giovedì 26 settembre 2019

JLA di Waid, Hitch e Porter

Ah, i bei tempi andati della Planeta DeAgostini, quando pubblicavano un sacco di roba (a volte anche notevole) stampata bene e a prezzi vantaggiosi. Ho una mia teoria sulle ragioni della pessima stampa, Fumo di China in primis, di cui soffriva a suo tempo la Planeta: quindici anni fa i forum e i social network embrionali si stavano imponendo grazie alle connessioni internet che erano sempre più diffuse, anche tra autori ed editori di fumetti, mentre le fiere di fumetto andavano moltiplicandosi proseguendo il trend iniziato pochi anni prima. Avere un contatto diretto con un autore o un editore era insomma molto più facile, in un senso e nell’altro. Poteva sembrare brutto criticare un soggetto con cui si era in confidenza, seppur minima, e forse sorgeva il timore di rappresaglie sotto forma di interviste non concesse o dell’embargo ai fumetti gratis da recensire. Con la Planeta invece era tutto più facile: fermo restando che la cura dei loro albi e volumi non era assolutamente perfetta, a volte anzi proprio scadente, ci si poteva sfogare quanto si voleva, erano i capri espiatori ideali: tanto erano spagnoli e mai avrebbero letto le recensioni italiane.
Ogni tanto mancava il testo di un balloon o una parola veniva scritta in modo quantomeno creativo, però intanto abbiamo avuto ristampe di classici come il Tarzan di Hal Foster e I Puffi a prezzi promozionali, classici della Vertigo in edizioni economiche da edicola, volumi di grande formato di Hermann a meno di 10 euro, o volumi doppi di Cosey a 12 euro o poco più. Anche questo volumone ripescato dal vecchio magazzino Planeta (era ancora incellofanato) presenta i suoi bei difetti: solo nelle cinque righe in quarta di copertina si legge che la JLA «debe» affrontare nemici come la Regina delle… «Facole», ma sono quasi 650 pagine a colori su carta patinata stampate quasi sempre in maniera impeccabile in un volume cartonato cucito e rilegato sul dorso per 45 euro. Nessuno poteva offrire altrettanto a quel prezzo, tantomeno oggi.
Questo tomo è il volume gemello di quello analogo dedicato alla JLA di Grant Morrison che presi una dozzina di anni fa. Ecco quindi svelato il motivo dei buchi nell’elenco degli episodi di quel volume. Se ho ben capito, qui si comincia dalla fine: la miniserie deluxe Heaven’s Ladder dovrebbe essere stata realizzata successivamente rispetto agli altri episodi raccolti, ma qui è stata messa all’inizio. Ricordo di aver letto un’intervista a Bryan Hitch, uno dei due motivi principali per cui ho ordinato questo volume, in cui il disegnatore si lamentava di aver lavorato sotto forte pressione e retribuito alla tariffa usuale per un lavoro della DC Comics che invece sarebbe andato su una pubblicazione extralarge. Mi sa tanto che parlava di questo: oltre al fatto che le sue vignette iperdettagliate non “respirano” come dovrebbero, la diagonale delle tavole lascia intendere che erano pensate per un formato più grande. Non che sia un dramma: il suo tratto è una gioia per gli occhi, a maggior ragione all’epoca, quando i suoi riferimenti fotografici erano ancora relativamente vergini e non li avevamo ancora visti ripetuti più e più volte come purtroppo succede adesso.
Era chiaro che l’esca per l’acquisto del volume, cioè i disegni di Hitch, era appunto solo un’esca e che il meticoloso e lentissimo disegnatore non avrebbe potuto produrre la maggior parte del materiale qui raccolto. E quindi arriviamo al secondo motivo che mi ha spinto all’acquisto: i testi di Mark Waid. Visto quanto l’avevo apprezzato su Daredevil speravo di trovare anche qui almeno un guizzo della sua verve. E invece niente. JLA, essendo una testata che ospita i maggiori calibri del pantheon DC, deve necessariamente trovare delle sfide sempre più impegnative per giustificare l’intervento di Superman, Wonder Woman, Martian Manhunter e soci. E così ecco uno snocciolarsi di situazioni sempre più esagerate, in una spirale di ridicolo involontario. Anche Heaven’s Ladder presenta una minaccia fuori scala, ma il sottotesto vagamente mistico e soprattutto gli splendidi disegni di Hitch fanno passare in secondo piano la pretenziosità un po’ confusionaria del soggetto. Nella serie regolare, invece, si comincia con un villain che controlla la fortuna e poi si passa a nemici che cancellano il linguaggio (e gli umani non sanno più nemmeno leggere i segnali stradali o le strumentazioni elettroniche!), a streghe delle fiabe, a macchine per far avverare i desideri, a invasori a sei dimensioni, fino all’apoteosi di Superman e Wonder Woman che per sconfiggere i nemici di turno spostano la luna! Il tutto inframmezzato da messaggini sulla fiducia e l’amicizia.
Soggetti buoni per gli anni ’60, che già nel decennio successivo sarebbero sembrati infantili. I tentativi di dare un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica (l’onnipresente fisica quantistica oppure i naniti, che altro?) finiscono per sottolineare quanto siano ridicoli gli assunti di base, giustificati dalla necessità di affidarsi al puro e semplice sense of wonder. Non che il ciclo di Morrison fosse poi tanto diverso, ma nel suo caso avvertivo un certo entusiasmo nel raccontare quelle scempiaggini, c’era qualche trovata originale (qui invece la JLA in versione medievale mi ha ricordato una storia dei Vendicatori letta nei Classici del Fumetto di Repubblica…) e affiorava un po’ di ironia. Waid non ha saputo fare altrettanto, forse anche perché gestire almeno otto personaggi diversi in episodi da poco più di 20 pagine non è fisiologicamente facile, dovendo anche sottostare alle esigenze delle singole testate in cui avvengono delle modifiche nelle vite dei protagonisti che vanno sottolineate anche qui. Ed è impossibile non rendere irritante Plastic Man – o comunque Waid non c’è riuscito.
A onor del vero, un discreto scossone viene dato dalla rivelazione dei piani segreti di emergenza di Batman contro i suoi stessi compagni di squadra, colpo di scena opportunamente sottolineato nell’introduzione di Fran San Rafael, ma pur essendo il piatto forte del volume è una cosa che finisce abbastanza presto in cavalleria – anche se probabilmente leggere quel ciclo mensilmente avrà avuto un effetto diverso che leggerlo tutto d’un fiato come qui.
In definitiva questa JLA è una lettura per ragazzi (non che quella di Morrison fosse molto di più), forse anche di bocca buona. Se però si sta al gioco e ci si lascia trasportare dal flusso di trovate sempre più assurde la lettura è comunque godibile, tanto più che non serve aspettare mesi per sapere come finiscono le trame. E l’ultimo episodio natalizio è abbastanza simpatico e originale.
Come immaginavo, Bryan Hitch non ha realizzato che una minima parte dei disegni. Ironia della sorte, i suoi primi quattro (se ho contato bene) interventi sulla ongoing sono quelli stampati peggio. Non mi sono messo a contare le singole tavole, ma mi sembra che la maggior parte del lavoro l’abbia fatta Howard Porter che all’epoca era ancora titolare della serie. È sicuramente maturato rispetto alla gestione Morrison, ma comunque il suo stile ipertrofico e un po’ caricaturale non mi convince. Ma per stare dietro alle scadenze e mettere delle toppe alla lentezza di Hitch la DC ricorse a un sacco di altri disegnatori (persino J. H. Williams III e Mick Gray che giustamente disegnano alcune delle tavole “fiabesche”). Dato il lungo periodo di tempo intercorso tra l’uscita del primo e dell’ultimo episodio (Waid iniziò come tappabuchi occasionale col numero 18 per poi prendere più o meno stabilmente le redini dal 43 al 60) è possibile vedere l’evoluzione di alcuni disegnatori chiamati periodicamente a rimpolpare la serie. In particolare, ho gradito come Mike S. Miller abbia sviluppato uno stile realistico dopo una prima prova stilizzata e rozza, forse dovuta dalla necessità di andare in stampa in tempo o a un primo inchiostratore, Armando Durruthy, non adatto. Non male nemmeno Mark Pajarillo, per quanto legato ancora all’estetica di Jim Lee. Ma tra inchiostratori, disegnatori ospiti e coloristi a dare man forte a Hitch e Porter sono stati veramente tanti (lo stesso Waid ha firmato in un’occasione i testi insieme a Devin Grayson): Paul Neary e Laura DePuy (beh, ovvio: c’è Hitch), John Dell, Pat Garrany, Walden Wong, Arnie Jorgensen (pessimo), David/Dave Meikis, il redivivo Doug Hazlewood, John Kalisz, Drew Geraci (molto bravo a smussare certe esagerazioni di Porter), Steve Scott, Mark Propst, Tony McCraw, Javier Saltares, Chris Ivy, Phil Gimenez, Ty Templeton, Doug Mahnke, Kevin Nowlan (questi quattro in occasione dello speciale numero 50), David Baron, Cliff Rathburn. E forse me ne è sfuggito qualcuno.
Non proprio la JLA di Waid e Hitch, come vorrebbe il titolo in gerenza.

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