Eh, già, capita pure questo...
martedì 31 marzo 2015
domenica 29 marzo 2015
Sangue Reale 3: Lupi e Re
Totalmente inaspettato (io ricordavo che la saga si era conclusa col
secondo volume) è arrivato il terzo episodio di Sangue Reale.
Re Alvar e re Honim, consigliati dai rispettivi alti sacerdoti, arrivano a
un accordo e rinunciano finalmente a darsi battaglia per un’inutile rocca di
cristallo: il figlio di Alvar si congiungerà con la figlia di Honim al
compimento dei loro vent’anni e daranno ai due sovrani un erede che governerà
su un unico reame pacificato frutto dell’unione dei due regni.
Più facile a dirsi che a farsi: Vaal, figlio di Alvar, è uno storpio
deforme a cui interessano solo i suoi canarini mentre Mara, figlia di Honim, è
un’impetuosa amazzone che si concederà solo all’uomo che riuscirà a batterla in
duello – cioé con ogni probabilità nessuno dato che nel corso degli anni ha
mandato all’altro mondo i migliori guerrieri del padre così, tanto per
allenarsi.
Nel mentre il bambino-lupo Aram subisce una mutazione indotta dalla madre
adottiva che lo trasforma in licantropo. Quando l’impossibilità di procreare di
Vaal viene rivelata (fattosi monaco, ha sacrificato i testicoli al dio Kosmath
per fare dispetto al padre) Aram, che apparentemente può vantare sangue reale,
entra in gioco e sposa Mara.
Le cose sono comunque molto più complicate di come le ho riassunte visto
che intorno ai personaggi principali ruota tutta una serie di comprimari che
ordiscono intrighi, fanno e disfano complotti e tessono le loro trame ignari
che il tradimento può colpire pure loro.
Gli ingredienti che uno si aspetta da Jodorowsky ci sono tutti: personaggi
tagliati con l’accetta accanto ad altri pervasi di misticismo, deformità e
turpitudini varie, esoterismo ed elementi fantastici non banali, un certo gusto
sopra le righe che (voluto o no) finisce per strappare qualche sorriso.
Ai disegni Dongzi Liu esegue un lavoro apparentemente spettacolare (ha
avuto il suo peso nel farmi decidere di comprare il volume) ma che, una volta
osservato meglio e con la calma richiesta dalla lettura, rivela le sue
eccessive somiglianze con tante altre immagini generate digitalmente, che lo
rendono quasi anonimo. E alla fine i colori freddi, le texture artefatte, gli
sfondi abbozzati (non tutti, ma alcuni lo sono), alcuni particolare innaturalmente
diafani e il netto stacco che si percepisce tra le matite sottostanti e le
elaborazioni successive finiscono per dare al tutto un gusto un po’
stucchevole. Non è esattamente il mio genere.
In definitiva questo Re Lear in
salsa fantasy non sarà forse una lettura irrinunciabile ma mi è sembrato un
prodotto più che buono. Tanto più che la Panini offre il volume extralarge di
56 pagine all’amichevole prezzo di 13 euro.
giovedì 26 marzo 2015
Cosmo Color 19 - Colorado 2: Chaparro
Secondo dei cinque volumi che di logica comporranno la serie Colorado. Stavolta sotto i riflettori
c’è il messicano della compagnia, Chaparro, e la struttura di questo volume si
conferma quella del primo, con una quindicina di tavole che portano avanti la
trama portante e le rimanenti dedicate alle origini del personaggio eponimo.
A volere stare al gioco questo fumetto è abbastanza divertente e ha dei
vaghi margini di originalità pur risultando un po’ forzato nei momenti in cui
vorrebbe essere più leggero e pur riprendendo massicciamente gli stereotipi
stravisti del genere (e ci mancherebbe altro: è un western). Il problema di Chaparro è la parte grafica. Delle
velleità artistiche di Georges Ramaïoli che avevo riscontrato nel primo episodio
non rimane traccia, anche se occasionalmente (ad esempio la tavola 6, ma è una
goccia nel mare) si coglie un maggiore impegno. Inoltre i pesanti colori
digitali di tal Faro rendono un po’ difficoltosa la lettura, il che potrebbe
anche non essere un male in sé visto che così alcune magagne di Ramaïoli
vengono dissimulate, ma alla fine anche la resa di stampa ne risente con questo
tipo di colorazione per cui ormai le pellicole non sono più necessarie.
Considerando gli ulteriori abissi che Colorado
dovrebbe toccare (vedi il link nel commento di Luigi)
sono veramente indeciso se continuare. Si naviga a vista. Per me questo secondo
volume si segnala principalmente per l’annuncio delle «storie perdute» di Comanche in quarta di copertina (cosa
saranno? Le storie brevi?) e per questo, forse non simpaticissimo, inside joke:
martedì 24 marzo 2015
Zenith Fase Uno
Con una campagna pubblicitaria piuttosto decisa e un escamotage promozionale inedito e un tantinello ricattatorio ha
cominciato a comparire la ristampa dell’opera seminale che diede visibilità a
Grant Morrison e ne lanciò la carriera.
Proprio a causa dell’escamotage
di cui sopra (l’abbonamento a tutti e quattro i volumi a scatola chiusa per
usufruire di uno sconto del 15%), che mi ha fatto subodorare la fregatura,
nutrivo qualche dubbio su questo “capolavoro perduto” dell’autore di Invisibles ma invece Zenith si è rivelato un felice acquisto.
Nell’Inghilterra del 1987 esiste un unico supereroe ancora dotato di
poteri, almeno ufficialmente: l’edonista e menefreghista rock star Zenith,
tutto preso dalla sua carriera e dai piacevoli annessi & connessi e totalmente
disinteressato agli scontri contro i cattivi. Anche perché di supercriminali
non c’è traccia così come gli stessi supereroi sono spariti dalla scena,
privati dei loro poteri, nei primi anni ’70. Tutto questo fino appunto al
fatidico 1987, anno in cui il redivivo, o meglio mai sopito, culto del Sole Nero
evoca nuovamente un Grande Antico (sì, proprio uno di quelli di Lovecraft) a
cui affittare il corpo preservato del gemello del precedente Masterman,
superumano nazista che durante la Seconda Guerra Mondiale avrebbe potuto
uccidere il supereroe britannico Maximan se in questa realtà alternativa gli
Americani non avessero sganciato la bomba atomica su Berlino.
L’ingresso nello scacchiere di questo nuovo Masterman è l’avanguardia di
una invasione dagli “esseri dai molti angoli” che già tentarono di conquistare
le Terra: l’ex supereroina Ruby Fox se ne accorge nella maniera più violenta e,
riacquistati inspiegabilmente i suoi poteri (tutti i supereroi di questo
universo sono frutto di manipolazione genetica o hanno ereditato i poteri dai
genitori come il protagonista), cerca di coinvolgere il riluttante Zenith in
una crociata contro il pericolo imminente. Purtroppo come alleato possono
contare solo su Red Dragon, supereroe gallese potenzialmente assai tosto che
però l’alcolismo ha reso quasi del tutto inservibile. L’unico altro
ex-supereroe di cui si ha traccia è Peter Saint John, che da hippy è diventato
un rappresentante del governo conservatore!
Per coinvolgere il nichilista e un po’ codardo Zenith nella mischia Ruby
Fox promette di rivelargli il segreto della morte dei sui suoi genitori, mentre
nell’attesa dello scontro finale si comincia a intravedere un po’ dell’affresco
complessivo e delle macchinazioni che riguardano questi supereroi, probabilmente
materiale che sarà sviscerato nei prossimi volumi.
Zenith comparve in origine sulla rivista
settimanale 2000 AD dove ogni
episodio venne pubblicato nell’esiguo spazio di 5 o 6 pagine. La conseguente
compressione della trama e le scadenze frenetiche fanno un gran bene allo sviluppo
dell’intreccio e al ritmo della storia. Morrison doveva inventarsi ogni
settimana qualcosa che facesse progredire la vicenda, ma doveva anche
introdurre qualche elemento nuovo e gli episodi dovevano oltretutto essere
anche godibili a sé stanti, pur con i legittimi cliffhanger. Si avverte chiaramente un minimo di rallentamento
quando le prime vignette di un episodio devono ricapitolare quanto avvenuto in
precedenza, ma nel complesso questa struttura a episodi/capitoli funziona
benissimo anche nel formato della raccolta e la lettura procede spedita e appassionante
fino alla fine.
Stilisticamente ammetto di essere stato colpito dalla maturità che Morrison
dimostrava già quasi trent’anni or sono. Le battute non sono affatto
stereotipate, e nella loro mancanza di scontatezza non si percepisce affatto il
tentativo di sembrare cool a tutti i
costi ma anzi una naturalezza invidiabile. Niente male nemmeno le citazioni
sparse per il fumetto, così come ho apprezzato l’ironia che affiora qua e là e
le trovate spiazzanti che Morrison ha saputo inventarsi (dai, l’hippy che
diventa tory è spettacolare!). Della
sbandierata critica alla società inglese dell’epoca, comunque, non ho
riscontrato che tracce blandissime.
Il disegnatore Steve Yeowell, miracolato dalla rinuncia di Brendan McCarthy,
è nettamente la parte più debole del fumetto. Anche se è sin troppo facile
criticarlo visto che all’epoca fumettisticamente parlando l’Inghilterra stava appena
uscendo dal Medioevo (sempre ammesso che ne sia mai uscita), è innegabile che
le sue figure siano scarne e legnose così come le sue anatomie risultano spesso
strampalate. Un braccio troppo lungo o una mascella sbilenca possono capitare a
tutti, ma a Yeowell capitano con eccessiva frequenza. Peccato che i disegni non
siano allo stesso livello dei testi, ma almeno i mostri sono resi con efficacia
– e comunque da quello che ho potuto vedere mi pare che in seguito Yeowell non abbia
fatto di meglio, anzi.
Ad arricchire questa edizione della Panini ci sono alcune appendici contenenti
due episodi successivi alla saga portante, in cui vengono narrate le origini
dei supereroi, e un apparato iconografico con copertine e sketch. Il formato
scelto mi lascia perplesso: sarà anche un buon fumetto, almeno in questa sua
prima apparizione, ma non mi pare che Zenith
meriti i fasti di questa edizione cartonata ed extralarge in cui oltretutto i
difetti di Yeowell si notano ancora di più. Forse un unico volumone integrale
con carta uso mano e in formato comic book sarebbe stato meglio anche a livello
economico, visto che il prezzo finale non mi sembra proprio giustificatissimo –
sarà una cosa da intenditori ma è pur sempre l’asso pigliatutto Grant Morrison.
Tanto più che non manca qualche perla come questa:
Le copertine della versione statunitense, poi, sono le stesse riportate sui
due lati della stessa pagina!
domenica 22 marzo 2015
Michel Vaillant Nuova Stagione 3: Relazione pericolosa
Continua il nuovo ciclo della nouvelle
saison di Michel Vaillant e, dannazione, non finisce. In Relazione pericolosa si scioglie qualche
nodo (gli scenari catastrofici anticipati dal cliffhangerone dell’episodio
precedente si rivelano molto meno devastanti del previsto) ma di carne al fuoco
ce n’è ancora tanta e ne viene aggiunta altra appositamente per aprire ulreriori
nuovi scenari che saranno sviluppati nei prossimi volumi. Si tratta insomma di
un episodio di transizione, anche se succedono un sacco di cose, c’è qualche
rivelazione inaspettata e si scoprono delle situazioni interessanti.
Per il futuro lancio di una nuova serie di vetture il clan Vaillant,
costretto a creare una nuova società insieme a un altro gruppo investitore,
decide di mettersi in mostra al Rallye du Valais. Per suscitare ulteriore
interesse a livello mediatico il navigatore affidato a Michel è l’affascinante
giornalista Carole Ouessant, che già aveva fatto scattare sull’attenti Françoise
nell’episodio precedente.
Nonostante la relazione tra Michel e Carole sia l’oggetto principale di
questo volume (e, tra l’altro, venga risolta in maniera non banale e
credibile), succedono comunque tantissime altre cose e Relazione pericolosa offre una densità di contenuti degna del
miglior fumetto franco-belga. La voglia di leggere il seguito è tantissima, ma
non credo che sarà possibile soddisfarla prima di un annetto.
I disegni sono stupendi e dettagliatissimi quando si tratta di autovetture
(la parte affidata a Benéteau) e perfettamente funzionali quando invece sono di
scena le figure umane (competenza di Bourgne). Nonostante non siano
esteticamente entusiasmanti, e a volte possano apparire anche un po’ scarne
(per quanto eleganti), le immagini di Bourgne riescono a raccontare in maniera
splendida le scene affidate e con pochissimi tratti il disegnatore riesce a
materializzare i pensieri e i sentimenti dei personaggi. Evidentemente Bourgne
non ama molto disegnare le fronde degli alberi, ma non ci si fa quasi caso.
Da notare, a livello di storytelling, la particolare scena di pagina 50 e
soprattutto la seconda e terza tavola del volume, ambientate quasi in
soggettiva nell’abitacolo di un’auto, in cui con una rigida serie di
inquadrature praticamente fisse il disegnatore è riuscito comunque a rendere
l’idea del movimento e soprattutto a creare un’inaspettata suspense quando finalmente il dettaglio delle mani nell’ultima
vignetta rivela l’identità del navigatore.
Unico difetto del volume, forse attribuibile alla carta non patinata: i
colori di Christian Lerolle sono piuttosto freddi.
venerdì 20 marzo 2015
Panini Comics Presenta 44 - America's got Powers 1
Temevo il peggio. Lo spunto di partenza di questo fumetto, un reality show per supereroi, oltre a
essere banale (prima cosa che mi è venuta in mente: i Thunderbolts di Ellis e Deodato Jr.) mi sembra una sonora
minchiata. Preso quindi solo per i disegni del redivivo Bryan Hitch, l’ho
trovato meglio del previsto.
America’s got Powers è in ogni caso una rimasticatura di idee
e concetti preesistenti e già sfruttati altrove ma è stata comunque una lettura
non sgradevole.
«Diciassette anni fa», come scritto nell’incipit, a San Francisco è caduta
una misteriosa pietra che ha fornito di superpoteri i nascituri (vedi Rising Stars di Straczinsky) che nel
corso degli anni sono stati inseriti in un progetto di studio per saggiarne i
poteri (vedi Supreme Power sempre di Straczinsky)
che si è concretizzato nel reality show
del titolo (vedi New Warriors pre-Civil War), in cui devono affrontarsi e
superare prove molto violente rimettendoci non di rado le penne (vedi una
caterva di film d’azione anni ’80) mentre vengono valutati da supereroi più
interessati al merchandising che alle gesta eroiche, forse eroi solo di
facciata (vedi X-Force di Milligan)
allo scopo di entrare a far parte dell’unica squadra ufficiale di supereroi
americana (vedi The Boys di Ennis). Ovviamente
c’è sotto qualcos’altro e sicuramente i militari ci hanno messo lo zampino
(vedi Ultimates di Millar). Il
giovane Tommy Watts, nonostante sia stato irradiato dalla pietra pure lui, non
ha nessun potere e conduce una vita abbastanza grama nel ricordo del fratello
che invece morì misteriosamente proprio quando stava per vincere una edizione
del programma: ma sarà proprio lui a salvare la situazione rivelando (oddio,
per adesso facendo intuire) la sua vera natura quando il gioco andrà fuori
controllo e metterà a rischio anche la vita degli spettatori (vedi Cenerentola
e in generale tutte le fiabe).
Nonostante la pesante impressione di déja
vu e alcuni elementi forse troppo legati alla cultura statunitense come la
spettacolarizzazione ossessiva degli eventi, America’s got Powers è una lettura scorrevole e abbastanza
piacevole.
Ai disegni Bryan Hitch fa un lavoro spettacolare, non lesinando sui
dettagli e sulla ricerca delle inquadrature e delle pose più originali.
Ovviamente con uno stile così realistico e meticoloso come il suo gli
occasionali e fisiologici cedimenti risaltano di più che nelle tavole di
colleghi meno bravi (cioè praticamente tutti gli altri) ma sono un prezzo molto
basso da pagare per godersi queste tavole.
Peccato che il formato brossurato, sicuramente più elegante di un semplice
spillato, renda difficile (o deleterio per la conservazione del fumetto)
godersi le molte tavole doppie.
Nonostante le previsioni si continua.
giovedì 19 marzo 2015
O tempora, o mores
Nel corso degli ultimi giorni ho scherzato (credevo di stare scherzando) con alcuni colleghi e ho detto loro che a breve dovrebbero pubblicare pure Watchmen, Blake & Mortimer e i fumetti di Andrea Pazienza in formato bonelliano.
In risposta ho avuto qualche domanda su chi fossero gli editori e perplessità sulla resa di Jacobs in quel formato, ma nessun dubbio sulla veridicità della cosa.
A questo, siamo arrivati.
martedì 17 marzo 2015
Marvel Mega 91 - All-New Ultimates 1: Potere per potere
Questa recensione vale per tutte le considerazioni sull’Universo Ultimate
che ho sempre pensato di condividere ma che alla fine non sono mai riuscito a
concretizzare.
Mi pare di capire che questo All-New Ultimates
sancisca il collasso dei personaggi satellitari (ovvero non Spider-Man) dell’UU in un’unica testata,
a testimonianza del fatto che ormai la pluralità di ongoing e miniserie non sia più sostenibile da questa divisione
editoriale della Marvel. Nonostante in terza di copertina occhieggi l’annuncio di
una nuova versione degli Ultimate
Fantastic Four (o Future Foundation) la fine di questo
universo e la sua prossima confluenza in quello canonico di Terra-616 sembra
ormai assodata da quanto leggo su internet.
Francamente non capisco cosa non abbia funzionato nel percorso delle varie
testate, almeno negli Stati Uniti. In Italia il ritmo sincopato (un fascicolo
con due episodi adrenalinici, pausa di due mesi, altri due episodi di cui si
vuole leggere subito il seguito, poi altri due mesi di attesa…) potrebbe avere
determinato la disaffezione di alcuni lettori – se effettivamente c’è stata –
ma negli States anche dopo l’ennesimo cataclisma che rimescolava le carte hanno
comunque avuto la possibilità di leggersi con continuità ogni mese delle storie
a mio avviso buone.
Passando ad All-New Ultimates, si
tratta di una storia frizzante e abbastanza originale, in cui Spider-Man, Cloak
& Dagger, la rediviva Kitty Pryde, Spider-Woman/Vedova Nera e la
sconosciuta Bombshell (mi ricordo un duo di personaggi con questo nome sulle
pagine di Ultimate Spider-Man, ma
quelle erano madre e figlia bambina, questa è un’adolescente) formano un gruppo
per far fronte all’inasprirsi della delinquenza giovanile capitanata dalla
nuova gang dei Teschi-Serpente risultata dalla fusione della banda dei Teschi
con quella dei Serpenti.
Per essere un fumetto di supereroi la storia è piuttosto matura: Bombshell
ha addirittura una relazione con uno spacciatore di droga! Nonostante il
canovaccio classico lo sviluppo della vicenda non è affatto banale e sfoggia
oltretutto una densità di scrittura piuttosto rara nel genere, con qualche
trovata interessante. Ci sono i cliffhanger
alla fine di ogni capitolo, ci mancherebbe altro, ma Michel Fiffe introduce
abbastanza situazioni, dialoghi e personaggi da garantire un tempo di lettura
più che dignitoso. Non che sia stato a spulciarmi pagina per pagina, ma credo
che ci siano almeno sei vignette in ogni tavola che non sia splash page.
Ai disegni Amilcar Pinna ha svolto un lavoro meticoloso, riempiendo le sue vignette
di dettagli e particolari pur non rinunciando mai a una netta e gradevole
leggibilità – e le sue panoramiche sono veramente degne di questo nome. A onor
del vero non è che esteticamente si mantenga sempre allo stesso livello e pure
a lui scappa qualche scivolone assolutamente fisiologico (sono 20 tavole
dettagliatissime al mese, senza inchiostratore), come è anche vero che le sue
donne non sempre sono proprio delle bellezze, ma tutta la sua passione e il suo
talento si percepiscono nettamente, pur con una resa di stampa non perfetta.
Forse con questa recensione mi sono risposto da solo al quesito posto in
apertura. Tutto sommato questo All-New
Ultimates è solo un valido fumetto di supereroi, come oggigiorno ne
esistono tanti, e la carica rivoluzionaria delle prime uscite Ultimate si è inevitabilmente persa per
strada o meglio è stata assorbita e integrata dall’universo classico e non ha
più ragion d’essere quella che ormai è probabilmente diventata solo una copia
del nuovo (nuovo da dieci anni a questa parte) universo Marvel.
domenica 15 marzo 2015
Cosmo Color USA 12 - Le Armi del Meta-Barone 1 (?): Senza-Nome
Solo io l’ho trovato con una settimana di ritardo? Comunque:
Le Armi del Meta-Barone è il seguito de La Casta dei Meta-Baroni e immagino che il progetto originario
fosse quello di dare inizio a una nuova serie che però si è arenata qui. Il
fumetto è esattamente quello che mi aspettavo da Jodorowsky e Charest, anzi
addirittura meglio.
Sopravvissuto all’iniziazione rituale dei Meta-Baroni, Senza-Nome è
impegnato in una cerca per conto degli Intra-Dormienti che risiedono al centro
dell’onfale, il cuore del suo
universo a forma ottagonale, e che riescono a pacificare le menti degli
abitanti della galassia coi loro influssi onirici. Una razza di «vampiri
psichici dalla potenza formidabile», gli HulzGemelli, minaccia di «alterare le
leggi dell’universo», e per questo è necessario che Senza-Nome trovi 4 armi (ehm,
io però ne ho contate solo 3...) in grado di fermarli, da qui il titolo del
volume. Un’ennesima declinazione del viaggio iniziatico da parte dell’autore
dell’Incal, ulteriormente arricchita da elementi freudiani non banali, rimandi
esoterici e trovate originali: l’omnigraal, una delle armi che il Meta-Barone
deve recuperare, fa perdere la memoria e quindi chi lo possiede deve avere
qualcuno che gli ricordi chi è e cosa sta facendo.
I disegni di Travis Charest sono spettacolari e poco importa se si è
servito massicciamente del computer (e se lo dico io...). Il lavoro di cesello
è impressionante e anche se la narrazione dovesse latitare (e non dico che lo
fa ma si sa che davanti a disegni troppo belli c’è sempre qualche anima
semplice che li accusa di leziosità) c’è l’immane suggestione di vignette e
tavole doppie incredibilmente evocative.
Il passaggio del testimone a Zoran Janjetov avviene in maniera
inevitabilmente traumatica. Il collaboratore storico di Jodorowsky offre una
prova comunque dignitosa ma ben distante dalla esaltante grandeur di Charest. Ho riscontrato inoltre in Janjetov una
declinazione eccessivamente caricaturale di alcuni elementi: quando mai il
Meta-Barone ha avuto quelle sopracciglia?
Le Armi del Meta-Barone resta purtroppo una gemma isolata e da
antefatto della saga che avrebbe potuto generare (si intuisce che ognuno degli
otto angoli dell’universo avrebbe dovuto costituire materiale per altrettanti
volumi) è finito per diventare uno one shot
isolato. Potrebbe anche darsi che il volume sia il risultato del
rimaneggiamento e dell’integrazione di un altro progetto ancora, visto che alla
storia portante è stata aggiunta un’introduzione realizzata da Janjetov e che
il corpus delle tavole di Charest è stato letterato in maniera molto diversa
dal resto – o forse solo questa versione della Cosmo ha le nuvolette ellittiche
con un piccolo parallelepipedo nero in cima?
venerdì 13 marzo 2015
Outcast 1: Un'oscurità lo circonda
Kyle Barnes è una calamita per la sfiga: sopravvissuto a una terribile
infanzia violenta grazie al suo potere di praticare esorcismi, diventa un
reietto a causa di quello stesso potere che lo ha portato a compiere azioni
apparentemente riprovevoli – vallo a spiegare a tuo cognato poliziotto che non hai
picchiato tua moglie e tua figlia ma i demoni che le possedevano. Con estrema
riluttanza e minimizzando le sue stesse capacità paranormali, Kyle aiuta il
reverendo Anderson quando si presentano nuovi casi di possessione demoniaca,
che in questo universo narrativo non sembrano rari.
Kyle non si è comunque meritato l’appellativo di reietto («Outcast»,
appunto) a causa del suo comportamento antisociale ma perché così lo
definiscono alcune delle entità con cui è venuto in contatto.
Mentre cominciamo a conoscere i protagonisti della serie e l’ambientazione
in cui si muovono, un personaggio inquietante si fa vivo in chiesa e comincia a
gironzolare intorno al protagonista e ai suoi cari.
Outcast è una serie originale e molto ben scritta,
forse addirittura troppo ben scritta,
come se si trattasse solo della prova generale per una serie televisiva di cui
effettivamente riprende il ritmo, oltre a presentare alcune soluzioni narrative
che sembrano pensate proprio per la traduzione da un medium all’altro, come le
panoramiche seguite da dettagli chiarificatori. Ma forse sono stato influenzato
in questo parere dall’editoriale trionfalistico in cui si esalta il successo di
Kirkman, The Walking Dead,
trasformato in telefilm.
Il disegnatore Paul Azaceta è veramente molto bravo. Batte la stessa
bandiera espressionista di Michael Lark ma è molto più rigoroso, dettagliato ed
espressivo basandosi con ogni probabilità su una massiccia documentazione
fotografica. Come pegno per la pubblicazione in formato bonelliano, unico che
evidentemente può attirare un pubblico diverso dai soliti appassionati, la saldaPress ha pubblicato Outcast in
bianco e nero. Come spiegato negli editoriali posti in appendice non si è
trattato di una semplice riduzione in scala di grigi ma di un lavoro di cesello
fatto dallo stesso Azaceta per meglio guidare il lettore e far risaltare i
disegni. Sarà, ma in qualche occasione la mancanza del colore io l’ho
avvertita, ad esempio quando ci sono degli stacchi su una stessa immagine
riproposta in flashback. In ogni caso niente di drammatico, anche se il
pensiero va all’Aurea e alla Cosmo che effettivamente malgrado il formato
bonelliano pubblicano comunque dei fumetti a colori (Ristampa Dago e una delle serie colorate, vatti a ricordare quale).
Nonostante i notevoli punti di forza che ho segnalato sopra non so se
seguirò Outcast. Mi sembra che anche
qui Kirkman riveli gli stessi difetti che ho riscontrato in The Walking Dead e che mi hanno fatto
desistere dal proseguire (difetti che magari per qualcuno sono i suoi punti di
forza): molti dialoghi sembrano artefatti, poco naturali, e la storia sembra
dipanarsi con una lentezza eccessiva per i miei gusti.
Ma da qua a maggio chissà quante volte cambierò idea.
giovedì 12 marzo 2015
Blake & Mortimer 23: Il Bastone di Plutarco
In almeno un’occasione Aldo Busi ribattè a chi lo criticava che se lo si
accusa di scrivere col culo gli si fa in realtà un complimento, perché la gente
normale usa il culo solo per cagare e avere le emorroidi mentre lui sa
impiegarlo anche in altra maniera.
Ecco: a scanso di equivoci, se dico che Alessandro Editore distribuisce i
suoi volumi col culo non voglio assolutamente fargli un complimento. Dai, sul
serio, l’ultimo Blake & Mortimer
doveva essere la strenna natalizia e io l’ho trovato solo la settimana scorsa!
E quel benedetto Matteo 3 alla fine
ho dovuto cedere e comprarlo online visto che nelle fumetterie (in quelle che
frequento io, almeno) non c’è stato verso che arrivasse, ammesso che arrivasse,
prima del 2015 – e ufficialmente era disponibile dal 18 giugno scorso!
Sicuramente Alessandro avrà le sue ottime ragioni per lavorare in questa
maniera e privilegiare il suo store virtuale e solo pochi altri canali scelti,
ma è desolante vedere che praticamente l’unico editore che ormai pubblica BéDé
in Italia come dio comanda stia quasi battendo in ritirata, pur con prodotti
come Blueberry e autori come Juan
Gimenez in catalogo.
Fine della predica, veniamo a questo nuovo Blake & Mortimer.
La storia è ambientata quasi interamente nel 1944 in piena Seconda Guerra
Mondiale, il che ci permette di scoprire alcuni retroscena della carriera
militare di Francis Blake. Nel corso della prima ventina di pagine la trama,
nonostante una bellissima e avvincente sequenza di combattimento aereo,
approfondisce con grande scrupolo documentaristico il lavoro di
controspionaggio svolto dall’esercito britannico (non che io sia un esperto, ma
ho visto The Imitation Game che non è
tanto) e quando finalmente interviene l’elemento fantastico, o per meglio dire
quello fittizio immaginato da Pierre Jacobs, ho percepito uno stacco
nettissimo. Così come la citazione dell’Impero Giallo nello scacchiere delle
nazioni in guerra non può che far risaltare al lettore la distanza tra la
fantasia e la cruda realtà – tutto sommato Jacobs lavorava al primo episodio
della serie pochissimi anni dopo quelli in cui si svolge questa vicenda.
Il Bastone di Plutarco è appunto un vero e proprio prequel del
primo episodio della saga, Il Segreto
dell’Espadon, in cui vengono rivelati dettagli sull’ascesa al potere del
despota Basam-Damdu e approfonditi tutti i personaggi principali della saga:
molto dettagliato e interessante il background di Olrik, non ricordavo invece
che Mortimer fosse pure ingegnere oltre che fisico.
Il capitano Francis Blake viene invitato al centro ultrasegreto di
Scaw-Fell per lavorare insieme al ritrovato Mortimer (il loro incontro
giovanile era stato narrato nel numero 16) proprio al fatidico Espadon, ma nel
campo viene rilevata la presenza di qualche spia e i due vengono coinvolti in una
missione di controinformazione a Gibilterra. La storia è molto coinvolgente e
serrata e ovviamente con il tema spionistico entra in gioco l’elemento whodunnit, che coerentemente con il
resto della saga di Blake e Mortimer ha il difetto di risolversi con la
rivelazione che il colpevole è il principale sospettato.
Yves Sente ha saputo intrecciare una bella rete di riferimenti agli
elementi futuri della saga (molto simpatica la strizzatina d’occhio finale che
rimanda al primissimo volume) e si è inventato delle ottime trovate, prima fra
tutte quella dei radioindicatori per confondere il nemico. Non ha nemmeno
agevolato troppo i suoi protagonisti, perché se è pur vero che Blake e Mortimer
hanno avuto qualche botta di culo (il microfono della spia che guarda caso
funziona male proprio al momento giusto per essere individuato) si sono dovuti
comunque confrontare contro pericoli inaspettati come la contraerea amica poco
ricettiva. La storia è avvincente e nonostante l’ambientazione bellica il sense of wonder si mantiene
inaspettatamente a livelli alti.
André Juillard, qui coadiuvato da almeno un assistente, è formidabile. Come
avevo già intravisto
si sta lentamente affrancando dalla linea
chiara propriamente detta, che neppure lo stesso Jacobs seguì con costanza,
e adesso le pieghe degli abiti e i volti di alcuni personaggi si arricchiscono
di occasionali puntini e tratteggi. Stupende anche le sue ombre e le
espressioni dei personaggi. Il dinamismo di alcune scene, poi, è inarrivabile.
Scendendo nel dettaglio, le prime due vignette di pagina 37 mostrano la sua
maestria nel gestire lo spazio vuoto (e l’aspettativa che si crea) tra una
vignetta e l’altra, così come le ultime due di pagina 44 sono un fantastico
esempio di mise-en-abîme tra vignette
contigue.
L’edizione di Alessandro Editore non è del tutto scevra da errorini e
refusi, ma comunque sono bazzecole rispetto a quello che si legge in giro
oggigiorno.
Un bel volume che nella mia classifica personale si pone sia sopra al
recente L’Onda Septimus che a tutte le stesse prove precedenti di Sente e Juillard eccezion fatta per
il dittico de I Sarcofagi del Sesto
Continente in cui era preponderante l’aspetto fantascientifico che amo di
più. Valeva sicuramente la pena aspettarlo. Anche perché, una volta ordinato in
fumetteria, non è che ci siano alternative...
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martedì 10 marzo 2015
E finalmente...!
Non ho tenuto conto dei mesi trascorsi da quando l'ho ordinato ma se ben ricordo ho quasi litigato con la fumetteria perché mi sembrava impossibile che fosse passato tutto quel tempo senza che arrivasse e quindi evidentemente avevano sbagliato l'ordine o se l'erano venduto a qualcun altro...
Dopo l'exploit di S.O.S. Felicità chissà che a breve non esca pure anche C'era una volta in Francia.
domenica 8 marzo 2015
...
Adoro le collane come Marvel Universe, Marvel Mix, Marvel World, Marvel
Qualsiasialtraroba. Per una manciata di euro permettono di leggere un bel po'
di roba, almeno 4 comic book al colpo, occasionalmente su buona carta e
stampati bene.
Poco importa se poi nei fatti il fumetto in sé è poca roba, l'impressione
di aver fatto un affarone basta a farmi produrre endorfine. E' capitato con il
recente Marvel Mega 91 che raccoglie i primi sei episodi della nuova (ma credo
già conclusa negli Stati Uniti) serie All-New
Ultimates. Il fumetto in sé non è malaccio e mi ha anche offerto il destro per
questo post-pinailleur:
"...è statO feritO" |
qui non si vedono bene le tette ma fidatevi: Black Racer è una donna. |
...che sfoggia una cicatrice sul lato destro del volto. |
Cicatrice che è sul lato destro del volto anche nel suo riflesso! |
Fosse anche solo per vantarsi, è opportuno sottolineare che si è "agenti agenti" S.H.I.E.L.D. |
Stavolta seguirà
recensione.
sabato 7 marzo 2015
La Pro
Con la placida e compiaciuta flemma che contraddistingue le edizioni Magic
Press è arrivato in fumetteria anche La
Pro, ordinato talmente tanto tempo fa che ne avevo perso il ricordo.
La trama, o almeno l’ambientazione, è facilmente intuibile dal titolo o
almeno dalla copertina: una cameriera che arrotonda facendo il mestiere più
antico del mondo (la prostituta, non il fumettista) si ritrova con dei
superpoteri e affronta alcune minacce tipiche del genere con il suo piglio non
convenzionale insieme alla Lega dell’Onore, supergruppo riluttante ad avere
nelle proprie fila un personaggio così pittoresco e sboccato.
È disarmante vedere come uno spunto tutto sommato simpatico (ma le origini
della Pro sono quasi le stesse del Capitano di Nextwave) sia servito semplicemente per presentare un’altra
variazione sul tema dei supereroi, come se le figure archetipali qui rievocate
non fossero già state oggetto di innumerevoli citazioni. Sarà pure divertente e
azzeccata la parodia dell’Osservatore della Marvel ma francamente quando ho
visto l’ennesima reinterpretazione della Justice League (che palle!) mi son
cadute le braccia. Per quanto sia ricca la lingua inglese dovrà pur arrivare un
giorno in cui non si troveranno più sinonimi di Amazzone o Velocista o Paladino
e gli autori cominceranno a inventarsi qualcosa di nuovo senza riciclare i
cliché di 70 anni fa.
Va poi detto che alcune gag sono anche divertenti (rimanendo nel genere di
Garth Ennis: culi sfondati con oggetti di ogni tipo, schizzi di sperma mortali,
ecc.) ma il moralismo a buon mercato e i vaghissimi accenni di critica sociale
lasciano veramente basiti per la loro gratuità e inadeguadezza, manco Ennis
dovesse per forza timbrarci il cartellino. Trovo poi ipocrite le frecciatine
che lo sceneggiatore lancia ai suoi stessi lettori paganti appassionati di
supereroi, a cui se ho ben capito è dedicata la battuta finale. C’è poco da
fare lo spiritoso visto che alla fine questo The Pro non è altro che un ennesimo What If o Elseworld considerato
anche che come fumetto è poco più trasgressivo ed esplicito di un qualsiasi
altro comic book, e lontano migliaia di anni da quello che si vedeva in Italia
su Frigidaire negli anni ’80 e in
Francia su L’Echo des Savanes e Metal Hurlant negli anni ’70.
L’obbligata autocensura a cui è costretto La Pro ne vanifica ovviamente anche tutte le possibilità come
fumetto pornografico, pur se presenta qualche idea interessante – ma la dea
Kalì masturbatrice se l’erano già inventata gli autori di un episodio de La Poliziotta che si trova in rete.
Ai disegni Amanda Conner è un po’ discontinua. È chiaro che virando
massicciamente sul comico il suo stile non debba per forza badare troppo alle
proporzioni e alla correttezza anatomica, ma occasionalmente qualche immagine è
veramente troppo deforme. Credo che il suo inchiostratore (e marito, se non
ricordo male) Jimmy Palmiotti sia stato determinante nel salvare più di una
tavola dall’inedia grazie ai suoi neri pieni e alla modulazione sapiente del
tratto stante la quasi totale assenza di dettagli. Di sicuro si vede molto di
peggio sul mercato americano.
In ultima analisi, un volumetto consigliato ai soli appassionati di
supereroi.
giovedì 5 marzo 2015
Historica 29 - Le Torri di Bois-Maury 2: Oltre i Pirenei
Continua la saga de Le Torri di
Bois-Maury e con essa il periplo di Aymar. Penso che ci sia poco da dire
sulle trame a ancor meno sulla qualità del fumetto vista la mole di edizioni e
ristampe che ha meritatamente conosciuto in Italia.
A volo d’uccello: in Reinhardt Aymar
e Olivier si trovano coinvolti in una truce storia di successione dinastica
insieme a un cavaliere crociato, in Alda
si riannodano i fili coi primi volumi in un castello retto da un demente senile
raggirato da furfanti e in Sigurd è
di scena una originale storia di fantasmi norreni.
Questa edizione della Mondadori è per me irrinunciabile perché finalmente
sono riuscito a leggere i volumi in maniera organica e continuativa, altro che i
numeri sparsi de L’Eternauta recuperati
a distanza di anni l’uno dall’altro e la pessima versione su Skorpio che forse saltai del tutto visti
i tremendi risultati di stampa.
Così sono finalmente riuscito a cogliere alcune cose che mi erano del tutto
sfuggite dalle frammentarie letture precedenti: il tono sarcastico (rivolto in primis al protagonista) e la continuity molto precisa della serie.
Insomma, più che una rilettura per me questa versione Mondadori è come se fosse
la prima vera lettura.
Anche perché leggere i singoli volumi tutti d’un fiato mi ha permesso di
capire molto meglio le trame dei singoli episodi visto che Hermann, mannaggia a
lui, ama molto i sottintesi e i dialoghi sospesi o proprio troncati.
È anche vero che l’accostamento dei singoli episodi in un unico volumone
mette in evidenza le differenze a volte molto marcate nella colorazione.
Fraymond mi pare che qui non compaia, ma d’altra parte mi sembra che in questa
fase della serie non fosse ancora intervenuto Pahek. Non è da escludersi che lo
stesso Hermann si sia dedicato in prima persona ai colori, anche se le pesanti
pennellate a tempera di Reinhardt
sono ben lontane dagli spettacolari esiti che otterrà con gli acquerelli.
Comunque il volume è imperdibile ben oltre le ragioni che mi riguardano: le
storie sono avvincenti (per quanto Reinhardt
e Sigurd indugino troppo nel
sovrannaturale per i miei gusti), i personaggi originali e Hermann è un eccellente
narratore grafico, per quanto come disegnatore sia a volte veramente carente.
Un volume eccezionale in cui perdersi nelle suggestioni che ha saputo creare –
disegna le donne come mostri ma sa rendere le architetture e i panorami come
nessun altro.
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martedì 3 marzo 2015
Atroce sospetto/reprise
Dato il silenzio degli ultimi mesi/anni dubito che la Panini porterà a conclusione l'edizione degli integrali di Iznogoud. Però lo dicevo pure di Trigan Empire, e poi invece...
domenica 1 marzo 2015
...
Adoro le collane come Marvel Mega, Marvel Mix, Marvel World, Marvel
Qualsiasialtraroba. Per una manciata di euro permettono di leggere un bel po'
di roba, almeno 4 comic book al colpo, occasionalmente su buona carta e
stampati bene.
Poco importa se poi nei fatti il fumetto in sé è poca roba,
l'impressione di aver fatto un affarone basta a farmi produrre endorfine. E'
capitato con il recente Marvel Universe 30 che raccoglie la prima metà della
serie dedicata ai New Warriors in
versione “All-New”. Una storia pienamente incasellata nei canoni classici del
fumetto di supereroi con qualche raro sussulto qualitativo, oltretutto
disegnata in maniera discontinua (bravissimo il realistico Marcus To, quasi
inguardabile per i miei gusti il poco meno che deformed Nick Roche), ma che mi
ha offerto il destro per questo post-pinailleur:
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