In estrema sintesi, Chloe Pierce è una giornalista che vuole svelare quelle che ritiene essere le sordide intenzioni di Astrid Mueller, guru dell’auto-aiuto a capo di una azienda/setta, la Honest World Foundation, forse ispirata vagamente a Scientology et similia (anche Astrid come Ron Hubbard ha scritto un romanzo, che nel suo caso si dice porti alla pazzia o all’illuminazione). Chloe ha dei buoni motivi per detestarla: il suo fidanzato si è sparato in testa dopo aver superato una delle fasi verso la coscienza finale prescritte dalla setta di Astrid, di cui era un affiliato. Nonostante venga inizialmente respinta per le sue palesi intenzioni bellicose, Chloe si trova invischiata nel vero scopo della Honest World Foundation: la lotta contro dei parassiti forse alieni o forse demoniaci che infestano l’umanità (con uno scopo ben preciso svelato alla fine) e che solo le persone che sono state sul punto di morire possono vedere. La “stanza pulita” del titolo è uno spazio all’interno dell’edificio della fondazione da cui chi dispone di alcuni poteri come Astrid può far rivivere a un ospite l’evento più traumatico della sua vita.
Lo spunto di per sé non è molto originale, ma Gail Simone riesce a rendere la lettura avvincente grazie a personaggi sopra le righe, a dialoghi molto efficaci, a una volgarità spigliata e liberatoria e al ribaltamento di alcuni stereotipi: c’è l’asiatica piccola e micidiale già vista da tante altre parti, ma ci sono anche tre fratelli redneck in un ruolo positivo. Come in ogni storia del mistero che si rispetti, la tensione viene inevitabilmente meno quando si scopre la natura dei mostri cattivi, e per questo la sceneggiatrice tira la corda fino all’ultimo inserendo nuovi personaggi e nuovi ostacoli sulla strada verso la salvezza della Terra. In effetti alcuni elementi sembrano essere stati inseriti per allungare un po’ il brodo e soprattutto alla fine si avverte una certa perdita di direzione, con tanto di episodio (l’unico, per fortuna, disegnato da Sanya Anwar) avulso dal flusso della storia fino a quel momento. Peccato, perché Clean Room si è mantenuta su livelli molto alti per oltre metà della sua durata. E comunque il finale è ben congegnato.
I disegni dei primi dodici numeri sono opera del bravissimo Jon Davis-Hunt, già visto sulla nuova Wildstorm. Non essendoci supereroi di mezzo (anche se spesso i personaggi indossano delle tute) qui fa una figura ancora migliore. Dal tredicesimo numero, però, la palla passa a Walter Geovani, con l’eccezione che ho indicato sopra: non è Davis-Hunt, ma le sue tavole sono comunque belle ed eleganti. Molto suggestivi i colori di Quinton Winter, mentre Jenny Frison, autrice delle copertine, non aveva evidentemente ben chiara l’etnia della protagonista visto che la disegna come se fosse una caucasica solo un po’ scura di pelle.