giovedì 30 luglio 2020

Ignited

Serie portante di un nuovo universo supereroistico sviluppato nientemeno che da una filiale statunitense degli Humanoïdes Associés, Ignited si segnala per il cattivo gusto (spacciato per impegno sociale) dell’assunto di partenza: dei teen-ager ottengono dei superpoteri dopo una delle periodiche sparatorie che avvengono nelle scuole degli Stati Uniti. Mi pare di capire che ci sia un quadro più grande di cui tener conto per lo sviluppo dei superpoteri in questo universo, ma sostanzialmente la serie si appoggia su questo concetto di base di forte impatto per ottenere una sua visibilità e imbastire le trame.

La californiana Phoenix Academy High School è stata teatro di una sparatoria e adesso si vuole far passare una legge (o emendamento, o quello che è) per armare i professori in caso di ulteriori assalti armati. E così i primi due supereroi, Viral e Wave, si manifestano sui social network trasmettendo video con cui esprimono la loro contrarietà. La situazione degenera presto, tanto più che a breve proprio alla Phoenix Academy si terrà una manifestazione di una pseudo-NRA che già sta scaldando gli animi.

I personaggi sono estremamente stereotipati, non tanto nelle loro versioni “super”, che anzi presentano qualche punta di originalità, quanto nelle identità civili: sono i classici stereotipi scolastici triti e ritriti che si vedono nei film e nei telefilm. Si salva un po’ solo Luther Ray, metallaro figlio di una poliziotta, che ha una caratterizzazione meno scontata di quelle degli altri.

L’azione, quando c’è, tende a essere un po’ confusa ma per la maggior parte del tempo i sei ragazzi protagonisti parlano parlano parlano. Visto lo spettro che aleggia sulle origini dei personaggi è anche giustificato che sia così, però è difficile dire se la scelta della sparatoria sia una cosa sincera e partecipata o solo una paraculata per attirare attenzione. Il contributo di veri sopravvissuti con le loro testimonianze all’inizio degli episodi originali farebbe propendere per la prima ipotesi, ma anche al di là di questo Ignited è solo un fumetto di supereroi come mille altri, solo più noioso. Qualche dialogo un pochino (ma poco poco) brillante non basta a elevare un ritmo assai lento. Così a occhio credo che Mark Waid abbia fatto poco più che la supervisione. E Kwanza Osajyefo si è tenuto molto largo nello sviluppare la trama: per il momento gli otto numeri usciti finora sono solo una lunga introduzione alla serie e in sostanza non succede nulla (i primi quattro sono introduttivi, negli altri i protagonisti devono solo vedersela con un conduttore radiofonico che minaccia di rivelare le loro identità, ricollegandosi alla scena che apre il primo episodio). Ed è patetico vedere come sono state censurate le parolacce.

Per quel che riguarda l’aspetto grafico, Phil Briones è troppo caricaturale per i miei gusti. È vero che negli Stati Uniti (e non solo) imperversano disegnatori molto più deformed di lui, ma per me così è già troppo. Il massimo della sua espressività è allungare le facce dei personaggi mentre spalancano la bocca, e soprattutto le ragazze si assottigliano e si accorciano a seconda delle inquadrature.

Non il migliore degli esordi, insomma.

lunedì 27 luglio 2020

Non solo fumettista...

...ma anche attore (e non solo in fotoromanzi argentini)



Di chi stiamo parlando? La risposta nelle Etichette.

venerdì 24 luglio 2020

I giorni dell'Impero

Nicola Pesce Editore continua la meritoria riproposta dei lavori di Gianni De Luca, stavolta con un fumetto di cui nemmeno sapevo dell’esistenza. I giorni dell’Impero è rimasto incompleto a causa della morte del disegnatore (nell’introduzione David Padovani ricorda che nessun altro si sentì di assumersi il compito di concluderlo) ma fortunatamente è un’incompiutezza molto relativa. I primi quattro episodi di 12 tavole l’uno formano infatti un unico arco narrativo, che pone le basi per quello successivo ma è comunque leggibile a sé.
Il protagonista della storia è il giovane Fabio. Suo padre il centurione Strabone è stato giustiziato in Gallia per alto tradimento e appresa la notizia la madre è morta di crepacuore. Solo al mondo e convinto che il padre non possa avere veramente tradito l’Impero, Fabio lascia Roma alla volta dell’accampamento di Argentoratum per fare luce sull’accaduto. Per sua fortuna il capitano di una nave lo prende sotto la sua protezione; nel corso del viaggio fa la conoscenza di Elisa, una giovane galla, e dell’ebreo Nicodemo che si porta dietro in uno scrigno nientemeno che la Sacra Sindone.
Lo sceneggiatore Mauro Cominelli imbastisce una dignitosa trama investigativa con parecchia azione e spunti originali, anche se lo stratagemma con cui Fabio svela i traffici di Licio Vetulonio (e quindi il complotto contro suo padre) è un po’ artefatto. Conclusa questa prima parte Fabio può riposarsi prima di dedicarsi a una nuova avventura ambientata stavolta in Palestina, dove l’infido Vetulonio sta accompagnando Nicodemo.
Nonostante la matrice cattolica e la destinazione originaria la serie si legge con piacere per il fascino dell’attenta ricostruzione storica e per gli elementi investigativi. Ovviamente Fabio ribadisce che uccidere è sbagliato e quando lo fa è sempre “senza volerlo”, mentre la Sacra Sindone è una reliquia onnipotente che entra in gioco quando non ci sono altre vie d’uscita (poche volte, in realtà). Ma si tratta di concessioni accettabili che non pesano sul giudizio complessivo. I filatteri dei balloon di De Luca invece ogni tanto sono spiazzanti, visto che i dialoghi sembrano uscire dalla fronte dei personaggi e qualche rara volta l’ordine di lettura non è immediatamente chiaro. Ciò detto, i suoi disegni sono ovviamente eccezionali. In particolare, le architetture e gli ambienti desertici sono stupendi. Nell’introduzione viene detto che la versione apparsa su Il Giornalino era stata colorata dallo stesso De Luca, ma francamente non so come possa essere stato il risultato visto che queste tavole sono perfettamente complete così, in un bianco e nero pieno di effetti che, a seconda della necessità, donano loro un tocco di grottesco espressionismo oppure di realismo tridimensionale.
Oltre alle 84 pagine di fumetto completate questo volume offre anche 42 tavole ancora a matita: a parte le ultime, sono molto accurate e De Luca aveva già impostato anche il lettering, permettendoci così (ma con una certa fatica) di leggere il seguito della storia. Con la liberazione di Nicodemo si può dire che un secondo ciclo narrativo sia più o meno concluso e leggibile, mentre del seguito in cui comincia la predicazione del Cristianesimo in Giudea non restano che sei tavole.
Al di là della spettacolare parte grafica, I giorni dell’Impero è quindi soddisfacente anche dal punto di vista dei testi: le due trame principali sono perfettamente godibili.

mercoledì 22 luglio 2020

Rovine

L’avrei comprato per la miniserie (proprio mini: solo due numeri) di Warren Ellis che dà il titolo al volume, ma le storie di contorno si sono rivelate migliori. Rovine è una parodia grottesca e splatter dei supereroi, senza nessuna pietà per loro. Il reporter Philip Sheldon vuole realizzare il suo ultimo libro prima di morire di cancro: un’inchiesta sul perché in questo universo le situazioni scatenanti alla base della nascita dei supereroi abbiano portato a un mondo desolato e purulento e non alle meraviglie delle controparti canoniche di casa Marvel. Un po’ grazie al suo glorioso passato, un po’ grazie ai suoi contatti e un po’ grazie alla pietà che suscita la sua condizione, riesce a raccogliere alcune testimonianze e ad accedere a degli edifici governativi interdetti ai civili. Negli Stati Uniti vige infatti una specie di legge marziale causata proprio per reazione alle imprese dei supereroi, soprattutto dei Vendicatori – ma questa cosa non viene approfondita. Il gioco è quello di mostrare cosa sarebbe veramente successo a delle persone mutate o nate con gli effetti delle radiazioni, ma se gli ingenui comic book degli anni ’60 erano innocentemente positivi Ellis esagera dall’altro lato: ovvio che i raggi gamma fanno venire tumori, ma questi non si manifesterebbero certo di colpo e deformando il corpo ospite come succede al Bruce Banner di questa realtà.
Vengono fatte così sfilare delle versioni mentecatte, malate, morenti o mutilate dei personaggi Marvel, e anche quelli che mantengono una parvenza di normalità sono sottoposti a una rilettura umiliante. Per uno che odi quell’universo sarebbe anche una lettura gustosa, se non fosse che diventa presto ripetitiva e la trama non va da nessuna parte. Inoltre si avvertono i 25 anni di distanza che separano Rovine dal 2020: oltre al fatto che le tavole dipinte erano veramente dipinte col pennello e non realizzate col computer, tante trovate di Ellis le abbiamo già lette e rilette altrove. Il bisticcio Cree/Kree l’ha riciclato in una miniserie della linea Ultimate, così come il concetto che un personaggio invisibile è cieco è riaffiorato in Planetary e da altre parti; alcuni spunti sono simili a quelli che avrebbero portato a Civil War e Donald Blake che crede di essere Thor dopo aver assunto dei funghi allucinogeni ricorda un po’ la sua versione in Ultimates.
Alla fine lo scopo principale di Philip Sheldon non viene raggiunto e quali siano le ragioni per cui il suo mondo sia andato a rotoli non vengono svelate, a meno che non si tratti della diversa maniera in cui si svolse il lancio di prova dei Fantastici Quattro. Sullo sfondo alcune trame rimangono irrisolte, in particolare quella che coinvolge il Professor X, cioè Charles Xavier: può darsi che non fosse intenzione di Ellis svilupparle ma l’impressione è quella che la miniserie sia stata chiusa in fretta e furia.
I disegni sono quelli che avrebbero potuto fare la differenza e risollevare il fumetto. Così non è stato. I fratelli (o coniugi) Cliff e Terese Nielsen sono parecchi miliardi di volte meglio dei quadratoni di Romita Jr., degli schematismi di Jim Lee e delle caricature di Humberto Ramos, ma il loro ambito di competenza non è lo stesso di quel sottobosco: proprio perché producono un lavoro di un certo tipo è inevitabile confrontarli con altri artisti pittorici (in un’epoca in cui, ripeto, dipingevano veramente e non usavano il computer). E benché il loro lavoro sia buono non possiede la ieratica naturalezza di un Jon J Muth, la ricchezza e la fantasia di Kent Williams (a cui pure un po’ somigliano), la vivacità di Duncan Fegredo, l’imperiosa leggibilità di Frank Hampson, la dinamica espressività di Dan Lawrence, la spontaneità di Scott Hampton, la raffinata complessità di Dave McKean, la potenza di Simon Bisley. Inoltre se ne fregano di trovare qualsiasi somiglianza tra i loro modelli e il corrispettivo cartaceo. Al manierista Alex Ross va riconosciuto che almeno si impegnava in tal senso. A peggiorare la parte grafica c’è il fatto che non sono nemmeno riusciti a finire di disegnare Rovine: al loro posto è subentrato Chris Moeller, non certo un cane ma dallo stile molto scolastico, quasi banale direi.
Il volume è integrato da altri tre fumetti della serie Tales of the Marvels, autonomi ma vagamente interconnessi tra di loro. Tutti e tre sono caratterizzati da una certa verbosità, o meglio da quella che oggi, abituati alla decompressione, sembra verbosità: in realtà gli sceneggiatori (o i loro editor) sono stati bravi a giocare con le parole e la narrazione molto densa non pesa affatto, anzi coinvolge maggiormente il lettore e aumenta il tempo di lettura.
Blockbuster di Mike Baron e Shawn Martinbrough racconta l’impatto che una battaglia dei Fantastici Quattro ha sulle famiglie dell’edificio raso al suolo dallo scontro. In realtà più che sui Fantastici Quattro i riflettori sono puntati sugli eroi cosmici della Marvel e l’io narrante della vicenda vorrebbe nientemeno che ammazzare Silver Surfer. I supereroi praticamente non ci sono, sono i McGuffin che fanno partire la situazione e Silver Surfer compare solo alla fine per tirare le fila della trama. Essendo un fumetto Marvel non ci si può allontanare troppo dal canone e dal codice etico della casa editrice, però la storia in sé è piacevole e ben scritta. In questo caso non capire tutti i riferimenti all’universo Marvel non è un male: riallacciare il filo con quelle storie precipiterebbe la trama in un contesto molto meno drammatico e le toglierebbe pathos. Molto buoni i disegni e i colori di Martinbrough: non sono elaborati come quelli di altri artisti pittorici, ma il suo schematismo è molto efficace ed è perfetto per un fumetto (almeno per questo).
Demoni Interiori riesce a portare sulla scena Namor il Submariner senza che risulti antipatico, visto che il vero protagonista non è lui ma un barbone alcolizzato che ha nel misterioso “Vecchio”, il Namor smemorato prima di essere scoperto dai Fantastici Quattro, un amico e una guida che lo salva dall’alcolismo e aiuta altri senzatetto. Il tutto intrecciato con vari elementi Marvel (Harry Osborn, i Duri e sicuramente qualcos’altro che non ho riconosciuto) ma senza che la cosa sia troppo invadente. Dato l’argomento c’è un po’ di retorica ma Mariano Nicieza scrive molto bene e riesce a superare l’inevitabile patetismo di alcuni personaggi donando un tocco di umanità e concludendo con classe il racconto, dandogli una certa circolarità.
Veramente belle le tavole di Bob Wakelin, sapientemente equilibrate tra virtuosismi pittorici e leggibilità, ricchezza ed espressività. Purtroppo nemmeno lui come i Nielsen è riuscito a disegnare tutto l’albo (ma questi disegnatori sono inaffidabili o era la Marvel a non riuscire a far rispettare le date di consegna?): in suo soccorso è intervenuto l’intero Studio Infinity che ha prodotto un lavoro proprio scarso, forse per la necessità di consegnare le tavole in tempo. In ogni caso il risultato non cambia e lo stacco tra i due stili si nota drammaticamente, tanto più che sono inframmezzati tra di loro.
Wonder Years, scritto da Dan Abnett e Andy Lanning, è apparentemente il più leggero dei tre “Racconti delle Meraviglie” e mette in scena una fan di Wonder Man ossessionata dal suo idolo con cui ebbe anche un incontro ravvicinato. Qui le vicende del Marvel Universe sono massicciamente presenti, perché è necessario seguire passo dopo passo la storia del personaggio per vedere le conseguenze che ha sulla vita di una persona comune. Dopo che per tre quarti la storia era intrisa di vacuità e di innocenza, prende una piega decisamente tragica ma comunque il discorso sui pericoli del divismo e sugli stereotipi dei supereroi non sono troppo approfonditi. La storia (divisa originariamente in due albi) non è eccezionale ma la qualità delle altre due mi ha predisposto favorevolmente e ho apprezzato pure questa.
Bella prova di Igor Kordey, che però nei progetti europei ha tutta un’altra profondità.

domenica 19 luglio 2020

"Penultimo"...

Dall'ultima Anteprima:
Se la prende comoda. Già per il quarto volume ero rimasto malissimo nel vedere che la storia non si concludeva, adesso tocca aspettare ancora di più.

giovedì 16 luglio 2020

Ancora niente...

...in nessuna delle edicole dove ho controllato stamattina. Qualcuno lo ha trovato? Sono io sfigato o questo numero ha effettivamente dei problemi di distribuzione?

lunedì 13 luglio 2020

Ruby Falls

Ruby Falls è una cittadina mineraria che non offre molte prospettive ai suoi abitanti. Lana, figlia di un macellaio e di una barista separati che si odiano, se ne sarebbe già andata se non fosse che la sua ragazza vive ancora lì. Lana ha anche una nonna ricoverata in ospizio, affetta da demenza senile: da lei viene a conoscenza di un femminicidio consumato decenni prima, e decide di indagare in merito.
La storia non è particolarmente originale e nemmeno particolarmente interessante, ma viene nobilitata dallo stile molto vivace di Ann Nocenti e dai suoi dialoghi brillanti. C’è qualche concessione al dinamismo e alla spettacolarizzazione da supereroi, ma sono elementi abbastanza giustificati dal fatto che la protagonista ha un discreto caratterino e che con la sua compagna pratica l’equilibrismo. La trama di detection presenta degli spunti abbastanza interessanti e si risolve in maniera originale, ma non è l’elemento che interessa di più alla Nocenti che con Ruby Falls ha voluto fare soprattutto un pamphlet sulla labilità della memoria e sull’evoluzione della condizione femminile. La lettura procede quindi spedita e piacevole.
I disegni di Flavia Biondi sono la parte debole di Ruby Falls: la disegnatrice di suo è anche brava ma il suo stile scarno e abbozzato è inadatto per una storia che dovrebbe essere caratterizzata da un crudo realismo e in cui le figure femminili si distinguono solo per il colore dei capelli (nemmeno coi maschi è tanto diverso, e infatti uno snodo della trama prevede che una donna si travesta da maschio). La Biondi disegna molto bene gli animali, ma i suoi esseri umani cambiano faccia di vignetta in vignetta, eppure si somigliano tutti. E perché spesso non disegna le unghie, dannazione? Ci si può nascondere quanto si vuole dietro il supposto “storytelling”, ma quando si disegna un fumetto realistico certe caratteristiche sono indispensabili.

venerdì 10 luglio 2020

domenica 5 luglio 2020

Federica (é) il Diavolo

Trasposizione a fumetti di un racconto della raccolta Sette Piccoli Racconti Erotici a firma Federica Tommasi. Federica è una agente di borsa di un certo successo che ha una relazione clandestina con Dario: bello, ricco e sicuro di sé ha però il terrore che la sua fidanzata Paola scopra la tresca. Per sciogliere la situazione intervengono due fattori concomitanti: da una parte il dottor Male (psicologo? Sessuologo? Urologo? Non viene specificato) consiglia a Dario un menage a trois per ravvivare il suo rapporto di coppia, dall’altro Paola gli ha confessato le sue curiosità saffiche. Se organizza un incontro in cui le presenta Federica nascondendo di averla già conosciuta carnalmente potrebbe scaturirne un “innocente” rapporto a tre. Federica è ben contenta di assecondare il piano amando le situazioni torbide e sentendosi stretta nel ruolo dell’“altra” cui spettano solo le briciole di Dario – pur se anche lei ha una relazione ufficiale. Arriva il fatidico momento, sapientemente orchestrato dopo la metà del fumetto come evento clou o portata principale dell’opera, ma una volta fuori dalla camera da letto torneranno a manifestarsi le bassezze e le ipocrisie della vita quotidiana. Senza facili moralismi ma con un piglio umoristico molto divertente. Tanto che le sequenze esplicite sono la parte meno interessante del fumetto (salvo le buffe onomatopee) mentre la cornice è spassosa.
Non conosco il materiale di partenza, forse era già scritto in maniera molto visiva e con gli stacchi giusti o forse Enrico “Nebbioso” Martini ha saputo trasformarlo in fumetto senza che si notasse la matrice letteraria: la narrazione è effettivamente molto fluida e impiega con efficacia i mezzi a disposizione del fumetto, come l’organizzazione accorta delle tavole, anche quando la storia prevede delle didascalie abbastanza lunghe. I disegni a mezzatinta digitale di Roberto Serafini sono buoni: è piuttosto stilizzato e a volte scarno, ma questo stile è funzionale a rendere l’espressività e il dinamismo delle scene. L’ultima vignetta di pagina 2, in cui rende a meraviglia il movimento del corpo di Federica che precipita nel letto (contrappunto ironico alla precedente didascalia?) è un ottimo biglietto da visita. Molto bella la copertina di Elena “Selenike” Nastasi, anche se il suo stile vagamente euromanga non c’entra molto col contenuto.
Federica (è) il Diavolo costa 4,50 euro, che potrebbero non sembrare pochi per uno spillatino di 32 pagine in bianco e nero. Ma d’altra parte è probabilmente un prodotto di nicchia (quanti lettori casuali potrà attirare oggi come oggi l’erotismo a fumetti?) e il lavoro degli autori li merita tutti. Se la qualità si manterrà su questi livelli varrà la pena di prendere anche i prossimi sette episodi.

giovedì 2 luglio 2020

Dal Cappello de Il Mago

Interessante volume che ripercorre la storia della rivista Il Mago della Mondadori principalmente indicizzandone le serie e i personaggi più rilevanti.
Alessandro Tesauro (credo, non è firmata) si occupa dell’esaustiva introduzione «Dal cilindro della Mondadori» e della sezione «Dalla posta de Il Mago» che riprende brani di risposte ai lettori. L’uso eclettico e a volte assente di virgolette e apici non rende immediatamente chiaro quali siano citazioni letterali e quali i testi inediti di raccordo. A seguire, Alberto Becattini in «L’altro Mago» parla diffusamente della ripresa effimera della rivista nel 1983 a opera di Nino Cannata.
Dopo questi testi introduttivi viene ospitato il corpus centrale del saggio, ovvero il contrario speculare degli indici analitici: non viene indicato il contenuto di ogni singolo numero della rivista ma vengono elencati in ordine alfabetico i personaggi che vi comparirono e i numeri sui quali apparvero. Nilus (e non solo) secondo me avrebbe meritato una voce a se stante invece di essere considerato nell’ombrello generico delle «Strisce e vignette made in Italy».
Dopo otto pagine a colori in cui vengono proposte alcune copertine de Il Mago, senza nessun criterio apparente (si comincia dalla seconda e non dalla prima e del 1978 ne vengono presentate due di fila), c’è una ghiotta sezione a cura di Becattini in cui vengono elencati gli autori apparsi su Il Mago e i fumetti con cui comparvero, appendice indispensabile per avere una panoramica completa visto che i fumetti autoconclusivi non vengono ovviamente citati nell’elenco delle serie. Infine, il prospetto delle caratteristiche editoriali e cartotecniche della rivista e dei suoi due effimeri satelliti, Il Mago Humor (durato dodici numeri) e Il Mago West (sette numeri).
Dal Cappello de Il Mago è un’occasione unica per avere una panoramica esaustiva di quanto pubblicò la rivista nei suoi otto anni di vita. In effetti è principalmente un buono strumento di consultazione, perché a livello critico e storiografico non approfondisce molto la vicenda della rivista (degli «aneddoti» promessi nel sottotitolo non c’è traccia, o comunque sono quelli rinvenibili anche in altre sedi). Per gli appassionati della rivista ma anche di certo fumetto italiano in generale sarebbe quasi un acquisto obbligato.
Ma passiamo alle note negative: il volume consta complessivamente di 88 pagine in formato 15x21, il tutto per ben 19,90 euro. Mi sembra una cifra piuttosto alta, e spiega perché queste caratteristiche siano state astutamente omesse nella presentazione sull’Anteprima. Non ho dubbi sul fatto che Alessandro Tesauro fosse consapevole di rivolgersi a una nicchia probabilmente poco ampia e abbia tarato le tirature di conseguenza, ma proprio in virtù di questa “esclusività” avrebbe dovuto cercare di imbastire un volume non dico pregiato ma almeno dignitoso, senza scadere in certe derive dilettantesche. Se non poteva proprio strappare qualcosa di più dal tipografo avrebbe potuto almeno confezionare un prodotto più professionale: sarebbe bastato dedicare più tempo alla revisione magari cooptando amici e parenti volenterosi come correttori di bozze o grafici.
Il testo è infatti tutto impaginato al vivo, formattato probabilmente in Word e non con un programma apposito, e non è nemmeno giustificato bene; addirittura in un caso (vedi pagina 47) arriva quasi al margine inferiore e si sovrappone al numero di pagina. Gli indici degli autori finali, poi, sono solo delle tabelle Excel mandate in stampa così com’erano formattate, cioè malino: i bordi delle celle sono troppo grossi e il testo al loro interno occupa troppo spazio lambendo o proprio toccando i margini: così le T e le L finiscono per sembrare delle I. Una volta fattoci l’occhio si legge comunque, ma l’impressione non è bella. C’è poi da dire che i dati riportati nelle tabelle (che non includono i numeri in cui comparvero i singoli fumetti, così se uno volesse completare la collezione privilegiando i numeri in cui compare il suo autore preferito è punto a capo) non sono affatto esenti da imprecisioni o addirittura errori: a Romero viene attribuita solo Axa, quando Il Mago ospitò anche la sua Modesty Blaise, non vengono riportate molte date di morte (ad esempio quella di Schiaffino) e via di seguito con errori e omissioni più o meno evidenti: singolare il caso del fumetto Gronski Hotel, per cui alla voce «Di Tillo» viene segnalato questo autore come solo sceneggiatore, mentre alla voce «Tillo» viene indicato come autore completo. Chissà, magari Il Mago ospitò davvero due fumetti con quello stesso titolo, uno scritto da Di Tillo e un altro interamente realizzato da Tillo, ma se non vengono forniti i dati sulla pubblicazione dei fumetti come faccio a saperlo?
Errori e refusi sono comunque una costante anche delle altre parti, e per quasi 20 euro saltano ancora di più all’occhio. Inizialmente la paternità di Mafalda viene attribuita a tal «Ouino», il nome Cthulhu viene riportato correttamente solo metà delle volte in cui viene citato il suo nome nella relativa voce, Alessandro Tesauro come già scritto sopra ha un rapporto schizofrenico con virgolette e apici e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Dal Cappello de Il Mago ha indubbiamente i suoi motivi di interesse (non sapevo ad esempio che pure Salvo Alligo avesse fatto fumetti) ma la realizzazione amatoriale, a questo prezzo poi, mi lascia un po’ perplesso. Con queste premesse, chi se la sente di acquistare l’omologo che Tesauro ha dedicato a Eureka?