lunedì 27 febbraio 2023

Beatrice - un amore senza tempo

Fumetto di un centinaio di pagine interamente muto ad eccezione dei titoli dei cinque capitoli di cui è composto e delle scritte diegetiche come gli onnipresenti marchi e nomi dei negozi.

Una donna lavora nella guanteria dei grandi magazzini La Brouette, formichina tra le migliaia di altre persone che affollano la città in quelli che capiamo essere i primissimi anni ’70. A distinguerla dagli altri è il suo soprabito rosso, come rossa è una borsa abbandonata che attira la sua attenzione. Fattasi coraggio, si decide a raccoglierla e scopre che contiene un album di fotografie risalenti agli anni ’20. I protagonisti degli scatti sono un uomo e una donna che trasudano gioia e amore. Beatrice parte alla caccia dei luoghi catturati dagli scatti, ma la sua ricerca si rivela deludente. Finché la storia prende una piega sovrannaturale di cui non è il caso di rivelare nulla se non che giustifica il sottotitolo del volume.

Con Arzak e tutta la pletora di fumetti muti che esistono Beatrice non è certo un lavoro rivoluzionario o sperimentale (né ovviamente è necessario che un fumetto lo sia per decretarne la qualità) ma si legge con piacere, a patto di lasciarsi trasportare dal flusso degli eventi senza farsi troppe domande. Confesso infatti di non aver capito come finisce la storia, mi illudo che l’autore abbia voluto lasciare un margine d’interpretazione al lettore ma probabilmente mi sono sfuggiti certi passaggi o non ho colto qualche citazione – Il grande Gatsby c’entrerà qualcosa?

Le tavole di Joris Mertens sono sovrabbondanti di dettagli, ma i disegni si rivelano già a una prima occhiata schizzati e a volte poco realistici. Un De Crécy meno fantasioso, diciamo. Sicuramente è una scelta stilistica voluta per evocare la naturalezza di uno sketch rapido e mantenerne la freschezza, ma le matite non inchiostrate non sempre sono funzionali ai soggetti ritratti, e certe figure sproporzionate (a volte la protagonista stessa) diventano grottesche.

Il colore svolge quindi una funzione fondamentale in questo fumetto, non solo per guidare l’occhio del lettore ma anche per intervenire sui limiti del tratto.

8 commenti:

  1. " Si 'legge' con piacere" ... e te credo, è muto. :D
    Però il vero fumetto muto dovrebbe almeno avere un commento sonoro come le comiche di Charlot. Su Horror facevano qualcosa del genere, mettevano la partitura musicale. Oggi forse potrebbe essere interessante inserire nel libro un cip (ma anche un ciop) con la moseca... qualcosa in stile Jumeaux Magiques ... però così i costi salgono.

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    1. Il fumetto ideale dovrebbe essere muto. E tutti lì a "leggerlo". Eh, le partiture le han messe in tanti! Cinzia Leone, Alan Moore, su Ken Parker...

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    2. Non sono del tutto d'accordo. Secondo me andare verso una comprensione del testo/opera che obliteri la parola scritta rappresenta un'involuzione. Altrimenti dovremmo ammettere che nelle grotte di Lascaux si era già arrivati alla perfezione linguistica, e che tutto quel che è arrivato dopo è involuzione. Ma forse ragiono così solo perché in effetti comincio a essere vecchiotto, e mi dispiace di abbandonare le mie certezze (per esempio non sopporto l'attuale revival del fascismo, ma questo non c'entra).
      D'altronde come diceva Biribis, scriba dell'architetto Numerobis : "Se sapete disegnare, sapete anche scrivere".
      PQR le partiture, mi frega assai, io la musica non la so leggere...

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    3. ...o forse hai semplicemente letto quell'episodio di Martin Mystère in cui si spiega appunto che la scrittura é un'involuzione! Certo, poi é chiaro che con un semplice sguardo non puoi far capire quello che pensa un personaggio o i suoi legami con gli altri, ma le scene dinamiche se rese bene "parlano" veramente da sole. Vedi Hermann, Moebius, Altuna, ecc.

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    4. Ah, beh, se mi parli di scene 'dinamiche' si potrebbero aggiungere tanti altri artisti da Hogarth in poi, ma anche Foster prima, cioè praticamente tutti i fumettari.
      Ma il problema molto più interessante è, appunto, se la parola sia veramente necessaria e/o sufficiente in una narrazione.
      Problema complesso e che è inutile affrontare a queste latitudini (se ne dovrebbe semmai parlare, o mimare, in qualche rendezvous lucchese con accompagnamento di superalcolici vari). L'episodio di MM che citi ora non mi sovviene di averlo letto, ma ci sta, d'altronde Al Castle è un genio assoluto (anche della semiotica, al pari del suo amico Humbert Echo). Le Mysterline dovrebbero avere corso legale.
      Io ho ragionato per mesi su quell'episodio in cui si ipotizza che l'umana civiltà non sarebbe stata possibile senza la decomposizione dei corpi, pensa te.
      A bientot.

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    5. Anche a me è rimasto impresso quell'episodio, disegnato da Della Monica se non vado errato, e probabilmente così strano (alla fine MM moriva) da venir pubblicato su un almanacco del mistero!

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    6. Non erri. Eh, sì, MM moriva, ma "ipoteticamente", perché quella era una storia "ipotetica" (il che significa, presumo, che Castelli avesse messo un'ipoteca sulla storia).
      Tant'era ipotetica che venne presa come riferimento per come dovevano essere le storie della futura "Zona X", e lo stesso Castelli dette indicazioni in tal senso per chi avesse voluto collaborare (su un numero di FDC mi sembra).
      Mi piacerebbe conoscere Castelli, gli farei vedere (se riuscissi a ritrovarlo) quel disegnino che presumibilmente mi fece in una vecchia Lucca, quando ero un fantolino... un omino bufo con la barba e un'ascia in mano che dice: "Lasciate che i pargoli vengano a me ... ih, ih, ih !!!"
      O era lui, o era Perogatt. Ma la firma mi sembra fosse Castelli.
      Comunque era qualcuno stanco di fare 'disegnini' ai bambini.

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    7. Alla prossima Lucca (che così a occhio sarà quella dei record) te lo presento, dai.

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