Infarciti di molteplici rimandi grafici e testuali (chissà quanti me ne sono sfuggiti) sfilano quindi i resoconti dell’esperienza di Martin Mystère con un aggeggio che mostra i desideri delle persone, l’origine aliena del colore magenta nel 1859 e il passaggio da un universo all’altro attraverso i colori chimerici, quelli che restano sulla retina dopo che si è fissato un oggetto. La cornice è affidata a Giancarlo Alessandrini mentre le singole storie sono disegnate rispettivamente da Fabio Grimaldi, Alfredo Orlandi e Rodolfo Torti. Ovviamente alla fine tout se tient ma la ventina scarsa di pagine in cui sono confinati i singoli racconti sono forse un po’ poche per sviscerarne al meglio il senso e i meccanismi che le animano, così come il finale sembra un po’ affrettato. Poco importa: si tratta di un numero celebrativo e come tale l’attenzione di Carlo Recagno viene posta sul divertimento e sulle strizzatine d’occhio, azzeccando alcune sequenze gustose come l’intraprendenza di Virginia Oldoini davanti ai suoi pavidi “colleghi” maschi.
Inaspettatamente i colori di Alessandro Muscillo funzionano molto bene col tratto austero e chiaroscurale (beh, non in questa occasione) del bravo Orlandi.
L’albo è come di consueto integrato dei redazionali di Castelli che approfondiscono le tematiche del numero (curioso che non abbia citato il nero di Anish Kapoor, ma forse perché il nero è la somma di tutti i colori – o è l’assenza di tutti i colori? Gli anni dell’Istituto d’Arte sono così lontani, accidenti) e addirittura introducono il soggetto e parte della sceneggiatura di un ipotetico numero 500 che un mai così funesto Castelli asserisce essere assai improbabile.
Termina inoltre il romanzo a puntate di Andrea Cappi e vengono proposte una striscia dei Bonelli Kids (di Tino Adamo e Luca Bertelè) e una tavola di Zio Boris (Castelli-Bonfatti) entrambe in tema col numero celebrativo.
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