Con il quinto numero di Planet Hulk considero terminata la mia
esperienza con le miniserie legate all’evento Secret Wars, ma d’altra parte immagino che uscirà ancora poco o
nulla in merito.
La serie portante non l’ho seguita
ma in ogni caso parecchie miniserie si sono rivelate molto interessanti. Almeno
quelle che ho seguito io, pur se non sono mancate
delusioni
e magari anche tra quelle che non ho preso si celasse qualche gioiellino.
So che in altre occasioni venne
fatto un esperimento simile, principalmente coi crossover Age of Apocalypse e House of
M, ma credo che qui sia stata compiuta un’operazione più radicale: non
essendoci un tema comune di fondo semplicemente le testate si sono trasformate ognuna
per conto proprio in maniera indipendente riprendendo momenti diversi della
storia Marvel, lasciando quindi il massimo della libertà agli autori per cui
non era necessario un allineamento tra testate (che poi alla fine pare ci sia
stato, almeno in alcuni casi) né il rispetto di una continuity inesistente.
Credo di poter dire che alla base
di questa operazione ci sia stata una grande onestà. Mi rendo conto che sia un
termine roboante ma è indubbio che tra editore e pubblico era manifesto il
tacito accordo per cui in quei 4 o 5 mesi in cui le testate erano coinvolte
dall’evento agli autori sarebbe stata lasciata carta bianca: tanto poi si torna
alla normalità come al solito. E questa libertà creativa ha dato buoni frutti.
L’unico aspetto condiviso da
molte miniserie è stato il revivalismo, il recupero di personaggi e ambientazioni
passate per strizzare l’occhio al lettore Marvel più affezionato. Questo
ovviamente ha portato a una quantità di citazioni e riferimenti che io non ho
potuto cogliere ma che per il lettore Marvel più affezionato devono essere
stati un bel valore aggiunto.
Va detto inoltre che la necessità
di chiudere la narrazione in un numero prestabilito di episodi ha imposto agli
sceneggiatori di racchiudere quanto più materiale possibile nei loro lavori,
offrendo spesso una densità di scrittura che mi sembra latitasse da molto nei
fumetti Marvel in favore della famigerata decompressione.
Le miniserie raccolte
direttamente in volume che ho letto io non sono state molto interessanti:
Captain Marvel & i Carol Corps è una
lenta agonia verso un non-finale inconcludente incomprensibile senza aver letto
Secret Wars (o forse le giuste
miniserie collegate).
Weirdworld è
stato solo un
divertissement, disegnato
neanche poi così bene da Del Mundo.
Dove
dimorano i Mostri è stata la solita ennisata pur con qualche battutina
divertente.
Credo che in Italia siamo stati
fortunati a poter leggere le altre miniserie nelle consuete collane riorganizzate
per l’evento visto che così una testata piacevole può aver risollevato le sorti
delle comprimarie e che da un primo assaggio si poteva già capire se seguire o
no tutti i 4/5 numeri. Quindi se i prossimi commenti sembreranno troppo
positivi è anche dovuto al fatto che
alcune miniserie
mi hanno allontanato appena le ho lette inevitabilmente mi sono concentrato sul
meglio di quello che rimaneva. Nel dettaglio:
Planet Hulk. Due belle storie, o meglio storiazze, piene di azione
e
sense of wonder. I due canovacci di
Planet Hulk e
Futuro Imperfetto non sono nemmeno così originali, se non vagamente
quello del secondo (il primo una missione di recupero in un mondo devastato, il
secondo una ribellione al potere condotto da due ex-nemici) però sono scritte
molto bene, con un ottimo ritmo e appunto un bel po’ di inventiva (il
sense of wonder di cui dicevo) che mantiene
viva l’attenzione del lettore. I dialoghi di Peter David, poi, sono spesso una
goduria da leggere. Entrambe hanno poi potuto beneficiare di due ottimi finali,
anche se quello di
Futuro Imperfetto
mi ha ricordato un episodio della
run
di Millar-Hitch sui
Fantastici Quattro.
Entrambe le miniserie hanno inoltre
potuto fare affidamento su un repartografico eccellente: il Marc Laming di
Planet Hulk è stato una graditissima
sorpresa (realistico e dettagliato ma al contempo dinamico ed espressivo)
mentre il tanto vituperato (anche
da
me)
Greg Land è riuscito ad andare oltre il suo
pinuppismo
ricalcato creando delle tavole che non si limitano a essere belle esteticamente
ma anche molto narrative.
Sicuramente non sono due fumetti
che entreranno nella storia ma entrambi hanno dimostrato quanto i loro autori
siano dei maestri nell’usare le potenzialità del mezzo e li ho letti proprio di
gusto.
A-Force. Altro centro della Panini. La serie titolare è partita un
po’ in sordina ma già dal secondo capitolo è decollata. Anche se ho avvertito a
volte un po’ di lentezza nei testi di Marguerite Bennett e G. Willow Wilson, la
trama basata sugli intrighi interni all’A-Force e sull’identità della nuova
venuta extradimensionale è bastata ad appassionarmi alla storia. Certo, il
finale è una lunga scazzottata con battute sceme appiccicata a un epilogo
prolisso e melenso (la Bennett e la Wilson non conoscono mezze misure!) ma non
basta a rovinare la buona impressine complessiva.
Squadrone Sinistro è stata una delle rivelazioni di
Secret Wars. Marc Guggenheim ha scritto una
storia fantastica, un complotto molto articolato e avvincente in cui oltretutto
ha saputo gestire benissimo i molti attori coinvolti. E ognuno di questi
personaggi (anche i comprimari come l’Uomo Sabbia o lo Starbrand Jacob
Burnsley) è stato caratterizzato in maniera egregia. Credo che
Squadrone Sinistro sia la miniserie
Secret Wars con la maggiore densità di
scrittura: non solo la trama è molto complessa e variegata, ma la lettura
impegna il lettore per un bel po’, il che in tempi di decompressione è un
grandissimo pregio. Bellissimo, poi, il finale, così come anche l’epilogo
cinico e disincantato.
1872. Altra grandissima rivelazione: la trasposizione western dei
Vendicatori? Non le avrei dato una lira, e invece come miniserie è stata
appassionante, sorprendente (vedi le morti eccellenti sparse qua e là a
sorpresa) e veramente ben scritta. Anche la trasposizione dei classici Tony
Stark, Bruce Banner, ecc. in un contesto western si è rivelata molto meno
scontata di quello che avrebbe potuto essere. Il finale (anche qui, ottimo)
lascia intendere che si tratti solo dell’inizio di una nuova serie ma sarà
difficile restare a questi livelli.
Ciò che accomuna queste tre
miniserie è che forse la parte grafica, che pure vanta il veterano Carlos
Pacheco su Squadrone Sinistro, non è
stata proprio all’altezza dei testi pur se il livello è abbondantemente dignitoso.
Civil War. Non male anche se inizialmente sembrava concentrarsi su
un
whodunit e poi la trama ha virato
nettamente verso un più canonico scontro fra supereroi. La sterzata verso
Secret Invasion,
sia strizzata d’occhio ai lettori che effettivo colpo di scena, è stata tutto
sommato simpatica e “filologicamente corretta”. Piacevole pur se non
all’altezza dell’aura mitica che molti le avranno attribuito rifacendosi alla
vecchia miniserie-evento omonima.
Armor Wars si è rivelata alla fine addirittura migliore della
testata titolare. Sicuramente l’idea di partenza è una rimasticatura di un
soggetto precedente, ma la parte di detection
è stata intrigante così come sono stati gestiti molto bene i personaggi in
gioco, con tanto di colpi di scena effettivamente inaspettati. Trovo che questa
interpretazione di Wilson Fisk sia ottima e per me la storia poteva concludersi
già al quarto capitolo prima della battaglia coi robottoni. Peccato per i
disegni espressionisti/deformed di
Marcio Takara, non proprio “brutti” (beh, non troppo) ma inadatti a questa
ambientazione in cui i dettagli tecnologici avrebbero dovuto avere un maggiore
risalto.
Hail Hydra. La serie titolare si è rivelata senza infamia e senza
lode: una distopia in cui il protagonista spaesato profugo dell’universo
pre-Secret Wars cerca di destituire il tiranno Ernim Zola. Certo, Rick Remender
ha qualche idea abbastanza buona come la versione
freak dei Vendicatori nelle fogne, ha saputo creare una discreta
atmosfera di angoscia e oppressione e anche il finale non è male (per quanto mi
sembri rimandare a un “vero” finale da leggersi altrove), però la miniserie non
decolla. Anche i disegni di Roland Boschi sono conformi al livello del testo: ogni
tanto c’è qualche guizzo un po’ più ardito e piacevole, non mancano però alcune
anatomie poco credibili ma in generale regna un certo anonimato.
Red Skull mi ha invece preso di più: i personaggi sono originali e ben tratteggiati ed è stato interessante vedere all’opera dei criminali invece
che i soliti eroi. Se ho continuato a comprare
Hail Hydra è stato principalmente per vedere se la mia intuizione
che il Teschio Rosso fosse in realtà Steve Rogers fosse giusta (
sbagliavo). Bello il finale beffardo – d’altra parte
sono supercattivi, cosa ci si poteva aspettare? I disegni un po’
deformed di Luca Pizzari non sono stati proprio
il massimo per me.
Essendo Red Skull una miniserie di soli 3 numeri ha lasciato il posto sul
quarto a una storia autoconclusiva non proprio originale (la vita comune di uno
sgherro anonimo, cosa già fatta tra i tanti da Grant Morrison su The Invisibles) ma comunque meno brutta
di tante altre.
Thors è stata l’unica delusione. Delusione relativa, perché rimane
comunque un buon fumetto, che però viste le premesse avrebbe potuto essere
ottimo. Jason Aaron esordisce con un bel
noir
ma poi si incarta (o lo hanno fatto incartare a livello editoriale) con i
topoi e la mitologia dei supereroi
Marvel, non riuscendo a portare fino in fondo l’atmosfera
hard-boiled che sfuma assai presto. Mi è sembrato inoltre che
l’ultimo episodio si concluda in quella particolare maniera per esigenze
commerciali, rimandando pesantemente alla miniserie portante (magari comprerò
l’ultimo numero di
Secret Wars e ci
capirò qualcosa). Più che altrove, inoltre, ho avvertito la necessità di avere
delle conoscenze pregresse della mitologia Marvel per godere appieno della
storia.
Purtroppo la parziale
schizofrenia dei testi è stata rispecchiata anche dai disegni di Chris Sprouse,
che per quanto senz’altro superiori a quelli della maggior parte di altri non
si sono rivelati sempre all’altezza. E il fatto che in un episodio si è anche
fatto sostituire da Goran Sudzuka (che ricordavo molto meglio) non ha aiutato. E
ha pure consegnato l’ultimo episodio in ritardo…
Thors ha avuto anche la disgrazia di dover condividere le pagine
con l’imbarazzante Loki Agent of Asgard,
un fumetto indeciso tra pacchiano e pretestuoso. Peccato, perché i disegni di Lee
Garbett non erano affatto male.
Age of Ultron vs.
Marvel Zombies. Il
pezzo forte di
Secret Wars. Solo i
disegni di Steve Pugh valgono l’acquisto, pur se il suo stile realistico
occasionalmente è stato sacrificato da esigenze editoriali (
flashback contestualizzanti) a piegarsi
a stilemi classici. Ma in realtà anche la storia di James Robinson è
appassionante, ben scritta e originale. Peccato solo per il finale non tanto eccessivamente
positivo (anzi…) quanto piuttosto affrettato. Ma va bene anche così.
Decisamente positivo anche il
parere su
Marvel Zombies, che in origine aveva un titolo meraviglioso (
Journey
into Misery) che faceva il verso alla testata storica
Journey into Mystery. Simon Spurrier ha imbastito una bella storia
di sopravvivenza con una protagonista originale e involontariamente (visto quanto
è altezzosa e marziale) simpatica. Non sono mancati dei bei colpi di scena e
sicuramente i tocchi di umorismo hanno avuto la meglio sulla parte più
introspettiva e melensa che avrebbe potuto pregiudicare il mio gradimento.
Oltretutto Spurrier è stato uno dei pochi con l’Humphries di
Planet Hulk, almeno degli sceneggiatori
di cui ho letto i lavori, ad aver saputo usare la peculiarità di
Secret Wars (più versioni possibili di
uno stesso personaggio) a suo vantaggio per imbastire una svolta nella trama
perfettamente integrata nella narrazione. Alla fine perfino i disegni quasi
deformed di Kev Walker mi sono sembrati
buoni.
Anni di un Futuro Passato. La storia non ha carburato subito sin
dall’inizio (eh, sempre la Bennett…) ma nel quarto episodio c’è stato un bel
colpo di scena. Nel complesso nulla di memorabile anche perché mi è sembrato
che questa miniserie fosse più che altro un tributo dedicato ai fan dei mutanti
riprendendone e ribaltandone alcuni elementi della mitologia – cosa che si può
dire anche di tutte le altri miniserie Secret Wars, ma qui l’ho percepito in
maniera netta. Questo giudizio però si è drasticamente modificato alla fine,
con quel bel colpo di scena che ha ridato lustro al tutto.
E come Estinzione è stato un omaggio agli X-Men di Morrison e Quitely che presto si è allontanato dal concetto originale per sfumare in una
storia di supereroi mutanti più classica. Come tale è facile dire che fosse
meglio l’originale ma tutto sommato è stata una lettura gradevole. Lo stile di
disegno di Ramon Villalobos, che si è rifatto sia a Quitely che a stilemi
indie, mi ha invece stufato presto.
Magneto è stata l’ennesima zavorra. Non è colpa della Panini che ha
semplicemente dovuto arrangiarsi con quello che offriva la casa madre
rispettando i sommari pre-Secret Wars, ma è inevitabile che a confronto con i
fumetti coinvolti nell’evento quelli che non lo erano e continuavano le
precedenti storyline risultassero
“vecchi” in partenza: Magneto in
particolare è stato il minimo sindacale dello sforzo per lo sceneggiatore Cullen
Bunn che ha semplicemente stiracchiato per 4 numeri (il top è arrivato
nell’ultimo) citazioni dalla storia del protagonista mentre intorno avvenivano eventi
epocali che non hanno impattato molto sulla serie e che comunque da Magneto non
sono stati toccati. E i disegni di Paul Davidson non sono nemmeno questo
granché.
Di certo qualche miniserie finirà
nel Meglio del 2016.