Preso d’impulso, mi è piaciuto più di Moon Knight,
che comunque allo stesso prezzo si presenta in una confezione cartonata.
Mi sembra che qui Warren Ellis abbia saputo trovare maggiori margini di
originalità senza eccessivi riferimenti ad altre sue opere precedenti, così
come mi sembra che questi sei episodi siano maggiormente connessi all’universo
Marvel e quindi più rispettosi della materia trattata.
Da quello che ho capito (il volume raccoglie sei episodi di una serie già
in corso) Capitan America ha dismesso il costume e insieme a un gruppetto
mutevole ed eterogeneo di altri eroi mette in atto delle operazioni che devono
rimanere segrete. Dietro alle missioni in cui si trovano coinvolti i Secret
Avengers pare ci sia sempre, o almeno molto spesso, un qui non meglio
approfondito “Consiglio Ombra”. Le premesse e alcuni spunti ricordano molto Planetary con questo Consiglio Ombra al
posto dei Quattro, ma le analogie in realtà sono poche e le storie di questo
volume hanno un taglio molto più supereroistico.
Sparando idee a raffica laddove altri sceneggiatori avrebbero stiracchiato
il soggetto di un solo episodio per dodici numeri, Ellis offre tra le altre
cose una divertente e originale storia sui viaggi nel tempo, il concetto di continuum accidentato, un’incredibile
interpretazione sulla produzione di droga (beh, un po’ intravista in Planetary 21) e un inaspettato omaggio a
Modesty Blaise. Il tutto condito da
battute spettacolari e da una perfetta caratterizzazione dei personaggi. Forse il
solo Capitan America rimane un pochino anonimo e poco approfondito, e al suo
posto avrebbe potuto benissimo esserci Nick Fury o un altro personaggio.
Purtroppo a livello grafico Ellis non ha potuto contare su artisti alla sua
stessa altezza. Per fortuna gli abissi di Kev Walker (non solo esteticamente
soprassedibile ma purtroppo anche pessimo narratore) non sono eguagliati dagli
altri, ma sia Alex Maleev che (mi costa dirlo) Stuart Immonen si sono espressi
ben al di sotto delle loro prove abituali, così come Jamie McKelvie e Michael
Lark mi sono sembrati fuori posto (troppo pulitino, a tratti cartoonesco, il
primo; troppo espressionista e non leggibilissimo il secondo). Alla fine (anche
questo mi costa dirlo) il migliore forse è stato l’artsy David Aja, rigoroso e molto efficace anche se mi vien voglia
di prenderlo a sberle dal suo autocompiacimento nel voler dimostrarsi cool.