Avevo molte perplessità sulla possibilità
di adattare Kata Kumbas a un altro
sistema di gioco, anche se ero consapevole che l’unica possibilità di vedere
ancora qualcosa di quel mitico gioco di ruolo fosse mantenerne l’ambientazione
e non le regole, visto che lo scarso successo della riedizione de I Cavalieri del Tempio dimostra quanto «spesso
il collezionismo segue un percorso proprio» come dice Ciro Alessandro Sacco in Mondi Eroici 2009.
Per quanto fossero a volte mal
calibrate o ingenue (se non proprio assurde), le regole erano una parte
indispensabile del mondo di
Kata Kumbas,
intimamente legate al mondo di campagna: per differenziare le singole Stirpi,
per rappresentare la crescita fisica e spirituale dei personaggi, per
distinguere meglio i personaggi giocanti da quelli non giocanti, per creare
quel giusto senso di caos caciarone che l’ambientazione richiedeva. Inoltre ero
consapevole che un prodotto come lo scherzoso
Kata Kumbas sarebbe stato visto, per dirla alla Dwight MacDonald,
sempre come
lowbrow, mentre il suo
potenziale era quello di unire
lowbrow
ad
highbrow senza passare per il
midbrow (ma purtroppo senza riuscire a
diventare
masscult, a quanto pare).
Era molto probabile che una nuova versione di
Kata Kumbas si allineasse a quanto si legge dalle recensioni e dal
materiale che si trova su internet, ovvero a trattare l’ambientazione come un fantasy
grottesco senza minimamente considerare gli elementi iniziatici ed esoterici
presenti alla sua base. Effettivamente questa versione per
Savage Worlds ha confermato i miei timori, ma tutto considerato
poteva andare molto, molto peggio: diciamo anzi che, per me che avrei preso
pure un elenco del telefono purché recasse in copertina il titolo
Kata Kumbas, è andata decisamente molto
bene. E si coglie inoltre dal lavoro di Pignatelli (e degli autori delle
avventure) una reale passione per l’ambientazione.
A illustrare la totalità del
materiale uscito finora, più di 500 pagine di materiale specifico e due
avventure nell’Almanacco dei Mondi Selvaggi 2016, è stata la disegnatrice
Francesca Baerald: decisamente molto volenterosa (i fitti tratteggi e la scelta
delle inquadrature più originali dimostrano la sua dedizione) ma non ancora a
livello professionistico. Probabilmente è molto giovane, ma comunque già nel
libro delle avventure si nota un netto miglioramento. E non dobbiamo
dimenticare che di illustrazioni ne ha fatte parecchie, curando anche i fregi
che impreziosiscono le parti alte e basse delle pagine – con buona pace
dell’effettiva realizzazione grafica, questi sono dei veri gioiellini con cui la
Baerald ha saputo riassumere con efficacia i concetti espressi nei capitoli o
lo spirito delle avventure che vanno a decorare.
TRENT’ANNI DOPO
Umberto Pignatelli, con la
benedizione di Massimo Senzacqua (uno dei due autori originali, che
scrive una
commovente introduzione), ha scelto di inserire nell’ambientazione un elemento esterno all’universo
fantastico del gioco, creando un parallelo con la realtà: così come sono
passati circa trent’anni dall’uscita del manuale della E. Elle, seconda
edizione e quella più conosciuta dopo il primo azzardo per Bero Toys/Orion
Editrice, anche su Laìtia ci troviamo trent’anni dopo rispetto alla cronologia
raggiunta all’epoca, ovvero l’anno 1014.
Con una certa eleganza, il motivo
dello sbalzo cronologico viene spiegato con il fatto che dopo trent’anni le
Porte di Livello hanno di nuovo ripreso ad apparire e a funzionare con una
certa frequenza, ma questa scelta potrebbe comunque prestarsi a critiche di
carattere filologico; alla fine, però, il meccanismo funziona perfettamente
anche se l’autore si è sentito in dovere di inserire delle situazioni
totalmente nuove o di svilupparne altre in direzioni impreviste, cosa che
potrebbe non incontrare il favore di tutti i lettori. C’è stata ad esempio un’espansione
del mondo esterno a Laìtia e adesso l’Oltremare (ovvero la versione rartiana
dei pirati saraceni) ha un ruolo abbastanza consistente, tanto da fornire
materiale per sviluppare anche una simil-Crociata che al momento ha prodotto
solo effetti umoristici (conosciuta come “L’Impresa”, questa chiamata alle armi
di Fra Ricinio è forse ispirata, oltre che a Brancaleone, al film I Cavalieri che fecero l’Impresa di Pupi
Avati).
Inoltre l’Ilcisia è divenuta
quasi un feudo dei Lhome, gli uomini-leone che adesso acquistano tutto un altro
ruolo e spessore.
Dopo trent’anni, con mio sommo
stupore, i Dentitiranni risultano essere una razza a rischio di estinzione ma
Pignatelli ha saputo farsi perdonare questa brusca sterzata rispetto al canone
introducendo una trovata che giustifica la presenza di prodotti come pomodori e
patate nonostante l’ambientazione di riferimento (l’Italia di epoca medioevale
quindi precedente alla scoperta dell’America) teoricamente non la permettesse.
Come già accennato, grande risalto
viene dato alle Porte di Livello e alla necessità di giocare la “nascita” del
personaggio su Rarte con la sua nuova identità. Penso che in parte questa
scelta sia dovuta alla meccanica di gioco e di creazione dei personaggi di Savage Worlds, a me del tutto
sconosciuta, come in fondo viene detto a pagina 176. Quando ci giocavo io non
abbiamo mai utilizzato quella parte del gioco ma i personaggi erano già laìtiani
integrati.
DIFFERENZE CON LA
VERSIONE CLASSICA
La prima cosa che un
lettore/giocatore degli anni ’80 nota è una fastidiosa concessione al
politically correct: i Rom, la Stirpe di
fattucchieri, ladri e giocolieri, sono diventati Dom! Nella sua magnanimità
Pignatelli ci autorizza però a usare il vecchio termine nel privato delle
nostre sessioni di gioco.
Superato questo piccolo tributo
all’ipocrisia dei tempi moderni, notiamo come Pignatelli non possiede solo una
fervida immaginazione ma ha anche una penna felice e ha scelto per confezionare
il manuale di base un apprezzabile approccio filologico, che non solo rispettasse
e ampliasse alcuni concetti espressi dagli autori originari ma ne recuperasse
in parte lo stile immediato e complice e desse anche nuove interpretazioni a
capitoli del vecchio manuale base.
Del passaggio parallelo dello
scorrere del tempo tra Rarte e la nostra Terra ho detto sopra, aggiungo solo
che la ripresa ampliata del ritrovamento del manoscritto di Simone è stata
veramente emozionante.
L’attenzione filologica si nota
anche nella riproposizione del canovaccio per una potenziale avventura ligure
sui Vallai, anche se mi pare che il drago nel vecchio manuale E. Elle si
chiamasse Trampeo e non Tramleo. D’altra parte certe variazioni nei nomi sono
evidenti, come gli Epistogi che in origine erano Epistigi: può darsi che
Pignatelli abbia trovato altre fonti che li presentano col nome che ha scelto
lui, però addirittura Plinio il Vecchio riporta la forma Epistigi (o Blemmi). E
poi il mago citato anche nel vecchio manuale si chiamava Zeppeus, come qui
riportato, o Zappeus, come ricordo io? Non sono andato a spulciarmi le fonti
classiche, ma di «Aterogena» posso dire per certo che sia una corruzione
dell’originale Atergenus.
Accanto a queste poche licenze
poetiche, forse dovute a banali refusi, c’è però un notevole rigore per altri
dettagli, ad esempio nella scelta lessicale del carattere «bilioso» dei
Colagoghi e alcuni titoli di paragrafi riportati pari pari (L’ingrato compito del signore delle grotte,
ma i contenuti vertono su argomenti differenti: il fatto che il Master
apparentemente “gioca” di meno nella nuova versione e la difficoltà nell’essere
equilibrati nella vecchia).
La storia di Roma/Maro è stata
oltretutto il frutto di una raccolta di informazioni da più fonti (oddio,
quelle poche che consentiva il poco materiale prodotto per Kata Kumbas: il manuale di base, l’avventura L’Isola della Peste e il primo e unico supplemento E. L. Avventura 1), e non un semplice
copia/incolla dall’introduzione de L’Isola
della Peste, che sarebbe stato comunque giustificato.
Accanto a questo rispetto per il
materiale di partenza sussistono però delle scelte stilistiche curiose: purtroppo
invece di adottare la scelta originale di usare anagrammi si è spesso deciso di
storpiare o reinterpretare i nomi reali (Pordenone è Pordenzio, per dire).
Desta una certa sorpresa vedere che Matera ha avuto due “traduzioni” diverse: Ertama
nel manuale di base ed Etamar nel libro delle avventure, una cosa veramente
incredibile considerando che l’autore che la cita è lo stesso, Pignatelli in
persona!
Curiosamente la mappa e la
descrizione delle regioni mancano dei luoghi già codificati e quindi inseriti
nel canone: Ilmona/Milano, Neorva/Verona, ecc.
Una differenza che mi ha lasciato
veramente perplesso è il fatto che le Entità degli Evocatori siano passate da 30
(15 della Luce più 15 delle Tenebre) a solo 20! 2 per schieramento verranno poi
recuperate in altra parte del manuale, ma non è la stessa cosa…
Purtroppo questo si è reso
necessario per integrare sia le Entità della Luce che quelle delle Tenebre in
un’unica tabella che consenta a un Evocatore di attingere da entrambi gli
schieramenti. Come concetto mi sembra veramente campato in aria e irrispettoso
del canone di Kata Kumbas, oltre che
del buon senso. Purtroppo le Evocazioni, ma anche l’Alchimia e i poteri dei Fattucchieri,
hanno subito delle drastiche revisioni per poter essere gestite dal sistema di Savage Worlds. È innegabile che nella
versione originale alcuni incantesimi o effetti magici fossero inutili,
ridicoli o squilibrati, ma anche quello era il bello del gioco.
Mi è sembrato inoltre che
Pignatelli abbia un po’ perso di vista la natura originaria dei Fattucchieri
per darne una versione stregonesca molto personale. Ma d’altra parte sin
dall’origine i Fattucchieri erano delineati in maniera così vaga che posso
capire che abbia dovuto dare un suo tocco per esplicitare quello che in
precedenza era lasciato alla fantasia di Magister e giocatori.
Anche il Bestiario ha subito
qualche variazione, non tanto per l’inserimento delle Ninfe (mentre i mostri
dell’avventura L’Isola della Peste
sono stati del tutto ignorati) quanto per lo sviluppo di certi mostri
“classici”, che in generale ho apprezzato molto. I Petroliti adesso hanno delle
abilità aggiuntive (e una maggiore personalità) grazie agli effetti delle loro
formazioni geometriche, i Retropodi sono stati approfonditi e forse ai Plitidi
è toccata un’interpretazione eccessivamente creativa che li ha allontanati
dallo stampo originario. Non ho capito se i Fitantropi vadano considerati
sviluppi delle Fithome (comparse ne L’Isola
della Peste) oppure creazioni originali. La differenza sostanziale tra le
due tipologie di creatura mi fa propendere per la seconda ipotesi.
LO SVILUPPO
DELL’AMBIENTAZIONE
Per l’appassionato nostalgico
digiuno di Savage Worlds la parte più
ghiotta del volume è sicuramente quella relativa agli elementi
dell’ambientazione, cioè alla descrizione geografica e politica di Laìtia e
delle singole regioni da cui è formata. Dal poco materiale prodotto a suo tempo
risulta che non fosse tra le priorità di Carocci e Senzacqua fornire un
“atlante” laìtiano, anche se gli altri giochi coevi (pensiamo ad esempio a I Signori del Caos) erano generosi
nell’offrire dettagli d’ambientazione, anche con supplementi appositi. Carocci
e Senzacqua sono stati invece molto parchi nel descrivere la “loro” Laìtia,
quasi fosse solo una serie di scenari di cartapesta da adoperare esclusivamente
per le avventure – ciò non toglie che occasionalmente fornivano delle belle
pennellate su alcuni dettagli dell’ambientazione che però non sempre venivano
approfonditi come si era abituati coi supplementi di altri giochi, tranne forse
nell’avventura L’Isola della Peste.
È stato quindi un piacere
tuffarsi nelle 36 pagine che parlano nel dettaglio della Gruilia, della
Sbrudolezza Chimmeria, del Tempione e di tutte le altre regioni.
Umberto Pignatelli ne ha per
tutti quanti e nessuna regione è trattata con particolare preferenza, ma anzi
di ognuna vengono sottolineati di più gli aspetti negativi (l’isolamento e il
temperamento degli abitanti della Bralacia, l’ambiente selvaggio che è il Regno
di Ammilaia, ecc.). Forse l’Ilcisia è quella messa peggio vista la dominazione
Lhome, ma in generale Pignatelli è stato molto equo.
Accanto a riferimenti tratti dal
folklore locale (secondo me troppo pochi) si ha un’ampia e fantasiosa
panoramica su panorami, forme di governo e peculiarità regionali. Di certo
l’inventiva non manca a Pignatelli, che però ha anche adoperato una certa
razionalità nell’introdurre certi elementi importanti nell’economia del mondo
di gioco, come le accademie dei Guardiani dell’Equilibrio di Gelatodia e
Bralacia.
Come ho accennato sopra non manca
una certa vena umoristica all’interno dell’opera: i motivi della conversione di
Sturpione mi hanno fatto ridere di gusto, e pure la peculiare maledizione di
cui è vittima il Re Massullo.
LE REGOLE
Se ho capito bene, è invalsa
negli ultimi anni (o forse decenni) una tendenza nei giochi di ruolo a bilanciare
i personaggi e le regole per evitare alcuni squilibri che avevano
caratterizzato alcuni dei primi giochi di ruolo, squilibri che però in fondo ne
erano un po’ il sale. Molto spesso in questa “Versione Selvaggia” si fa
riferimento con una punta di affetto (così voglio intenderla, e non come
disprezzo) a come
Kata Kumbas fosse
un gioco «old school» e quindi le nuove regole servono anche a mettere delle
pezze laddove la versione originale era lacunosa o sbilanciata.
È senz’altro vero che
l’incarnazione originale di Kata Kumbas
faceva acqua da più parti a livello di caratterizzazione delle Caste: i
Guardiani dell’Equilibrio, nonostante il nome, partivano svantaggiati visto che
statisticamente avevano punteggi meno alti e soffrivano della penalità al Tiro
del Fato (oltre che del drammatico divieto di usare armi magiche), così come
gli anatemi dei Fattucchieri, i quali oltretutto non avevano formalmente
nessuna limitazione alle armature da indossare, erano lasciati alla libera
interpretazione del Magister e dei giocatori con esiti potenzialmente
disastrosi.
Adesso però si è arrivati
all’estremo opposto e, visto che non si può certo formalizzare ogni capacità e
potere con regole condivise comuni, mancano dei tratti peculiari che non erano
solo un vantaggio ma costituivano anche una buona caratterizzazione delle
tipologie di personaggio laìtiano: i Cacciatori ad esempio non possono più
parlare con gli animali come nella prima edizione, così come i Guardiani
dell’Equilibrio non hanno più l’abilità di ammazzare sul colpo un nemico con un
tiro molto fortunato quando sono saliti al Grado giusto: è probabile che certe
soluzioni come il Vantaggio di Background “Addestrato all’Equilibrio” siano
state introdotte da Pignatelli proprio per coprire questa e altre eventualità
simili ma ovviamente non è la stessa cosa visto che si è dovuti ricorrere a una
sovrastruttura per ricostruire quello che in origine era intrinseco nella Casta.
Anche la meccanica delle Eredità
è stata modificata e adesso i personaggi possono addirittura scegliere, pur con
delle limitazioni, da quali tabelle attingere! Inoltre, credo per interpretare
lo spirito e le dinamiche di
Savage
Worlds, si è passati da un range di 100 possibili eredità (il d100 usato
nel vecchio
Kata Kumbas) alle 54 del
mazzo di carte francesi. Nella vecchia versione c’erano oggetti doppi o tripli,
certo, ma ci sono anche qui per cui credo che la proporzione sia la stessa e
quindi con l’esclusione di molti oggetti dell’edizione E. Elle.
La quantità ha anche influenzato
un po’ la qualità: le Rune dei Maghi ad esempio sono sparite, sostituite da
altre Rune che però non danno il potere aggiuntivo una tantum che davano quelle
precedenti (una delle trovate migliori di Carocci e Senzacqua) ma semplicemente
permettono di avere un’abilità da Mago o Evocatore. È anche vero che nella
versione originale le Eredità erano quasi sempre prive di qualsivoglia
“istruzione per l’uso” e anche se uno schiavo biondo era intuitivo immaginare
come poterlo usare, diventava difficile capire se e quali poteri potesse dare
un Libro di Anatemi (ricordo che sulla gloriosa rivista Rune venne pubblicato un articolo apposito per spiegare a cosa
servissero certi oggetti).
Volendo sorvolare sulla fedeltà
al meccanismo con cui venivano determinate le Eredità, va detto che comunque
alcune trovate come la Ricetta del Purgone per Cavalli e l’Animaletto Lamentoso
sono molto simpatiche e in tema con lo spirito di Kata Kumbas. Interessante poi l’uso che viene suggerito i maghi
sporcaccioni e le streghe decrepite possono fare dell’Ectoplasma Metamorfico.
L’avventura conclusiva è
programmaticamente semplice e rudimentale (si suggerisce anche di visitare il
Gran Bazar dei Baratti alla sua conclusione, quindi i personaggi non sono
nemmeno delineati nel dettaglio), ma presenta un buon sistema per incontri
casuali e far evolvere l’avventura senza ricorrere a una mappa. Forse,
semplicemente, è il sistema in uso di default in Savage Worlds che io non conoscevo.
AVVENTURE PER LAÌTIA
La raccolta di 8 scenari
Avventure per Laìtia ha lo stesso costo
del manuale base, ma con una trentina di euro si comprano 200 (210 per amore di
precisione) pagine invece di 300!
Avventure per Laìtia avrebbe inoltre meritato qualche correzione in
più, perché presenta più refusi del volume di base. Ben al di sotto del limite
di guardia e di quello che si vede in tanti altri prodotti più blasonati,
comunque, anche se la descrizione del secondo punto debole di un nemico di Una Notte sul Monte Rosso è rimasta
tronca.
Il volume presenta 8 avventure di
lunghezza variabile, di ognuna viene offerta una presentazione con le note
sull’autore e dettagli su quali siano le leggende o comunque le fonti di
ispirazione, cosa questa che ho gradito molto. È evidente come tutti e otto gli
autori siano dei professionisti del settore, dotati di una fervida inventiva ma
anche di un ottimo stile di scrittura e di una conoscenza specifica delle
dinamiche di gioco, cosa che alcuni metteranno in evidenza nei loro scenari. Mi
è sembrato inoltre di cogliere in tutti questi lavori una sincera passione per
l’ambientazione, che occasionalmente si è tramutata in eccessivo trasporto
nell’uso dell’italiano maccheronico, e ognuno degli autori ha saputo dare il
giusto tocco alle proprie ambientazioni: gli elementi di contorno sono
raffigurati con il giusto equilibrio tra grottesco e realistico e assumono una
rilevanza importante, così come i PNG ma anche alcuni mostri più importanti
sono approfonditi e resi “vivi” e originali esattamente come mi sarei aspettato
che facessero Carocci e Senzacqua.
Dall’altro lato della medaglia
c’è il fatto che la metà degli autori non si sono basati per imbastire le loro
avventure su leggende o racconti locali e in alcuni casi hanno addirittura
fatto riferimento a elementi della mitologia classica. La cosa è ovviamente più
che legittima e gli stessi autori originari di Kata Kumbas vi fecero ricorso però a piccolissime dosi e tenendo
questi elementi sullo sfondo (pensiamo alla fondazione di Roma/Maro). Di certo
rifarsi all’Odissea o a misconosciuti
poemi tardomedievali ha una sua valenza culturale ma contravviene a mio avviso
a due leggi non scritte della poetica di Kata
Kumbas, ovvero cercare qualcosa di lontano dall’hic et nunc laìtiano che tanto ha da offrire e rimandare a
situazioni epiche ed eroiche (di Miti si parla) che non si sposano troppo bene
con un mondo che dovrebbe essere popolaresco e realistico.
Segnalo come dal manuale di
ambientazione ad Avventure per Laìtia
la Baerald abbia fatto dei notevoli progressi, che mi sembra siano addirittura
più evidenti a mano a mano che ci si addentra nella lettura (i disegni pubblicati
per ultimi sono più belli dei primi, secondo me).
Comunque, nel dettaglio:
La prima avventura, Il Ladro di Borgoratto di Davide Mana, è
piuttosto breve e molto semplice ma riprende nello stile ridanciano e nella
prospettiva molto circoscritta (risolvere il mistero della sparizione di cibo da
un piccolo paesello) l’atmosfera delle prime avventure ospitate sul vecchio
manuale base delle Edizioni E. Elle, in cui poteva capitare di aiutare un umile
pollaiolo o di partecipare a un certame poetico. C’è comunque un doppio mistero
da svelare che aggiunge pepe alla trama.
Per ideare l’avventura Mana,
onore al merito, si è ispirato a una leggenda dell’astigiano che gli ha anche
ispirato un componimento poetico.
La seconda, La Febbre Brumia, è molto più articolata e Andrea Sfiligoi adotta uno
stile didascalico ed esplicativo che denota la sua conoscenza dei meccanismi
(anche sociali) che possono instaurarsi nelle partite. C’è stata forse una
vaghissima ispirazione a uno degli elementi-chiave dell’unica avventura
ufficiale uscita a suo tempo, L’Isola
della Peste, ma sono nettamente più numerosi i tanti elementi originali. Di
particolare interesse l’introduzione dei folletti Gnefri tratti dal folklore
umbro.
La terza avventura, Dell’Omo la Vera Natura, ha un incipit
un po’ spiazzante: Eugenio Maria Lauro non si è basato sul folklore della sua o
di altre regioni ma sul mito classico della maga Circe, cosa certamente
coerente con l’ambientazione (anche per un dettaglio che verrà rivelato alla
fine dell’impresa) ma comunque come ho scritto sopra secondo me un po’ estranea
al modo canonico di intendere le ambientazioni e le atmosfere di Kata Kumbas. Il risultato è un’avventura
originale e molto complessa, in cui i giocatori dovranno essere molto ricettivi
a cogliere gli indizi e giocare bene di ruolo. L’autore ha infarcito
l’avventura di elementi decorativi ben integrati con l’ambientazione, ma
l’italiano maccheronico con cui si esprimono le varie comparse alla fine
diventa pesante e tende a banalizzare gli incontri, forse sarebbe stato meglio
affiancarlo a uno o più dialetti.
Probabilmente è l’avventura che
avrebbe necessitato di maggiore editing: nel box sulla Siringa della Malsania
viene indicato un metodo di guarigione che però non è congruente con la
descrizione del Fauno Lupercolo, così come inizialmente le “malsanie” inflitte
ai Gemelli Taccone sono lasciate alla discrezione del Magister mentre invece
nella loro descrizione vengono definite in dettaglio.
Umberto Pignatelli in persona
scrive La Maledizione del Piripicchio,
che egli stesso definisce un omaggio ai vecchi dungeon crawl – se poi lo dica con affetto o disprezzo non è dato
sapere! Forse in quest’ottica inanella un pesante infodumping e agevolazioni (o piste obbligate) per i personaggi
nell’arco di sole due pagine: si comincia svelando tutto l’antefatto con il
primo e praticamente unico incontro; una delle azioni preliminare per
intraprendere le indagini porta subito alla rivelazione della meccanica
dell’avventura e delle cose da fare per portarla a compimento; infine
l’introvabile ingresso al dungeon
viene sbattuto in faccia ai giocatori senza praticamente nessuno sforzo da
parte loro. Poco importa: qui il bello dell’avventura, oltre
all’interpretazione della Maledizione, è l’esplorazione dei Fossi. E in effetti
è meglio che l’inizio sia così agevolato, perché l’esplorazione de “li Fossi”
mi sembra alquanto impegnativa.
I personaggi dovranno muoversi su
una splendida mappona tridimensionale che il formato e l’allestimento del
volume (brossurato di 17x24 cm) impediscono di godere appieno, ma di cui
saggiamente esiste una versione da scaricare da internet insieme ad altri game props relativi all’avventura. Non
solo Pignatelli ha imbastito una bella trama, un’avventura originale e
un’ambientazione congruente con lo spirito di Kata Kumbas, ma ha pure fatto un omaggio a un comico misconosciuto
degli inizi del ’900. Meglio di così.
Unico appunto: la città di Matera
in cui è ambientata l’avventura viene riportata con un nome laìtiano diverso da
quello che aveva nel manuale base (Etamar invece di Ertama). E anche quello era
stato scritto dallo stesso Pignatelli, che infatti nell’introduzione
all’avventura usa entrambe le versioni! La cosa viene giustificata in una
maniera che non mi ha convinto del tutto, ma in fondo è solo un nome, che sarà
mai. Non mi pare invece che ci sia la possibilità da nessuna parte di
recuperare una parte della mappa da consegnare ai giocatori, ma forse mi è
sfuggito.
Sono delle suggestioni letterarie
ad aver ispirato
L’Impresa del Gatto
Lupesco di Mauro Longo, tratto dalla poesia didattica
Detto del Gatto Lupesco (ho controllato:
esiste veramente)
in cui l’anonimo autore sposta in Italia le vicende dei cavalieri della tavola rotonda.
Sicuramente siamo di fronte a un’operazione raffinata e culturalmente rilevante,
ma anche qui come nel caso di
Dell’Omo la
Vera Natura sono stato spiazzato dalla lontananza dai temi di
Kata Kumbas canonico. Ciò detto,
l’avventura è bella e coinvolgente, per quanto lineare – mi pare solo che lo
stacco tra i tafferugli iniziali alla locanda e l’incontro col Lhome necessiti
di una attenta cucitura da parte del Magister. Molto simpatico il giro che
bisogna fare per individuare l’identità di Mogma.
Nemmeno Il Campo de’ Buchi di Tito Leati è stata ispirata da una leggenda o
dal folklore ma a darle il “la” è stato semplicemente il secolare antagonismo
tra Modena e Bologna, trasfigurate in Demona e Gnalobo. Il tutto però condito
con elementi lovecraftiani! Per quanto sia un’avventura piacevole, intelligente
e ben scritta (e poi ci sono mappe meravigliose e godibilissime visto che non
sono a doppia pagina) l’ho trovata veramente aliena rispetto a quello che per
me dovrebbe essere il canone di Kata
Kumbas: pur con qualche riferimento locale (credo che il PRAJ e gli “zampironi”
rimandino a qualcosa di molto specifico) i Miti di Cthulhu con Laìtia
c’azzeccano poco, pur con le relative trasfigurazioni locali: il Libro di Eibon
diventa Ehi-Bona (ma anche Hei-Bona) e via di seguito.
Al di là di queste mie
considerazioni personali, l’avventura resta valida e oltretutto può essere
riciclata come gazetteer del Regno di
Ammilaia (anche se non è chiaro però se si dica Castelfranco Ammilaia o
Castelcranfo Ammilaia visto che vengono ripetute in occasioni diverse entrambe
le versioni).
Il Canto dell’Avinuberio di Massimo Moscarelli mi sembra invece
aver subìto un vago influsso dal filone cinematografico dei Decamerotici.
Storia simpatica e ben architettata è forse un po’ troppo dispersiva e
soprattutto mutatis ben poco mutandis potrebbe essere tranquillamente
giocata in una qualsiasi altra ambientazione. La concitata scena finale è
veramente spettacolare. Moscatelli sembra avercela a morte coi Ciraioci/Ciociari
tanto che verrebbe spontaneo accusarlo di razzismo se non fosse che dalle note
biografiche apprendiamo che anche lui è della zona!
Pur senza il livello di dettaglio
fornito da Il Campo de’ Buchi anche
questa avventura può essere utilizzata come “atlante” dal Magister per ambientare
altre avventure in Ciraiocia.
Una Notte sul Monte Rosso di Luca Tarenzi si rifà nientemeno che a
un caso documentato di stregoneria del XVI secolo. Ambiziosa nello spirito
filologico e lodevole per l’afflato illuminista, è praticamente un’avventura generica
buona per qualsiasi ambientazione fantasy che usa solo qualche mostro ed
elemento vario di Kata Kumbas (pochini,
in verità) per ricordarci che si svolge a Laìtia. Lo stesso autore d’altra
parte anticipa nell’introduzione che si tratta di un’avventura lontana dalle
atmosfere consuete di Kata Kumbas.
Un provvidenziale regalo mi
permette inoltre di recensire anche le due avventure per
Kata Kumbas inserite nell’Almanacco dei Mondi Selvaggi 2016 (
en passant, praticamente tutte le
avventure contenute nell’Almanacco sono almeno buone o comunque degne di nota).
Caccia al Drago è un’ottima avventura introduttiva che però vista
la qualità può facilmente essere riciclata per personaggi già introdotti a
Laìtia. Pignatelli in persona l’ha masterizzata al
PlayModena 2016.
È principalmente investigativa, ma molto spazio viene lasciato al
roleplaying. Credo che l’autore qui
abbia centrato le caratteristiche salienti di
Kata Kumbas (c’è un solido
background
di racconti e folklore alla base) e l’idea di rendere le Porte di Livello parte
integrante della trama rimanda un po’ a
Piattini
e Misteri, l’avventura pubblicata sul primo e unico
E. L. Avventura della E. Elle.
Sempre Pignatelli centra ancora
il bersaglio con La corsa dei Sacri,
una divertentissima avventura che vede i personaggi destreggiarsi tra due
fazioni di fedeli in lotta (Nuovo contro Antico Popolo) per imporre la propria
divinità a difesa di Leceria/Ceriale. La vicenda è arricchita dall’intrusione
finale dei pirati d’Oltremare e oltre a essere molto vivace offre una certa
varietà e ricchezza di situazioni. Latita l’elemento fantastico (non ci sono
draghi o altre creature fatate, per capirci) ma tutto sommato anche la già
ricordata avventura Piattini e Misteri
in E. L. Avventura 1 si basava su elementi folkloristici
senza addentrarsi troppo nel reame del fantastico.
Di carne al fuoco ne è stata
messa tanta e di buona qualità. L’impatto con la trasposizione nel nuovo
sistema di gioco non è stato poi così traumatico, ma d’altra parte ero
consapevole che qualcosa si sarebbe inevitabilmente perso. A questo punto
rimango in attesa di nuovo materiale “selvaggio” per il rinato Kata Kumbas.