Storia contemporaneamente lineare e confusa. Wolverine riceve in sogno la richiesta d’aiuto di una vecchia fiamma giapponese già passata a miglior vita, o così ho capito. Dopo l’apparizione di una strega e l’attacco di ninja o samurai o quello che sono Wolverine rinviene un netsuke (qualsiasi cosa sia un netsuke) e viene trasportato nel Giappone di secoli prima dove la sua versione asiatica Kiyoshi, inizialmente ignara del suo fattore rigenerante, sopravvive a una battaglia campale. Ammazzamenti, scontri, mazzate e infine capisce il meccanismo della storia in cui è finito: i netsuke (ninnoli che lo stesso Kiyoshi/Wolverine intaglia) gli permettono una volta ciascuno di viaggiare nel tempo dove superando alcune prove potrà salvare l’anima dell’amata Mariko, quindi si mette alla ricerca degli altri.
Dopo altre mazzate e una lunga carrellata di stereotipi giapponesi si arriva al finale con un colpo di scena su chi aveva progettato questa ordalia (nulla di eccessivamente sconvolgente). E viene data un’interpretazione del significato dei netsuke in relazione al personaggio di Wolverine a beneficio dei fan che vogliono una glassatura di approfondimento psicologico sul loro dolcetto supereroistico.
Quello che più conta in questo fumetto è ovviamente la parte grafica, che però francamente non si è rivelata all’altezza delle aspettative, almeno di come ricordavo George Pratt per i suoi passaggi su Corto Maltese. La genuinità della china, degli acquerelli e delle tempere si avverte, figlia di un’epoca in cui il digitale non aveva ancora rimescolato le carte, però alla fin fine non è che le sue prove siano al livello di quello che fecero, tanto per restare al primo esempio che mi viene in mente, Jon J. Muth e Kent Williams su Meltdown. L’impatto iniziale può essere notevole, certo, ma alla fin fine sono disegni al tratto colorati con un medium trasparente su cui tocchi di biacca o gouache hanno reso la matericità della neve. E alcune rare sequenze sono un po’ confuse senza essere poi così spettacolari.
Le poche vignette per tavola rendono ancora meno indicato il grande formato usato da Panini, 24x32 o giù di lì.
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