Lo scenario parte dal presupposto che nel corso della Seconda Guerra Mondiale la Germania avesse sviluppato un programma per creare un’arma biologica, cioè in sostanza un supereroe. Ma con l’approssimarsi della disfatta del Terzo Reich lo scienziato responsabile del progetto contrabbanda il feto negli Stati Uniti. La Russia non è stata a guardare e ha sviluppato una sua classe di supersoldati, la Matrioska, che sono rimasti inattivi fino a poco fa, quando uno si è risvegliato per andare in soccorso del Talibstan, un nome un programma.
Proprio a seguito dell’intervento del superessere contro le forze militari americane in loco, il governo cerca di “riattivare” il suo supereroe, che è stato condizionato psicologicamente e adesso gestisce un bar ignaro di tutto. Per convincerlo interviene anche un altro superessere che a suo tempo era stato condizionato per credere di essere il senatore McCarthy! Nel mentre uno scienziato russo liberato da un gulag risveglia il resto della Matrioska, disgustato da quello che è diventata la Russia. Nel sesto e ultimo capitolo raccolto nel volume assistiamo a un classico coup de theatre di Milligan, che se non sbaglio ammazzava a spron battuto i personaggi che gli venivano affidati; purtroppo non è con la nuclearizzazione di metà Russia che si conclude la vicenda, ma più probabilmente con un classico scontro tra supereroi che si vedrà nel secondo e conclusivo volume dopo il micidiale cliffhanger che chiude questo.
Lo stile di Milligan è iconoclasta e abrasivo, tra metafore sin troppo trasparenti della situazione politica degli ultimi anni (il presidente degli Stati Uniti somiglia curiosamente a Hugo Pratt) e trovate sopra le righe come scienziati pedofili e stupratori da gulag. Il tutto mediato da dialoghi urticanti e una certa attenzione per la documentazione – chissà se è vera la storia del destino dei dissidenti russi in base all’orario in cui avrebbero ricevuto la “visita”.
A livello grafico C. P. Smith ha uno stile piuttosto affine a quello di Andrea Sorrentino, con delle figure che sembrano essere fotografie sovraesposte. Nel suo caso il dinamismo va a farsi benedire e a volte non si riesce a capire bene cosa abbia “disegnato”, cioè immagino copiaincollato. Uno stile del genere è difficile da colorare e infatti Jonny Rench appiattisce ancora di più le tavole. Per 3 euro ne è comunque valsa la pena, anche se mi si potrà ricordare che essendo un fumetto americano è facilmente reperibile online in originale senza certe traduzioni accidentate e gli occasionali refusi della RW Lion. Certo, ma mica posso sapere cosa era uscito in America dieci anni fa.
Boh, l'unica cosa che in effetti mi ha colpito (di striscio) è il titolo "Programme". Lo trovo molto british.
RispondiEliminaE io che pensavo che fosse un riferimento alla grafia russa. Oh, beh.
EliminaBeh, può anche darsi, товарищ Luca.
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