Il primo dei due romanzi ridotti, opera di Renée Reggiani accolta da un grande successo all’epoca della sua uscita, risulta purtroppo assai poco amalgamato con i disegni. Ignoro come fosse il testo di partenza e immagino che sicuramente sia stato operato qualche taglio, però i brani sembrano essere stati riproposti tali e quali senza prestare attenzione alle necessità del disegnatore, che ha dovuto operare una scelta tra il materiale molto denso che costituisce ognuna delle didascalie finendo per dare risalto a elementi che un lettore potrebbe non collegare direttamente al testo. Dall’introduzione di Giovanni Nahmias intuiamo che questa versione venne fatta dalla stessa Reggiani, che comprensibilmente non avrà voluto decurtare o modificare troppo il suo romanzo. Le illustrazioni sono comunque stupende, realizzate con una stratificazione di tecniche diverse tra cui anche il collage, ma dimostrano indirettamente quanto Di Gennaro fosse poco portato per il fumetto, con i personaggi che cambiano volto di immagine in immagine e senza mai la volontà o la capacità di caratterizzarli.
Letta oggi la storia risulta inevitabilmente datata, anche se fornisce la testimonianza di un periodo storico molto importante per l’Italia (uscì nel 1962, all’inizio del boom che creò correnti migratorie da sud a nord). La protagonista Agata La Rosa vive ad Agrigento in un contesto di arretratezza che le impedisce di proseguire gli studi come vorrebbe, inoltre fa presto conoscenza con la violenza e la sopraffazione, che si manifestano con le malefatte di quanti sfoggiano una piuma gialla, segno di riconoscimento di una proto-mafia. Giunta a Torino con la famiglia dovrà scontrarsi con i pregiudizi verso i meridionali e con un mondo così diverso e freddo rispetto alla natia Sicilia, finendo per partecipare involontariamente a un inverosimile traffico di diamanti in Costa Azzurra!
Sospesa tra cronaca, dramma e rari sprazzi umoristici (ma forse le vicende cittadine della capra Ciccuzza in origine volevano essere drammatiche), la storia viene presentata con un ritmo sincopato un po’ spiazzante che non ne agevola la lettura, con personaggi che scompaiono e ricompaiono come niente fosse e repentini cambi d’ambientazione, ma probabilmente la pubblicazione settimanale su rivista non fece pesare la cosa.
Diverso il discorso per Piccole donne, frutto di una riduzione a opera di Franca Basaglia. Stavolta mi sembra che ci sia stata una maggiore cura nell’organizzazione del testo, o forse a Di Gennaro vennero date istruzioni più precise su cosa disegnare, sta di fatto che le immagini si sposano più armoniosamente con la parte scritta che illustrano (ma tecnicamente le accompagnano, illustrano ben poco). Se, come ricordato nell’introduzione di Giovanni Nahmias, Di Gennaro ritiene Il treno del Sole il suo capolavoro, Piccole donne è però più leggibile, più diretto, più comunicativo. Il polpettone della Alcott è stato evidentemente scorporato nelle parti più importanti e organizzato in modo tale che ognuna diventasse un capitolo da pubblicarsi settimanalmente. Ogni giudizio su questa storia indirizzata a un pubblico infantile è superfluo anche perché la storia è arcinota, comunque mi viene sempre da ridere quando, come in un romanzo di Dostoevskij, leggo di “poveri” che hanno la servitù (in questo caso una cuoca di colore).
Dopo aver letto entrambe le riduzioni, ed essermi accorto di quanto fossero poco funzionali da leggere (davvero i lettori del Corriere dei Piccoli gradivano queste proposte? Non sarebbero state meglio delle versioni illustrate più canoniche o dei fumetti veri e propri?), le ho “rilette” godendomi solo i disegni e devo dire che funzionano meglio così. Il treno del Sole, per i motivi che ho ricordato sopra, permette addirittura al lettore di farsi una sua storia personale con gli elementi che vede disegnati – splendidamente disegnati.
In appendice un brevissimo ma gustoso ritratto di Di Gennaro a opera di Alfredo Castelli e una selezione di meravigliosi esempi della sua arte. La qualità di stampa è ottima ed essendo Lo Scarabeo partito dagli originali si possono cogliere quei particolari che nell’edizione originale erano sfuggiti e godere del bianco e nero laddove Il Corriere dei Piccoli usò una colorazione apocrifa – e anche piuttosto piatta a giudicare dalle immagini riprodotte nell’introduzione.
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