venerdì 10 maggio 2013

Historica 7 - Berlino - Una città divisa



Certo che avrebbero potuto chiamarla direttamente Bellica, questa collana, invece che Historica. Vabbè, comunque:
Berlino è la raccolta di tre volumi che non hanno legami molto stretti tra di loro se non l’autore e, vagamente, l’ambientazione. Dopo aver realizzato la prima storia, I Sette Nani, nei primissimi anni ’90 Marvano ne ha fatto uno spin-off in due parti (di cui una non proprio congruente con l’altra, mannaggia...) tra 2005 e 2007.
La prima storia è sicuramente partecipata, molto documentata e frutto di una passione evidente ma non convince del tutto, o meglio non si eleva sopra altri prodotti analoghi (soprattutto se pensiamo che a Berlino è toccato l’ingrato compito di figurare dopo Le Sette Vite dello Sparviero, al cui confronto pochi altri fumetti possono reggere). Ai disegni Marvano cerca una via di mezzo tra Cosey e la marea di disegnatori americani che coniugavano tratto spezzato e grosse campiture di nero. Giuseppe Pollicelli nell’introduzione, spoilerosa come sempre, ravvisa delle somiglianze con lo stile di Frank Miller ma penso sia dovuto alla pratica di Marvano di indulgere ogni tanto in vignettine con primi piani per guadagnar tempo e spazio. Nel complesso, comunque, le tavole sono un po’ spoglie e disadorne per una BéDé. 
La storia si fa leggere, i personaggi sono stereotipati ma abbastanza interessanti pur senza suscitare particolari simpatie e sia all’inizio che alla fine del racconto si avverte una certa lentezza dovuta probabilmente all’inesperienza di Marvano come sceneggiatore. Un fumetto un po’ insipido che però penso piacerà agli amanti del genere.

Reinhard la Volpe è decisamente migliore, con un approfondito e documentato sguardo a un periodo storico forse poco conosciuto (ma tranquilli: sempre di guerra, appena trascorsa o incombente, si parla...) e con un protagonista tridimensionale.
Stavolta per i disegni, radicalmente diversi rispetto al primo episodio, Pollicelli usa come metro di paragone il Rodolfo Torti di Jan Karta e mi pare abbia colto nel segno: quelle anatomie improvvisate, quell’inchiostrazione alla meno peggio, quelle prospettive fantasiose, quelle capigliature impossibili, quelle architetture rese con tratto tremante e impreciso, quelle mani che sembrano passate sotto una schiacciasassi, quei chiaroscuri tutti da decifrare, quelle spiazzanti derive umoristiche, quelle espressioni di difficile interpretazione e quelle inquadrature troppo ardite tolgono molto del piacere della lettura. Anche il
colorista (Bertrand Denoulet per questo e il volume successivo, il primo l’ha colorato Claude Legris) ci mette del suo, e ogni tanto si lascia scappare un occhio sano che dovrebbe invece essere pesto oppure colora come labbra normali quelle che dovrebbero essere lorde di cioccolata. Ma come non capirlo: decifrare cosa ha voluto rappresentare Marvano può essere un pochino ostico, visto anche il suo scivolamento in alcune parti nel caricaturale tout-court.
La storia mi è sembrata un pochino inverosimile, esasperata: come può un ragazzino di 13 anni diventare una specie di Führer in sedicesimo? Ma se si supera questo scoglio (che poi magari potrà aver avuto benissimo una sua base storica) questa vicenda intricata e disincantata si legge con piacere. Peccato per i disegni.

L’ultimo episodio, I due figli dl re, è un po’ il Mister Blueberry di Marvano. Non succede nulla e assistiamo semplicemente alla lenta risoluzione di un’indagine per capire cosa sia successo dopo gli eventi di Reinhard la Volpe e come siano continuate le esistenze di alcuni personaggi – contraddicendo a volte quanto visto prima, forse Marvano avrà ricontrollato l’episodio precedente e si sarà accorto che certe cose non potevano essere successe negli anni in cui aveva ambientato certe sequenze. I personaggi sono ben delineati e il contesto storico e politico è ricostruito magnificamente, ma in definitiva viene da chiedersi perchè aggiungere anche questo tassello a una storia che era già perfettamente conclusa, e conclusa in maniera tale da dare ai vecchi protagonisti una particolare levatura quasi mitica che qui viene drasticamente ridimensionata. Avrebbe potuto essere la degna conclusione di una serie ben più lunga e articolata, ma così sembra solo un’appendice esageratamente lunga. Con quei disegni, poi...
Per fortuna l’uso smodato di didascalie non è poi così pesante perchè quello che viene narrato è avvincente e, lo confesso, i retroscena dei fatti storici per me sono una novità.

Non so se questo settimo volume di Historica sia finora effettivamente il più debole della collana come mi è sembrato appena finito di leggerlo. È meno pretenzioso di Memorie della Grande Armata e più originale del Gufo Reale, ma comunque un po’ deludente lo è stato. E poi mi sembra esagerato dedicare tre uscite su sette, quasi la metà, a serie d’aviazione ambientate durante la seconda guerra mondiale. O si propongono dei veri capolavori o è inevitabile, almeno per me che non amo il genere bellico, che alla fine stufino.

PS – eh, lo so che stavolta non sono riuscito a “stare sul pezzo” e a recensire l’ultimo Historica a ridosso della sua uscita, ma mi hanno tolto il drenaggio da poco e non sono riuscito ad andare in edicola per tempo.

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