venerdì 29 maggio 2020
martedì 26 maggio 2020
sabato 23 maggio 2020
Altri tempi
Il mio primo contatto con la
gloriosa rivista Orient Express (ma L’Eternauta era meglio) fu con una
raccolta, la numero 6. Anni dopo mi procurai la collezione completa e quella
raccolta la regalai ad Alessandro Olivo.
Visto che i numeri dal 16 al 18 li conoscevo quindi sin troppo bene, letti e
riletti, non avrò fatto molto caso a un particolare che ho notato adesso
sfogliando tutti i numeri di seguito: il precedente possessore del numero 16 (datato
novembre 1983) aveva tentato di fare il cruciverbino a pagina 84 e, oltre a
dimostrare scarsa competenza fumettistica (conosceva Conan ma non Nick Fury?
Non aveva mai sentito parlare di Furio Almirante? E nemmeno di Gim Toro?), non
era una cima neanche in Storia né aveva una grande inclinazione per la logica.
Basta vedere sotto le correzioni della riga 24 a chi aveva attribuito
inizialmente l’eventuale fedeltà di Ivan
Timbrovic, un personaggio di Cavezzali di cui bastava il nome per capire
nazionalità e inclinazioni…
Ho riso di gusto, ma anche da
questi particolari si può intuire la temperie culturale di un’epoca in cui l’onda
lunga della passione politica degli anni ’70 non era ancora sopita.
giovedì 21 maggio 2020
Fumettisti d'invenzione! - 149
Mi permetto di integrare il
divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti
d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui
ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo
originale.
CARTOONIST COME
PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)
(Italia 2020, © Torti/Valentini, slice of life)
Marco Torti (T), Fabio
Valentini (D)
Spronato da una professoressa,
Leonardo cerca di capire cosa vuole fare dopo il diploma di maturità
scientifica. Per caso si scopre fumettista e si iscrive a un corso dove viene
intercettato da Gianfranco Marelli in arte Jeff, un professionista un tempo
molto famoso che ha abbandonato il fumetto e si infiltra nelle scuole di
fumetto per trovare il suo erede artistico(!). Le lezioni di “sceneggiatura” di
Jeff sono caratterizzate da una dedizione e una calma zen, forse vorrebbero
essere parodistiche ma hanno qualcosa di inquietante. Contro il parere di Jeff
Leonardo si fa pubblicare una sua opera (pagando lui la stampa) da un “editore”
poco di buono che campa sull’ingenuità degli aspiranti fumettisti. Il rapporto
tra i due si incrina, ma alla fine si ritroveranno.
I corsi a cui inizialmente
partecipa Leo sono tenuti da Luigi Sperati e Michele “Mig” Ruffazzi; il primo è
forse un omaggio a Gianluca Caputo che firma la prefazione, visto che la
pensano alla stessa maniera sulla costruzione di una storia.
Pseudofumetto: l’opera prima di Leonardo, che alla fine scopriremo
essere diventato un autore affermato, è Il
Culto di Mezzanotte.
CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – ONE SHOTS IN PUBBLICAZIONI
ANTOLOGICHE (pag. 56)
(Argentina 2007, in La Duendes
(segunda época), © Ramòn de la Fuente, umorismo)
Ram [Ramòn de la Fuente]
Un disegnatore di fumetti cerca ispirazione
per una storia, ma nella maniera sbagliata: fumandosi un sigaro Habana dopo
aver bevuto del mate.
Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei;
fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)
HIS NAME
IS… CAIN! KANE (IL SUO NOME É… KANE)
(Stati Uniti 1969, in House of Mystery, © DC Comics, horror,
umorismo)
Mike Friedrich (T),
Gil Kane [Eli Katz] e Wally [Wallace Allan] Wood (D)
Il fumettista Gil Kane,
infastidito dalla pressione che gli mette addosso il supervisore Joe Orlando e stufo
di disegnare fumetti stupidi inchiostrati male e letterati peggio, si cerca un
angolino tranquillo dove realizzare in pace una storia tutta sua. Finisce così
nella Casa del Mistero, titolo della testata antologica ma anche luogo “reale”
nella cosmologia della DC da cui l’anfitrione Cain presenta le storie, e qui si
ritrova prigioniero del suo stesso fumetto realizzato con l’aiuto di forze
soprannaturali.
Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei;
fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)
(Inghilterra 2012, © Mary e Bryan
Talbot, biografico)
Mary M. Talbot [Mary Atherton]
(T), Bryan Talbot (D)
L’autrice Mary Talbot, figlia di
un eminente studioso di James Joyce, traccia un parallelo tra la sua vita e
quella di Lucia: inevitabilmente l’opera abbraccia anche molte scene che
coinvolgono il fidanzato e poi marito Bryan Talbot, celebre fumettista.
martedì 19 maggio 2020
domenica 17 maggio 2020
Visioni - Graphic novel italiano 2: Cinquemila chilometri al secondo
In barba al Coronavirus gli
allegati da edicola continuano e uscire e a moltiplicarsi, addirittura con una
collana dedicata al “graphic novel” che, ignaro della sua esistenza, ho visto
occhieggiare l’altro giorno in edicola. In attesa di tornare in fumetteria ho
voluto dare una chance a questo lavoro pluripremiato di Manuele Fior.
La “storia” di Cinquemila chilometri al secondo ruota
attorno al rapporto tra Piero e Lucia, detta Lucy, su cui incombe l’ombra
dell’amico Nicola. Dall’adolescenza fino alla maturità, si sviluppa nel tempo
in momenti e luoghi lontani tra di loro.
Fior procede in maniera sincopata
prendendo dei lunghi stralci dalla vita ora dell’uno ora dell’altra
protagonista, lasciando al lettore il compito di ricostruire quello che si
dicono i personaggi al telefono e di capire quello che è successo negli anni,
spesso parecchi, intercorsi tra un tranche
de vie e l’altro. Il gioco è quindi quello di ricomporre il puzzle delle
vite dei personaggi approfondendo il loro carattere e i loro rapporti. La
narrazione è ridotta ai minimi termini, pressoché inesistente, e in sostanza
non c’è nessuna idea forte a fornire il pretesto per una trama originale. Il
fumetto (pardon, graphic novel) si basa sulla levità del tema, sulla suggestione
del tratto, sui dettagli, sui giochi di sguardi, sull’uso del colore, sulle
sequenze oniriche, sul non detto. E anche su un po’ di ironia, per fortuna.
Un’operazione non peggiore di tante altre, che però tende a esasperare per la
sua lunghezza: circa 140 pagine che probabilmente sarebbero state più efficaci
se condensate almeno un po’, in modo da rendere ad esempio più evidente
l’evoluzione dell’insegna “ristorante”, quasi metafora del rapporto tra Piero e
Lucia. I disegni, almeno, sono piacevoli. Coerentemente con il premio che gli è
valsa questa opera, Fior disegna con uno stile fauvista, ma per fortuna l’art nègre alla base soprattutto delle
prime pagine lascia lo spazio a una varietà di stili che passano da Alphonse
Mucha a Disney, anche se quest’ultimo è una citazione. Sempre molto sintetico e
rigoroso, fa parlare i colori quanto e più delle posture e delle espressioni.
Da notare, e portare a esempio per altri autori, che ha fatto il lettering a
mano – preziosismo (ormai è tale!) per cui gli si perdonano volentieri alcuni rari
errori ortografici. Una curiosità: quando ha realizzato Cinquemila chilometri al secondo Fior doveva avere il terrore di
invecchiare visto che i protagonisti, nemmeno quarantenni (se ho fatto bene i
conti), sono dei ruderi.
Da quanto leggo del piano dell’opera
in appendice, e che si può visionare anche qui,
questa collana Visioni è molto
eterogenea e la nazionalità degli autori è l’unico collante di fumetti (pardon,
graphic novel) molto diversi per impostazione e stile. Il formato 17x24 è
probabilmente inevitabile e anche abbastanza azzeccato, almeno per alcuni, ma
una carta patinata avrebbe sicuramente fatto risaltare di più i colori di Fior.
E 10,90 euro non sono certo un prezzo vantaggioso, tanto meno se lo
confrontiamo con quello di altre iniziative simili. Ma magari è proprio una
strategia di marketing per invogliare con un costo del genere un appassionato
di graphic novel dell’ultima ora, che troverà conferma di non stare comprando
merda (se non fosse che pure la merda ormai costa più o meno così).
venerdì 15 maggio 2020
Historica Biografie (I Grandi Pittori) 37: Gustav Klimt
Neanche stavolta ho trovato immagini della copertina in rete... |
Questa seconda uscita dedicata ai
Grandi Pittori è decisamente migliore della prima.
In sostanza viene narrata la genesi dei quadri Giuditta e la testa di Oloferne e Ritratto di Adele Bloch-Bauer. Tra sogni e incubi indecifrabili e
la dura realtà (“dura” fino a un certo punto, Klimt era comunque un
privilegiato anche se il suo amico ministro Von Hartel accetta di confiscare le
copie della rivista Ver Sacrum con i
suoi disegni) il protagonista cerca di metabolizzare lo sconforto per le
critiche ricevute dopo la collettiva della Secessione Viennese nel 1901. Riesce
a tirare avanti grazie alla vivacità delle sue esuberanti modelle e soprattutto
alla conoscenza con Adele Bloch-Bauer, moglie di un ricchissimo industriale
dello zucchero che lo stima sia come pittore che come uomo. Sei anni dopo
realizzerà il ritratto della donna dopo che la sua presenza aveva già fatto
capolino nella sua produzione (e nei suoi incubi).
Oltre a questo, della vita di
Klimt non viene detto praticamente nulla: Jean-Luc Cornette manda avanti la
storia tra aneddotica spicciola, sequenze oniriche e occasionali punte di
umorismo, e il risultato è ammaliante.
Marc-Rénier fa un lavoro
dignitoso ai disegni, che sarebbe stato migliore se avesse inchiostrato le sue
matite. Così come sono state pubblicate risultano evanescenti e a volte solo
abbozzate. Anche gli sfondi risultano occasionalmente un po’ poveri. D’altro
canto, è anche vero che il disegnatore è molto espressivo. I colori di Mathieu Barthélémy
tendono ad appiattire la parte grafica, anche se è comunque piacevole andare a
caccia delle citazioni dei quadri di Klimt.
Molto interessante (e
indispensabile per conoscere la vita di Klimt e quindi contestualizzare gli
anni passati in rassegna nel volume) l’apparato redazionale curato da Dimitri
Joannidès. Confesso che non sapevo che, vissuto da star, era finito nel
dimenticatoio subito dopo morto. Ed è ovviamente spassoso avere un ulteriore
esempio di come chi in vita fu un innovatore iconoclasta venga inevitabilmente
considerato un classico reazionario dalle generazioni successive.
mercoledì 13 maggio 2020
martedì 12 maggio 2020
Low Road West
Nel consueto futuro
post-apocalittico un autobus sta portando cinque ragazzini verso San Francisco,
in un campo profughi dove saranno al sicuro dalla guerra civile nucleare che
sta infuriando negli Stati Uniti d’America. Ma l’autista dà forfeit e i ragazzini
devono arrangiarsi da soli finché arrivano in un paesello ribattezzato Duster’s
Wake dal Custer’s Wake che era in origine. Incontro di prammatica con una banda
di predoni post-atomici, poi si infilano in una misteriosa casa in stile
vittoriano (oddio, non so se lo stile architettonico sia proprio vittoriano: è
la tipica villa delle piantagioni del sud, per capirsi). Qui il più piccolo e
problematico dei cinque, Ben, entra in contatto con una realtà stramba dopo
aver già sperimentato per la strada uno strano fenomeno per cui una carcassa di
alce non voleva restare morta.
Un ufficiale dell’esercito si
mette sulle loro tracce, una misteriosa ragazzina guerriera li protegge e nel
corso dei loro dialoghi apprendiamo che non tutti i giovani protagonisti sono
innocenti come vogliono far credere o hanno raccontato delle storie veritiere
sulle loro origini.
La soluzione del mistero che
circonda la villa, o almeno una parte di essa, in realtà ci viene già data con
l’esergo che riporta una considerazione del suo proprietario Abraham Morrow, e
sarebbe anche stato un discreto tocco di classe se il fumetto avesse avuto più
mordente e fosse stato più coinvolgente.
Low Road West mischia insieme tante cose: l’ennesimo mondo
fantascientifico post-atomico, ricerche arcane a metà tra scienza e magia,
maledizioni indiane, mondi alternativi, mostri pseudo-giapponesi, tentativi di approfondimento
psicologico e forse qualche punta di critica alla politica statunitense attuale.
Troppo materiale per una miniserie di cinque episodi. Anche se l’aspetto
testuale è comunque superiore a quello grafico.
Flaviano ha infatti uno stile
sintetico e a volte stilizzato, che vorrebbe essere espressivo e che per questo
soprassiede sulla correttezza anatomica: gli occhi dei personaggi di tre quarti
sono innaturali, in molti primi piani i nasi dei ragazzi sono suini
indipendentemente dal personaggio e dalla sua etnia, a volte gli arti si
piegano e si allungano innaturalmente per assecondare i movimenti… Le derive
pupazzettistiche hanno anche il difetto di rendere i “cattivi” e i mostri non
minacciosi come dovrebbero essere ma tristemente ridicoli. Niente male, però, i
colori di Miquel Muerto (che spero per lui sia uno pseudonimo).
Un fumetto anonimo, se non
proprio mediocre, ma va riconosciuto a Phillip Kennedy Johnson lo sforzo di
cercare di inventarsi qualcosa di originale. Cos’abbia di tanto speciale
Flaviano, però, proprio non l’ho capito.
domenica 10 maggio 2020
Forse sono io prevenuto?
È quello che mi sono chiesto dopo
essermi lamentato per l’ennesima volta della presenza su Historica di un fumetto di guerra.
E allora ho pensato di quantificare questo n
(“ennesimo” deriva dalla variabile n che si usa in matematica? boh), cercando di
essere il meno rigido possibile nel valutare il genere di un fumetto, visto che
alcuni presentano aspetti che potrebbero facilmente essere associati al genere
bellico. Forse sono io ad avere una percezione sbagliata. Orbene, su un totale
di 91 volumi usciti finora ho trovato ben 31 fumetti di guerra “puri”,
praticamente poco più di uno su tre. Uno sproposito. E questo tenendomi appunto
largo e senza mettere nel computo Ricordi
della Grande Armata e altri.
Se però comprendiamo nell’insieme
anche i fumetti napoleonici (che volenti o nolenti devono parlare anche di
guerra) il totale aumenta di 4 unità, stessa cifra che andrebbe messa nel computo
se ci mettessimo dentro anche quelli in cui la guerra si percepisce anche se
non si vede direttamente, come Berlino
e I Cosacchi di Hitler. E non ho
nemmeno tenuto conto di quei fumetti che effettivamente trattano di guerra, ma
da un punto di vista diverso (Fax da
Sarajevo) oppure con abbondanti innesti soprannaturali (Adler/Eagle): dovrebbero entrare nel conto anche loro e così si
aggiungono altri 3 volumi. Poi ci sarebbero certi episodi de Le Torri di Bois-Maury che sono
ambientati durante le Crociate e forse in qualche conflitto successivo, ma
nella mia magnanimità non li ho considerati, così come non ho tenuto conto
nemmeno di Valois. Però La lama e la croce è stato inserito
nella categoria-ombrello della Guerra dei Trent’Anni e forse (non l’ho letto) anche
quello è di genere bellico.
Insomma, il totale arriverebbe a
toccare quota 42, se non addirittura 43. Certo, non sono mancate delle belle
letture anche in questo contesto, ma veramente mi sembra che sia stato dato
troppo spazio a questo genere. Con tutto il ben di dio che attende di essere
edito o ristampato in Italia…
sabato 9 maggio 2020
Historica 91 - La Grande Guerra: Il bambino soldato
impossibile trovare in rete un'immagine della copertina, accontetatevi di questa porcheria |
Ma che bella sorpresa: la
Mondadori torna a pubblicare un volume dedicato alla Prima Guerra Mondiale. E
saremmo pure fuori tempo massimo, visto che il centenario della fine del
conflitto è passato da due anni. Non fosse che in questo periodo ho bisogno di procacciarmi
fumetti avrei lasciato il volume in edicola, e non mi sarei perso granché.
Il bambino soldato che dà il
titolo a questo trittico di volumi è Jean-Corentin Carré, personaggio realmente
esistito: una gloria nazionale imbevuta di patriottismo smaniosa di prendere
parte alla guerra nonostante i suoi soli 14 anni, che riuscirà veramente a
farsi arruolare mentendo sulla sua età e sulla sua identità. Jean si trova così
catapultato nell’inferno delle trincee, ma un po’ grazie al suo coraggio e un
po’ grazie alla fortuna riuscirà a mantenere salva la pelle e addirittura a far
carriera nell’esercito nonostante chiunque lo incontri noti il suo aspetto
fanciullesco. Una volta scoperto l’inghippo viene congedato ma non si dà per
vinto e, memore di quello che vedeva nelle trincee di Verdun, azzarda
l’arruolamento in aviazione riuscendo a coronare anche quel suo sogno, che però
si rivelerà deludente rispetto alla sua sete di sangue tedesco.
I testi di Pascal Bresson sono un
misto di retorica e di dettagli storici, come spesso avviene nelle storie di
questo genere. La narrazione un po’ sincopata non si fa leggere in maniera
troppo fluida (non sempre i flashback fanno riferimento alle scene a cui sono
associati) ma almeno movimenta un po’ una struttura che bene o male è pur
sempre quella tipica dei fumetti bellici. Tra le pennellate documentaristiche,
scopro grazie a Il bambino soldato che
i militi al fronte ce l’avevano coi gendarmi. Meno lodevole la deriva
metanarrativa per cui i due autori principali si siano autoritratti in tali
vesti. Confesso di non aver colto il simbolismo della penultima pagina, ma d’altra
parte non mi ci sono nemmeno messo troppo a rifletterci sopra.
La figura di Carré, che
curiosamente anche familiari e amici stretti chiamano sempre con nome e
cognome, risulta poco meno che schizofrenica: l’entusiasmo degli esordi si
stempera presto in un cinismo fatalista, che passa però anche attraverso
momenti di esaltazione, fugaci ingenuità, timore di Dio (dopo che nelle prime
pagine per poco non mandava a quel paese il parroco) e meccanico eroismo. Al
culmine di tutto ciò, Jean diventa pure un bello stronzetto. È probabile che Bresson
abbia cucito insieme la vulgata sul personaggio, ovviamente ingigantita a scopi
propagandistici, con elementi reali come le lettere che indirizzava alla madre;
la ricerca delle contraddizioni nella personalità di Jean sarebbe quindi voluta,
e certo giustificabile anche con la giovane età del protagonista ancora in
formazione, ma resta comunque un po’ spiazzante.
La parte grafica asseconda quella
testuale: al di là del fatto che nel primo dei tre capitoli i disegnatori sono
due (Stéphane Duval e Lionel Chouin), la schizofrenia si mantiene per tutto il
trittico presentando cinque o sei stili di disegno diversi: a volte si azzarda
un realismo un po’ alla Alain Mounier (tanto per citare un riferimento
vagamente simile) ma questo viene presto abbandonato in favore di concessioni
un po’ caricaturali oppure di un tratto adatto a illustrazioni per ragazzi,
mentre fanno anche capolino cascami espressionisti con derive quasi underground, inquadrature d’effetto
quasi supereroistiche e tavole disegnate con un tratto sporco e pesante. Il
risultato non è pessimo, ma comunque spiazzante. Il primo episodio è colorato
da Jean-Luc Simon che fa un buon lavoro mentre Patrick Larme non rende
giustizia ai disegni di Chouin negli episodi successivi.
In ultima analisi Il bambino soldato non è certo un brutto
fumetto, e probabilmente piacerà agli appassionati del genere. Io però mi
ricorderò questo volume principalmente per tre cose: alcuni rari fuori registro
come se la stampa fosse partita da pellicole (quando invece le pellicole di
stampa non si usano più, giusto?), la colta introduzione in cui Sergio Brancato
infila di tutto pur di non parlare della storia e rovinarne la lettura (o forse
pure a lui non è che interessasse molto) e la soddisfazione di essere riuscito
a individuare il numero 91 sul dorso, stampato in nero su un fondo scurissimo.
È visibile solo a una certa angolazione e con le giuste condizioni di luce, ma
c’è.
mercoledì 6 maggio 2020
Cacciatori di Morti?
Da quello che leggo in giro sul web
quest’anno a Modena il consueto supplemento di Sine Requie che avrebbe dovuto essere presentato in quell’occasione
sarebbe stato Cacciatori di Morti,
che chissà se e quando potrò prendere (il PlayModena di quest’anno è stato spostato a settembre dopo un primo posticipo a
fine maggio, ma probabilmente anche queste nuove date sono ottimistiche).
Pur non avendo quindi il manuale
a disposizione rimane purtroppo il dubbio, anzi la certezza, che tra quarantotto
anni e sei mesi starò ancora qui a lamentarmi del fatto che gli autori non
abbiano ancora spiegato cosa diede origine al Risveglio e cosa si trova “oltre
la Soglia”.
domenica 3 maggio 2020
Storia dell'Universo Marvel
Volumone celebrativo come
periodicamente ne vengono prodotti (credo) per fare il punto sulla situazione
del Marvel Universe sostituendo in questo caso le vecchie guide che erano solo
scritte e illustrate con materiale di repertorio.
La “storia” è scritta da Mark
Waid, motivo per cui ho azzardato a dare una chance alla lettura della
miniserie, ma in realtà avrebbe potuto scriverla chiunque, a patto di
rileggersi tutti gli albi Marvel o di farseli riassumere. La miniserie non è
altro che un compendio di storia della Marvel, senza alcuna rilevanza
stilistica e con un unico guizzo creativo relativo alla sola situazione di
partenza: all’approssimarsi della fine dei tempi (quando il vecchio universo
verrà sostituito da uno nuovo) Franklyn Richards parla con Galactus del passato
e del futuro, “futuro” che per loro è già avvenuto, del mondo che sta per
essere annichilato per ripartire poi da zero. Mentre il primo, che ricostruirà
l’universo dopo la fine, è sempre lucido, il secondo perde progressivamente
contatto con la realtà. Questo meccanismo serve a giustificare il fatto che,
proprio quando si arriva agli eventi del 2019, Galactus si perde e riassume
rapidamente gli scenari futuri canonici del Marvel Universe, come il 2099, il
mondo di Deathlok, di Killraven, ecc. senza sbilanciarsi troppo sulle loro
collocazioni temporali.
Si tratta insomma di un tentativo
di costruire una cronologia coerente che unisca tutti gli albi pubblicati della
Marvel, sino al prossimo evento epocale che cambierà di nuovo le carte in
tavola e richiederà probabilmente qualche altra aggiustatina nella cronologia.
Ma dalle date di pubblicazione degli albi citati nelle note evinco che l’ansia
di dover giustificare tutto in una maniera coerente non è un vizio recente.
Dignitosi i disegni di Javier
Rodríguez (anche colorista) e Álvaro López, però visto il tipo di “storia”, per
nulla narrativa ma interamente compilativa, sarebbe stato meglio uno stile più
ricco e dettagliato, da illustratore. In questo caso non c’è nemmeno la scusa
dello storytelling per giustificare
la pochezza dei disegni. Alle copertine un irriconoscibile Steve McNiven che
insieme a Mark Farmer e Morry Hollowell fa il verso allo stile degli anni ’80
(o ’70? o ’60?).
Non manca qualche curiosità: io
ad esempio non sapevo dell’invenzione del fittizio conflitto del Sin-Cong creato
appositamente per ambientarci alcune storie accadute nel Vietnam, che anche nel
Marvel Universe esiste ed è stato teatro della guerra omonima durata anche lì
un lasso di tempo ben determinato, e che quindi potrebbe essere in conflitto
con l’età di alcuni personaggi che in origine vi presero parte. Ma oltre a
questo La Storia dell’Universo Marvel
non ha nulla da offrire a livello narrativo e stilistico, anche se sono sicuro
che alcuni aficionados Marvel si commuoveranno
rivedendo sequenze lette durante la loro infanzia o adolescenza e assistendo
alla “morte” (ma chi ci crede…) dell’universo Marvel.
Come dicevo all’inizio, questa
miniserie aggiorna e sostituisce i comic book enciclopedici sulla storia della
Marvel (mi pare si chiamassero Handbook,
anche io ne ho uno) e infatti include alla fine un elenco di personaggi che non
sono stati menzionati nel “fumetto”.
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