sabato 11 marzo 2017

Volt - Che vita di Mecha...

Ho voluto aspettare di leggere il secondo numero di questa simpatica nuova proposta prima di esprimermi in merito e credo di aver fatto bene visto che tra primo e secondo numero ci sono delle differenze sostanziali (non eccessive ma sostanziali).
Spesso dichiarare le proprie influenze e i propri modelli è un passo falso, visto che inevitabilmente porta il fruitore di un’opera a fare confronti tra le opere di riferimento e quelle dell’ultimo arrivato che si affaccia al mercato. Da questo punto di vista Andrea Ciccarelli l’ha combinata veramente grossa sul primo numero di Volt, in cui dichiara per nulla velatamente che questa nuova proposta saldaPress vuole inserirsi nel solco di Rat-Man, nientemeno che il “miracolo italiano” che negli ultimi vent’anni ha spopolato tra i lettori italiani. Una dichiarazione tanto più coraggiosa e avventata quanto più consideriamo che anche gli eredi ufficiali di Rat-Man, Nirvana e “A” come Ignoranza editi dalla stessa Panini di Rat-Man, non sembrano essere riusciti a raggiungere gli stessi livelli di popolarità della creatura di Leo Ortolani.
Ma tutto sommato tanta genuinità potrebbe anche ben disporre il lettore, che sorridendo pensa “Tanto non potrà mai essere come Rat-Man” mentre si appresta a leggere benevolmente questo nuovo fumetto. E forse, come tipo di umorismo e pubblico d’elezione, Volt potrebbe veramente essere l’erede di Rat-Man.
Il brossuratino presenta un menu piuttosto ricco, che contempla anche dei redazionali (proprio sulla scia di quanto fatto dalla Panini su Rat-Man) e non solo ben quattro serie a fumetti – ma col secondo numero la proporzione degli ingredienti varierà sensibilmente. La serie titolare viene narrata con l’espediente della favola raccontata ai nipotini e racconta di come Volt, aspirante fumettista, abbia dovuto accantonare momentaneamente i suoi sogni di gloria per cedere allo sfinimento della luciferina madre, esasperata dalla sua vita senza sbocchi, e accettare un lavoro presso una fumetteria. La serie portante conferma anche nel secondo numero di pescare nell’immaginario nerd più classico, con un umorismo basato sui “mammoni” dai meccanismi un po’ scontati e alla fine autoassolutorio.
Stefano Conte/TheSparker disegna in maniera semplice, pulita e rigorosa. Non credo di poter essere accusato di lesa maestà se dico che a confronto con il primo Ortolani (non necessariamente quello di Spot ma anche del primissimo Rat-Man Panini), Conte risulta essere più maturo e professionale. La sua personale linea chiara viene integrata da retini che la abbelliscono e da espedienti grafici che dinamizzano il tutto. La particolare scelta stilistica dell’autore di usare gli oggetti più vari al posto delle teste dei personaggi avrebbe potuto comportare il rischio di rendere le sue tavole poco espressive. In effetti è difficilissimo far recitare sia il protagonista che sua madre (uno è un robot, l’altra indossa la maschera di Darth Vader), eppure Conte ha saputo comunque ricavare un bel po’ di espressività nei limiti angusti di questa scelta stilistica. Inoltre il fatto di avere un protagonista programmaticamente inespressivo assume quasi i contorni di una coraggiosa dichiarazione d’intenti: visto che non posso farvi ridere con le faccette buffe, allora vi prometto dei bei testi.
Va comunque aggiunto che molte figure di contorno, pur non avendo una “vera” faccia, dispongono
di un volto animalesco che Conte sa far recitare con grande abilità.
Con la seconda uscita Volt si conferma una piacevole lettura, anche più divertente del numero d’esordio, e il suo universo comincia a espandersi in maniera coerente dando la piacevole sensazione di trovarsi davanti a un progetto coerente che verrà dispiegato ancora di più nei prossimi numeri (la continuity, insomma).
Ci sono poi le strisce di Che vita di Mecha… (come si chiamava la serie di strip pubblicate su internet, da cui tutto il progetto nasce), fulminanti tranches de vie in cui vengono riproposte le situazioni più bizzarre con cui può avere a che fare un commesso di fumetteria: è la parte più esilarante di tutto il fumetto, con certe uscite che fanno veramente scompisciare. Alcune vengono addirittura presentate dai lettori stessi, siano essi titolari di edicole/fumetterie o meno. Le soluzioni di Conte per raffigurare i clienti sono spesso geniali nella loro semplicità: un bifolco ha una lampadina come testa, che si accende quando ha un’“illuminazione”, così come una cliente autoproclamatasi romantica ha il visetto incastonato in una caramella.
Seguono Le Cinetiche Mangavventure di MangaMan, il “fumetto nel fumetto” che presenta alcuni lacerti dell’opera di Volt. Si prendono ovviamente in giro le convenzioni e i luoghi comuni dei manga, ma a questo umorismo può avere accesso anche il non appassionato che conosca almeno per sommi capi alcuni degli stereotipi che vengono presentati di volta in volta. Il lavoro grafico di Conte è lodevole, nella dimensione della tavola unica su quattro o (addirittura più spesso) cinque strisce ha saputo inventarsi delle soluzioni grafiche ottimali per far stare tutte le scenette in una pagina di formato bonelliano.
La parte scritta è affidata a Stefano Perullo, ed è quasi un corpo estraneo nel complesso del progetto editoriale: l’argomento (la storia delle fumetterie) è più che pertinente ma lo scrupolo documentaristico e le puntuali considerazioni a margine, forse elaborazioni dal libro di interviste di Will Eisner, rende la sua parte un po’ seriosa anche se il tono che usa Perullo non lo è affatto.
Conclude il sommario del primo numero No Robo! (o forse Noi Robot, la grafica del logo non mi è molto chiara), una serie di gag indirizzate a quanti subiscono ancora il fascino dei robottoni delle saghe animate giapponesi, a cui io sono del tutto immune. In questa appendice Conte dedica ancora più attenzione all’aspetto grafico, profondendo maggiore cura nei disegni.
Ho fatto bene ad aspettare la seconda uscita per esprimere un giudizio, perché l’idea che mi sono fatto dell’organizzazione della collana dal sommario del primo numero in realtà è fallace: nel secondo numero c’è una storia portante molto più lunga e, oltre alle consuete e sempre graditissime strisce di Che Vita di Mecha…, c’è quasi solo un altro fumetto, che poi non è nemmeno un fumetto: riprendendo l’idea del “fumetto nel fumetto” del numero precedente, vengono presentate le schede del Nerdonomicon a cui si fa riferimento all’interno della storia lunga.
In appendice c’è ancora spazio per due tavole di Le 108 arti oscure dell’amore materno (corollario alla serie portante che ovviamente non può condividerne lo stesso mordente esaurendosi nella dimensione di one pager) e per un redazionale «a cura della redazione» che in sostanza è una pagina di pubblicità dei prodotti saldaPress, né finge di non esserlo.
Confortato dalla lettura del secondo numero, posso dire che nel complesso Volt è una lettura piacevole con punte di vera ilarità, e ho trovato interessante lo spiazzante cambiamento del sommario del secondo numero: così si viene anche a creare la curiosità di sapere cosa ci sarà come “fumetto nel fumetto” nel prossimo numero. Ma al di là della qualità del fumetto, posso capire benissimo perché saldaPress abbia puntato sul progetto: il protagonista è un nerd aspirante fumettista in cui molti lettori potranno riconoscersi (e quindi chissà che il suo neutro volto di robot non riesca alla fine a facilitare l’immedesimazione) e, almeno nel primo numero, molto spazio viene dedicato ai nostalgici dei manga puntando quindi su un bacino di utenza potenzialmente molto ampio.
Chiaramente è ancora presto per dire se in effetti è stato trovato un erede di Rat-Man, ma nel frattempo io continuerò ad acquistarlo. Anche se credo che per leggere il terzo numero dovrò aspettare due mesi nonostante in terza di copertina venga già annunciato per il 10 aprile!

4 commenti:

  1. Ah.
    Io il primo numero l'ho visto,e... non preso.
    Ora mi ritrovo (finalmente) una recensione come si deve. E quindi dai, magari gli do una possibilità :)

    Moz-

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    1. Potrebbe piacerti, secondo me. E poi sono solo 3 euro...

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  2. Rat-Man è un concorrente per il titolo di fumetto più sopravvaluatato della storia. Un po' va bene, poi diventa una noia mortale. La serie Panini l'ho retta per una quarantina di numeri poi ho mollato.

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    1. Io sono arrivato fino al 100, ma non l'ho seguito dall'inizio (ho recuperato con le raccolte). Il problema è che a un certo punto invece che "semplici" parodie Leo Ortolani comincia a fare metafumetto e può risultare un po' pesantino.

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