martedì 7 dicembre 2010

Il più grande disegnatore del mondo (precedentemente apparso su Fucine Mute 36)

Il più grande disegnatore del mondo

Tra il 1995 ed il 1996 la rubrica «Nuvolette» di Lanciostory, curata da Luca Raffaelli, offrì ai lettori una nuova occasione per conoscere più a fondo gli Autori intervistati. Introdusse cioè l’abitudine, affettuosamente dissacratoria, di mostrare alcuni dei loro disegni fatti in gioventù, per confrontarli con quelli della piena maturità professionale. La prova di un Eduardo Risso quattordicenne sembrava un invito per chiunque ad intraprendere l’attività di fumettista, mentre il disegno raymondiano del diciannovenne Juan Zanotto testimoniava che con impegno e costanza si possono raggiungere vette qualitative stratosferiche. Ma davanti a ciò che Ernesto Garcia Seijas sapeva fare già tra i 12 ed i 15 anni qualsiasi esordiente o aspirante disegnatore avrà sentito l’impulso di gettare alle ortiche le proprie aspirazioni e di dedicarsi ad altre attività. Garcia Seijas è un talento unico, il più grande disegnatore (non solo di fumetti) che abbia mai calcato il suolo terrestre. Eppure non gode, soprattutto agli occhi dei suoi fan, di quella popolarità mondiale che certamente merita (ma delle cause di questa mancanza diremo dopo).
Disegnare fumetti (o perlomeno, disegnarli bene) è un lavoraccio, probabilmente l’attività più impegnativa nell’ambito delle arti applicate. Conoscere dignitosamente anatomia, paesaggio, scenografia, chiaroscuro, costumi e quant’altro è fondamentale, ma la conoscenza è solo una base da cui partire per applicare tali nozioni. Non solo sarà la personalità specifica di un disegnatore a determinarne il successo (personalità di cui uno deve essere dotato per natura ma a cui vanno dedicati continui e costanti sforzi per svilupparla ed esprimerla al meglio) ma anche la sua elasticità nel cogliere da cinema, pittura ed altri ambiti le soluzioni formali più giuste per portare avanti il proprio lavoro. Non è un caso che disegnatori tanto diversi e tanto distanti geograficamente ricorrano all’immagine del “regista” per descrivere il proprio mestiere: nei fumetti l’estetica (la piacevolezza o ricercatezza del disegno) è importante, ma la funzionalità (la narratività o scorrevolezza della messa in sequenza) lo è molto di più.
Esiste inoltre l’aggravante radicale che coinvolge tutti gli ambiti mimetico-figurativi di stampo realistico e che, con buona pace di Diderot, potremmo chiamare “paradosso del disegnatore” (ma anche “del pittore”, “del regista” o “sull’attore” come appunto fece Diderot). La maggiore credibilità e quindi l’impressione di naturalezza sono inversamente proporzionali all’artificialità con cui l’autore riesce a suggerire tale naturalezza. Ovvero: il mondo reale non può venire imprigionato in uno schermo o in un foglio di carta; se chi ha usato questi mezzi ha invece dato l’impressione di esserci riuscito, allora si può star certi che il suo lavoro sarà stato infinitamente più complesso dell’illusorio senso di verosimiglianza che la sua opera esprime. Trovare il segno giusto tra tutti quelli che possono incidere un foglio di carta è un’ardua impresa e non è escluso che la ricerca del realismo porti il disegnatore a compiere una scelta stilistica istintiva e non mediata piuttosto che dettata dall’evidenza del mero dato fotografico. Ed è proprio qui che Ernesto Garcia Seijas manifesta la sua immensa grandezza. Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, trattandosi di disegno è logico e naturale partire da un’analisi del tratto. I segni con cui un fumettista deve rendere i contorni di un oggetto, l’oggetto stesso (capelli, fili d’erba, ecc.) e il texture degli elementi disegnati non possono essere improvvisati o “tirati via” meccanicamente. A meno che non ci si trovi nell’ambito del fumetto sperimentale, il tratto deve essere modulato a dovere, cioè sottolineare con il suo spessore e la sua definizione ciò che è più o meno  importante a livello narrativo. La base a matita da cui si parte per realizzare una tavola è fondamentale, ma una buona inchiostrazione lo è altrettanto (all’epoca della stesura di questo articolo in molti casi era solo il passaggio definitivo a china ad essere “letto” dal processo di stampa). Non a caso molti disegnatori preferiscono terminare la definizione dei soggetti ritratti al momento dell’inchiostrazione, senza perdere tempo a definirli col lapis, mentre altri (De La Fuente, Buzzelli, ecc.) inchiostrano direttamente la tavola senza alcun bisogno degli schizzi preliminari a matita. Garcia Seijas, fatta salva la sua conoscenza perfetta dell’anatomia (ci torneremo fra breve), è dotato di un equilibrio a tutta prova nel dosaggio della china e nel suo utilizzo contemporaneamente aneddotico ed espressivo. Il tratto di Garcia Seijas, cioè, “racconta” (dovere fondamentale di ogni fumettista) e “descrive” nello stesso tempo. I suoi colpi di pennino sono rigorosi nell’applicare i dettami dell’anatomia dei fumetti ma vengono impressi sulla carta con tale leggerezza e spontaneità da superare la perfezione accademica che sta alla loro base per dare origine a uno stile immediatamente comprensibile ed elegante.
Soprattutto in anni recenti, con una capacità di perfezionarsi assolutamente incredibile considerando la qualità già altissima da cui partiva, Garcia Seijas ha dato prova della sintesi magistrale che ha saputo raggiungere. Già in Kevin e Bruno Bianco si assiste al progressivo abbandono di retini e tratteggi troppo fitti in favore di una massiccia modulazione del tratto. Già Alberto Breccia e Josè Muñoz hanno dimostrato come si possa creare un’atmosfera o la personalità di un personaggio con un po’ di china in più o in meno ma pensare di poter trasportare lo stesso effetto in un fumetto realistico sarebbe ingenuo. Eppure, Garcia Seijas è capace di farlo. E questa sintesi non riguarda solamente le figure umane o gli oggetti di contorno, ma si manifesta anche negli elementi paesaggistici e negli sfondi: basta confrontare il cielo e il mare di Talhi Tyler con quelli di Eccitante solitudine, storia breve con Flopi protagonista, per rendersene conto. L’impiego canonico dei retini (ma d’altronde, a parte Alex Varenne e Lucho Olivera, chi sa rendere espressivi questi strumenti così anonimi e impersonali?) viene integrato inoltre da un meditato uso della biacca. Sotto il termine generale “biacca” vengono inseriti tutti quei medium coprenti che servono a correggere o a estrarre sfumature da una base nera: tempera, china, acrilico e la biacca vera e propria. Il sapiente lavoro di incisione con cui Garcia Seijas ottiene delle forme dal nero profondo o con cui sfuma con pochi tratti il texture preesistente aggiunge ancora più espressività ed eleganza al suo lavoro, indifferentemente che si tratti di calcare la mano sulla drammaticità di Pelle di lupo o sulle situazioni più demenziali di Bruno Bianco. Anche se del chiaroscuro ci occuperemo dopo, mette conto segnalare in questo ambito quanto l’uso della biacca sia parte fondamentale del suo tratto, incredibilmente statuario e, al contempo, “vivo”. Ma dall’alto del suo talento Garcia Seijas ha preferito concentrarsi sul “mestiere” e non sulla facile esibizione delle sue capacità e ha sempre preferito mettere coraggiosamente in secondo piano la sua vena più spettacolare e illustrativa in favore della leggibilità e della narrazione.
L’incredibile padronanza del tratto e delle sue applicazioni porta inevitabilmente a considerare un altro aspetto dei fumetti in cui Garcia Seijas eccelle: l’anatomia.
Disegnare correttamente un corpo può anche essere un’impresa automatica dopo anni e anni di allenamento passati a sviluppare uno stile accademico, ma inserire una figura umana in una tavola a fumetti senza far pesare la sua perfezione (o deformarla per amalgamarla meglio col resto) è assai più arduo che ricreare un modello stabilito o azzardare un disegno applicando le regole che si sono imparate. Una storia disegnata richiede un giusto equilibrio e, inevitabilmente, una buona leggibilità per cui la resa di ogni elemento della tavola non risalti a scapito degli altri: nemmeno l’anatomia si sottrae a questa regola aurea e per favorire la narrazione è preferibile, ancora una volta, prediligere un segno efficace a uno “bello”. Garcia Seijas riesce miracolosamente a coniugare le due cose ottenendo nel contempo anche ulteriori risultati. Le rarissime deroghe che si concede al rigore formale potrebbero infatti consentire al soggetto cui sono applicate una vita autonoma anche al di fuori della tavola in cui è inserito. Non si verifica cioè quel fenomeno per cui una delle stilizzate immagini di Möebius “crolla” se tolta al suo contesto o per cui Yor e gli altri cavernicoli di Zanotto risultano troppo esili e filiformi per essere credibili in un ambito diverso da quello della tavola che li contiene. In entrambi i casi si ha a che fare con l’alta aristocrazia del fumetto mondiale, che giustamente predilige il fluire della narrazione e la sua coerenza interna alla semplice dimostrazione di abilità; ma se prendiamo anche le espressioni più esagerate o i movimenti più concitati di Garcia Seijas, questi rimangono comunque fruibili senza che la loro efficacia realistica venga compromessa. È altresì vero che (probabilmente anche a causa del formato a striscia che è ormai il suo genere privilegiato) Garcia Seijas rimane assai rigoroso nel disegnare le sue anatomie.
Una dote particolare e pressochè unica (pochissimi altri disegnatori la condividono e forse solo quella del succitato Zanotto arriva alle vette di Garcia Seijas) è, inoltre, la capacità di rendere la fisionomia femminile. Persino un testo sacro come La tecnica del fumetto (a cura di Enrique Lipszyc, Editiemme, 1982, recentemente ristampato in versione cartonata) ammette delle libertà a questa particolare applicazione dell’anatomia o, meglio, si arrende all’evidenza che è difficilissima da mettere in pratica: «I personaggi femminili possono essere considerati come un problema speciale nell’ambito del fumetto. […] Sfogliando fumetti si potrà notare come in ogni storia le donne siano stilizzate in modo particolare, determinando un tipo caratteristico di bella ragazza che, in genere, individua un particolare disegnatore.» (pag. 133). Constatiamo così come le donne di Raymond, Giraud, Bilal, Vance, Eleuteri Serpieri, Manara, Breccia, Sommer, Corben, Liberatore, Salinas, Mandrafina e compagnia siano spesso nient’altro che lo stesso archetipo femminile riproposto con minime variazioni (quando ci sono) a seconda del contesto in cui agiscono. Non saremo così ingenui, ovviamente, da allargare il discorso ai fumetti comici o grotteschi: Andrea Pazienza, ad esempio, era anch’egli un ottimo interprete di fisionomie femminili, calate però in un contesto caricaturale che ne giustificava la sottolineatura o l’esasperazione di alcune caratteristiche somatiche specifiche.
Ma nell’ambito del fumetto realistico, Garcia Seijas è probabilmente l’unico a saper rendere distinguibile con pochi tratti una donna rispetto a un’altra. Tutte le sue protagoniste femminili (Helena, Arizona, Bonnie, Radzel, la strega Agatha, ecc.) sono perfettamente caratterizzate, con un’eleganza e una naturalezza che fanno di loro dei personaggi pienamente “vivi” e incredibilmente realistici, quasi fossero ispirate a modelli in carne e ossa. Partendo dal presupposto che questa pratica non ha, di per sé, nulla di vergognoso per chi la attua (pensiamo agli eroi bonelliani dai volti “cannibalizzati” agli attori famosi), è improbabile che Garcia Seijas faccia uso dei volti di amici o personaggi celebri come base per i suoi personaggi. Oltre al fatto che non esistono riscontri immediati tra una persona e il suo eventuale doppio di carta (forse in Agatha c’è un po’ di Cher, come nella dottoressa Caramella si potrebbe vagamente intravedere Nicole Kidman) c’è il fatto che talvolta è visibile lo sforzo del disegnatore per creare le fattezze ideali dei suoi protagonisti, e questo processo a volte palese indica quanto la conquista della fisionomia definitiva sia il culmine di un lavoro di progressiva “sbozzatura” e non la semplice riproposta di un modello dato. Nelle sue primissime apparizioni, Bruno Bianco aveva infatti una faccia leggermente diversa da quella che poi lo avrebbe caratterizzato definitivamente e lo stesso fenomeno è ancora più evidente per Helena. 
Una componente del tratto di Garcia Seijas che può essere messa in stretta relazione con il suo approccio all’anatomia è il panneggio delle vesti. Sembrerà anche paradossale associare un corpo disegnato a ciò che lo deve coprire, ma la continuità che Garcia Seijas sa profondere a questi due elementi è formidabile. Proprio come nel Solano Lopez più ispirato, l’inchiostrazione e la rifinitura riescono ad amalgamare alla perfezione ogni tratto che, privo di qualsiasi pesantezza, si fonde armoniosamente con tutto il resto. A dimostrazione che anatomia e panneggio delle vesti costituiscano alla fine due aspetti contigui di un medesimo metodo di concepire i fumetti vanno segnalate la sintesi formale che ha progredito di pari passo in questi due ambiti e la forte espressività che Garcia Seijas sa ricavare anche dai vestiti. Sulla sua capacità di seguire o sintetizzare la moda non è il caso di soffermarsi: è un discorso ozioso che potrebbe intraprendere solo chi ha voglia di sprecare tempo inutilmente: evidentemente ce l’aveva Antonio Faeti, che nel suo La bicicletta di Dracula, La Nuova Italia, 1985, dedica all’argomento delle pietose considerazioni per criticare Helena; da ricordare inoltre che il disegnatore di Joe Galaxy si chiama Massimo Mattioli e non Mauro, e che sotto la sigla «SGS» oltre a Sinchetto si nascondevano Sartoris e Guzzon, non gli inesistenti «Schettini» e «Guzman».
Passando ad un altro aspetto del talento di Garcia Seijas, è doveroso ricordare la sua padronanza del chiaroscuro. La sua interpretazione di sfondi e personaggi non passa solo attraverso un tratto vivo e comunicativo e un utilizzo più o meno generoso del tratteggio ma anche attraverso una serie di situazioni in cui sono delle pesanti masse di nero o un’illuminazione originale ed espressiva a dar corpo ai disegni. La scelta di ricorrere a un dosaggio del bianco e del nero che non sia prigioniero di una calligrafica ambizione alla mimesi realistica ma funga da ulteriore artificio espressivo è un altro di quegli accorgimenti che costituiscono la narratività di un fumetto, col vantaggio che i compromessi che inevitabilmente si accettano (l’illuminazione di un volto dal basso a simulare stupore o paura anche se la luce viene dall’alto o è diffusa) sono molto più tollerabili rispetto ad altri: cosa importa al lettore se un volto sotto la luna piena ha la stessa nitidezza che in pieno giorno?
I disegni devono “raccontare” al meglio delle loro possibilità, anche a costo di qualche piccolo sacrificio alla logica (che raramente un lettore terrà in considerazione se la tavola che ha sotto gli occhi “funziona” a dovere).
L’accostamento di due silhouette, il texture più o meno marcato di un corpo e altri elementi simili sono ancora una volta un campo che offre a Garcia Seijas l’occasione di mostrare la propria abilità, e portano naturalmente a parlare di un altro aspetto molto più importante nei fumetti di quanto si pensi: la composizione.
Come  sommariamente  ricordato  prima,  è  il  formato  della  striscia  quotidiana (nella gloriosa tradizione dei classici americani, per intenderci) quello che negli ultimi anni ha visto operare maggiormente Garcia Seijas, il quale comunque non si è mai dedicato a composizioni ardite o sperimentali. Il montaggio successivo per la pubblicazione in rivista non presenta praticamente alcuno svantaggio se non, forse, una certa sudditanza psicologica del disegnatore, che in effetti da Bruno Bianco in poi ha nettamente privilegiato una struttura di pagina identica a quella risultante dalla scomposizione delle strisce pur potendo disporre di una maggior libertà compositiva (una curiosità: gli ultimi episodi di Bruno Bianco non sono apparsi in Argentina ma furono confezionati appositamente per l’Eura). È quindi abbastanza vano cercare virtuosismi o soluzioni innovative in un contesto (una “daily strip” di 3/4 vignette o una tavola strutturata su 3 strisce uguali da 2 o 3 vignette) che di fatto scoraggia un approccio sperimentale. Considerati questi semplici fattori, sarà quindi opportuno cercare gli elementi di equilibrio della composizione all’interno delle singole vignette e non solo nel rapporto che intercorre tra di esse.
Mettere in primo piano un personaggio piuttosto che un altro, sintetizzare un paesaggio con pochi segni o dare più risalto a un particolare dello sfondo sono degli accorgimenti fondamentali per facilitare la lettura o, al contrario, per bloccarla sul dettaglio o la situazione che l’autore ritiene più importante. Con la dovuta cura nel dosaggio delle masse e delle sfumature è possibile addirittura ricostruire la durata temporale della scena in questione. Le scelte adottate da Garcia Seijas per far penetrare al meglio il lettore all’interno della storia sono, come abbiamo già visto essere prerogativa di questo disegnatore, raffinate e naturalissime al contempo. Da una parte, infatti, vi è il recupero di accorgimenti classici desunti dall’ambito della pittura e riadattati alla sintassi del fumetto e dall’altra ci sono alcune delle soluzioni narrative più “fumettistiche” del mondo. Alla prima categoria appartengono quei dettagli quasi invisibili come un’ombra leggermente staccata dall’oggetto che la proietta o un elemento dello sfondo le cui estremità spariscono prima del dovuto per far risaltare il soggetto in primo piano dietro cui è posto. Nel secondo gruppo rientrano particolari come le linee cinematiche (cioè i tratti che simulano movimento o spostamento) o la deformazione dei balloon a scopo espressivo. Entrambi questi aspetti della personalità di Garcia Seijas riescono a passare inosservati in maniera direttamente proporzionale alla sua abilità illusionistica: il lettore, cioè, non si ferma a riflettere sul fatto che nella realtà i raggi di sole non sono dei colpi di china o che tutto ha la stessa definizione ed è l’occhio umano a selezionare, ma si fa trasportare senza alcuna resistenza nei disegni di Garcia Seijas, più naturali e convincenti che mai anche quando rappresentano elementi antirealistici. I succitati raggi di sole, ad esempio, sono inseriti nell’architettura della vignetta in modo da sposarsi armoniosamente con gli altri elementi diventando all’occorrenza linee di fuga o un surrogato della tappezzeria.
Come “ciliegina sulla torta” che va ad arricchire l’iperbolica maestria di Garcia Seijas nel padroneggiare gli elementi costitutivi del fumetto descritti sopra, bisogna segnalare la sua abilità nell’illustrare l’anatomia animale. In effetti, disegnare in maniera corretta o perlomeno credibile un cavallo o un cane è spesso un cruccio anche per i professionisti più esperti. Non è un caso che alcune case editrici specializzate abbiano intrapreso la pubblicazione di tavole anatomiche per artisti dedicate proprio a singole specie animali. Ed è inoltre risaputo che talvolta anche i fumettisti più affermati ricorrono ad assistenti e colleghi per uscire dall’impasse che provocano questi particolari soggetti: pensiamo all’”equipo” di Angel Fernandez o a Lele Vianello che disegnava i cavalli per il maestro Pratt.
Ancora una volta, Garcia Seijas supera, e di misura, la quasi totalità dei suoi colleghi. Risulta infatti difficile (e, con tutta probabilità, è impossibile) trovare un altro disegnatore che sappia dare vita così bene ai più svariati animali. Ci saranno sicuramente degli specialisti che sanno riprodurre alla perfezione un dato schema anatomico (Roume e Jijè, ad esempio, eccellevano nel disegnare i cavalli) ma nessuno abbraccia uno spettro di competenze pari a quello di Garcia Seijas, il quale peraltro riesce a rendere espressivi persino cani e gatti. È incredibile, ma è proprio così: basta dare un’occhiata anche solo superficiale alle tavole di Specie in via d’estinzione per rendersi conto di questa stupefacente capacità. Ed il tutto, ancora una volta, all’insegna del miracoloso equilibrio tra iperrealismo ed espressività.
Giunti alla fine (o quasi) di questa disamina sulle doti di Garcia Seijas, qualcuno potrebbe obiettare che egli è sì l’immenso talento che abbiamo visto ma non si è mai dedicato come altri disegnatori allo sviluppo di una tecnica personale nell’ambito del colore. E invece anche in questo campo molti suoi colleghi avrebbero tanto da imparare. Sorvolando sulle poche prove disseminate nei fumetti (una la troviamo nel primo inserto  I supermasters di Lanciostory, alle pagine 113-124), saltano subito agli occhi le stupende copertine con cui dagli anni ’90 Garcia Seijas delizia i lettori di Lanciostory e Skorpio. L’estrema meticolosità nel conferire forma e profondità alle sue immagini non è una ricerca del “bello” fine a se stessa, ma è un ulteriore sistema con cui rendere “vive” delle situazioni o dei personaggi (tanto più che spesso una vena umoristica percorre quelle immagini). Per cui, se al momento mancano degli esempi concreti di ciò che Garcia Seijas saprebbe fare applicando il colore ai fumetti, ciò non è dovuto alla sua pigrizia o alle sue minori doti in merito, ma al semplice fatto che un’immagine a colori gli costa probabilmente un lunghissimo lavoro di cesello improponibile in una storia disegnata a causa della sua ricercatezza e del conseguente spreco di tempo per realizzarla.
Non va dimenticato, nell’ambito del colore, un altro particolare: in alcune illustrazioni è evidente l’uso del computer. Magari soltanto per un dettaglio piccolo ma determinante (come l’alone abbacinante del sole su una palude), ma è evidente con quanta sapiente maestria sappia usare anche questo strumento. Tanto da farci sperare che, in realtà, sia un suo collaboratore a ritoccare i suoi disegni, altrimenti tanto varrebbe che la maggioranza dei suoi colleghi gettasse il pennello alle ortiche visto che non potrà mai eguagliare il formidabile estro di Garcia Seijas.
Fin qui l’Artista. Ma c’è anche un Uomo che vale la pena di ricordare, se non altro per segnalare una curiosità. Oltre ad essere meticoloso oltre ogni dire, pare che Garcia Seijas sia un perfezionista tale da non rendersi conto della qualità del proprio lavoro. Insomma, Garcia Seijas è convinto di non essere tanto bravo a disegnare. Sorvolando sull’impietoso soprannome che gli ha dato Robin Wood, l’aneddotica non manca: una leggenda (ma altre si possono recuperare sulle pagine della posta di Lanciostory e Skorpio di qualche anno fa) vuole ad esempio che la striscia giornaliera per El negro blanco (cioè Bruno Bianco) gli venisse strappata a forza da un garzone del quotidiano El clarin a sera inoltrata, visto che lui aveva passato tutto il giorno a fare prove su prove gettando ripetutamente nel cestino le strisce che non lo soddisfacevano, e che potrebbero benissimo fare bella mostra in un museo!
Se esiste anche una minima parte di verità in queste storie (e sicuramente c’è), allora si può ben dire che Garcia Seijas dovrebbe assurgere ad esempio a molti suoi colleghi anche per umiltà.
Considerate e dimostrate tutte le immense qualità di Garcia Seijas (e speriamo che il profluvio di superlativi venga inteso per quello che è: riconoscimento di un talento unico nella storia, unito ad una forte passione personale, e non facile ironia) rimane il dubbio sul perché il suo lavoro non goda a livello internazionale di quella ammirazione che invece viene spesso riservata ad altri autori meno dotati e volenterosi.
Abbiamo già risposto tra le righe presentando l’Autore ma sarà il caso di approfondire il discorso per spiegarci meglio. A causa del “paradosso del disegnatore” si può creare una certa distanza tra chi osserva un’opera realistica e l’opera stessa. Cioè il livello di mimesi con la realtà può toccare vette tali da indurre il fruitore ad interpretare il disegno come una riproduzione meccanica della realtà e non come l’estenuante lavoro di ricerca, perfezionamento e sgrezzatura delle forme che invece è. Se non ci fermiamo estasiati ad ammirare la resa del cocker Zac di Specie in via d’estinzione è perché l’abilità illusionistica di Garcia Seijas è tale da indurci a pensare che comunque i cani “sono fatti così” e il disegnatore non aggiunge nulla di nuovo o personale a questa semplice constatazione. Ed è questa inconscia freddezza che fa scordare  quanta fatica sia costata la rappresentazione perfetta con segni e tratteggi di ciò che in natura è fatto di luce, ombra e non ha nemmeno dei contorni definiti. Per questo l’impatto immediato di chi pratica l’esagerazione o la deformazione è (ingiustamente) maggiore rispetto a quello degli iperrealisti.
Più determinante per la sua assenza dai mercati statunitense e francobelga (ribalte che di solito sanciscono qualità e successo di un prodotto) è la questione relativa alle sceneggiature che ha illustrato. Quelle, almeno, realizzate prima del suo passaggio in casa Bonelli.
Ed è sorprendentemente facile dividerle in due grossi filoni. Da una parte ci sono le storie che presentano personaggi e situazioni piuttosto scontati e desueti, quasi da letteratura “per ragazzi”: rientrano in questa categoria non solo i “classici” L’uomo di Richmond, Reno Reagan, Skorpio, Talhi Tyler, Gli avventurieri e Josh Logan ma anche i recenti Le streghe, Bambi e Lenny, Radzel ed Eredità di sabbia. Sarebbe ingenuo auspicare il recupero di questi fumetti in mercati più moderni e comunque già saturi di prodotti vecchi e nuovi che ne condividono lo spirito ingenuo e scanzonato.
Dall’altra parte ci sono, al contrario, lavori estremamente sofisticati ed originali, che nulla concedono ai luoghi comuni o al facile seguito della moda del momento (e forse pagano la loro coraggiosa autarchia con l’isolamento): Helena, Mandy Riley, Bruno Bianco (col relativo Teatro), Flopi di giorno e anche il recentissimo Specie in via d’estinzione.
Due rari casi che non possiamo inserire in nessuna delle categorie suesposte sono il poliziesco Pelle di lupo (scritto da Trillo) e l’avventuroso Kevin (scritto da Wood) ma questa seconda serie presenta un difetto tipico dei lavori di Garcia Seijas, di cui anche stavolta egli ha poca o nessuna colpa. Praticamente tutte le sue serie lunghe (fa eccezione il solo Bruno Bianco) sono state continuate e concluse da altri disegnatori, a causa di problemi economici con le edizioni Record o, nel caso dei fumetti realizzati per Columba, per il folgorante amore verso Bruno Bianco, personaggio a cui Garcia Seijas ha dedicato tutte le sue energie dagli ultimi anni ’80 fino ad oltre metà dei ’90.
E così, mentre Altuna, Mandrafina, Gimenez, Solano Lopez e molti altri suoi connazionali godono di edizioni lussuose in Europa e Stati Uniti e le loro opere (non solo perchè più spinte) hanno destato l’interesse in Italia di altri editori oltre l’Eura, Garcia Seijas sembra legato ad un ambito fisso e non mutevole, quasi sorpassato rispetto al panorama contemporaneo. Un artista, insomma, che non è stato ancora capito ed apprezzato come merita.
Ma si sa, spesso ai geni succede così.

Una curiosità a mo’ di post scriptum

Helena, in assoluto una delle serie più famose ed amate di Garcia Seijas, è arrivata in Italia in incognito prima di essere pubblicata da Lanciostory. Capitava infatti che le testate Universo post-Intrepido ricorressero a degli scalzacani assoluti per riempire con qualche fumetto le pagine tra un’intervista ed i giochi enigmistici. Non erano proprio tutti degli incapaci, e talvolta riviste come ALBO Varietà Motori riuscivano a strappare un Martinez o un Garcia Duran all’Eura, ma uno di questi “forzati del disegno”, tal Veron, si rese protagonista di un episodio senza pari (o quasi: un caso analogo riguardò negli anni ’70 Arturo Del Castillo).
Per il suo fumetto New York Hospital copiò tutti i primi piani e le anatomie dei personaggi femminili dai primi episodi di Helena! Riportiamo di seguito alcune delle sue interpretazioni più “barocche” dei disegni   di   Garcia   Seijas   lasciando   ai   lettori   il   piacere  di  andare  a trovare gli originali spulciandosi I giganti dell’avventura o l’inserto (la storia è tratta da Bliz n°10 del 1981, Helena approdò su Lanciostory  solamente  l’anno  successivo).
Per quanto poco nobile, è pur sempre un attestato di stima e una dimostrazione della popolarità e dell’importanza raggiunte in Argentina da Garcia Seijas già trent’anni fa.

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