Arieccoci.
Ero un po’ preoccupato per la Marvel, perché se parecchie proposte Secret
Wars mi stanno aggradando non credo che il lettore Marvel medio le apprezzi.
L’ultima infornata mi ha tranquillizzato sulle sorti della Casa delle Idee.
Programma Extinzione riprende la solita saga epocale degli X-Men
dandole un twist differente e
diventando quindi l’ennesimo What If.
In questa versione della storia Wolfsbane, Havoc e il Capo Magistrato Anderson
cercano di dare una parvenza di governo alla devastata isola di Genosha
sprofondata nel caos. A supportarli c’è un gruppo di altri mutanti più o meno
conosciuti ma l’impresa di contenimento delle folle si rivela sempre più ardua,
tanto più che è in corso un’epidemia (e l’isola di Genosha è quindi in
quarantena) e cominciano a scarseggiare i generi di prima necessità. La fredda
e razionale baronessa Jean Grey, consigliata da un Bestia dalla logica
spietata, si rifiuta di intervenire con maggiore incisività nel disastro di
Genosha e quindi i protagonisti decidono di prendere in mano la situazione e
tentano il rapimento di un mutante con poteri curativi e di Rogue, che dovrebbe
duplicare i poteri del primo.
I testi di Marc Guggenheim sono professionali ma nulla di più, senza sbalzi
troppo creativi ma nemmeno senza battute fuori luogo; la storia si fa leggere
ma non mi ha entusiasmato, probabilmente perché non conosco la saga originale
con cui ha moltissimi punti di contatto. Belli invece i disegni di Carmine di
Giandomenico, statuari ma dinamici. Peccato che la stampa non gli abbia sempre
reso giustizia e che anche lui debba sottostare ai dettami puritani dei comics
USA, così all’inizio della vicenda gli è toccato industriarsi con creatività
per coprire i capezzoli di Wolfsbane.
Punta di Freccia è una storiellina in cui viene spiegato perché la
Kate Bishop di 1602 (credo) finisce a fare la guardiana presso lo
Scudo. La scelta di inserire questa short
story è dovuta al fatto che la Bishop fa una comparsata nella miniserie Assedio che viene pubblicata poco dopo,
ma potevano anche risparmiarsela visto che la sua apparizione è veramente
fugace (e sembra un altro personaggio perché parla in maniera diversa) e la
storia non è granché. I testi di Pru Shen non entusiasmano, e d’altra parte Punta di Freccia è solo un’introduzione
senza pretese, e i disegni un po’ manga/caricaturali di Ramon Bachs sono
bruttarelli.
Il piatto forte di questo numero, Assedio
(che riprende, ma stavolta solo di nome, l’eventone omonimo), non è stata una
lettura facile. I disegni storti e sgraziati di Filipe Andrade, che sembra
oltretutto aver buttato giù quegli sgorbi in fretta e furia, a volte non sono
nemmeno sufficientemente chiari da capire cosa rappresentano, soprattutto nelle
prime tavole. Anche i testi di Kieron Gillen sono un pochino ermetici ma non è
quello il punto debole di Assedio:
con dei disegni decenti sarebbe stato forse vagamente godibile. Abigail Brand
viene mandata sullo Scudo dopo atti di insubordinazione eseguiti apposta per
farsi assegnare all’ultimo avamposto di Battleworld e organizzare così
l’agognata vendetta per i tragici eventi in cui fu coinvolta quando aveva 9
anni. In Assedio rivediamo tra
l’altro la Miss America defenestrata dall’A-Force.
La trama si dipana placida e indolente tra flashback e flashforward il cui
senso verrà spiegato sperabilmente nei prossimi episodi, frammisti a lacerti
del diario della Brand (disegnati splendidamente da James Stokoe e Jorge Coelho),
che soffocano ancora di più il ritmo: il succo rimane solo mostrare quanto è
tosta la protagonista e presentare la nuova recluta assegnata a guardia dello
Scudo, nientemeno che Kang il Conquistatore! Con l’espediente non originalissimo
del paradosso temporale (un Kang già in servizio appare dal nulla per anticipare
cosa succederà) viene profetizzata la caduta dello Scudo, la cui distruzione è
prevista tra 20 giorni per mano di Thanos. Una protagonista antipatica e un
cast poco interessante non contribuiscono ad affezionarsi alla miniserie.
In appendice viene proposta L’Era di
Apocalisse, e qui sono guai forse anche peggiori. A disegnare questa
miniserie c’è infatti tal Gerardo Sandoval, emulo di Humberto Ramos che riesce
a fare addirittura peggio del “maestro”. Probabilmente queste tavole sono una
gioia per gli occhi di chi ama questo stile deformed
e/o di chi è un nostalgico della saga originale, io ho provato veramente
una sensazione di fastidio a scorrere quelle pagine ma seppur a intervalli di
poche tavole per volta sono riuscito ad arrivare fino alla fine, in
ottemperanza ai doveri ai quali sono tenuto nei confronti dei lettori del blog.
La cosa sarcastica è che la storia in sé meriterebbe pure. Il barone En Sabah
Bur alias Apocalisse sguinzaglia i suoi sgherri in giro per la Terra Selvaggia (ma
come? Non è vietato oltrepassare i confini del proprio dominio? Questo
Apocalisse deve avere appoggi molto in alto) per catturare il mutante Douglas
Ramsey, quello in grado di capire tutti i linguaggi, che gli X-Men cercano
invano di difendere anche a costo della vita. Il bello è che Ramsey, novello
messia mutante che dovrebbe rovesciare la tirannia di Apocalisse, manco capisce
il motivo per cui è tanto importante – cosa che oltretutto gli permette di non
rivelare alcunché sotto tortura, proprio perché non sa cosa dire. La storia di
Nicieza non è particolarmente originale o ben congegnata ma sfruttando un
canovaccio abusato riesce a catturare il lettore con un ritmo coinvolgente per
cui dopo un inizio col botto si comincia a dipanare la trama. Se non fosse per
quei maledetti disegni, dannazione…
Nell’introduzione Marco Rizzo sottolinea quanto questa testata sia
fondamentale nell’economia di Secret Wars per la presenza di Assedio. Gli credo sulla fiducia, io mi
fermo qui.
Nemmeno Vecchio Logan mi ha
convinto. In 32 pagine Brian Michael Bendis ha saputo tirare fuori solo la sua proverbiale lunga chiacchierata seguita da un combattimento lungo 10 tavole e poi il rinvenimento di una testa di Ultron che apre nuovi scenari. È vero che Bendis si apprezza più per lo stile spumeggiante dei suoi dialoghi che per la densità dei contenuti, ma qui non è riuscito a strapparmi nemmeno un sorriso. È stato efficacissimo nel descrivere il mondo desolato in cui si muove il protagonista, dove degli schiavi liberati sono talmente abbrutiti da non concepire nemmeno l’idea della libertà, ma in fondo lo stesso Mark Millar che ha creato questo universo ne aveva dato già una rappresentazione molto efficace. La storia termina poi con un tremendo anticlimax, per cui non c’è il consueto cliffhanger ma sembra che l’azione sia lasciata a metà proprio mentre
il Vecchio Logan comincia a scalare il muro dello Scudo alla ricerca
dell’origine della testa di Ultron (dai credits in seconda di copertina risulta
comunque che il primo episodio della serie sia questo, non sono “uno e mezzo”
come ho pensato in un primo momento). I disegni di Andrea Sorrentino, inoltre,
non mi sono piaciuti – o per meglio dire ho fatto difficoltà a leggerli:
sembrano (e alcuni forse sono) delle fotografie sovraesposte e i contrasti
fortissimi rendono poco chiari certi dettagli appesantendo le tavole. Non si
può negare che il lavoro di Sorrentino abbia dei risvolti artsy e quindi un suo fascino (anche se mi pare che Jae Lee facesse
cose simili già vent’anni fa) ma il risultato è troppo freddo per i miei gusti.
A integrare la serie portante in questa prima uscita del mensile c’è una
storiellina umoristica di Ivan Brandon e Aaron Conley. In realtà non è proprio
umoristica e la si può a stento definire persino una storia: in pratica è una
rassegna di varie versioni di Wolverine che interagiscono senza una trama a legarle
– nessuna che io sia riuscito a identificare, almeno. Se il giudizio sui testi
è sospeso vista la loro effettiva assenza, riconosco che i disegni sono molto curati
e a illustrare una storia adatta (cioè comica) farebbero la loro figura.
Credo che la ricognizione delle testate Secret Wars termini qui, fatti
salvi eventuali altri volumi compilativi, visto il disinteresse o il disprezzo
che nutro per i personaggi delle altre testate coinvolte (Spider-Man, Deadpool
e i Guardiani della Galassia).