Ho aspettato un bel po’ prima di
leggere questo fumetto, essendo scritto da un Mark Millar che all’epoca
dell’uscita aveva già rivelato il suo vero volto, quello della ripetitività e
del facile shock value a coprire una
pochezza di contenuti che probabilmente ne caratterizza la produzione sin dagli
esordi. Ma invece Jupiter’s Legacy
non è affatto male.
L’ambientazione è quella canonica
dei supereroi, appena appena mescolata con un po’ di fantascienza e un vago
retrogusto da romanzetto pulp anni
’30. I supereroi sono il frutto di un incontro con della tecnologia aliena che
a ridosso della Grande Depressione contattò delle menti elette (tecnicamente
una sola, che però formò un gruppo di altri soggetti meritevoli) per fornire
loro dei superpoteri con cui salvarono l’America e divennero degli esempi per
la gente comune, degli ideali a cui tendere. Non credo di essermi immaginato il
feroce sarcasmo sottinteso a questo spunto di partenza e ai dialoghi del primo
episodio.
Arrivati ai giorni nostri (ovvero
al 2013) le alte aspirazioni che mossero il nucleo centrale del primo
supergruppo sono un po’ appannate, se non proprio disilluse: la progenie dei
primi supereroi è una masnada di debosciati dediti ai party, alle droghe e alla
vacuità da celebrità (concetto già talmente sviscerato da risultare banale)
mentre quanti ancora combattono contro minacce superumane sono prossimi a uno
scisma: i metodi di Utopian sono ormai considerati desueti e inefficaci dal suo
intelligentissimo fratello, che vorrebbe incidere molto di più sulla società
americana con metodi concreti, mettendo in atto un suo elaborato piano
economico. Proprio quando sta per avvenire la “deposizione” di Utopian per mano
di suo figlio, il supercriminale Hutch fugge con l’altra sua figlia Chloe, una
buddista vegetariana che non disdegna le droghe (è appena finita in overdose) e
che aspetta un figlio da lui.
Dopo un salto temporale tra il
terzo e il quarto capitolo arriviamo nel 2022 che all’epoca doveva sembrare
ancora così lontano, e vediamo la realizzazione della società ideale immaginata
dal fratello di Utopian: la terra è una dittatura in cui delle corazzate
volanti pattugliano i cieli alla ricerca dei superumani rimasti e non ancora
piegati alla nuova “utopia”. Chloe e Hutch vivono in Australia e il loro figlio
Jason ha già sviluppato poteri che probabilmente sono superiori ai loro (Hutch
non ne ha ma usa una bacchetta per teletrasportarsi, quelli di Chloe e degli
altri sono volutamente lasciati nel vago per permetter loro di fare quello che
serve nelle singole scene senza che i neuroni di Millar si affatichino troppo)
e deve nascondersi fingendo di essere un ragazzino normale, anzi piuttosto
mediocre. In realtà, all’oscuro degli stessi genitori, ha un suo piano. Ma la
loro copertura non può durare in eterno, se non altro per ragioni narrative, e
nel quinto e ultimo episodio avviene il redde
rationem.
Pur lavorando con materiale di
partenza trito e ritrito Mark Millar è riuscito a renderlo piacevolmente suggestivo
con quel sottotesto sarcastico che ricordavo sopra; inoltre molte sequenze sono
veramente ben scritte e in più di un’occasione ha saputo creare la giusta
tensione nel lettore con lunghi dialoghi molto ben “recitati” che fanno da
contraltare alle sue tipiche scene di violenza esagerata (qui virate anche
sullo splatter).
Pur non amando Frank Quitely, non
posso certo esimermi dal rilevare l’ottimo lavoro che ha svolto: è molto
dinamico ed espressivo e non si tira certo indietro quando deve disegnare delle
tavole affollate di persone o dei panorami dettagliati. Purtroppo non si è
inchiostrato le matite ma evidentemente è andato in stampa direttamente con
quelle, opportunamente “inchiostrate” digitalmente: questa scelta rende un po’
imprecisi o solo abbozzati certi particolari, ma tutto sommato è adatta per
assecondare il tono parodistico di Jupiter’s
Legacy.
Certo: trattandosi di Millar ci
si aspetta la fregatura, che anche stavolta puntualmente arriva. La prima
miniserie di cinque episodi è appunto solo la prima parte di una storia più
ampia che dovrebbe concludersi con un altro volume (e vedo che Millar ne ha
anche tratto degli spin off). Poco male: leggerò pure quella, visto che non
devo andare da nessuna parte…
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