sabato 19 dicembre 2020

The Doomsday Machine #5

Come abbondantemente “strillato” in copertina, questo quinto fascicolo presenta una storia extra, portando il computo totale a quattro fumetti. In realtà già lo scorso numero ne offriva quattro, più rilevante è il fatto che le pagine passano a 48 senza aumentare il prezzo.

Questo numero si segnala anche per la nuova gestione affidata a Roy, che però non porta a nessuna modifica sostanziale dei contenuti.

Si comincia con The Last Diner On Earth: parrebbe una parodia di supereroi con il campione russo che combatte senza fine contro quello americano, in realtà i protagonisti sono un macellaio e il cuoco di hamburger che si serve della sua materia prima, che si divertono ad ammirare lo scontro scommettendoci sopra. La trama imbastita da Raffaello De Rosa è simpatica e divertente, non senza un po’ d’azione ben orchestrata. Il twist ending è azzeccato anche se prevedibile (e poi l’hanno sbattuto il quarta di copertina!). I disegni di Angelo Cannata sono inizialmente dignitosi ma peggiorano in corso d’opera, forse per la necessità di consegnare le tavole in tempo.

Torna Officina Infernale con Fortress 2, sempre ispirato ad Alan D. Altieri. Stavolta sono di scena delle mutazioni create a partire da proprietà intellettuali famose, Topolino in testa! Piacevolmente delirante, la storia è “disegnata” usando collage e manipolazione digitale: il risultato mi sembra più efficace di quanto visto sul numero 1.

Fox Season ha un’ambientazione originale: una Scozia contaminata in cui il giovane e mollaccione Rupert viene introdotto dal nobile padre alla rituale caccia alla volpe, adattata alle esigenze di questo mondo post-apocalittico. La storia di Mauro Di Stefano è simpatica e ben architettata (ricorrendo sapientemente ai dettagli delle vignette piuttosto che all’infodump) ma i disegni di Davide Coi, per quanto promettenti, sono ancora molto acerbi.

Sempre meglio, però, di quelli di Federico Galeotti che disegna l’ultima storia, Hibakusha, su testi di Barbara Giorgi. Anche se l’infantilismo di questi schizzi fosse voluto, non è affatto adatto per questa storia in cui anche l’azione svolge un ruolo importante. In un Giappone distopico controllato dagli Stati Uniti il samurai mascherato (o quello che è) Igarashi Masao, sopravvissuto a Hiroshima, si mette al servizio dell’Imperatore Hirohito per liberare una risaia da un mostro: in cambio gli verrà rivelato dove si trova la sua amata Shigeko, figlia di Hirohito. Il combattimento centrale non è il vero perno della storia, ma comunque disegnato così non ci si capisce niente.

Graficamente questo numero è nel complesso il meno riuscito ma le storie si mantengono sempre su un livello soddisfacente.

6 commenti:

  1. Anche se ho solo il numero 6 penso anche io che si tratti di un buon progetto, però avendolo ri-letto ieri sera dopo avere ri-riletto l'unico numero di Cannibale che possiedo ho sviluppato una riflessione notturna onirico-etilica, da prendersi con beneficio d'inventario visto che non sono granché esperto in queste cose e non vorrei paragonare le pere con le noccioline o, come si dice dalle mie parti, "il culo con le Quarant'ore".
    Detto in due parole la mia impressione è questa: abbiamo 2 riviste con caratteristiche simili e diversissime allo stesso tempo, cioè si tratta di fumettisti giovani che producono storie di "fantascienza" (noterai il virgolettato, valido in entrambi i casi) cercando di creare un progetto editoriale articolato, muovendosi entrambe in un mercato tutto sommato difficile per mille ragioni (le loro difficoltà editoriali sono probabilmente di tipo completamente diverso, ma ci sono). Entrambe le riviste non sono proprio underground ma sono diverse dal mainstream.
    Abbiamo un contesto socio-politico radicalmente mutato in cui il fumetto non è più (ahimé) una forma d'arte rivolta alla massa, e questo si riflette sulle forme della proposta editoriale.
    Infine abbiamo scopi senz'altro diversi, e 40 anni di differenza.
    A fronte di tutto questo, e di altre cose che ometto o che non riesco a vedere, temo che il numero di Cannibale sia comunque più
    interessante per me di Doomsday Machine. Il fatto è che, al di là dei disegni e della scrittura, di Pazienza e Scozzari, in generale se non vedessi le date delle due pubblicazioni direi che Cannibale è una rivista più giovane, che colpisce di più per ciò che propone e per come lo propone.
    Sono scemo io o nel 79 eravamo messi meglio come originalità e fantasia?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il paragone non è affatto peregrino. Di certo in questi 40 anni è cambiato anche lo scenario produttivo oltre a quello ideologico, sociale, ecc.
      Nel 1979 c'era sicuramente una maggiore floridezza del settore e si potevano tentare le strade più varie (e i Cannibali avevano il culo parato collaborando a Il Male e ad Alter, potevano permettersi un esperimento come Cannibale). Oggi bisogna battere strade conosciute, o non aliene al poco pubblico potenziale, se si vuole sperare di avere un minimo di visibilità. Almeno quelli di Levathian Labs lo stanno facendo bene.

      Elimina
    2. Sì, il discorso fila. Cioè i Leviathan (e chiunque altro faccia il loro mestiere immagino) potrebbero fare molto meglio ma la natura stessa del mercato ristretto odierno li costringe a rimanere entro i confini del manierismo. Probabilmente è vero.
      Dispiace per il potenziale pubblico, che già è poco e che si assottiglierà sempre di più visto che si rinuncia a sorprenderlo.

      Elimina
    3. Certo, quella volta andavano nelle edicole e adesso solo a fiere e fumetterie.
      En passant, ti saluta Paolo, sono in Google Meet con lui.

      Elimina
    4. Quando lo risenti, ricambia i saluti e fagli i miei migliori auguri.

      Vedi a che ragionamento epocale siamo arrivati partendo da Doomsday Machine.
      Temo che quanto detto sopra si possa applicare a qualsiasi forma d'arte/comunicazione rivolta alle masse.
      Rispetto a 40 anni fa, oggi hai meno probabilità che un discografico illuminato ascolti il tuo demo e decida di investire su di te, se non hai vinto un talent show in televisione.
      Hai meno probabilità che un (grande) produttore illuminato accetti il tuo film se non è un reboot o un remake di qualcosa già fatto prima o se non segue certi canoni prestabiliti.
      Per quanto attiene alle arti figurative e letteratura-non-per-immagini non so, ma tanto quelle ormai non sono più rivolte alle masse.
      I ragazzini non avranno più la possibilità (come l'ho avuta io) di formare il proprio intelletto seguendo tonnellate di fumetti, film e canzoni diversi tra loro.
      Ora non è più l'artista a stabilire il trend, ma è il mercato a condizionare l'artista (in parte è sempre stato così, ma ora è così, e stop).
      Lasciamo l'anno domini 20-20 con questo allegro pensiero: ci stiamo avviando verso il 1984, solo che non è l'ideologia a condurci, ma l'economia.

      Per finire un pensiero per il compleanno di Beethoven (se no ho paura che Lucy mi picchia).

      P.S.: Devo assolutamente mangiare meno pesante, la sera.

      Elimina
    5. Non so quanto il mercato condizioni l'arte applicata: anche di mercato non ne vedo molto in nessun campo, a maggior ragione col Coronavirus! Se puoi fregarti film e musica da internet perche qualcuno dovrebbe investirci sopra? Così teoricamente gli artisti, lasciati a se stessi, dovrebbero poter creare senza alcuna ingerenza ma l'offerta è talmente vasta che emergere non è semplice.

      Elimina