sabato 7 ottobre 2023

Alice per sempre

L’Alice di Lewis Carroll è cresciuta: adesso è una ladra tossicomane che per procurarsi la “roba” deve lavorare per un poco di buono. In realtà le pillole che prende le servono per andare nel Paese delle Meraviglie insieme ai suoi due gatti che introducono e commentano la storia (e giocherellano tra le vignette). Quando il suo pusher di fiducia muore accoltellato dovrà trovare un altro sistema per procacciarsi la sua chiave verso il Paese delle Meraviglie e quindi si fa ricoverare in manicomio, dove alcune figure reali somigliano incredibilmente a quelle fantastiche. In questo ambiente un tantinello malsano verrà a capo del trauma infantile alla base della sua dipendenza e diverrà una delle cavie del simil-Klaus Kinski che fa esperimenti sui pazienti con la connivenza della direttrice ben felice dei fondi che le vengono erogati – e ne è ben felice anche il padre che vuole che il trauma di Alice rimanga nascosto.

La storia ha una sua originalità, ma più che altro va riconosciuto a Dan Panosian di essere riuscito a elaborare dei bei dialoghi: nulla di sarcastico o postmoderno (non solo) ma perfetti per l’ambientazione vittoriana in cui si svolge la storia. Ignoro quanto del contenuto (la sorella buona, quella stronza, la madre morta giovane, il padre dentista della Corona) sia frutto della fantasia dell’autore e quanto ricavato dalla letteratura critica su Carroll e forse dalla sua biografia, sicuramente l’ultimo capitolo assai affrettato (un damerino inglese che sa come forzare un cancello e picchia come un fabbro? La sorella che sa istintivamente dov’è la cella di Alice? Uno dei guardiani mastodontici messo ko con un pennino?) si fa perdonare grazie al finale inaspettatamente amaro – o forse anche no, a seconda di come lo interpretiamo.

Ai disegni Giorgio Spalletta – col supporto di Cyril Glerum – fa un lavoro abbastanza dignitoso, a patto però di apprezzare i fumettisti che prediligono (scusate la volgarità) lo storytelling: è infatti uno di quei disegnatori che guardano più all’espressività che al realismo, decisamente non il mio stile preferito ma incontrerà sicuramente il favore di quei lettori che accettano volentieri che le mani si contorcano innaturalmente e che il rispetto delle proporzioni passi in cavalleria pur di far recitare al meglio i personaggi. Io gli ho preferito lo stesso Panosian, che ha disegnato le parti ambientate “altrove”, purtroppo pochissime: è un po’ caricaturale ma comunque più rigoroso e tutto sommato il grottesco è coerente con quell’ambientazione, anche perché accompagnato da una bella colorazione a tono – quella di Spalletta è invece squadrata e un po’ rozza, quasi svogliata, ma pare che i colori li abbia fatti sempre Fabiana Mascolo.

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