Certo che avrebbero potuto chiamarla direttamente Bellica, questa collana, invece che Historica. Vabbè, comunque:
Berlino è la raccolta di tre volumi che non hanno
legami molto stretti tra di loro se non l’autore e, vagamente, l’ambientazione.
Dopo aver realizzato la prima storia, I
Sette Nani, nei primissimi anni ’90 Marvano ne ha fatto uno spin-off in due
parti (di cui una non proprio congruente con l’altra, mannaggia...) tra 2005 e
2007.
La prima storia è sicuramente partecipata, molto documentata e frutto di
una passione evidente ma non convince del tutto, o meglio non si eleva sopra
altri prodotti analoghi (soprattutto se pensiamo che a Berlino è toccato l’ingrato compito di figurare dopo Le Sette Vite dello Sparviero, al cui
confronto pochi altri fumetti possono reggere). Ai disegni Marvano cerca una
via di mezzo tra Cosey e la marea di disegnatori americani che coniugavano
tratto spezzato e grosse campiture di nero. Giuseppe Pollicelli
nell’introduzione, spoilerosa come sempre, ravvisa delle somiglianze con lo
stile di Frank Miller ma penso sia dovuto alla pratica di Marvano di indulgere
ogni tanto in vignettine con primi piani per guadagnar tempo e spazio. Nel
complesso, comunque, le tavole sono un po’ spoglie e disadorne per una BéDé.
La
storia si fa leggere, i personaggi sono stereotipati ma abbastanza interessanti
pur senza suscitare particolari simpatie e sia all’inizio che alla fine del
racconto si avverte una certa lentezza dovuta probabilmente all’inesperienza di
Marvano come sceneggiatore. Un fumetto un po’ insipido che però penso piacerà
agli amanti del genere.
Reinhard la Volpe è decisamente migliore, con un
approfondito e documentato sguardo a un periodo storico forse poco conosciuto
(ma tranquilli: sempre di guerra, appena trascorsa o incombente, si parla...) e
con un protagonista tridimensionale.
Stavolta per i disegni, radicalmente diversi rispetto al primo episodio,
Pollicelli usa come metro di paragone il Rodolfo Torti di Jan Karta e mi pare abbia colto nel segno: quelle anatomie improvvisate,
quell’inchiostrazione alla meno peggio, quelle prospettive fantasiose, quelle
capigliature impossibili, quelle architetture rese con tratto tremante e
impreciso, quelle mani che sembrano passate sotto una schiacciasassi, quei
chiaroscuri tutti da decifrare, quelle spiazzanti derive umoristiche, quelle
espressioni di difficile interpretazione e quelle inquadrature troppo ardite
tolgono molto del piacere della lettura. Anche il
colorista (Bertrand Denoulet per questo e il volume successivo, il primo l’ha colorato Claude Legris) ci mette del suo, e ogni tanto si lascia scappare un occhio sano che dovrebbe invece essere pesto oppure colora come labbra normali quelle che dovrebbero essere lorde di cioccolata. Ma come non capirlo: decifrare cosa ha voluto rappresentare Marvano può essere un pochino ostico, visto anche il suo scivolamento in alcune parti nel caricaturale tout-court.
colorista (Bertrand Denoulet per questo e il volume successivo, il primo l’ha colorato Claude Legris) ci mette del suo, e ogni tanto si lascia scappare un occhio sano che dovrebbe invece essere pesto oppure colora come labbra normali quelle che dovrebbero essere lorde di cioccolata. Ma come non capirlo: decifrare cosa ha voluto rappresentare Marvano può essere un pochino ostico, visto anche il suo scivolamento in alcune parti nel caricaturale tout-court.
La storia mi è sembrata un pochino inverosimile, esasperata: come può un
ragazzino di 13 anni diventare una specie di Führer in sedicesimo? Ma se si
supera questo scoglio (che poi magari potrà aver avuto benissimo una sua base
storica) questa vicenda intricata e disincantata si legge con piacere. Peccato
per i disegni.
Per fortuna l’uso smodato di didascalie non è poi così pesante perchè quello che viene narrato è avvincente e, lo confesso, i retroscena dei fatti storici per me sono una novità.
Non so se questo settimo volume di Historica
sia finora effettivamente il più debole della collana come mi è sembrato
appena finito di leggerlo. È meno pretenzioso di Memorie della Grande Armata
e più originale del Gufo Reale,
ma comunque un po’ deludente lo è stato. E poi mi sembra esagerato dedicare tre
uscite su sette, quasi la metà, a serie d’aviazione ambientate durante la
seconda guerra mondiale. O si propongono dei veri capolavori o è inevitabile,
almeno per me che non amo il genere bellico, che alla fine stufino.
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