali non aumentano il loro prezzo e non hanno nemmeno altre entrate come inserzioni pubblicitarie?
Certo, è anche vero che oggi come oggi Lanciostory e Skorpio si dedicano come non mai alla pubblicazione di BéDé o di fumetti di altra provenienza geografica, sicuramente pagati col sistema dei diritti internazionali e quindi molto meno incisivi sulle spese rispetto a materiale di produzione propria. Così come immagino che sia Dago nelle sue varie incarnazioni e ristampe a dare un contributo decisivo alla salute dell’Aurea andando magari a coprire coi suoi utili i passivi che potrebbero essere causati da altre testate.
Sarà solo una mia impressione, ma mi sembra che fare il fumettista non è mai stato così difficile come in questo periodo.

lunedì 16 giugno 2014

Indovina chi



Nell’interessante articolo Una BD che omaggia BB vengono svelati alcuni retroscena delle prime tavole di Requiem per una Star che ai cultori del fumetto franco-belga saranno sembrati lampanti. Però l’anonimo estensore si è concentrato, oltretutto con particolare riguardo per un’unica vignetta isolata, solo sui nomi meno famosi – cioè comunque celeberrimi ma meno famosi di alcuni mostri sacri che compaiono prima. Sin dalla primissima vignettona della storia sono riconoscibili infatti delle guest stars e in alcuni casi il loro nome non figura nell’elenco stilato nel pezzo.

Cominciando dai nomi più facili possiamo distinguere lo sceneggiatore (ma anche disegnatore umoristico) Greg e Jean Graton, papà di Michel Vaillant:

Quello che sghignazza alle loro spalle ha tutta l’aria di essere André Franquin:

Sull’altra figura in primo piano ho qualche dubbio... avrei detto Goscinny, ma poche pagine dopo l’autore di Asterix viene ritratto in maniera diversa. Che si tratti di uno Charlier più magro e meno calvo?

Può darsi che sia solo una mia impressione, però un tizio sullo sfondo somiglia in maniera incredibile a Paul Gillon (viso tondo, occhi un po’ a mandorla, pochi capelli):

Passando al lato destro della vignetta le cose si fanno meno chiare... è ovvio che i personaggi in evidenza sono operatori del settore, ma non ne ho riconosciuto con sicurezza nemmeno uno. La figura barbuta in primo piano mi ricorda tantissimo Philippe Druillet, ma nel 1972 un autore di Tintin poteva citare così alla leggera un autore rivoluzionario come Druillet? Ma è anche difficile che si tratti di un Pierre Jacobs barbuto, che all’epoca della storia aveva quasi settant’anni, né mi pare che Robert Gigi portasse gli occhiali. Boh.

Nebbia fitta anche sulle altre figure... questo qui ad esempio è Bob De Moor o Peyo? Probabilmente nessuno dei due visto che è sprovvisto di occhiali:

Il baffuto stempiato, poi, che rabbia non riuscire a capire chi potrebbe essere... Poïvet? No, era diverso... né può essere un Jean-Claude Forest invecchiato (all’epoca della storia Forest aveva poco più di quarant’anni):

Mi consolo illudendomi di avere imbroccato una figura marginale sullo sfondo: il buon Pichard con tanto di proverbiali baff(on)i e giaccia a quadri. Anche se a dire il vero assomiglia di più a Hermann...

Correzioni, precisazioni e integrazioni saranno graditissime.

venerdì 13 giugno 2014

Cosmo Color Extra 4 - Il Crepuscolo degli Dèi 1: La Maledizione dell'Anello



Dovrei andare a rivedermi gli appunti di un corso di Storia della Musica che feci quasi vent’anni or sono, con la parte monografia dedicata a Richard Wagner, ma così a memoria mi pare che questa versione franco-belga dell’Anello dei Nibelunghi si conceda più di qualche libertà per attirare i fan di Tolkien. I Nibelunghi non sono nani ma ricordano più degli orchetti,  l’Anello ha un potere di seduzione che non ricordavo e la copertina, poi, è un palese rimando al Balrog. Quel titolo, poi...
Sia come sia, questo primo volume introduttivo è soddisfacente – non mi ha entusiasmato ma soddisfatto sì. La prosa di Jean-Luc Istin alterna momenti aulici ad altri quasi triviali e i disegni di Gwendal Lemercier si inseriscono nel filone dei lavori di Alice e Lauffray, innestando nella solidità e nel rigore del tratto franco-belga più di un elemento estetico mutuato dal fumetto statunitense, come le pose plastiche e certe inquadrature ardite. Ma a onor del vero Lemercier è molto più posato di altri suoi colleghi e la maggior parte del fascino della parte grafica è dovuta ai colori Joël Mouclier, che completano alcune vignette (soprattutto i primi piani) pur se non riescono da soli a correggere un’attaccatura di capelli sbagliata.
La storia è quella nota e non credo che necessiti di essere riassunta, tanto più che questo La Maledizione dell’Anello è solo il preambolo che racconta i retroscena di quello che deve ancora succedere. In ogni caso è sempre divertente vedere rappresentati gli dei e le altre creature fantastiche (tra cui le tre Figlie del Reno disegnate in maniera eccessivamente imponente) ben inclini alle debolezze umane, forse più degli umani stessi.

L’appuntamento è già per il prossimo mese e coerentemente con la struttura originale della quadrilogia i Cosmonauti ci informano che la saga de Il Crepuscolo degli Dèi ci terrà compagnia fino alla fine dell’estate, presumo quindi fino agli inizi di settembre. È probabile che ogni singolo volume sia realizzato da coppie di autori diversi visto che sulla copertina del numero 2 campeggiano altri due nomi.

mercoledì 11 giugno 2014

Ric Roland 1: Requiem per una Star

Con Michel Vaillant il gruppo RCS aveva compiuto cun mezzo miracolo, con Lucky Luke aveva ulteriormente alzato il tiro (peccato per gli editoriali latitanti ma, diamine, 96 pagine a soli 3,99 euro!) e incredibilmente con Ric Roland è riuscito a offrire un prodotto ancora migliore.
Se i prossimi volumi seguiranno la traccia di questo primo ottimo numero avremo un episodio completo di Ric Hochet/Ric Roland, articoli di approfondimento, materiale collaterale e recuperi d'annata in appendice. Una proposta ghiottissima, evidentemente proponibile grazie al formato dei volumi originali, immagino tutti di 44 tavole, e all'abbondanza di materiale dedicato al personaggio. Questo per quel che riguarda le caratteristiche della collana in sé.
Venendo al fumetto d'apertura, Requiem per una Star mi è sembrata una scelta non felicissima. La storia è originale, avvincente e presenta più di una sequenza divertente mentre i disegni soddisfano in pieno le alte aspettative che uno può avere da un classico della BéDé (anche se curiosamente ho notato che Tibet disegnava alcune donne come i troioni di Sandro Angiolini) ma a un lettore vergine che non abbia ancora letto nulla del personaggio sembrerà di entrare in sala a film già iniziato. La trama è comprensibilissima e perfettamente chiusa in sé ma di alcuni personaggi come il Professor Hermelin e Richard (il padre di Ric) si intuisce che un background molto articolato che non viene riassunto, e d'altra parte si capisce a stento anche a quale titolo Ric debba indagare sul caso.
La storia, ripeto, è ottima vista l'originalità (un complesso intrigo per rapire la star Janice Joël), la suspense (anche se chiaramente durante la lettura integrale in volume i cliffhanger con cui terminavano le puntate su Tintin perdono forza) e la carrellata di personaggi ben delineati, ma come primo approccio con Ric Roland avrei preferito un episodio più introduttivo o meno inserito nella continuity.
Seguono come redazionli un interessante articolo che spiega i retroscena metafumettistici della storia, che mi ha offerto lo spunto per un prossimo post, e un racconto-enigma con protagonista Ric, come quelli della Settimana Enigmistica.
In appendice tre storie brevi tra cui probabilmente la prima in assoluto, in cui si colgono chiaramente le influenze di Hergé. Questa storia in cinque tavole, Ric Roland entra in gioco, è stampata piuttosto male sicuramente a causa della scarsa reperibilità o del deterioramento dei materiali di partenza (ma anche la tavola 34 di Requiem per una Star deve essere stata stampata a partire da materiale di fortuna). L'ultimo fumetto in assoluto, la tavola singola La Prima Indagine di Ric Roland, riprende il meccanismo dell'enigma da far indovinare ai lettori e presenta l'unico refuso di tutto il volume: il maestro chiede quanto fa 133x66, ma sulla lavagna c'è scritto 133x56 (e infatti alla fine Ric darà la soluzione giusta, non il risultato di 133x66).
Una bazzecola, vista la qualità complessiva del volume.

martedì 10 giugno 2014

Comincia la caccia...

Annunciato per oggi, ho controllato in quasi dieci edicole senza trovarlo. In almeno una, però, c'era quello precedente da rendere. Confido in un banale ritardo "fisiologico", però questi Cosmo Color (soprattutto  quelli satellitari alla collana Cosmo Color propriamente detta) mi sembra che soffrano di una distribuzione piuttosto ondivaga, e mi pare che il formato non aiuti gli edicolanti a decidere dove esporli.

lunedì 9 giugno 2014

Saria 1: Le Tre Chiavi



Un nuovo fumetto disegnato da Eleuteri Serpieri per me è un evento, e lo compro senza ingudio. Persino se ai testi c’è Jean Dufaux. Scherzi a parte, a una prima ricognizione mi sembrava che proprio la parte grafica fosse meno appetibile di quanto sperassi: invece dello stile morbido e sfumato di Creatura e Afrodisia il papà di Druuna ha qui adottato quello secco, rigido e occasionalmente abbozzato di Mandragora. Pericolo scongiurato, comunque: durante la lettura ogni perplessità svanisce anche di fronte alla consumata abilità di Eleuteri Serpieri di narrare per immagini. E le derive rigide e squadrate ben si adattano al tono della storia.
La trama e l’ambientazione sono un bel coacervo degli elementi più disparati. Dufaux ha ambientato questa distopia in una Venezia dittatoriale in cui convivono e collaborano inquisitori appestati e squadracce fasciste in orbace (nonostante non ci sia un Duce ma un Duca è forse questo il motivo della sua tardiva proposta in Italia nonostante i grandi nomi coinvolti?), di difficile collocazione temporale visto che accanto a della tecnologia sofisticata persistono elementi medievali e rinascimentali. Non finisce qui. Tra le altre cose ci sono anche un angelo pettoruto particolarmente incazzato (a cui la smania citazionista di Dufaux ha dato l’infelice, in quanto tolkieniano, nome di Galadriel), un Doge/Patriarca biomeccanico (poco bio e molto meccanico) e un martire mediorientale che dispone di grandi poteri al momento non ancora svelati.

La Saria del titolo è l’ultima discendente della famiglia Asanti e a lei viene affidato dal padre morente il peso di custodire le tre chiavi del titolo, una sola delle quali condurrà al Paradiso una volta inserita nella Porta dell’Angelo. Se sia tutta una metafora o qualcosa di concreto si scoprirà nei prossimi volumi.
La vicenda è molto interessante e come spesso capita con Dufaux non si può rimproverargli di essere stato
banale quanto piuttosto di avere ecceduto in eccessiva originalità, che però grazie al tratto molto realistico di Eleuteri Serpieri non scade mai nel ridicolo come è successo con altri suoi fumetti. Visto che non mancano nemmeno in Saria altri esempi della sua poetica, come qualche improbabile frasaccia ad effetto che qui non stona affatto, mi viene da pensare che probabilmente, con disegnatori meno “puliti” e rassicuranti (se non proprio caricaturali) dei suoi collaboratori abituali, avrei avuto tutta un’altra impressione dello sceneggiatore belga.
Saria è un bellissimo fumetto, oltre a essere disegnato divinamente è intrigante e offre delle sequenze suggestive e originali, una su tutte quella del mostro-ogiva Moloch con cui il Doge mantiene il favore della popolazione oppressa. Potrebbe anche darsi che Dufaux abbia riletto i volumi di Les Eaux de Mortelune di Cothias e Adamov, ma forse è solo una mia impressione. Il ritmo sincopato è un po’ spiazzante (perché diavolo mettere sotto i riflettori un personaggio secondario a dieci tavole dalla fine del volume? E delle mirabilanti esibizioni di potere di Ali Muslim Orfa promesse già a pagina 15 in questo primo episodio non c’è traccia...) ma con la sua scarsa linearità introduce un ulteriore livello di originalità alla vicenda.

Certo: di «Asanti» in Italia, e in particolare a Venezia, credo che ce ne siano ben pochi, mentre dubito che in tutta la storia del Belpaese qualcuno abbia mai avuto come nome di battesimo “Mozo”, ma è lo scotto che si paga quando si cercano dei nomi per personaggi che non appartengono alla propria cultura e tradizione, e come diceva Luigi Bernardi nell’introduzione alla raccolta di Arno della Glénat Italia, certamente qualche autore nostrano non fa di meglio quando immagina nomi stranieri.

Spero vivamente che la Panini non faccia attendere troppo il secondo volume, che vedrà ai disegni il bravissimo Riccardo Federici (qui autore della copertina immagino tratta da una ristampa francese per dare omogeneità alla serie), disegnatore che, mi rendo conto dell’importanza dell’affermazione, non farà assolutamente rimpiangere Eleuteri Serpieri.

domenica 8 giugno 2014

Historica 20 - Operazione Overlord



Cominciamo male. In Operazione Overlord già il primo balloon ha un refuso (e non sarà l’unico). Quasi un presagio della qualità del volume, composto da tre tomi di cui l’ultimo appena uscito in Francia: in effetti la serie promette molto ma non si mantiene su un livello costante, e in più di un’occasione sembra che sia stata curata di meno, o che ci sia stato qualche calo.
Operazione Overlord riprende vagamente la struttura di Berceuse Assassine di Tome e Ralph, trasportando l’azione allo sbarco in Normandia avvenuto a 70 anni esatti dall’uscita del volume: la stessa vicenda viene vista da tre punti di vista differenti. Il primo episodio, Sainte-Mère-Église, porta sulla scena un eterogeneo gruppo di paracadusti statunitensi che liberano il villaggio eponimo. Bruno Falba cerca di approfondire le personalità dei protagonisti, ma 46 pagine sono troppo poche per poter sviluppare compiutamente la storia di ognuno senza che sembrino degli stereotipi o delle macchiette, tanto più che c’è anche il contesto da definire e un bel po’ di dettagli tecnici e storici da profondere. E francamente questo gruppo eterogeneo mi sembra troppo eterogeneo per essere credibile (un irreprensibile poliziotto newyorkese, un cowboy attaccabrighe, un meticcio benestante in fuga da New Orleans, due polacchi amici fraterni, persino un pellerossa!).
Davide Fabbri è senza dubbio un validissimo disegnatore, ma il meglio lo dà nel definire i dettagli tecnici (la sequenza del lancio dall’aereo sembra presa da un manuale) mentre, per quanto disegnati rigorosamente bene, i suoi uomini dalle dita affusolate sono piuttosto freddini e in qualche occasione ho fatto fatica a distinguerli. Le scene di massa e le panoramiche, poi, sarebbero ottime se non fosse che l’uso del computer come base di partenza produce un effetto un po’ straniante, un po’ come le insegne, il lettering e alcuni dettagli tecnici che vengono appiccicati di peso da un archivio di immagini digitalizzate e tolgono un po’ di magia all’insieme. E, riallacciandomi a quanto dicevo sopra, mi è sembrato che alla fine del primo episodio Fabbri sia arrivato con il fiato corto, limitando il lavoro di fino fatto per oltre metà volume preferendo un segno più rapido e sfondi meno ricchi.
Col secondo episodio, Omaha Beach, la storia subisce una netta impennata in positivo: stavolta a meritarsi maggiormente la luce dei riflettori sono i soldati tedeschi in attesa dell’inevitabile sbarco degli Alleati. Ai disegni Fabbri viene sostituito da Christian Dalla Vecchia, secondo me con buoni risultati. Della Vecchia non ha la perizia tecnica di Fabbri né la sua grazia (ah, i nasi del comitato militare a pagina 61...) però il suo tratto risulta più caldo del collega-maestro e non è soggetto a fluttuazioni qualitative.
C’è un avvicendamento anche ai testi: Bruno Falba passa il testimone a Michaël Le Galli. Ignoro se questo stacco sia stato così netto e se i due abbiano collaborato in itinere, sta di fatto che a me è sembrato che la sceneggiatura scorra molto più fluida e coinvolgente. Merito del minor numero di protagonisti e comprimari, ma anche dell’assenza di quei flashback-lampo di una tavola che hanno caratterizzato la prima storia senza portarle particolari benefici – anzi, a me hanno dato l’impressione di scimmiottare altri fumetti o telefilm. Il finale di Omaha Beach mi è piaciuto, non sono un fan del genere bellico e quindi ignoro se un escamotage del genere sia già stato usato in romanzi, fumetti o film; io l’ho trovato originale e perfettamente congruente con le personalità e le azioni dei personaggi che lo vivono e lo mettono in atto.
Non male poi l’espediente di colorare i balloon di colori diversi a seconda della lingua parlata.
La Batteria di Merville, ultima parte del trittico che vede il ritorno di Fabbri alle matite, riprende lo spirito di Omaha Beach, puntando non solo sullo snocciolamento di dati tecnici e di sequenze descrittive ma anche su un finale a sorpresa. Stavolta i protagonisti principali sono solo due, un paracadutista inglese e un suo omologo canadese («Québéquois» come ci tiene a sottolineare per ripararsi dalle accuse di essere un froggie, un francese) e oltre che sulle scene di guerra la storia si concentra sul rapporto che entrambi sembrano avere con la stessa donna. Il bel finale, sicuramente appagante per chi cercava qualcosa di più di una classica storia di guerra, non mi ha impedito di pensare che forse un meccanismo del genere (con il  colpo di scena da «fumetto modello Lanciostory») avrebbe potuto anche risolversi in molte meno pagine, e che il tratto di Fabbri, per quanto molto curato e rigoroso, probabilmente non è il più adatto a illustrare storie belliche con un sottofondo così crudo: la mucca dilaniata a pagina 142 fa riflettere più su quanto Fabbri sia bravo a disegnare che sulla brutalità della guerra. Anche i colori, e questo si estende a tutto il trittico, mi sono sembrati troppo accesi e vivaci per ricreare l’atmosfera disperata e fatalista che (immagino) avrebbe dovuto permeare la serie.
Nel complesso Operazione Overlord non è stata proprio una delusione ma, fermi restando i molti meriti della collana (confezione, prezzo, qualità di stampa non disprezzabile, le puntuali introduzioni), lo considero come un momento interlocutorio in attesa del prossimo volume che spero mostri un migliore amalgama tra testi e disegni o che almeno non sia l’ennesimo fumetto di guerra.
IL SEI DEL SEI CI SEI?