Un antieroe che è un vampiro siculo è già originale di suo, renderlo primo
attore di una miniserie in cui è testimone (forse in futuro anche elemento
scatenante) di scomodi misfatti italiani è una cosa totalmente inedita. Salvo
forse scomodare qualche uscita della Ottaviano, ma non credo che l’abbiano mai
fatto nemmeno loro.
In questo primo episodio il vampiro stupra-Morte viene incaricato dal duce (a
cui lo lega un’evidente lunga frequentazione) di fare da “diavolo custode” alla
figlia Edda. La storia si snoda dal 1930, anno delle nozze di Edda con Galeazzo
Ciano, al 1944 con particolare attenzione al periodo trascorso dalla coppia a
Shanghai nel 1935, un momento critico in cui la diplomazia non riesce più a
contenere l’impeto dei giapponesi e in cui ormai il rapporto tra i due sposi è
compromesso. Edda è frustrata dal disinteresse e dai tradimenti del marito,
passa le sue notti nelle fumerie d’oppio e alla fine diventa l’amante di Pietro.
Ho apprezzato molto il mix di fantasia e rigore storico, la mia impressione
è che gli elementi fantastici siano stati calati con naturalezza ed eleganza in
un contesto ben ricostruito o perlomeno pienamente credibile, pur nel poco
spazio concesso dalle 128 pagine in formato pocket. Ho gradito ancor di più che
lo sceneggiatore Monteleone non abbia ceduto alla tentazione di compiacere il
suo nume tutelare inserendo forzature larger
than life: il protagonista ovviamente non si risparmia battutacce e
spacconate, ma sono poco invasive e perfettamente congruenti con la sua figura.
Anche le roboanti scene d’azione (la lotta contro i
giapponesi prima e contro il vampirizzato
Galeazzo Ciano poi) sono ben condotte senza esagerazioni o
sbrodolamenti, nonostante soprattutto l’ultima offrisse il destro a
esagerazioni pirotecniche che per fortuna non ci sono state.
Quello che invece mi ha fatto saltare la puntina durante l’ascolto
altrimenti piacevolissimo di un grande LP sono state le citazioni. Quella di
Andrea Pazienza mi è sembrata veramente fuori luogo, che sia stata volontaria o
meno, peggio ancora di «fuori dal blu. E dentro al nero».
Cose del genere portano a un distacco da quanto letto, creano un deuxième degré che mette in prospettiva
l’opera, come se gli autori fossero i primi a ritenere cazzate quello che
scrivono.
Ai disegni Des Dorides ha svolto un lavoro molto buono, a cui non sempre la
qualità di stampa ha reso giustizia. È riuscito a impreziosire disegni
altrimenti scarni con degli effetti molto efficaci, ma soprattutto è riuscito a
strappare dai volti delle espressioni fantastiche, soprattutto Edda (alla fine
vera protagonista del fumetto) ha “recitato” con incredibile maestria.
La paternità di questa miniserie viene attribuita a Roberto Recchioni e
Leomacs (e ci mancherebbe altro, visto che sono i creatori del personaggio),
che poi ne avrebbero demandato l’effettiva realizzazione ad altri autori, ma
non mi stupirebbe né ci troverei nulla di male se i nomi eccellenti, unici a
comparire in copertina, fossero stati impiegati come semplice e legittimo
viatico per suscitare interesse e garantire una base di vendita.
D’altra parte persino in Francia il seguito della serie Arlequin presentava bene in evidenza i nomi dei creatori Van Hamme
e Dany anche quando gli autori erano altri. E come in quel caso anche qui
l’apporto di Leomacs è limitato alle copertine – a tal proposito gli si perdona
facilmente la deriva vagamente caricaturale con cui ha reso la sagoma di
Mussolini visti i rimandi (che forse esistono solo nella mia fantasia) allo
stile di disegno dei fumetti degli anni ’30/’40.
Non mancano dei rarissimi errori nell’andare a capo, ma magari è una
citazione pure quella: dopotutto anche Magnus scriveva «boja» con la J e
«stassera» con due S.
Attendo con curiosità il prossimo episodio sperando che riesca a mantenersi
su questi livelli.