La vita non ha senso. Probabilmente anche per questo la fiction narrativa
deve avercelo, un senso. Non solo tutto deve avere una spiegazione logica e
avere una conclusione identificabile come tale, ma la narrazione deve essere
improntata alla sintesi e alla chiarezza. Nella vita reale inciampiamo,
tossicchiamo, dimentichiamo senza malizia alcuni dettagli, non scopriamo
informazioni importanti solo accendendo l’autoradio esattamente nel momento
preciso in cui vengono trasmesse. Nella fiction narrativa invece questo accade
solo per motivi legati alla trama e al suo svolgimento. Un dettaglio che “non
torna” serve come segnale del fatto che la storia è arrivata a un turning
point, oppure che c’è qualcos’altro sotto, o ancora per anticipare altri
eventi.
Ora, nel tacito contratto che l’autore di fiction narrativa non
sperimentale stipula con il suo pubblico c’è anche la promessa che tutto quello
che verrà raccontato/disegnato/diretto/recitato è sufficiente e chiuso in sè,
soprattutto se parliamo di prodotti non seriali in cui il lato realistico sia
preponderante. La vita reale non è un film con un inizio e una fine ben
delimitati nè un romanzo con capitoli separati, e a parte Gilbert & George
tutte le persone reali hanno una cucina per i momenti di relax in cui non sono sotto
i riflettori e devono prepararsi da mangiare. E francamente io ho sempre
pensato che pure Gilbert & George ne abbiano una.
La fiction narrativa necessita inoltre che ogni avvenimento sia
significante, univoco, indubbio. Uno sparo è sempre il migliore degli spari
riusciti, ecc... All’interno di quest’ottica vanno considerate anche le
informazioni che gli autori lasciano trasparire dalle loro opere: gli eventuali
“buchi” nel tessuto narrativo devono esserci per un motivo. Approfondire certi
aspetti sarebbe stato inutile o ininfluente o peggio ancora fuorviante.
Watchmen è con ogni probabilità il meccanismo
narrativo meglio congegnato della storia del fumetto, ogni dettaglio è
significante (armoniosamente significante) e immaginare una vita oltre quelle
pagine per quei personaggi è quanto meno difficile, se escludiamo una deriva
umoristica (Rorschach che fa una comparsata in un fumetto di Gibbons per celebrare
Harvey Kurtzman) o un loro riutilizzo strumentalmente contestualizzato in un
altro genere (qui).
L’operazione Before Watchmen ha
suscitato perplessità e polemiche molto prima di concretizzarsi. Questo
principalmente per il sentore sulfureo di sfruttamento che ha tutto il progetto
e per le condizioni aberranti che, oltre all’effettiva legittimità legale, ne
hanno consentito la produzione (se Alan Moore avesse fatto casino la DC Comics
non avrebbe più dato lavoro al suo amico Steve Moore, in disperato bisogno di soldi per curare il fratello malato).
Ma al di là di queste considerazioni pregiudiziali, di cui comunque è difficile
liberarsi, resta il fatto che Watchmen
è strutturato in maniera troppo ermetica e perfettamente chiusa in sè per immaginare
di aggiungerne qualche pezzo, soprattutto se a farlo non è nemmeno il creatore
originale. Gli autori coinvolti, nomi di primo piano del comicdom statunitense,
si sono ritrovati con una responsabilità enorme addosso, oltre a vivere lo
stigma di essere etichettati come “traditori” dell’opera originale e del loro
più autorevole collega. D’altra parte vale anche per loro quanto detto dallo
stesso Bardo di Northampton: «Sei fottuto se lo fai, sei fottuto se non lo fai».
Da quello che ho potuto vedere sinora, nonostante il grosso successo che Before Watchmen pare stia avendo, mi
sembra che l’operazione non sia riuscita. Per quanto abbia cercato di
giudicarle senza pregiudizi e senza andarmele a spulciare a caccia dei dettagli
incongruenti con Watchmen, queste
miniserie (la maggior parte di loro) mi sono sembrate molto al di sotto delle
aspettative e del nome dei loro autori. Prima di parlarne, comunque, aspetto
che finiscano – e che il distributore americano si decida a riempire i “buchi”
nella collezione (suona come una scusa da fumetteria, vero? Probabilmente lo
è).
In generale qualcosa si può già anticipare. Le miniserie di Before Watchmen si caratterizzano a
livello di testi per una grande eterogeneità. Il loro unico punto in comune è
che non hanno punti in comune. Alcune si sono concentrate più
sull’approfondimento di certi episodi della vita di un personaggio, altre ne
hanno fornito un affresco complessivo della vita; alcune hanno cercato di
inserirsi con scrupolo e discrezione in alcuni buchi dell’opera originale,
altre non hanno preso molto in considerazione il canone di Watchmen e altre ancora lo hanno smaccatamente stravolto (beh, al
momento una sola: Dr. Manhattan).
Alcuni sceneggiatori hanno privilegiato le didascalie, altre i dialoghi;
accanto a narrazioni lineari ce ne sono di sincopate e laddove alcuni
sceneggiatori hanno voluto stupire con delle trovate shockanti altri hanno
preferito limitarsi a descrivere da un altro punto di vista il materiale
narrativo preesistente. Alcuni si sono rifatti al giallo d’impianto classico whodunnit, altri all’hard boiled, altri
ancora alla scuola classica del comic book supereroistico, qualcun’altro a
strampalate teorie di fisica quantistica.
Dal punto di vista dei disegni, invece, mi è parso di cogliere in generale
una certa condizione comune pur tra la diversità di stili. In sostanza,
l’impressione che mi hanno dato praticamente tutti i disegnatori statunitensi più
famosi e quotati è che abbiano lavorato a scartamento ridotto, che non abbiano
prodotto materiale all’altezza delle aspettative e della loro fama. Sempre
mantenendosi su livelli buoni-ottimi, ma non al livello che mi sarei aspettato
(se poi Andy Kubert ha deluso o no non saprei dire visto che non nutro grande
stima per il suo stile).
Sulle storie d’appendice sospendo ogni giudizio, me le leggerò alla fine.
John Higgins come disegnatore è uno schianto, comunque.
A mano a mano che finisco di leggere le miniserie (e gli one shot, pare che
sia stato proprio un grande successo questo Before
Watchmen e giustamente la DC lo capitalizza il più possibile) vi dico la
mia.
Poi chissà, magari in Before
Watchmen: Epilogue scopriremo che era tutto uno scherzo, il sogno di un
personaggio, un universo alternativo... magari...
Silk Spectre (testi di Darwyin Cooke e Amanda Conner,
disegni di Amanda Conner)
Il primo dei Before Watchmen ad
arrivare alla conclusione è finora il meno deludente. Mi sbilancio anzi a dire
che è un buonissimo fumetto. Ma questo forse è dovuto anche al fatto che è
molto distante, sia come temi che come atmosfere, dal modello.
Nel 1966 la giovane Laurie Jupiter si destreggia tra i suoi problemi adolescenziali
e la presenza invadente della madre nella sua vita. Le due cose sono
strettamente collegate visto che il fantasma della prima Silk Spectre aleggia non
solo negli agguati degni dell’ispettore Clouseau ma anche nelle pessime
relazioni sociali che la protagonista intrattiene con i ragazzi e soprattutto
con le invidiose e stronzissime compagne di scuola. Fuggita da casa insieme ad
alcuni hippy (la Summer of Love deve essere arrivata un anno prima
nell’universo di Watchmen) esordisce
per caso come Silk Spectre II trovandosi invischiata in una storia abbastanza delirante
e poco credibile di sostanze psicotrope dagli inusitati effetti stupefacenti-consumistici.
Eh, lo so, non è che “effetti stupefacenti-consumistici” sia una descrizione
molto chiara, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Non so se gli autori abbiano
voluto puntare sulla satira e sull’assurdo per evitare scomodi paragoni con Watchmen, per me una volta superato
l’impatto degli inserti umoristici e dell’ambientazione “larger than life”
questa miniserie è stata godibilissima. Inoltre offre un’interpretazione
stupenda del Comico, tanto più riuscita quanto più concisa e intensa. Altro che
la gonfiatissima miniserie di Azzarello e Jones...
E a dirla tutta, in Silk Spectre ho
trovato delle atmosfere psichedeliche più efficaci di quanto lo stesso Alan
Moore sia riuscito a fare con Kevin O’Neill nell’ultimo volume della sua League. Certo, a causa dello stile
caricaturale della Conner non ho capito se il gruppo che compare nel secondo
episodio sono i Beatles o gli Who, ma in fondo non credo sia così importante.
Passando quindi ai disegni, Amanda Conner (di sicuro il nome meno appetibile
sulla carta) si è rivelata una piacevole sorpresa. Non che abbia corretto i
suoi difetti (le sue donne hanno ad esempio sempre tutti e due gli occhi ben
distanti l’uno dall’altro e il naso molto alto, rendendole un po’ scimmiesche),
ma la sua abilità nel rendere espressivi i personaggi è ineguagliata. Peccato
che il disegno sia spesso molto scarno, soprattutto quando si tratta di
rappresentare figure umane, le va però riconosciuta una grandissima abilità
nell’evocare due realtà agli antipodi (o forse due immagini stereotipate
universalmente associate a quelle due realtà): il protettivo ambiente borghese
alla Happy Days e il mondo in
fermento della San Francisco anni ’60.
Promossa.
Moloch (testi di J. Michael Straczynski, disegni
di Eduardo Risso)
Che Moloch non fosse esattamente un adone lo si capiva dai disegni di
Gibbons, ma bisogna anche dire che la sua controparte vecchia e malata era solo
il riflesso sbiadito del personaggio distinto (e non certo privo di fascino) che
compariva nei flashback. Di sicuro non era quel mostriciattolo che Straczynski
si è inventato per questa inutile e stupida miniserie. O forse è stato Risso a
volerlo interpretare così? E allora gli editor che ci stanno a fare?
Una volta stabiliti questi paletti arbitrari in cui muoversi ne viene fuori
un clone dell’Uomo Talpa (quello dei Fantastici Quattro, non quello dei
Simpsons) e ci addentriamo nella fiera del già visto e dell’ovvio, con gli
immarcescibili bulletti della scuola, le donne che lo disprezzano, ecc. Dopo un
primo numero irritante da quanto è banale, con il secondo abbiamo almeno il
contentino di un minimo di curiosità per gli scopi di Adrian Veidt e per i
metodi con cui li metterà in atto. A me sembra però che Straczynski abbia
voluto confondere le carte, buttando un bel po’ di fumo negli occhi dei lettori
di Watchmen, prendendo un po’ qua e
un po’ là dalla vita cartacea dei personaggi per ricostruirne la “sua” versione
e scambiando a piacimento cause ed effetti. Janey Slater che comincia a fumare
dopo essere stata lasciata dal Dottor Manhattan? Non mi pare proprio... certo,
è funzionale alla trovata che si è inventato Straczynski per spiegare come
Ozymandias le faccia prendere il cancro (trovata peraltro molto inverosimile
anche se si cerca di darne una logica contestualizzata al carattere dello
stesso Ozymandias), ma è appunto solo una pecetta per far continuare la storia
senza che il lettore si soffermi troppo sui particolari. Gli esempi potrebbero
continuare.
Di Moloch salverei solo il
ritratto che Straczynski dà di Adrian Veidt (il suo inedito fervore religioso
con cui impressiona il protagonista è giustificato dal suo piano) se non fosse
per il fatto che in fondo sono tutte cose che sapevamo già e che lo sceneggiatore
ha solo approfondito. Nemmeno tanto. Per fortuna.
Stupendi invece i disegni di Eduardo Risso, sicuramente l’artista migliore
dei Before Watchmen, che nemmeno una
colorazione a volte imprecisa riesce a rovinare.
Bocciata.