Le Sturmtruppen... in tedesco! (purtroppo non si vede molto bene) |
sabato 31 ottobre 2015
mercoledì 28 ottobre 2015
domenica 25 ottobre 2015
sabato 24 ottobre 2015
Morgan Lost non ha inventato nulla.
Come abbiamo visto una delle caratteristiche del nuovo bonelliano Morgan Lost è l'uso della bicromia, per cui le tavole abbondano di rosso. Agli inizi del 2015, però, una scelta estetica di questo tipo è già stata intrapresa dal bimestrale Trieste Rosso Sangue, serie a fumetti di cui è uscito da poco il quarto numero e che dubito abbia travalicato i confini isontini.
Nel caso di Trieste Rosso Sangue, però, mi sembra che l'uso del rosso sia stato caratterizzato da un maggior criterio rispetto a quanto visto nella serie di Chiaverotti:
La serie è edita da Hammerle Editori e Stampatori ed è realizzata a cura di uno studio di autori che ruotano attorno al fumettista Zivorad "Zico" Misic, su cui eventualmente mi riservo di tornare in futuro.
mercoledì 21 ottobre 2015
Great Pacific volume 1: Rifiuti!
Dopo mesi dalla sua uscita e dopo
averlo lasciato decantare per una settimana ho letto il primo volume di Great Pacific. Il soggetto è molto
originale e interessante: il ricchissimo rampollo di una famiglia di petrolieri
si finge morto e va a vivere sulla “Grande Chiazza”, un intero continente fatto
di rifiuti tenuti insieme dalle correnti del Pacifico, per continuare
indisturbato i suoi esperimenti su HERO, un sistema con cui trasformare la
plastica per riciclarla.
Joe Harris non è Warren Ellis ma
le basi scientifiche del suo soggetto sembrano ben documentate e sa renderle
affascinanti. Il tocco di classe, comunque, è la trovata di far autonominare il
protagonista Chas Worthington governatore dello stato del New Texas, come lui
stesso ha ribattezzato la
Grande Chiazza.
Il primo capitolo è un po’
farraginoso nonostante Harris ci tenga afar vedere quanto è bravo a scrivere
dialoghi cool, ma con l’avanzare
degli episodi la storia diventerà più fluida e frenetica. Pure troppo, perché a
integrare questa vicenda di idrocarburi, ecologia e fantapolitica arrivano dei
pittoreschi polinesiani, un kraken mutante innamorato (!), una affascinante
pilota d’aereo, dei pirati più pittoreschi dei polinesiani, delle bombe
atomiche inesplose e il belligerante esercito degli Stati Uniti. E alla fine la
pistola HERO praticamente dona dei superpoteri a Chas. Un po’ troppa carne al
fuoco, e di grana assai grossa, per gridare al capolavoro, e comunque questo
primo volume sembra essere più che altro un’introduzione a una saga che sarà piuttosto
articolata.
Ai disegni Martin Morazzo mi ha
fatto inizialmente una buona impressione: il suo tratto molto stilizzato poteva
ricordare Scott Kolins o altri disegnatori dallo stile molto pulito, ma alla
prova dei fatti gli ho riscontrato vari difettucci, niente comunque che non sia
destinato a sparire col tempo e il lavoro (mani e volti non sempre precisi,
qualche sproporzione, certe asimmetrie, ecc.).
Vedremo come evolve – mi sono già
fatto mettere da parte il secondo volume.
lunedì 19 ottobre 2015
Occhio per occhio, Marvel per Bonelli
Su Linus 16 del luglio 1966, l’ultimo ristampato da Repubblica,
compare un articolo sui comic book della Marvel a firma Paolo Sala e
(nientemeno) Alfredo Castelli.
Il prospetto riassuntivo delle
varie serie Marvel non contiene dei dati propriamente esatti:
Daredevil possiede poteri
telepatici?! Spiderman ha ottenuto i suoi poteri con una trasfusione di sangue?!
Cinquant’anni fa quei supereroi e
gruppi Marvel avevano da poco abbandonato la loro prima infanzia, essendo nati
tra il 1962 e il 1964, e notizie che oggi sono scontate non potevano esserlo
all’epoca, quando oltretutto non era così facile ottenere informazioni di prima
mano ed era impossibile essere aggiornati in tempo reale.
L’articolo di Castelli e Sala, in
cui le imprecisioni erano più che giustificate per questi motivi (in un'altra
parte del pezzo si segnalano Magneto e il Dottor Stromm – chiunque esso sia –
come nemici dei Fantastic Four), me ne ha ricordato un altro apparso sul numero
37 della rivista francese Bodöi,
uscito a gennaio del 2001.
Quel numero conteneva un dossier
dedicato al fumetto italiano e al suo temuto influsso sul mercato francese
visto che all’epoca il gruppo Rizzoli aveva appena acquistato Flammarion che a
sua volta stava acquisendo Casterman. Tra interviste, contributi di vari autori
franco-belgi e articoli da cui traspariva l’adorabile sciovinismo dei cugini
d’Oltralpe figuravano anche dei trafiletti in cui venivano riassunte le
caratteristiche delle serie Bonelli che non erano state approfondite altrove.
Pur tra citazioni esatte che
dimostrano la conoscenza dei personaggi trattati (e forse – FORSE – un accenno
di gradimento per Napoleone), ecco le
perle che sono riusciti a inanellare gli autori del dossier in piena epoca di
internet e senza un oceano di distanza tra loro e l’oggetto dell’analisi:
La mia preferita è lo Zagor
amazzonico che si batte contro il diavolo.
sabato 17 ottobre 2015
Morgan Lost 1: L'uomo dell'ultima notte
Non sono un grande lettore di
fumetti Bonelli ma questo Morgan Lost
mi ha incuriosito. Sarà perché sembra tutto fuorché un fumetto Bonelli: la
bella copertina minimalista con le foto segnaletiche è più vicina allo stile
delle riviste di controcultura anni ’70 che a una copertina di Tex.
La trama e l’ambientazione sono
piuttosto originali: in una ucronia in cui Albert Einstein è uno scrittore di
fantascienza e non un Fisico i serial killer sono delle celebrità televisive
ancor più dei loro cacciatori, professione a cui si è convertito il
protagonista dopo il traumatico rapimento e la conseguente tortura ai danni suoi
e della sua fidanzata Lisbeth, fidanzata che ha trovato la morte tra le mani dei
due adoratori di Seth che come parte del rito le hanno tatuato una sorta di
maschera rituale.
I due folli sono riusciti a
tatuare lo stesso simbolo anche sul volto di Morgan Lost (che nella sua vita
prima del trauma era gestore di un cinema per intenditori) ma il suo sacrificio
al dio Seth è stato interrotto dall’arrivo della polizia. Poiché un serial
killer sta agendo riprendendo il modus
operandi dei due pazzi che gli hanno rovinato la vita, Morgan si sente
particolarmente coinvolto da questo caso.
La serie è ambientata negli anni
’50 di questa realtà alternativa, in una metropoli ribattezzata New Heliopolis
da un sindaco pazzo ed egittofilo, dietro cui non è però difficile intravedere
New York, benché le transazioni economiche avvengano tramite «eurodollari». In
questo universo parallelo l’evoluzione tecnologica ha avuto sviluppi differenti
dal nostro (ad esempio esistono già telefoni cellulari e centrali atomiche) e
anche la società è inevitabilmente diversa, con una burocrazia pervasiva e
giornate lavorative di 14 ore. Ti credo che poi la gente va fuori di testa e ammazza
chi capita sotto tiro.
Questo primo episodio è
traboccante di citazioni cinefile e non (Morgan Lost praticamente vive al Museo
del Cinema di Torino) e se ho ben capito la serie si occuperà di volta in volta
di un serial killer in particolare, alcuni sono già stati introdotti adesso,
portando però avanti anche una trama principale che rivelerà dettagli sul
passato dell’eroe.
L’uomo dell’ultima notte non ha quel ritmo indemoniato e
quell’azione che mi aspettavo. La cadenza della vicenda è sincopata e resa frammentaria
da flashback e sequenze oniriche anche
di brevissima durata, che creano degli inevitabili rallentamenti nella lettura.
Il che è comunque inevitabile visto che Chiaverotti doveva introdurre un sacco
di informazioni sull’ambientazione e sui personaggi e non poteva certo farlo
con inseguimenti e pestaggi. Oltretutto questo esordio è solo il «primo tempo»,
come suggestivamente indicato in calce all’ultima pagina, di una storia che
immagino si concluderà nel prossimo numero. Ignoro se sia una prassi comune o
una novità per la Bonelli
contemporanea, di sicuro certe vestigia dello stile classico di via Buonarroti
sono ancora molto presenti: il peggiore insulto che si sente, oltretutto da un
criminale a dei poliziotti, è «cornacchie» e a pagina 27 lo sceneggiatore
sfodera un gioiellino di demodé: «Senza i manicaretti non te lo impalmi un
mammalucco».
Michele Rubini svolge un buon
lavoro ai disegni, che diventa ottimo nella sequenza del cartone animato in cui
ho ravvisato, ma forse è solo un caso, delle influenze nientemeno che di
Domingo Mandrafina. Esteticamente Morgan
Lost presenta una soluzione originale per cui le tavole sono rese con una
mezzatinta integrata da dettagli colorati di rosso. Il criterio con cui è stato
scelto di evidenziare certi particolari mi è sfuggito, ma non si tratta di un
vezzo gratuito visto che riflette la particolare forma di daltonismo di cui
soffre il protagonista.
Purtroppo tanta ricercatezza non
è supportata da una qualità di stampa adeguata. Anzi, persino l’introduzione di
Chiaverotti sembra essere il tabulato prodotto da una vecchia stampante ad
aghi. In ogni caso i suoi 3,50€ mi pare che li valga tutti, vediamo come
prosegue.
venerdì 16 ottobre 2015
Corto Maltese: Sotto il sole di mezzanotte
Un volume riuscito sin
dall’inizio, con una bella prefazione di Tristan Garcia che ripercorre con
competenza la vita di carta del protagonista e propone una interessante lettura
del suo successo e della sua genesi, oltre ad alcune considerazioni su concetti
molto importanti della saga, fra tutti la frontiera.
In questa nuova avventura Corto
Maltese parte alla volta dell’Alaska per assecondare il desiderio del suo amico
Jack London di consegnare una lettera d’addio a una sua vecchia fiamma. Come
incentivo al compimento della romantica missione fornisce a Corto un
indovinello che gli consentirà di trovare un tesoro una volta sul posto.
Diaz Canales ha saputo
ricostruire alla perfezione lo stile e le atmosfere di Pratt. Sotto il sole di mezzanotte è un vero
compendio di poetica prattiana e sono presenti tutti quegli elementi ambivalenti
che hanno fatto grande Corto Maltese: innanzitutto la storia parte da uno
spunto molto originale in cui però l’aspetto di fantasia viene collocato in un
ambito storico e geografico ricostruito rigorosamente, c’è l’elemento onirico
che per contrasto rende ancora più incisiva la vicenda portante,
l’appropriazione e la contestuale perdita di un tesoro e tutta la storia è
costellata di meravigliosi personaggi che sono un misto di scrupolo
documentario e immaginazione sfrenata (Ulkurib mi ha ricordato il barone Ungern
Sternberg di Corte Sconta detta Arcana),
ma anche di patetismo e contemporaneamente di eroismo romantico.
Un lavoro eccellente, reso ancora
migliore dalle citazioni e le strizzatine d’occhio all’opera di Pratt e da un
occasionale umorismo veramente azzeccato. Va segnalato che comunque la qualità
della storia non si esaurisce nelle sue caratteristiche accessorie, ma di per
sé Sotto il sole di mezzanotte è una
bella storia d’avventura appassionante e godibilissima, forse un po’
sacrificata dal formato a quattro strisce che condensa più sequenze in una sola
tavola dando una scansione delle scene un po’ troppo veloce.
Ammetto inoltre di essermi
emozionato nel finale, in cui Corto Maltese rinuncia a partecipare a un ballo
di gala (per raccogliere fondi per le truppe inglesi e francesi impegnate in
Europa) dopo aver visto chi è la promotrice della serata.
Anche Pellejero (che avevo perso
di vista dai tempi de Il Silenzio di
Malka) compie un lavoro molto buono, ma secondo me non allo stesso livello di
quello fatto dallo sceneggiatore. La mimesi con lo stile grafico di Pratt, in
particolare del Pratt a cavallo degli anni ’70 e ’80 è praticamente totale, ma
Pellejero riesce comunque a fare emergere la sua cifra stilistica più
tondeggiante e flessuosa nel corso del volume. Peccato che certi sfondi,
soprattutto dove sono di scena alberi, sembrino più frutto di rapidità che di
sintesi, così come certe pennellate che vorrebbero imitare i neri intensi di
Pratt tendano a risultare poco naturali e ad appesantire certe vignette (vedi
le montagne nello sfondo o certi riflessi nell’acqua). È chiaro che si tratta di
scelte stilistiche quasi obbligate per omaggiare il Maestro, semplicemente se
questa esperienza avrà seguito Pellejero dovrà calibrare un po’ meglio questi
dettagli. Anche i colori al computer, per quanto efficaci, non sono proprio la
“stessa cosa” di quelli di Pratt, e nemmeno la qualità di stampa mi è sembrata
ineccepibile come un tale volume avrebbe meritato.
Sotto il sole di mezzanotte è un volume consigliatissimo (peccato
che il lettering fatto al computer tolga un po’ di magia al tutto), tanto più
che per 20 euro propone oltre 100 pagine su carta patinata di cui ben 78 di
fumetto. A integrazione c’è una gustosa appendice con schizzi preparatori e
prove di Pellejero, alcuni riprodotti piuttosto male, e commenti sparsi di Diaz
Canales. Certo, sono rimasto piuttosto basito a leggere che per lui internet
sopperisce alla sterminata biblioteca di Pratt, ma visto l’ottimo lavoro svolto
è una boutade che gli perdono senza
difficoltà.
mercoledì 14 ottobre 2015
Ancora su Alix
Partendo dal presupposto che la collana di Alix è imperdibile e si mantiene su livelli molto alti, mi chiedo perché la Mondadori stia facendo dei salti temporali così consistenti tra il materiale presentato. Il quinto episodio è piuttosto recente, risale addirittura al 1988.
Questa scelta editoriale permette senza dubbio di apprezzare l'evoluzione di Jacques Martin (nel caso specifico de Il Cavallo di Troia potremmo però parlare di una lieve involuzione sul piano grafico) ma genera alcuni buchi nella continuity: la storia stessa mi è sembrata un'appendice a un volume precedente di cui riprende un personaggio e la situazione stessa di partenza, così come rivedere il presunto arcinemico di Alix senza averlo mai conosciuto prima toglie un po' di effetto alla sorpresa.
Le avventure precedenti in cui vengono introdotti questi elementi sono proprio così poco meritevoli da esserne procastinata la pubblicazione? Chi vivrà vedra.
domenica 11 ottobre 2015
Batman - Urla nella Notte
Però, un discreto pugno nello
stomaco questo graphic novel di
Batman risalente a oltre vent’anni fa.
Batman e il commissario Gordon indagano
su quella che sembra una guerra tra produttori e spacciatori di droga per poi
scoprire che in realtà si tratta dell’operato di un serial killer che trucida i
colpevoli di violenze su minori infliggendo loro le stesse sevizie subite dalle
vittime o ammazzandoli ideando degli scenari “a tema”: un appassionato di
filmetti particolari viene ritrovato nudo con la testa infilata in un
televisore e la costruzione della tavola ci risparmia di vedere in che stato sia
il suo deretano.
I due protagonisti comunque
“indagano” quasi per modo di dire visto che le ingerenze dei politici, il
disinteresse delle autorità e il menefreghismo degli altri poliziotti
complottano per evitare che certe cose vengano alla luce, sia per una questione
di prestigio delle vittime eccellenti che per semplice disinteresse alle sorti
di una famiglia povera.
L’indagine fornirà l’occasione a
Bruce Wayne e soprattutto a James Gordon di venire a patti con alcuni traumi
del loro passato prendendo coscienza di come si riflettano nella loro vita
attuale e permettendo così di guardare con rinnovata fiducia al futuro. Questa
è in pratica l’unica nota positiva in un volume che è intriso di inquietudine,
morbosità e disperazione. Fino alla fine, tutt’altro che consolatoria – anzi, veramente
disperata.
Fa un po’ sorridere pensare che
mentre oggi, come in fondo in qualsiasi epoca, c’è chi gioca sullo shock value per attirare l’attenzione su
di sé e vendere fumetti, in epoca di Comics Code Authority ancora vigente
potesse venire rappresentata una scena come quella di pagina 50, in cui un collo di
bottiglia insanguinato accanto a un corpo nudo che sanguina da una parte inequivocabile
comunica molto di più di tutte le spacconate di Garth Ennis.
Archie Goodwin scrive come si
usava fare a seguito della British
Invasion e le molte didascalie scavano nella psicologia dei personaggi
infarcendone i pensieri di concetti ripresi da testi di psicanalisi e
antropologia, con qualche rara infiorettatura che immagino volesse risultare
stilisticamente elevata. All’inizio l’impatto potrebbe essere un po’ ostico ma
la storia diventa presto coinvolgente e davanti a certi dettagli è difficile rimanere
indifferenti. Oltretutto l’elemento whodunnit
è molto ben gestito, creando una falsa pista che poi si riallaccia alla
perfezione con quella del vero colpevole. Anche l’elemento paranormale che si
rivela alla fine (è pur sempre un fumetto di supereroi) ci sta tutto e non
rovina affatto l’atmosfera, anzi la rilancia rendendola ancora più drammatica.
Detto questo, confesso che gli
acquerelli di Scott Hampton (che se ho interpretato bene è anche coautore della
storia) sono il motivo principale per cui ho preso questo volumetto e in
effetti sono magnifici e perfettamente adeguati alla storia narrata. Si fa
presto a dire che è facile dipingere partendo da fotografie, in realtà la
personalità di un artista viene fuori comunque: pur usando la stessa tecnica
Hampton ottiene risultati molto diversi dal mio adorato Jon J Muth. Dato il
formato più schiacciato delle tavole rispetto allo standard 17x26 (come se
fossero state tagliate in alto e in basso) mi viene il dubbio che forse in
origine Urla nella Notte fosse stato
presentato in formato album ma anche se fosse stato ridimensionato per questa
edizione il risultato finale non ne risente. E per quel che mi riguarda la
RW Lion ha fatto bene a farne una versione brossurata
e non deluxe (che la storia avrebbe comunque meritato) visto che a questo prezzo,
10,95€, è stato facile farmi capitolare ed acquistare questo gioiellino.
venerdì 9 ottobre 2015
Mi sorge un dubbio...
Stamattina in edicola ho trovato questo volume:
Ho preferito passare perché la saga un po' qua un po' là ce l'ho già tutta, e comunque non avevo tutta 'sta voglia di rivedermi i disegni un po' legnosetti e le splendide donne con il naso schiacciato e l'attaccatura dei capelli un po' troppo alta di Burgeon (il bello di diventare vecchi è che non ci si fa problemi a esprimere le proprie opinioni).
Oltretutto così a una prima occhiata e "palpata" mi è sembrato che questo tomo fosse nettamente più smilzo rispetto agli altri.
Adesso però mi sorge un dubbio: visto che ho già rimandato al mittente il precedente volume di Fouché non è che la Mondadori deciderà di non far più pervenire Historica nell'edicola dove la compro?
Chi vivrà vedrà...
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mercoledì 7 ottobre 2015
Crossed + Cento 1: Fondazione e Impero
(in internet non si trova la copertina Panini...) |
Niente tira di più di un pelo di barba
di Alan Moore… il suo brand-nome mi ha fatto vincere la repulsione istintiva
che avevo per Crossed (figurarsi, una
serie statunitense che basa il suo appeal
sulla promessa di sesso e violenza esasperati, oltretutto ideata da quel
paraculo di Garth Ennis!) ed eccomi qui a recensire Crossed + Cento.
Al termine della lunga e non
facilissima lettura posso dire che si tratta di un ottimo lavoro, curatissimo
in ogni sua parte, sicuramente ben costruito e fedelissimo ai suoi assunti
fatici e morali di base. Però non mi è piaciuto del tutto. Credo che sia una
sensazione che chiunque abbia letto l’Ulisse
di Joyce o abbia visto Sacrificio di
Tarkovski possa condividere: si è approcciato qualcosa di geniale, di
monumentale, forse una pietra angolare del rispettivo ambito ma adesso basta,
grazie, torno a qualcosa di più digeribile.
La storia è ambientata nel futuro
dell’universo narrativo di Crossed,
in una sorta di dopo-catastrofe in cui Moore ha inserito vari elementi
ecologisti senza farli pesare troppo (anzi, se non fosse stato per la sua
introduzione non li avrei forse nemmeno notati). Un gruppo di esploratori
viaggia dalla natia Ch[attan]ooga, tra di essi l’archivista Future che
raccoglie campioni letterari, audiovisivi e qualsiasi altra testimonianza
culturale del passato. Nello specifico ha il pallino per la fantascienza (e
ognuno dei sei episodi riprende il titolo di un romanzo di fantascienza, noblesse oblige) o meglio per le
“fintestorie”, come le chiama lei.
Eh, già, perché Alan Moore si è
dedicato anche qui alla sua passione di creare nuove lingue, arrivando persino
a farci dei giochi di parole! Il traduttore, Fabio Gamberini, è stato veramente
un eroe. Il linguaggio parlato dai personaggi sulle prime risulta simpatico e
suggestivo ma finisce presto per diventare ridondante, ossessivo, pesante.
Forse perché Moore ha usato volutamente un numero ristretto di vocaboli.
La presenza di questa lingua che
necessita di un pur minimo sforzo di comprensione non è comunque l’unico elemento
che rende Crossed + Cento lento e
farraginoso. Anche se esiste una validissima trama di detection alla base della storia (che deflagrerà splendidamente
alla fine), la prima metà del volume è fortemente descrittiva visto che Moore
ha scelto di dettagliare in profondità com’è il mondo a 100 anni dalla
“Sorpresa” (l’ascesa degli scrociati), quali sono i cambiamenti climatici
avvenuti, i tipi di società ricostruiti, quali le vestigia di alcune religioni,
i rapporti tra le comunità di sopravvissuti, i costumi sessuali e così via.
Un ottimo fumetto, ma l’estrema
ricercatezza dello stile e la partenza più descrittiva che narrativa lo hanno
reso “meno ottimo” di quello che avrebbe potuto essere, o per meglio dire meno
appassionante.
Il disegnatore Gabriel Andrade è
sulla stessa lunghezza d’onda di Moore: le sue vignette sono cariche di
dettagli e i suoi disegni curatissimi. Ciò non impedisce ai suoi personaggi di
essere espressivi e sufficientemente dinamici. Purtroppo la brossura impedisce
di godere appieno delle tavole doppie e persino dei dettagli delle vignette più
vicini alla rilegatura, almeno nelle pagine centrali. Ciò detto, la qualità di
stampa è ottima.
In omaggio viene data una
maschera di cartoncino da scrociato, forse per canzonare le operazioni simili
(mi sembra non coronate dal successo) della RW Lion ma comunque utilissima come
segnalibro visto che di pause nella lettura ne ho fatte parecchie. La classe
non è merda.
PS: “al.cre” vuol dire “almeno
credo”, vero?
martedì 6 ottobre 2015
Alix 4: Le Legioni Perdute
Il penultimo paragrafo della mia recensione della terza uscita di Alix
voleva dire implicitamente che non avrei continuato a recensirne altri: tanto
la qualità è altissima e non avrebbe avuto senso sdilinquirsi oltre. Ma con Le Legioni Perdute devo tornare sulla
mia decisione perché mi sembra che sia finora il migliore tra quelli
pubblicati, e la storia risale al 1965, quindi tra quelli visti finora è addirittura
il più vecchio.
Non starò qui a cercare segnali
di modernità in un fumetto che non lo vuole essere e che anzi ha nel suo status
di classico (giustamente riconosciuto) uno dei suoi punti di forza. Rimane però
un incredibile piacere vedere come Jacques Martin sapesse imbastire dei
soggetti originali in un contesto già abusatissimo e come soprattutto riuscisse
a intrecciare le sue trame con precisione e rigore, introducendo gli elementi
giusti al momento giusto e non lasciando (almeno a quanto visto finora) nulla
al caso. Nonostante i cinquant’anni di età la lettura di Le Legioni Perdute è stata un’esperienza coinvolgente e
appassionante, con non poche sorprese e notevoli cliffhanger.
Non mi ci soffermo troppo:
stavolta il proverbiale complotto viene ordito da Pompeo che vuole eliminare Cesare
facendo riunire le tribù galliche e germaniche grazie a una reliquia che darà
un incredibile carisma a chi la brandirà.
Da segnalare inoltre che persino
il disegno è migliore di quello dei tre episodi precedentemente pubblicati da
Mondadori che però furono realizzati in anni successivi! Forse qui Martin aveva
qualche collaboratore diverso, sta di fatto che le figure umane sono molto più
proporzionate e dinamiche (nessun “testone”, insomma) mentre gli sfondi, le
architetture e gli animali sono impeccabili come sempre.
Anche la colorazione mi è parsa
migliore, meno aggressiva di quella dei tre numeri scorsi, ma qui magari la
causa è solo l’utilizzo di impianti di stampa che si sono conservati in maniera
diversa.
Archiviato il fumetto in sé tra i
gioielli della Nona (o Decima, o quello che è) Arte, la confezione e l’edizione
con cui è presentato sono degne? Io propendo decisamente per il sì, visto il
rapporto qualità-quantità-prezzo e considerato che stavolta non c’è nessun
fraintendimento Enok-Enak o Alex-Alix come nei precedenti volumi. A pagina 22 c’è
una didascalia che avrebbe dovuto essere una nuvoletta di dialogo, ma l’errore
lo aveva compiuto Martin a suo tempo.
Al massimo è un peccato veniale
che i rimandi alla continuity, qui
abbastanza consistenti (il centurione Galva che riappare dopo una o più
avventure citate nei dialoghi, il cugino Vanik che sicuramente sarà comparso in
precedenza) siano stati eliminati e che quindi manchi qualche tassello all’affresco
complessivo della saga. Ma è una cosa a cui verrà posto rimedio nel giro di
poche settimane data la tabella di marcia della serie.
lunedì 5 ottobre 2015
The Royals - I Signori della Guerra 1
Probabilmente ispirati alla
tradizione folkloristica dei Re Taumaturghi, nell’universo narrativo di The Royals sono gli esponenti
dell’aristocrazia i soli possessori di superpoteri. Più puro è il sangue più
potenti sono le abilità superumane. Toh, un’idea originale nel campo dei
supereroi. E come le migliori idee originali è semplice e rielabora un concetto
preesistente che nessuno aveva avuto l’illuminazione di trasporre prima in un
altro contesto.
Questo primo episodio funge da
prologo e si svolge in due linee temporali diverse: nel 1945, mentre sta ancora
infuriando la Seconda
Guerra Mondiale, il principe Henry si lancia su Berlino per
contribuire alle sorti di Albione da par suo, e vi incontra un arcinemico per
il momento ancora innominato.
Nel 1940 gli Windsor hanno ben altri
pensieri che la guerra che ormai è giunta anche nella loro nazione. Il placido
re Albert si gode la vita e i fasti di palazzo insieme ai figli Henry, Rose e
Arthur (quest’ultimo uno stronzo debosciato), protetto dalle voci artatamente
diffuse secondo cui nessuno dei suoi figli possiede superpoteri, esattamente
come lui, e quindi non possono fare nulla per proteggere i loro sudditi, tanto
meno sporcandosi le mani in battaglia. Ma durante una festa la telepate Rose e
il volante (e chissà quante altre cose) Henry si allontanano dalla sfarzo del
palazzo per vedere cosa sta succedendo realmente al loro Paese e a seguito
della visione delle brutture della guerra decidono di prendervi parte attiva.
Per il momento, almeno, si è visto in azione Henry.
Oltre a un assunto di base non
banale The Royals offre una lettura piacevole fatta di battute secche
alternate ad altre che immagino vogliano parodiare la prosopopea britannica.
Non è ragionevolmente da escludere che alla fine questa miniserie di 6 si ridurrà
alla solita scazzottata, ma voglio comunque dare fiducia allo sceneggiatore Rob
Williams.
I disegni di Simon Coleby sono
oltretutto piuttosto belli ed efficaci, molto dettagliati ma anche abbastanza
espressivi. Qualche pecca ce l’ha pure lui ma sullo stesso ripiano della
fumetteria dove ho trovato The Royals
c’era anche il ventesimo John Constantine
con gli sgorbi di Ben Templesmith, che mi ha fatto desistere dal continuare a
comprare la testata (con buona pace di Swamp
Thing che magari recupererò in altro formato) e di fronte al quale Coleby
sembra Manara.
Nell’albetto sono presenti solo
un paio di refusi, ma purtroppo uno proprio in un esergo nella postfazione di
Williams, dove risalta terribilmente.
In appendice una storia breve di
Gilbert Hernandez, dal soggetto molto banale e disegnata con una
semplificazione del tratto quasi offensiva. La cosa che ho apprezzato di più de
La Signora
in Nero (questo il titolo della storiella) sono i colori di Lee Loughridge.
La storia è in bianco e nero ma giuro che viene veramente indicato il
colorista: forse avrà scelto quale tonalità di azzurro impiegare per riempire
le parti di tavola non occupate dalle vignette…
domenica 4 ottobre 2015
Zenith Fase Tre
Si è fatto attendere (che non sia
stato poi questo grande successo per la Panini?) ma ne è valsa la pena. Questo terzo
volume di Zenith è ancora meglio dei
precedenti.
Come già anticipato nello scorso
numero, Zenith si trova coinvolto in un guaio di dimensioni multiversali: i
Lloigor lovecraftiani sono tornati e con meticolosa malvagità si sono
impossessati dei corpi dei superumani di quasi tutte le realtà alternative,
assicurandosi così una facile vittoria su tutte le altre forze in gioco nei
singoli mondi e quindi il dominio incontrastato di quegli stessi mondi. Possono
quindi puntare a qualcosa di ancora più grosso.
Non tutti gli eroi, però, sono
ancora caduti e il Maximan di Alternativa 23 (quello “originale” del mondo di
Zenith era morto durante la Seconda Guerra
Mondiale) ha imbastito un esercito di supereroi da tutte le realtà alternative
per distruggere il piano di dominazione totale dei Lloigor, che si
concretizzerà una volta avvenuto l’“allineamento” delle varie terre: per farlo
bisognerà inviare delle squadre di eroi a distruggere gli interi universi 666 e
257.
Il riluttante e strafottente Zenith fa parte del manipolo destinato ad Alternativa 257.
Il riluttante e strafottente Zenith fa parte del manipolo destinato ad Alternativa 257.
Ora, salvare l’intero multiverso
non è certo una cosa facile di suo e a complicare le cose interverranno
sorprese spiacevoli e rivelazioni inaspettate.
La saga procede incalzante e con
un ottimo ritmo, io sono rimasto incollato alle pagine nonostante la lunghezza
di questa trama che si dipana su una trentina scarsa di capitoli. Dalla seconda
metà del tomo in poi c’è forse qualche divagazione che rallenta la lettura, ma
bisogna anche considerare le necessità di Morrison che doveva infarcire le
consuete 4-5 tavole settimanali (formato-capestro che pochi sceneggiatori sanno
gestire efficacemente) di elementi che facessero avanzare la trama principale
più altri che sviluppassero le sottotrame e rilanciare il tutto con idee nuove.
I dialoghi, soprattutto nella
prima parte quando il protagonista è più presente sulla scena, sono
spumeggianti e la battuta finale sul presunto “sacrificio”
del protagonista mi ha fatto ridere di gusto.
Questa Fase Tre offre oltretutto il piacere aggiuntivo di vedere una
carrellata di supereroi inglesi e di farsi una cultura in merito. Alcuni
saranno pure stati inventati da Morrison, ma almeno il robot Archie e Steel
Claw sono realmente esistiti (del primo ricordo che anche la figlia di Moore
diede una sua versione, del secondo la RW Lineachiara ha ripreso il
testimone della pubblicazione italiana dalla Planeta DeAgostini). La scena che
apre il quinto capitolo mi sembra debitrice di quella analoga che compariva in
Marvelman/Miracleman ma forse è una coincidenza.
Spiace dirlo, ma forse il
migliore Grant Morrison era questo e non ha saputo ripetersi allo stesso
livello, pur se ha realizzato altre cose buonissime o eccellenti. E purtroppo Multiversity non rientra in nessuna
delle due categorie.
Come al solito, la parte più
debole di Zenith (l’unica parte
debole) è quella grafica. Forse pressato dalle scadenze o inebriato dal
successo Steve Yeowell schematizza ancora di più le sue vignette. Magari come
illustratore sa fare cose accettabili, ma il fumetto non è proprio il suo
campo. La glaciale stilizzazione delle sue figure ne rende difficile il
riconoscimento e in più di un’occasione ho addirittura sentito la necessità di avere
una didascalia che mi spiegasse cosa diavolo veniva rappresentato nei disegni –
ma per quanto necessaria, una cosa del genere sarebbe stata contraria allo
spirito con cui veniva realizzato Zenith.
Nei campi lunghi, poi, Yeowell rende indistinguibili tra di loro i personaggi,
che in quell’accozzaglia di trattini e campiture non si capisce più nemmeno se
sono maschi o femmine. Gli elementi distintivi dei costumi, inoltre, li disegna
solo nei dettagli e nelle inquadrature
molto ravvicinate e comunque non è che siano poi di grande aiuto visto che, ad
esempio, si dimentica di disegnare la
S che dovrebbe campeggiare sul petto di uno di loro.
Al di là delle questioni estetiche
mi è sembrato che Yeowell fosse veramente di fretta e abbia tirato via in più
di un’occasione: la scena di massa che dovrebbe stupire il lettore per la folla
oceanica di supereroi chiamati a raccolta risulta invece assai scarna e povera.
In appendice una storiellina
lisergica disegnata (vivaddio) da Jim McCarthy. Niente di memorabile,
soprattutto in considerazione della qualità della saga portante, ma
probabilmente per l’epoca era qualcosa di originale e innovativo.
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