Uscito ancora nel 2022, l’ho notato in fumetteria solo l’altro giorno. Si tratta di una delle opere realistiche di Zep, in cui abbandona temporaneamente lo stile umoristico del Titeuf che l’ha reso celebre per affrontare tematiche adulte, spesso sconfinando nella fantascienza.
Théodore raggiunge in Svezia un ricercatore isolato appassionato dei Doors (da qui il titolo). Il professor Frawley non gode di credito nella comunità scientifica a causa della sua teoria su un presunto Codex Arboris in grado di far comunicare tra di loro le piante in modo da produrre sostanze nocive che portarono ad esempio allo sterminio dei dinosauri, inutili per l’ecosistema dell’epoca. Intanto però gli animali della zona cominciano a comportarsi in modo strano, senza più temere l’uomo, mentre in giro per il mondo avvengono delle inspiegabili decessi di massa. Che c’entrino quegli strani funghi che Théodore ha rinvenuto nei boschi? Però accanto al centro di ricerca c’è anche la filiale di una multinazionale farmaceutica famigerata per aver inquinato impunemente, e con cui Théodore ebbe già a che fare nella sua scapestrata gioventù…
The End è un appassionante thriller ecologico in cui Zep ha saputo evitare di scegliere il colpevole più ovvio, anche se comunque l’esito della storia è prevedibile e anticipato sin dall’inizio. L’idea di partenza non è campata in aria perché è stata suggerita all’autore da un suo figlio che studia Botanica. Il finale è eccezionale e anche se l’argomento porta inevitabilmente a un po’ di moralismo, questo si avverte appena di fronte alla tensione incalzante che pervade il fumetto. E tra l’altro Zep ha anche inserito un paio di scene divertenti con buoni esiti. A volergli trovare un difetto, forse la mezza storia d’amore è un po’ esornativa.
I disegni sono ottimi, eleganti ed espressivi nel loro iperrealismo grazie alla ricerca delle pose giuste a cui Zep ha sottoposto amici e conoscenti cui viene dato credito nei ringraziamenti. Non capisco però il suo vezzo di sfumare i colori dei contorni delle vignette, arrotondandoli: così danno un costante effetto flashback e spesso i disegni esondano dai contorni di quella che dovrebbe essere la vignetta che li racchiude. E ovviamente la realizzazione con la sola matita toglie incisività al tratto, specialmente in questa edizione italiana. La versione della ComicOut è infatti tanto povera da far tenerezza. Il formato è l’abusato “albo d’oro” 17x24 e la carta non è patinata: beninteso, non è nemmeno pessima, solo quel tanto che basta a mortificare i colori e a smorzare il tratto. E anche la qualità di stampa lascia a desiderare, talvolta con fuori registro e smangiucchiature persino nel lettering. La copertina poi è in cartoncino rustico tipo quello usato per le Le Storie Bonelli o per gli ultimi numeri di Sgt. Kirk: elegante, raffinato e prono a rovinarsi solo a fissarlo troppo intensamente. Ma immagino che non avremmo avuto altre possibilità di vedere questo lavoro in Italia.
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