Il secondo volume integrale di Le Aquile di Roma
conferma l’ottima impressione che mi aveva lasciato il primo. Enrico Marini
aggiunge intrighi e complotti appassionanti alla già bellissima storia di Falco
e Arminio/Ermanamer mentre le vite dei due protagonisti continuano a
intrecciarsi e a complicarsi per conto loro fino ad arrivare alla resa dei
conti finale che lascia presagire ulteriori sviluppi.
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Sulla qualità eccellente dei disegni si potrebbe tranquillamente glissare, tanto
è evidente e tanto è consacrato l’autore, ma mi preme sottolineare come Marini
non solo produca delle tavole oggettivamente bellissime (e già questo mi
basterebbe) ma riesca a racchiudere in ogni vignetta esattamente quello che
serve per raccontare nel modo migliore la storia, niente di più e niente di
meno. I suoi personaggi sono così espressivi che non serve quasi leggere i
dialoghi per capire i rapporti di forza tra di loro, le considerazioni che
nutrono gli uni per gli altri, gli schieramenti di cui fanno parte. E una dote
del genere ricordo di averla ravvisata solo in Jean Giraud e in pochi altri.
Fermi restando i suoi panorami mozzafiato delle brumose foreste germaniche, i
dettagliatissimi castra, le donne
bellissime e l’equipaggiamento e il vestiario di barbari e romani perfettamente
ricostruito: davanti a tanta magnificenza mi pento di non aver preso i due
volumi qui raccolti nella precedente versione in gran formato fattane dalla
Panini.
Alla luce della qualità eccellente di Le
Aquile di Roma il ricco e già buono curriculum di Marini viene messo
decisamente in ombra: Gypsy era
simpatico, ma nulla di più; La Stella del
Deserto un piacevole divertissement;
Rapaci una storia troppo “larger than
life” per non risultare ridicola, anche se si riscatta sul finale; Lo Scorpione un’occasione sprecata di
dare ossigeno all’Avventura classica. Mi sembra veramente un bene che Marini
abbia deciso di prendere in mano in toto le redini delle sue opere.
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