Una donna lavora nella guanteria dei grandi magazzini La Brouette, formichina tra le migliaia di altre persone che affollano la città in quelli che capiamo essere i primissimi anni ’70. A distinguerla dagli altri è il suo soprabito rosso, come rossa è una borsa abbandonata che attira la sua attenzione. Fattasi coraggio, si decide a raccoglierla e scopre che contiene un album di fotografie risalenti agli anni ’20. I protagonisti degli scatti sono un uomo e una donna che trasudano gioia e amore. Beatrice parte alla caccia dei luoghi catturati dagli scatti, ma la sua ricerca si rivela deludente. Finché la storia prende una piega sovrannaturale di cui non è il caso di rivelare nulla se non che giustifica il sottotitolo del volume.
Con Arzak e tutta la pletora di fumetti muti che esistono Beatrice non è certo un lavoro rivoluzionario o sperimentale (né ovviamente è necessario che un fumetto lo sia per decretarne la qualità) ma si legge con piacere, a patto di lasciarsi trasportare dal flusso degli eventi senza farsi troppe domande. Confesso infatti di non aver capito come finisce la storia, mi illudo che l’autore abbia voluto lasciare un margine d’interpretazione al lettore ma probabilmente mi sono sfuggiti certi passaggi o non ho colto qualche citazione – Il grande Gatsby c’entrerà qualcosa?
Le tavole di Joris Mertens sono sovrabbondanti di dettagli, ma i disegni si rivelano già a una prima occhiata schizzati e a volte poco realistici. Un De Crécy meno fantasioso, diciamo. Sicuramente è una scelta stilistica voluta per evocare la naturalezza di uno sketch rapido e mantenerne la freschezza, ma le matite non inchiostrate non sempre sono funzionali ai soggetti ritratti, e certe figure sproporzionate (a volte la protagonista stessa) diventano grottesche.
Il colore svolge quindi una funzione fondamentale in questo fumetto, non solo per guidare l’occhio del lettore ma anche per intervenire sui limiti del tratto.