In questo universo i supereroi sono maghi che provengono da un’altra realtà (anche se non dovrebbero): il protagonista Oliver è un derelitto che anni prima, quand’era ancora un ragazzino che studiava magia, salvò il suo mondo da un rinnegato potentissimo. Adesso in città è arrivata una nuova squadra di supereroi, uno dei quali lo aiuta in una brutta situazione: ma Oliver non si lascia ingannare e capisce che dietro il suo salvatore c’è uno dei seguaci di Vanish (il mago cattivo) che all’epoca non furono eliminati. Confezionatosi quindi un improbabile costume con la sua vecchia divisa di studente di magia va a caccia degli altri “supereroi” per sventare i loro piani di dominio.
A me il soggetto sembra abbastanza originale, anche se la commistione di fantasy e supereroi mi è un po’ indigesta. Ma sicuramente con tutti i miliardi di supereroi che sono stati inventati ci sarà qualche precedente. Pur se la storia si riduce alla fine ai soliti scontri tra buoni e cattivi, non si può comunque dire che Donny Cates non sappia scrivere: i suoi dialoghi sono mediamente molto buoni, e impone un bel ritmo al fumetto. Ho avvertito inoltre la volontà di uscire un po’ dal purgatorio del genere, pur rientrandovi pienamente, evocando situazioni più mature come l’elenco delle sostanze a cui fa ricorso Oliver oppure il rimando ad altri problemi concreti che devono affrontare gli adulti, e non manca una rappresentazione iperbolica ma abbastanza esplicita della violenza. Anche il fatto di intitolare la serie al cattivo e non al protagonista è un tocco di originalità (ma hai visto mai che alla fine della fiera scopriremo che sono la stessa persona?).
I disegni di Ryan Stegman fan venire voglia di cavarsi gli occhi. Emulo tardivo di Todd McFarlane, segue con devozione la filosofia secondo cui se non si padroneggia l’anatomia allora bisogna riempire le vignette di più tratteggi possibili, assecondato da JP Mayer che inchiostra in maniera esageratamente pesante i pochi elementi “sicuri”. È probabile che il lettore statunitense voglia vedere solo le splash pages e ignori il resto, quindi i due responsabili della parte grafica non perdono tempo a rendere riconoscibile un personaggio nei campi lunghi o a rendere comprensibili le espressioni dei volti in primo piano. Ben vengano quindi gli effetti con cui la colorista Sonia Oback sfoca certi elementi. Eppure proprio il raccapriccio che evocano queste tavole si adatta bene a una storia che non vuole prendersi troppo sul serio e al contempo vuole trasmettere una sensazione di disagio.
Vanish non si conclude con questo primo volume che anzi termina con un cliffhanger. Quei furbacchioni della saldaPress non hanno però aggiunto la lettera A al numero 1 (onore al merito, loro almeno lo fanno), quindi immagino che non si tratti di un trading paperback spezzato in due come già successo ma che anche in USA sia stato raccolto così. Resta un po’ di curiosità di sapere come andrà a finire la storia, per quanto sia certo che non rimarrà nella Storia del fumetto (al massimo in quella dei supereroi e probabilmente neanche là).
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