mercoledì 22 luglio 2020

Rovine

L’avrei comprato per la miniserie (proprio mini: solo due numeri) di Warren Ellis che dà il titolo al volume, ma le storie di contorno si sono rivelate migliori. Rovine è una parodia grottesca e splatter dei supereroi, senza nessuna pietà per loro. Il reporter Philip Sheldon vuole realizzare il suo ultimo libro prima di morire di cancro: un’inchiesta sul perché in questo universo le situazioni scatenanti alla base della nascita dei supereroi abbiano portato a un mondo desolato e purulento e non alle meraviglie delle controparti canoniche di casa Marvel. Un po’ grazie al suo glorioso passato, un po’ grazie ai suoi contatti e un po’ grazie alla pietà che suscita la sua condizione, riesce a raccogliere alcune testimonianze e ad accedere a degli edifici governativi interdetti ai civili. Negli Stati Uniti vige infatti una specie di legge marziale causata proprio per reazione alle imprese dei supereroi, soprattutto dei Vendicatori – ma questa cosa non viene approfondita. Il gioco è quello di mostrare cosa sarebbe veramente successo a delle persone mutate o nate con gli effetti delle radiazioni, ma se gli ingenui comic book degli anni ’60 erano innocentemente positivi Ellis esagera dall’altro lato: ovvio che i raggi gamma fanno venire tumori, ma questi non si manifesterebbero certo di colpo e deformando il corpo ospite come succede al Bruce Banner di questa realtà.
Vengono fatte così sfilare delle versioni mentecatte, malate, morenti o mutilate dei personaggi Marvel, e anche quelli che mantengono una parvenza di normalità sono sottoposti a una rilettura umiliante. Per uno che odi quell’universo sarebbe anche una lettura gustosa, se non fosse che diventa presto ripetitiva e la trama non va da nessuna parte. Inoltre si avvertono i 25 anni di distanza che separano Rovine dal 2020: oltre al fatto che le tavole dipinte erano veramente dipinte col pennello e non realizzate col computer, tante trovate di Ellis le abbiamo già lette e rilette altrove. Il bisticcio Cree/Kree l’ha riciclato in una miniserie della linea Ultimate, così come il concetto che un personaggio invisibile è cieco è riaffiorato in Planetary e da altre parti; alcuni spunti sono simili a quelli che avrebbero portato a Civil War e Donald Blake che crede di essere Thor dopo aver assunto dei funghi allucinogeni ricorda un po’ la sua versione in Ultimates.
Alla fine lo scopo principale di Philip Sheldon non viene raggiunto e quali siano le ragioni per cui il suo mondo sia andato a rotoli non vengono svelate, a meno che non si tratti della diversa maniera in cui si svolse il lancio di prova dei Fantastici Quattro. Sullo sfondo alcune trame rimangono irrisolte, in particolare quella che coinvolge il Professor X, cioè Charles Xavier: può darsi che non fosse intenzione di Ellis svilupparle ma l’impressione è quella che la miniserie sia stata chiusa in fretta e furia.
I disegni sono quelli che avrebbero potuto fare la differenza e risollevare il fumetto. Così non è stato. I fratelli (o coniugi) Cliff e Terese Nielsen sono parecchi miliardi di volte meglio dei quadratoni di Romita Jr., degli schematismi di Jim Lee e delle caricature di Humberto Ramos, ma il loro ambito di competenza non è lo stesso di quel sottobosco: proprio perché producono un lavoro di un certo tipo è inevitabile confrontarli con altri artisti pittorici (in un’epoca in cui, ripeto, dipingevano veramente e non usavano il computer). E benché il loro lavoro sia buono non possiede la ieratica naturalezza di un Jon J Muth, la ricchezza e la fantasia di Kent Williams (a cui pure un po’ somigliano), la vivacità di Duncan Fegredo, l’imperiosa leggibilità di Frank Hampson, la dinamica espressività di Dan Lawrence, la spontaneità di Scott Hampton, la raffinata complessità di Dave McKean, la potenza di Simon Bisley. Inoltre se ne fregano di trovare qualsiasi somiglianza tra i loro modelli e il corrispettivo cartaceo. Al manierista Alex Ross va riconosciuto che almeno si impegnava in tal senso. A peggiorare la parte grafica c’è il fatto che non sono nemmeno riusciti a finire di disegnare Rovine: al loro posto è subentrato Chris Moeller, non certo un cane ma dallo stile molto scolastico, quasi banale direi.
Il volume è integrato da altri tre fumetti della serie Tales of the Marvels, autonomi ma vagamente interconnessi tra di loro. Tutti e tre sono caratterizzati da una certa verbosità, o meglio da quella che oggi, abituati alla decompressione, sembra verbosità: in realtà gli sceneggiatori (o i loro editor) sono stati bravi a giocare con le parole e la narrazione molto densa non pesa affatto, anzi coinvolge maggiormente il lettore e aumenta il tempo di lettura.
Blockbuster di Mike Baron e Shawn Martinbrough racconta l’impatto che una battaglia dei Fantastici Quattro ha sulle famiglie dell’edificio raso al suolo dallo scontro. In realtà più che sui Fantastici Quattro i riflettori sono puntati sugli eroi cosmici della Marvel e l’io narrante della vicenda vorrebbe nientemeno che ammazzare Silver Surfer. I supereroi praticamente non ci sono, sono i McGuffin che fanno partire la situazione e Silver Surfer compare solo alla fine per tirare le fila della trama. Essendo un fumetto Marvel non ci si può allontanare troppo dal canone e dal codice etico della casa editrice, però la storia in sé è piacevole e ben scritta. In questo caso non capire tutti i riferimenti all’universo Marvel non è un male: riallacciare il filo con quelle storie precipiterebbe la trama in un contesto molto meno drammatico e le toglierebbe pathos. Molto buoni i disegni e i colori di Martinbrough: non sono elaborati come quelli di altri artisti pittorici, ma il suo schematismo è molto efficace ed è perfetto per un fumetto (almeno per questo).
Demoni Interiori riesce a portare sulla scena Namor il Submariner senza che risulti antipatico, visto che il vero protagonista non è lui ma un barbone alcolizzato che ha nel misterioso “Vecchio”, il Namor smemorato prima di essere scoperto dai Fantastici Quattro, un amico e una guida che lo salva dall’alcolismo e aiuta altri senzatetto. Il tutto intrecciato con vari elementi Marvel (Harry Osborn, i Duri e sicuramente qualcos’altro che non ho riconosciuto) ma senza che la cosa sia troppo invadente. Dato l’argomento c’è un po’ di retorica ma Mariano Nicieza scrive molto bene e riesce a superare l’inevitabile patetismo di alcuni personaggi donando un tocco di umanità e concludendo con classe il racconto, dandogli una certa circolarità.
Veramente belle le tavole di Bob Wakelin, sapientemente equilibrate tra virtuosismi pittorici e leggibilità, ricchezza ed espressività. Purtroppo nemmeno lui come i Nielsen è riuscito a disegnare tutto l’albo (ma questi disegnatori sono inaffidabili o era la Marvel a non riuscire a far rispettare le date di consegna?): in suo soccorso è intervenuto l’intero Studio Infinity che ha prodotto un lavoro proprio scarso, forse per la necessità di consegnare le tavole in tempo. In ogni caso il risultato non cambia e lo stacco tra i due stili si nota drammaticamente, tanto più che sono inframmezzati tra di loro.
Wonder Years, scritto da Dan Abnett e Andy Lanning, è apparentemente il più leggero dei tre “Racconti delle Meraviglie” e mette in scena una fan di Wonder Man ossessionata dal suo idolo con cui ebbe anche un incontro ravvicinato. Qui le vicende del Marvel Universe sono massicciamente presenti, perché è necessario seguire passo dopo passo la storia del personaggio per vedere le conseguenze che ha sulla vita di una persona comune. Dopo che per tre quarti la storia era intrisa di vacuità e di innocenza, prende una piega decisamente tragica ma comunque il discorso sui pericoli del divismo e sugli stereotipi dei supereroi non sono troppo approfonditi. La storia (divisa originariamente in due albi) non è eccezionale ma la qualità delle altre due mi ha predisposto favorevolmente e ho apprezzato pure questa.
Bella prova di Igor Kordey, che però nei progetti europei ha tutta un’altra profondità.

3 commenti:

  1. Ricordo i due albetti spillati di Ruins ed il mio disappunto quando le tavole dei coniugi (mi pare ex oggi ndr ) Nielsen lasciavano il campo a Moeller. Andrea Materia - dalle pagine della rivista Playmagazine con materiale DC - lodava Ruins come una delle poche novità USA. Steve Rogers e Nick Fury cannibali come gli Spetnaz citati da Ellis nel suo Stormwatch devono avermi colpito anche allora che non ero vegetariano perchè me ne ricordo dopo 25 anni. Anche il Galactus morto ed alla deriva nello spazio ( Dio è morto cantava il Tale ) è stato ripreso da Ellis sia in Excalibur sia credo in Autorithy.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie delle info aggiuntive, Graziano, per un lettore abituale della Marvel e di altra robaccia simile RUINS oggidì deve avere ancora meno impatto. Ma per l'epoca della sua uscita, chissà.

      Elimina
  2. Non sono sicuro che anche allora abbia avuto tutto questo impatto. Ellis era considerato un enfant prodige ed un iconoclasta - Thor che pangratta colla Incantatrice Amora, Hellstrom che supera brlllantemente il lutto per la sposa Patsy Walker consolandosi con la bad girl Jane Cutter, Doom 2099 Che Guevara di metallo etc - e Ruins era probabilmente visto come un capriccio. Il fatto stesso che si siano avvicendati gli illustratori ne ha depotenziato la carica eversiva. Anche Druid non vendeva e così chiuse col botto al numero 4 con Hellstrom che pialla lo stregone. Senza contare l'avvicendamento di proprietà in Marvel che spinse a ridurre il voltaggio di Satana - la figlia del diavolo e sorella di Hellstrom sempre di Ellis e Leonardo Manco - che lo sceneggiatore decise di non pubblicare con il bollino del comics code. Pazienza.

    RispondiElimina