giovedì 20 gennaio 2011

Intervista a Oswal

Oswal, al secolo Osvaldo Viola, è uno dei disegnatori più originali del panorama argentino (e sudamericano in generale).
Dotato di uno stile sintetico e veloce, molto dinamico ed espressivo, una sorta di Alex Toth più concitato, è stato impegnato oltre che sui “suoi” fumetti anche come collaboratore per molti altri colleghi.
Tra le sue opere più significative arrivate in Italia vanno segnalati senz’altro Consummatum Est e il suo spin-off Pieter Thijsz, oltre ai molti “relatos negros” realizzati su soggetto di Enrique Sanchez Abulì, a cui si devono anche i testi del delizioso L’Avvoltoio vola basso.
Recentemente Lanciostory ha ospitato un suo lavoro di cui è autore completo: Tango... a Firenze.
In Sud America è però conosciuto per una sua creazione originale, uno dei pochissimi supereroi a non essere stati prodotti negli Stati Uniti: Sónoman, l’uomo col potere “musico-mentale”. Nel 2003 venne addirittura inserito nel novero dei personaggi a cui la Repubblica Argentina dedicò un francobollo.
Una curiosità: Oswal fu il primo disegnatore di cui l’Eura presentò due volte la stessa storia, Tra altre cose la vita su Skorpio 52 del 1989 che divenne con qualche ritocco Acqua Cattiva su Lanciostory 45 del 1995.

1)      Le Sue biografie italiane sono piuttosto povere[1], di solito riportano solo che ha cominciato a lavorare nell’animazione nel 1954. Ci può dare qualche Suo dato biografico, ad esempio la data di nascita, come avvenne la Sua formazione, ecc.?

Sono nato “lontano lontano e tanto tempo fa”. Moriva Carlos Gardel e nascevo io: era il 1935. Come tanti, disegnavo fin da bambino stimolato dai miei genitori. Mi considero autodidatta visto che la mia formazione si limita a due iscrizioni a due corsi di disegno per corrispondenza che lasciavano molto a desiderare. Ma quando si ha un’anima con la necessità di imparare sempre, si assimila per forza qualcosa da tutto quello che si ha attorno.
Il mio primo lavoro furono 100 strisce umoristiche in cui imitavo vari stili, per la pubblicità di uno di quei corsi di disegno. Poi si risvegliò in me la passione per l’animazione e andai a lavorare nello studio di un pioniere qui in Argentina: Burone Brouché. Avevo 18 anni.
Dopo il servizio militare ho provato a mettere su degli studi d’animazione interamente miei e quasi trentenne divenni socio di quel meraviglioso creatore argentino di humor, Guillermo Divito, un vero genio, e così creammo le Producciones Divito Dibujos Animados. Nel mentre feci anche le mie prime esperienze con i fumetti.
Realizzai alcune storie autoconclusive di Oesterheld e gli adattamenti di David Copperfield di Dickens e di Robinson Crusoe di DeFoe.
Poi il fumetto mi prese del tutto, salvo rare incursioni nell’illustrazione.

2)      Quali sono i suoi hobby?

La letteratura: scrivere e leggere sono la mia passione; ascoltare musica, di tutti i generi, dal folklore alla classica: Mozart ha la mia totale ammirazione; dividere caffè e buone conversazioni con gli amici.



3)      Lei quindi si dedica anche alla letteratura non disegnata: che genere di cose scrive? Storie fantastiche o realistiche? La scrittura è veramente solo un hobby o ha pubblicato anche qualche romanzo o racconto?

Saggi e racconti sono le forme di scrittura che mi vengono più naturali quando mi esprimo scrivendo. Ma ho anche concluso due romanzi. Al momento non ho ancora pubblicato nulla ma ogni tanto la cosa mi solletica. In ogni caso la mia necessità di scrivere è ben maggiore rispetto a quella di pubblicare.
Ogni volta che mi siedo in un bar, prendo automaticamente carta e matita e scrivo. Il fatto è che penso troppo!

4)      Lei legge ancora fumetti o come molti altri colleghi preferisce leggere romanzi?

Leggo fumetti quando un autore mi cattura con la sua capacità narrativa e la forza dei personaggi. Non importa se è umoristico o avventuroso. Ricordo con nostalgia quelle vecchie strisce, stampate con brutti inchiostri su pessima carta che, tuttavia, erano cariche di vita e ti catapultavano in quei mondi, non sempre erano ben disegnate ma erano narrate così bene!
Per quel che riguarda la lettura di romanzi, a parte poche eccezioni ormai è una cosa che sto relegando al passato: in gioventù li divoravo, la mia formazione l’ho fatta in gran parte leggendo Charles Dickens. Oggi preferisco leggere racconti, testi di filosofia e libri sull’arte.

5)      Una domanda che sicuramente si sentirà ripetere spesso: come mai ha scelto lo pseudonimo Oswal?

Successe per caso un giorno (avevo 16 o 17 anni) in cui dovevo versare la mia quota a una di quelle scuole per corrispondenza e avevo dimenticato il mio numero di matricola, la signorina addetta all’incasso mi chiese il cognome, guardò nell’archivio e mi chiese “Viola, come? Perchè qui vedo che ce ne sono due con lo stesso cognome”. Le dissi il mio nome di battesimo ma uscendo pensai preoccupato: “Se entrambi ci dedicheremo a questo lavoro in futuro la gente potrebbe confonderci!” E così nacque Oswal, frutto dell’unione delle due prime sillabe dei miei nomi: OSvaldo WALter.
Fu una cosa da ragazzino, ma segnò il mio destino visto che “Oswal” si impossessò di me e fece di me il suo schiavo.

6)      Il suo personaggio più famoso è Sónoman, il più importante (forse l’unico?) supereroe argentino. Purtroppo in Italia il personaggio non è conosciuto, ci può raccontare la sua storia?

Non credo che Sónoman sia l’unico supereroe creato nel mio paese però forse è quello che più si è radicato nell’immaginario e nei cuori dei lettori argentini. Io non lo percepivo come un supereroe: nonostante i suoi poteri sovrumani, tutti i suoi sentimenti e le sue reazioni sono quelle di un mortale qualsiasi, e questo era quello che più mi importava del personaggio.
Però nacque sotto la classificazione di supereroe e sia lui che io dovemmo sopportare questo destino. Nacque perchè negli anni ’60 andava di moda le serie di Batman e il mio editore voleva avere in catalogo qualcosa con quello stile. Io stavo facendo l’adattamento del David Copperfield di Dickens, la proposta mi stupì e non era quello che più desideravo fare in quel momento, tuttavia capii che quella era la prima grande opportunità nella mia professione e accettai.
E poi successe che dopo aver terminato le prime quattro pagine, di colpo compresi che era un genere che permetteva di scatenare la fantasia e di sviluppare dei personaggi con forti caratterizzazioni; apprezzai la cosa perchè mi dava molte possibilità come autore. Da quel momento misi il massimo del mio impegno per realizzare la serie.



7)      Come Le venne l’idea del personaggio di Sónoman? Quali furono le fonti di ispirazione?

La pubblicazione dove Sónoman fece la sua apparizione era indirizzata a un pubblico infantile, così pensai che il personaggio dovesse trasmettere valori positivi per quei giovani lettori in piena fase dello sviluppo. Senza escludere l’avventura, feci in modo che le situazioni stimolassero lo sviluppo del pensiero dei suoi lettori. Inoltre inclusi anche elementi didattici ogni volta che ne avevo occasione. In effetti procedevo in maniera più che altro intuitiva giacchè ero appena agli esordi, ma il tempo mi ha dato ragione. Mi proposi a quei lettori giovanissimi con grande rispetto nei loro confronti, facendo appello alla loro intelligenza e quindi, senza abbassare il livello del linguaggio, chiedendo loro di parlare con i genitori o i maestri quando non capivano qualcosa.
Il risultato fu che Sónoman era letto anche dai genitori e la sua lettura raccomandata nelle scuole (addirittura, seppi di alcuni professori delle scuole medie[2] che lo commentavano durante le lezioni). E successe qualcosa che persino oggi mi risulta misterioso: Sónoman è stato visto nelle agenzie di pubblicità (?), cosa di cui mi informai perchè io stesso facevo disegni animati pubblicitari e andando a visitare le agenzie ricevevo commenti.
Per quel che riguarda quei bambini di una volta, sono gli adulti quarantenni di oggi, che in continuazione scrivono sul mio sito ringraziandomi: è veramente commovente!
Oggi, 44 anni dopo la sua prima apparizione, le Ediciones de La Flor hanno pubblicato il primo volume della ristampa di Sónoman e hanno generato un grosso revival. Questa è l’avventura più significativa di Sónoman.



8)      Sónoman compariva su rivista oppure su una sua testata propria?

Realizzai interamente io Sónoman, testo e disegno, e fu pubblicato sulla rivista Anteojito diretta da Manuel García Ferré, a grande diffusione nazionale.



9)      Nelle tavole di Sónoman che ho potuto ammirare mi è sembrato di notare un certo influsso degli autori franco-belgi: le tavole presentano infatti molte vignette e c’è un mix di dinamismo e caricatura, un po’ sullo stile di Jijè. È un caso o forse ci fu veramente un’ispirazione a quella scuola?

Se effettivamente è così è solo per caso, una coincidenza, perchè all’epoca il mio sguardo, e i miei sentimenti, erano rivolti a Milton Caniff, a Roy Crane, a Fred Harman, ovvero agli americani. Quando erano già due anni che realizzavo Sónoman vidi per la prima volta Will Eisner e rimasi affascinato: era il modo di esprimersi che io affannosamente stavo cercando! Una conferma del cammino che avevo intrapreso. Ma mi influenzò (e molto) anche il grande Hugo Pratt, l’ho ammirato con tutta la passione di cui ero capace in gioventù.



10)  Dalle informazioni che sono riuscito a raccogliere mi pare di capire che l’esperienza di Sónoman si concluse intorno al 1976. Cosa fece dopo quella data? Collaborò alla riviste di fumetti della Record e della Columba come gli altri Suoi colleghi o si dedicò ad altro?

Sì, nel 1976 si concluse la pubblicazione di Sónoman perchè volli pubblicare una rivista mia. Ma feci un errore: erano momenti molto brutti per l’economia del mio paese, e durò solo due numeri. Questo abisso economico di cui ti parlo vanificò quasi ogni possibilità per l’editoria e tuttavia potei almeno fare una esperienza molto singolare con la realizzazione di El espíritu de Mascarín, pubblicato sulla rivista Chaupinela, con una politica editoriale dura e adulta. Il mio desiderio di scrivere si vide soddisfatto con questo fumetto visto che mi permise di lavorare sul fumetto con la tecnica del racconto letterario: mai prima di allora il disegno fu così simile alla parola scritta!
In due pagine autoconclusive, ogni 15 giorni, consegnavo una storia che si sviluppava in 40 o più vignette, vignette piccole ovviamente, che quindi non facevano risaltare i disegni e li costringevano ad essere pura narrazione. Anche questa fu un’esperienza formidabile.
Molto più tardi El espíritu de Mascarín fu ripubblicato, anche se ritoccato e adattato a storie di dieci pagine, per l’Eura Editoriale che lo ribattezzò Maschera[3]. Non lo vidi perchè non mi fecero mai pervenire una rivista, avrei potuto aggiustare il materiale e migliorarlo. Molto tempo dopo, quando non si pubblicava già più, mi capitò in mano un capitolo e vidi come era stato maltrattato, con un logo volgare e un lettering totalmente inespressivo. Sono i rischi della lontananza.
versione originale di El espíritu de Mascarín dalla rivista Chaupinela
versione rimontata comparsa su Skorpio (edizione argentina)
Maschera su Lanciostory

Dopo questo lavoro quasi non c’erano più possibilità qui nel mio paese e se volevo continuare dovevo guardare all’estero e fu così che senza esperienza, approdai all’Editorial Norma in Spagna e pubblicai sulla rivista Cimoc, cominciando con Mark Kane, detective en Hollywood, con testi di Linton Howard, e continuando con Big Rag che si avvaleva della bella scrittura di Carlos Albiac e, più avanti, Consummatum Est, di quel poeta che fu Yaqui (Patricio Mc Gough).
Ricordo che con Yaqui condividevamo l’ammirazione per il regista cinematografico Alain Resnais, soprattutto per il suo film Hiroshima mon Amour, tratto dai testi assolutamente letterari dell’ineguagliabile Marguerite Duràs. Potevamo fare lo stesso col fumetto? Fare risplendere la letteratura? Questo fu il nostro proposito con Consummatum Est. Yaqui dava briglia sciolta allo scrittore e mi dava i suoi soggetti e io mi lasciavo condurre da questa voragine letteraria ed elaboravo una sceneggiatura e poi i disegni.



11)  Alain Resnais è anche uno dei miei registi preferiti, ed è a sua volta un grande appassionato di fumetti (oltre a collaborare con autori francesi e a cercare di mutuare parti del linguaggio del fumetto nel cinema diresse un film dedicato a un fumettista di fantasia); ci sono altri film del regista francese che Le sono piaciuti particolarmente?

Purtroppo in Argentina non sono usciti molti film suoi, o forse io non me ne sono interessato più di tanto. Ricordo L’Anno scorso a Marienbad e La Guerra è finita, che ho visto parzialmente.

12)  I Suoi disegni sono molto spontanei ed espressivi, e sembrano essere realizzati con molta naturalezza e velocità: che metodo di lavoro usa? Realizza delle matite abbastanza dettagliate oppure come altri disegnatori dal tratto sicuro (ad esempio Gil Kane) la maggior parte del lavoro è fatto direttamente a china?
 
Ho sempre cercato di dare un’impressione di spontaneità nei miei disegni, come se non mi costasse nulla realizzarli; la verità però è che mi sforzo molto in questo senso, quei disegni sono il risultato di lunghe ricerche. Ma trattandosi di fumetto non lavoro mai direttamente a china perchè l’obiettivo non è creare un disegno “brillante”, bensì un disegno che contribuisca alla narrazione, e si è sicuri in tal senso solo quando si contempla la pagina nella sua interezza, ovvero quando tutta la tavola è impostata a matita; quasi sempre c’è la necessità di cambiare qualche inquadratura, di modificare una postura, correggere la luce, ecc.
Solo di recente mi permetto di esprimere in libertà con la china i sentimenti che voglio evocare o trovo questa spontaneità di cui parlavo. Mi sopraggiunge una grande impazienza e volo nei miei percorsi.

13)  Usa in prevalenza pennino, pennello o qualche altro strumento?

Uso di tutto: provo ogni cosa che produca un tratto finchè ottengo l’espressione che cerco. Ogni strumento dà una possibilità diversa. Anche se matita, pennino e pennello sono il mio pane quotidiano, non disdegno i pennarelli e qualsiasi strumento sia capace di produrre un segno (infatti ho usato piume d’uccello, rametti, perfino le mie stesse dita!).
Fa anche parte dei miei strumenti il computer, che contringo a realizzare quello che voglio. In realtà non mi importa quale strumento si usi per il lavoro, l’essenziale è mantenere la propria personalità; che lo strumento conduca sempre a essa.

14)  Per il mercato spagnolo Lei realizzò Mark Kane, scritto da Linton Howard[4], poi distribuito anche in altri paesi. Fu la prima occasione di lavorare per il mercato europeo? Come avvennero i contatti?

            Sì, come ho detto prima, Mark Kane fu il mio primo lavoro qui in Europa, ma lo avevamo cominciato prima quando Linton Howard viveva ancora in Argentina e concepimmo questo stesso detective per la rivista Skorpio, ma lo chiamammo Floyd Stark. Dopo alcune pubblicazioni Linton emigrò in Spagna e prese contatti con Cimoc, dove allora venne pubblicato come Mark Kane, detective en Hollywood.

15)  Un personaggio molto interessante tra quelli che ha realizzato è Lejos Pratt, per cui sembra avere un certo affetto: come lo presenterebbe ai lettori italiani?

Il quotidiano argentino La Nación pubblicava un supplemento per bambini e chiesero ad Albiac e a me un personaggio con caratteristiche ecologiche, molto legato alla Natura, che amasse gli animali. All’epoca avevo un grande amico (purtroppo scomparso) di stampo tedesco, molto alto e dalle spalle molto grosse, dall’aspetto ideale per il personaggio, si chiamava Alejo e da lui venne “Lejos” (lontano) che era molto indicato perchè dava anche l’idea della lontananza, della distanza, e questo era perfetto per un personaggio che percorreva l’intero pianeta.
Anche il volto del personaggio era ispirato a quello del mio amico. Per quanto riguarda il cognome “Pratt” fu una mia idea come omaggio a quel grande e ammirato Hugo Pratt, che a sua volta fu un gran viaggiatore e adoperò il mondo intero come scenario per le avventure dei suoi personaggi. Così nacque “Lejos Pratt”. È un fumetto che amo molto e che vorrei continuare perchè si può fare ancora molto e, naturalmente, coi i testi di Carlos Albiac.



16)  Lei ha lavorato sia su storie indirizzate a un pubblico molto giovane che su altre dai toni decisamente forti. Le affronta con uno spirito diverso o alla fine non ci sono differenze?
 
Sono convinto che un autore debba tenere molto in considerazione il pubblico a cui si rivolge. Sono innumerevoli le particolarità che distinguono ogni età e ogni livello, sia sociale che intellettuale. Queste differenze condizionano il mio ruolo di autore, mi obbligano a prendere bene la mira e ad ampliare la gamma della mia personalità, permettendomi di mantenere il “mio stile” oltre alle forme e alle apparenze. Questo lo imparai da quel genio che fu Pablo Picasso, che poteva fare le cose più diverse, dal classico al moderno, ma sempre lui rimaneva.



17)  Lei ha collaborato principalmente con tre sceneggiatori (escludendo le collaborazioni più rarefatte con Oesterheld, Barreiro e altri): Yaqui, Abulì e Albiac. Tutti e tre sono autori molto originali e dalla spiccata personalità, che differenze ha riscontrato nel lavorare con l’uno e con l’altro?

Credo che l’incontro di uno scrittore con un disegnatore per realizzare fumetti non sia sufficiente se non c’è armonia nella visione narrativa di entrambi. Le rispettive aree devono essere delimitate ma, al contempo, influenzarsi a vicenda. Persino nel caso che sia una stessa persona a realizzare i due aspetti, si deve sentire questa divisione per cui uno solo fa due cose distinte. Quindi, è importante l’intesa, lo stesso senso creativo e interessi comuni per creare questo genere complesso composto da letteratura che si disegna e disegno con qualità di scrittura.

Con i tre scrittori menzionati sento una forte affinità, benché ci siano in loro dettagli che li differenziano. Con Carlos Albiac ci riuniamo nei bar e lasciamo volare la nostra fantasia. Alla fine abbiamo realizzato quattro o cinque di quei mondi immaginari, ma decine rimasero nel calamaio. Albiac ha una sorprendente capacità di adattarsi ai vari generi e una sintesi formidabile; così come un notevole senso dell’immagine: è fondamentale nelle sue storie e quindi si affida completamente al realizzatore dei disegni.

Yaqui, come ho già detto, fu un mio grandissimo amico, quasi un fratello. Era poeta fino al midollo ed era capace di una sensibilità sterminata. Anche lui come me era disegnatore e, siccome a mia volta anch’io scrivo, i nostri lavori furono il frutto delle nostre intense conversazioni in cui si mescolavano filosofia e letteratura. È scomparso ad appena 62 anni e abbiamo perso la possibilità di continuare a provare cose nuove, ma sia i capitoli di Consummatum Est che la serie di Pieter Thijsz furono momenti di profonda felicità creativa.

...E di Enrique Abulí, cosa posso dire? Quanto è grande? Che organizzatore della narrazione, che creatore di atmosfere e personaggi originalissimi! Ed è anche una persona eccellente che rese indimenticabile il mio passaggio in Spagna. Enrique è uno scrittore che non dimentica, nemmeno per un istante, che deve raccontare con le immagini. Scrive pensando alle immagini, quindi mi fa sentire come un prolungamento della sceneggiatura che lui ha cominciato.

Riassumendo: Albiac è un grande creatore di atmosfere con una speciale capacità di sintesi. Yaqui fu la capacità poetica di costruire immagini metaforiche, con piena consapevolezza del sensibile e del passionale. E Abulí, la meravigliosa intuizione che il disegno deve essere “letto” a sua volta, che è parte integrante del testo stesso.

18)  C’è qualche altro sceneggiatore con cui ha collaborato che vuole ricordare in particolare?

Fu interessante lavorare con Ricardo Barreiro su Buenos Aires, las putas y el loco. Naturalmente fu indimenticabile (e come non potrebbe essere così?) il Galac Master con Oesterheld. E non voglio dimenticare di menzionare una sceneggiatura western di Mandrini.



19)  Sono contento che abbia citato Eugenio Mandrini, sceneggiatore ingiustamente dimenticato (anche su internet si trova poco o nulla), perchè volevo proprio approfondire la conoscenza con questo autore che fu un importante collaboratore di Skorpio e di cui anche in Italia abbiamo letto tante storie. Lei lo ha mai incontrato? Sa per caso se è ancora attivo o a cosa si dedica attualmente?

Purtroppo ho perso ogni contatto e in effetti non ho mai conosciuto personalmente Eugenio Mandrini. Qualcuno, non ricordo chi, mi disse che si era ritirato ma non posso garantire nulla.

20)  Un importante ruolo che Lei ha svolto è stato quello di collaboratore per molti altri disegnatori, anche se non sempre accreditato: ad esempio ha collaborato con Ernesto Garcia Seijas[5] e con Angel Lito Fernandez (vedi la storia Moran su L’Eternauta 16). Come avvenivano questi lavori? Ad esempio, Lei faceva le matite o il layout e poi il titolare si limitava a rifinire e inchiostrare?

La professione è un lungo cammino popolato di pastoie in cui bisogna imparare a destreggiarsi. La principale è la propria vanità. Molte volte, nei momenti migliori della mia carriera, volli fare da aiutante e questo mi permise di comprendere meglio il significato delle distinte fasi di realizzazione di una tavola a fumetti. Ad esempio, ho fatto molte “matite” e sempre mi chiedevo qual era la finalità che doveva perseguire; ciò che provava o avrebbe dovuto provare chi le inchiostrava.
Inoltre, mi ha sempre fatto piacere analizzare i diversi stili perchè è la maniera migliore di comprendere in cosa consiste il proprio. E per questo, l’ideale è lavorare con il titolare dell’opera. Così potei apprezzare l’enorme capacità fumettistica di Angel “Lito” Fernandez, ad esempio. Fu un piacere fare le matite per molti episodi di Dennis Martin.
Solitamente, quando faccio le matite, soprattutto quando sarà qualcun altro a inchiostrarle, vedo di farle molto pulite e con un disegno già ben strutturato, proprio perchè l’inchiostro possa liberarsi di questi aspetti e fluire con scioltezza.



21)  Lei ha anche realizzato le matite del famoso, o famigerato, terzo episodio dell’Eternauta, quello sceneggiato da Alberto Ongaro: cosa può raccontarci di questa esperienza?

Poco o nulla. Per me non fu nulla di speciale, diciamo. Fu un lavoro molto disarticolato per cui inizialmente l’inchiostrazione dei personaggi (in particolar modo i volti) la fece Solano Lopez e il resto Mario Morhain, poi Solano abbandonò il progetto e tutto finì nelle mani di Morhain. Ma non c’era alcun legame tra di noi, non più di qualche incontro di circostanza. Inoltre, non credo che quei testi fossero un esempio valido del talento di Ongaro.
            In effetti credo che tutto il lavoro fosse caratterizzato dalla cattiva idea di cercare di catturare lo spirito originale. Si cercò di approfittare del successo originale dell’Eternauta dimenticando le ragioni di quello stesso successo, il perchè di quel buon esito precedente. Oesterheld aveva sentito profondamente l’aspetto politico del cosiddetto Terzo Mondo e ci sommerse in un caos che denunciava l’avanzamento sconsiderato delle grandi potenze. C’era il cuore in quel primo Eternauta; in quella nevicata che finiva con buona parte del mondo si poteva percepire il proprio vero ambiente, la vita reale.
            Non fu un caso se divenne un fumetto così famoso. Oesterheld, oltre al suo talento, aveva riversato i suoi sentimenti e i personaggi risultarono vivi, reali. Non c’è nulla di questo nella terza parte, è fantasia pura che poggia sulla falsariga originale. E desidero parlare del mio stesso lavoro perchè non si pensi che giudico senza oggettività: è freddo e calcolato se lo paragono a quello pieno di passione del Solano Lopez giovane. In questo fumetto io mi sono limitato a svolgere la mia mansione e basta. Ma credo che anche nella seconda parte dell’Eternauta lo stesso Oesterheld già partiva con questo difetto. Sinceramente questa seconda parte non mi ha mai attirato. D’altronde c’è un detto che recita «nessuna seconda parte è buona come la prima»[6].

22)  Sempre parlando di collaborazioni con altri disegnatori, a me è sempre sembrato che in alcuni episodi della serie Rio Bray (attribuita a Collins e Lalia) ci fosse anche il Suo contributo. Sbaglio?

È vero, ho fatto io le matite, ma non ricordavo che lo avesse terminato Lalia, credevo che fosse stato García Seijas.



23)  Ha mai avuto qualche “ragazzo di bottega” nel Suo studio, qualche giovane disegnatore che ha lavorato per lei come assistente e poi ha avuto una carriera autonoma? Glielo chiedo perchè mi sembra di cogliere la Sua influenza (ma forse è solo una mia impressione) nello stile di altri disegnatori come Carlos Meglia e Horacio Domingues.

Da quasi quarant’anni integro la mia attività di creatore con quella di insegnante di disegno e fumetto in apposite scuole, come la scuola di Belle Arti della Città di Quilmes e, attualmente, nella scuola del famoso disegnatore umoristico Carlos Garaycochea. Non ho tenuto il conto ma non credo di mentire se dico che più di tremila alunni sono passati per quelle classi. Oggi ho una grande amicizia con molti di loro che adesso sono colleghi. Carlos Meglia venne alle mie lezioni negli anni ’70, nella scuola di Belle Arti, ed era a diciassette anni scarsi un disegnatore estremamente dotato che prometteva di diventare il Norman Rockwell argentino. Poi ne feci il mio assistente finchè se ne andò per conto suo coi risultati che tutti conosciamo. Domingues non fu mio allievo ma in effetti credo che subì l’influenza di Meglia con cui divideva uno studio agli esordi, oltre ad avere ovviamente altre influenze proprie.
Molti autori conosciuti si sono formati accanto a me e questo mi riempie di orgoglio e, allo stesso tempo, di modestia, come nel caso di Oscar Capristo, e anche Lukas e Ramirez, creatori di Cazador[7], e molti, molti altri.

24)   Anche se esistono (vedi ad esempio la copertina di La Città, le Puttane e il Matto), abbiamo visto pochissime Sue prove col colore: non Le piace lavorare con questa tecnica o semplicemente non ci sono state occasioni per farlo?

Mi sono appassionato intensamente a quella enorme sintesi che è il bianco e nero. L’espressività meravigliosa della linea, che trasmette il sentimento dell’autore, e le pennellate di nero che danno unità all’insieme e creano l’illusione delle sfumature e persino del colore. Però adesso sento molto interesse verso il colore. Beninteso, sempre che la sua funzione sia quella di raccontare. L’arte plastica dà le fondamenta ma la letteratura dà la definizione.
Durante le mie prime esperienze con Sónoman, nel 1966, non possedevo ancora questa capacità ma ciononostante sperimentai ispirandomi alla Pop Art, in voga in quel periodo. Tuttavia, la mia preoccupazione per il colore narrativo è attuale e sto realizzando, in collaborazione con Enrique Abulí, un romanzo grafico (questa è una primizia che ti do) dove metterò alla prova questo mio concetto del colore narrativo.



25)  Questo progetto con Enrique Abulí sembra molto interessante... può darci qualche anticipazione?

Credo che Enrique Abulí sia semplicemente quello che si chiama un autore: sensibilità, gestione mentale dell’immagine; scioltezza nell’approccio di situazioni parallele che finiscono per interagire nel modo più inatteso; un’incredibile definizione dei personaggi che sono ingranaggi che, una volta messi in moto, fanno procedere la storia e, soprattutto, un’idea o un concetto drammatico della vita che sta dietro la sua ironia e le sue molte morti.
Perchè dico questo? Perchè mai come questa volta sento il piacere di questa storia che stiamo facendo procedere rapidamente, fino alla fine benchè non sia stata ancora collocata presso nessun editore. Enrique ha già terminato la sceneggiatura (137 tavole) e io ho già fatto gli schizzi di tutto. È fantastico conoscere tutta la storia sin dal primo colpo: così si può aggiustare ogni dettaglio, ogni situazione di quello che verrà dopo, dando così più forza alla narrazione.
La storia si svolge in Francia, supponiamo negli anni finali, tragici, della Guerra dei Cent’Anni, però è solo una indicazione, perchè non c’è nulla di storico, nè si vedono scene di guerra. È solo lo scenario, come avrebbe potuto essere qualsiasi altro. In quel luogo e in quel tempo, personaggi di tutti i tipi hanno i loro conflitti e si relazionano dando forma alla trama. È una narrazione dove il dramma e l’ironia sono sovrani dall’inizio alla fine. Anche i disegni devono raccontare la stessa cosa, accentuare le scene drammatiche e naturalmente lo stesso vale per il colore. Dico “colore narrativo” perchè la questione non è abbellire le vignette bensì applicare i colori seguendo lo stesso criterio della sceneggiatura e del disegno, vale a dire con il proposito di raccontare, di narrare la nostra storia.
Sono molto entusiasta perchè poche altre volte ho visto qualcosa di così splendido e se ho maturato un’esperienza la sto riversando tutta in questo lavoro.

26)  Cosa pensa del computer e delle potenzialità che può avere nella realizzazione di fumetti? Guardando il Suo sito sembra che abbia molta confidenza con questo strumento.

Il computer, nel mio caso, è uno strumento in più accanto ai normali ferri del mestiere come matite, pennini e pennelli; tuttavia offre possibilità molto particolari e non intendo certo sprecarle. È chiaro però che obbligo il computer a rispettare il mio stile e non mi sottometto a esso! Se si concepisce così, è uno strumento magnifico.

27)  A proposito del Suo sito internet http://www.oswalcomic.com.ar/index.shtml: è molto interessante e ben fatto, ma mi sembra che non venga aggiornato da un bel po’. Si è rivelata un’esperienza insoddisfacente o semplicemente non ha più avuto tempo di aggiornarlo?

Secondo me internet è stato rovinato dalla enorme e indiscriminata quantità di blog che lo riempiono. Quando ho aperto il mio sito, ce n’erano pochi e questo mi entusiasmò. Adesso vedo tanta gente che senza esperienza dà consigli e lezioni, e questo mi ha demoralizzato. Ciononostante, sto preparando qualcosa di nuovo e spero di concretizzarlo.

28)  Se un fan volesse comprare un Suo disegno o una tavola originale come potrebbe fare?

Diciamo che può scrivermi all’indirizzo e-mail che si trova sul sito www.oswalcomic.com.ar

29)  Grazie della disponibilità.

            Sono io che ti ringrazio.


[1] Vedi ad esempio Historietas – Storia, personaggi e percorsi del fumetto latino americano (Mazzotta, 1997)
[2] “nivel secundario” in originale.
[3] A partire da Lanciostory 42 del 2005.
[4] Pesudonimo di Joan Freijomil Benavent
[6] Mettere versione originale di Oswal visto che la traduzione non è identica? – tipo “nunca segundas partes fueron buenas” in originale.
[7] Supereroe irriverente e vagamente underground, dalla vita editoriale piuttosto travagliata. Creato nel 1992, ha annoverato anche Ariel Olivetti tra i suoi disegnatori. Serie di culto in Argentina, ha ospitato nelle sue pagine dei “camei” di figure politiche reali e di celebri protagonisti delle historietas argentine.

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