giovedì 16 gennaio 2020

Lazarus Churchyard

Mi pare che lo avesse annunciato qualche editore italiano anni e anni fa, ma poi non è uscito – o perlomeno non mi è mai arrivato. E quindi alla fine ho dovuto rassegnarmi a leggermelo in inglese.
Lazarus Churchyard è un esperimento biologico che vive nella Finlandia del XXV secolo: il suo corpo è composto per la maggior parte da plastica senziente capace di adattarsi agli stimoli esterni a grandissima rapidità. In pratica Lazarus è immortale e dopo quattro secoli di vita vorrebbe farla finita e trovare la pace. Lo scenario è quello classico post-apocalittico, con intere nazioni contaminate e invivibili e delle corporazioni a tenere i fili dei destini degli umani rimasti. C’è però anche una fortissima componente cyberpunk, e se pensiamo che il fumetto risale al 1991 ci rendiamo conto di quanto Warren Ellis, allora esordiente, fosse avanti rispetto ai suoi colleghi già professionisti. Questi elementi sono particolarmente evidenti nel primo ciclo di episodi, The Virtual Kiss. Lazarus viene assoldato da un pezzo grosso della corporation Isis-Elek per ritrovare il “fantasma” di una programmatrice che vaga nel mondo virtuale ma che non riesce a essere catturata. L’originale è morta, ma la Isis-Elek crea abitualmente delle copie di back-up dei suoi tecnici migliori per poterli riutilizzare in futuro. Il cyberspazio («DataSea») sta diventando molto pericoloso, proiettando omicidi anche nel mondo reale, e nel quadro entrano pure dei separatisti scozzesi (o quello che sono). Le cose sono ovviamente più complesse di come sembrano e nell’arco di questi primi sei capitoli di 6/7 tavole l’uno Lazarus risolverà il mistero senza però trovare la morte – anche perché così la serie è potuta proseguire con altri episodi brevi.
Anche se filtrato da una certa ostentazione per l’eccesso, il talento di un Warren Ellis poco più che ventenne era già intuibile. Le tematiche erano innovative e originali e pur tra qualche frase a effetto e spacconata di troppo facevano capolino i dialoghi arguti per cui lo sceneggiatore sarebbe diventato famoso. La struttura delle short stories di una decina scarsa di pagine (banco di prova in cui si vede la bravura di uno sceneggiatore) era gestita molto bene, mettendoci più carne sul fuoco possibile e portandole avanti col giusto ritmo. Ma non mancano un paio di storie più lunghe, di una quindicina o anche di una quarantina di pagine.
Le tematiche transumaniste e lo stile beffardo di Ellis c’erano già, ed è facile trovare agganci con alcune sue opere successive, di cui col senno di poi Lazarus Churchyard è stato un po’ un laboratorio. Il protagonista è la prova generale di Desolation Jones, così come i riferimenti alle modificazioni fisiche modaiole anticipano Transmetropolitan, i commenti politici filtrati attraverso la fantascienza (nella storia sui fratelli baschi) si riverberano in tante altre opere e via di seguito. Di certo Warren Ellis ha avuto una gran fortuna (o forse gli agganci giusti?) per farsi notare dalle major americane e lavorare già pochissimi anni dopo per loro, ma è anche vero che Marvel e DC hanno avuto un ottimo intuito a metterlo sotto contratto.
I disegni di D’Israeli (che scopro chiamarsi in realtà Matt Brooker) sono rozzi e imprecisi, con frequenti ricorsi alla caricatura per nascondere il fatto che non padroneggia l’anatomia. Certo, il suo tratto è leggibile e nel corso della serie saprà maturare, ma non raggiungerà mai graficamente i livelli letterari che Warren Ellis poteva già vantare. En passant, mi ha commosso vedere un fumetto colorato e letterato ancora a mano, a parte l’ultimo episodio.
Ovviamente dopo trent’anni dalla prima pubblicazione Lazarus Churchyard non può più avere la forza dirompente che immagino abbia avuto a suo tempo, e come ricordavo sopra tante cose le avremmo lette in una forma più compiuta e matura negli anni successivi; resta comunque una piacevole escursione filologica negli anni formativi dello sceneggiatore.

2 commenti:

  1. Image ha ristampato la saga nel 2001. Ricordo anche io la promessa di una traduzione italiana, ma nada de nada. A me piace il tratto di D'Israeli che in una intervista ammette di aver capito che non poteva arrivare oltre un certo grado di disegno realistico, ma tante teste tante sentenze. Warren e Matt hanno creato un tecno sciamano nomato Metalscream per il 2099 della Marvel in un one shot tradotto anche da noi. Ho sbirciato + volte Lazarus in rete a scrocco e ho l'impressione che la idea di futuro del mio coetaneo Warren nei primi anni novanta avesse qualcosa a che vedere con la overdose di dettagli combo della visione di Geoff Darrow, di Altan e del Quesito della Susi della Settimana Enigmistica, cosa che si vede anche nella mini The Silencers di Ellis/Erskine.
    Mi piace un frappo il nome Datasea che per qualche ragione mi fa pensare a come è profondo il mare di Lux Dalla. Il futuro alla fine comunque è arrivato ed il cyberpazio assomiglia uno zinzino a quello del Duke Stratosphere del 2099 - tutti gli scenari possibili come in Ready Player One - se non consideriamo le tavole di sintesi di Rick Leonardi che a me piacciono, ma sono il datasea di Cavandoli. Fuori nel mondo reale -qualsiasi cosa significhi - il design è quello liscio e seducente post Steve Jobs e non quello cavi e bulloni a vista che piaceva tanto a King Kirby. Chissà domani e dopodomani...

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    1. Graziano, bentornato! Allora mi confermi che la versione italiana non è uscita. D'altra parte tradurre quello slang pseudoscozzese doveva essere proibitivo.

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