lunedì 31 luglio 2023

Cosmo Classic 8 - Nick Carter Story 8: Fauci

Questo ottavo e ultimo numero della collana è contemporaneamente un corpo estraneo nella serie e l’uscita migliore di tutte. Avendo esaurito il materiale pubblicato su Il Corriere dei Ragazzi, la Cosmo ha raccolto quello che Bonvi produsse per altre sedi, arrivando sino ai primi anni ’90, anche con un po’ di inediti. Il risultato è quindi più eterogeneo che nei numeri precedenti, e la maggiore libertà dovuta a un pubblico diverso permette un approccio più adulto.

Ad aprire le danze sono le strisce realizzate per il Corriere dell’Informazione: l’immediatezza della dimensione dona una grande freschezza a queste gag, pur se non sempre ci si scompiscia dalle risate e Bonvi non segue necessariamente le trame generali che ogni tanto aveva iniziato. Dopodiché ci sono le mezze tavole pubblicate su S&M – Strisce e Musica. Condensate in tre strisce le storie si leggono rapidamente e con molto piacere, facendo deflagrare la trovata finale che ha avuto tutto il tempo per essere costruita a dovere. Anche qui Bonvi inizia delle trame per poi lasciarle in sospeso o inframmezzarle ad altre vicende estemporanee. Ovviamente il formato fisiologicamente ridotto non esalta la parte grafica, ma vale la pena munirsi di lente d’ingrandimento o guardare l’albo da vicino.

Più vicina, anche cronologicamente, allo stile dei precedenti episodi, la breve serie realizzata per l’effimera pubblicazione Supergulp!, che a causa di un formato diverso risulta più leggibile della precedente, visto che non è organizzata sulle quattro strisce del Corriere dei Ragazzi a cui il 19x27 di Cosmo Classic non ha sempre reso onore per quel che riguarda i dettagli delle tavole. L’osmosi tra i due periodi della vita editoriale di Nick Carter si coglie anche dal riciclo di un soggetto già visto nell’episodio Il delitto della stanza chiusa – e anche L’uomo della nebbia mi ha ricordato vagamente qualcos’altro. C’è poi una corrosiva storia satirica che parrebbe essere l’unica realizzata da Bonvi per la testata dedicata al suo eroe, rivista che ebbe una breve vita di soli tre numeri (come apprendiamo dai puntuali redazionali di Alberto Brambilla, anche il Lillo di Lillo & Greg, entrambi nati fumettisti, vi collaborò).

A chiudere il volume una storia inedita disegnata da James Hogg e le tavole solo parzialmente disegnate (a volte molto parzialmente) a matita di una parodia de Lo Squalo di Spielberg, che dà il titolo al volume; storia comunque comprensibile se si supera lo scoglio del lettering stroboscopico, perché quello definitivo è un po’ scentrato rispetto a quello a matita sottostante, della prima pagina.

Nell’introduzione ci si scusa della stampa non ottimale di alcune tavole, di cui non è stato possibile risalire agli originali. A dire il vero io non ho notato molte differenze con il resto della collana, almeno con una certa parte di essa, e purtroppo non è un complimento. Infatti anche le pagine ricavate dalle tavole originali ogni tanto hanno presentato tratti zigrinati o tratteggi impastati, non so se a causa della carta porosa o della metodologia di scansione. Questo ultimo numero finisce quindi per evidenziare luci e ombre di tutta l’iniziativa, che a un grande scrupolo filologico e al recupero di ghiotte curiosità (in questo numero, l’illustrazione a corredo di un articolo contro l’invasione dei cartoni animati giapponesi) ha affiancato un formato dignitoso ma forse non il più indicato (per godersi del tutto le tavole, molto vicine alla costa, bisogna spalancare i volumi) e dei materiali non eccelsi. E anche la distribuzione ha lasciato un po’ a desiderare.

Si chiude comunque in bellezza, con una panoramica variegata ed esaustiva delle varie declinazioni di Nick Carter, strisce e mezze tavole dalle gag fulminanti e gioiellini come ..Legione Straniera! e Il Mistero del Ministero.

venerdì 28 luglio 2023

Sgt. Rock vs. the Army of the Dead: All'inferno e ritorno

Ovviamente non mi aspettavo altro che una boiata consapevolmente trash, ma nobilitata dagli splendidi disegni di Eduardo Risso e dalla parentela col cult di Sam Raimi L’Armata delle Tenebre. Avrei dovuto leggere meglio il titolo: l’«Army» che affronta il Sergente Rock è quello «of the Dead», non «of Darkness»… Però, dai, è chiaro che c’è stata un po’ di paraculaggine a mettere proprio Bruce Campbell, l’attore-feticcio di Raimi, a sceneggiare la storia e sicuramente questo “equivoco” è stato voluto e ricercato per attirare non solo i fan dell’attore ma anche chi, come me, avrà preso fischi per fiaschi e si aspettava di trovare tracce dell’illustre progenitore filmico. Mais glissons.

La miniserie in sei numeri è ambientata nel 1944, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Hitler è a corto di uomini, rifornimenti e munizioni ma dei soldati tedeschi praticamente imbattibili sono stati avvistati al fronte e quindi il sergente Rock e la sua compagnia, la Easy, vengono inviati a indagare. Si scopre che i nazisti stanno risvegliando i loro morti grazie a un procedimento elettrochimico inventato dal Dottor Morell. Questi zombi sono un po’ più originali di quelli consueti mantenendo un certo grado di intelligenza. L’obiettivo è quindi quello di stanare il dottore ed eliminare i laboratori in cui avviene il processo di “rigenerazione”, ammazzando più nazisti possibile. Nient’altro da aggiungere a questo canovaccio, che procede senza alcuno scossone e senza colpi di scena a parte la scelta di Hitler, già abbondantemente dipendente da varie droghe, di farsi iniettare il ritrovato miracoloso per diventare a sua volta un supersoldato, veste nella quale affronterà Rock nello scontro finale. C’è qualche dialogo divertente (pochini, a dire il vero) ma c’è anche un feticismo per le armi e i mezzi militari e una celebrazione della guerra da far venire il sospetto che Bruce Campbell sia un membro della NRA. La compagnia Easy presenta vari componenti sulla scia degli Howling Commandos di Nick Fury (ignoro quale gruppo sia nato prima) ma tutti rimangono sullo sfondo non essendoci stato lo spazio o la volontà per caratterizzarli a dovere: che a sparare col bazooka sia uno piuttosto che un altro alla fine non cambia nulla. Ma magari per i fan della serie l’effetto è diverso. Un bello scossone avrebbe potuto essere qualche morte eccellente, essendo questa una storia fuori continuity e ambientata in un universo alternativo, ma purtroppo questa opzione non è stata contemplata perché in realtà questa miniserie è solo l’introduzione di un progetto più ampio di cui sarà protagonista il Sergente Rock.

Alla fine i deliziosi disegni di Risso mi sono sembrati piuttosto sprecati. Non che la miniserie sia proprio una porcheria, ma forse la cosa migliore sono le copertine di Gary Frank.

martedì 25 luglio 2023

Batman: Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora

Il passaggio al limbo del Tutto a 1 euro mi ha convinto ad acquistare quest’ennesima opera memorabile del più patetico tra gli imitatori di Alberto Breccia. Sarà stato il piacere di ottenere un volumone per una monetina, sarà stata la commozione di rivedere un albo della mai abbastanza rimpianta Planeta DeAgostini, ma la lettura si è rivelata assai soddisfacente.

Sono passati alcuni anni dagli eventi narrati nel capolavoro immarcescibile di Frank Miller, l’opera che ha rivoluzionato il fumetto mondiale, che ha dimostrato la superiorità dei supereroi su qualsiasi altra forma di fumetto e letteratura, che ha ridato la vista ai ciechi e ha fatto risorgere i morti dalla tomba, oltre ad avere sconfitto il cancro e risolto il problema della povertà nel mondo. I supereroi sono banditi e solo Superman, Wonder Woman e Shazam (ma in un’occasione lo chiamano Capitan Marvel) lavorano discretamente per il governo salvando la Terra dalle minacce di cui la popolazione mondiale può non essere nemmeno consapevole. E non lo fanno per il loro buon cuore ma perché ricattati in un modo o nell’altro. Gli altri metaumani sono controllati e inibiti in un modo o nell’altro, imprigionati in colture batteriche come Atom oppure sfruttati per produrre energia coi loro poteri come Flash.

Batman, creduto morto anche come Bruce Wayne, rialza però la testa e con la sua assistente Cassie (adesso Catgirl) e un esercito di seguaci libera i vecchi colleghi. Ciò scatena una lotta con Superman, che vuole mantenere un profilo basso per evitare che i suoi padroni scoprano l’esistenza di Lara, la figlia che ha avuto da Wonder Woman.

Sullo sfondo c’è una dittatura globale retta dal Presidente degli Stati Uniti d’America, che in realtà è solo un programma informatico con occasionali glitch! Questo fumetto ha oltre vent’anni sul groppone e quindi non penso di rovinare la lettura a nessuno se dico che a tirare le fila nell’ombra sono Lex Luthor e Brainiac.

A differenza del precedente Cavaliere Oscuro qui Miller svolta nettamente verso la satira, prendendo di mira anche varie celebrità mediatiche (io ho riconosciuto solo Jay Leno). Il risultato è decisamente godibile e anche avvincente, pur se il discorso che voleva fare Miller mi è parso un po’ nebuloso. Ma la colpa è mia: Frank Miller è un genio, diamine! Il suo tratto si adegua al tono e ricorda con successo certa stampa politica inglese. Gli inserti coi personaggini deformi che commentano e dicono la loro sono molto gustosi, ma trattandosi di un fumetto di supereroi ci sono delle inevitabili scene di lotta o personaggi in pose eroiche. E qui purtroppo la scelta stilistica di Miller è inevitabilmente meno funzionale (perché è una scelta consapevole, ovviamente, mica non aveva voglia di disegnare o non sapeva farlo!). Le storture anatomiche e un’inchiostrazione fatta col culo non permettono infatti in alcuni punti di capire come siano organizzati i corpi o chi faccia cosa, alla faccia dello “storytelling” – che ci sia ciascun lo dice/dove sia nessun lo sa.

Ma è un difetto su cui un appassionato di supereroi può soprassedere, perché Miller opera anche una scrupolosa operazione di recupero e aggiornamento di personaggi minori come Question, Shazam, Atom, Elongated Man e tanti altri che immagino farà felici i cultori del genere. Ma lo stesso Batman calvo e quasi monastico ha il suo fascino. C’è anche una interessante trama secondaria sul ritorno del Joker, con un bel colpo di scena (anche se un po’ affrettato) sulla rivelazione della sua identità. E la battuta conclusiva di Batman è da antologia – chissà a chi l’avrà fregata.

A deludere un po’ sono i colori di Lynn Varley. Magari anche questa è una scelta stilistica, però mi sembra che gli effettini e gli effettacci con cui ha colorato le tavole indulgano talvolta in un’ostentazione infantile e quasi dilettantesca, confondendo ancora di più le tavole. Credo poi che vent’anni fa il computer permettesse una colorazione molto più precisa ed efficace. Ma, appunto, forse era una scelta stilistica.

Nel complesso Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora è un bel fumetto scatenato e fracassone, con delle trovate che a me sono sembrate ottime (il ritorno di Joker, il destino di Martian Manhunter, l’isteria collettiva al ritorno degli eroi…) e moltissime battute azzeccate e divertenti. Piuttosto che ispirarsi a Hugo Pratt o Enki Bilal (la cosa mi fa ridere ancora oggi a distanza di decenni!) Miller ha fatto bene a sviluppare un progetto più “fumettoso” e genuinamente scatenato. Anche perché come puoi pretendere di fare un fumetto adulto se devi censurare le annunciatrici sexy, che si vorrebbero nude (per quanto dall’anatomia sbilenca di Miller), posizionando sapientemente balloon e altri dettagli sui punti sensibili? Lo avessi letto a suo tempo, mi sarei augurato che Frank Miller procedesse sullo stesso solco (cosa che un po’ ha fatto con Tales to offend, che però forse era precedente) ma la Storia ci mostra che le cose sono andate in maniera diversa.

L’edizione Planeta DeAgostini è sin troppo lussuosa (all’epoca, nel 2006, costava già 22 euro) e il grande formato è assolutamente sprecato per queste tavole che non ne beneficiano minimamente essendo costituite anche da doppie splash page minimaliste. In appendice vengono presentati molti sketch e matite delle tavole, ma anche esempi di action figure tratte dalle opere di Miller, a testimonianza del pubblico a cui è indirizzata l’opera.

sabato 22 luglio 2023

Ricevo e diffondo

 

Simone Bianchi

L’arte dei supereroi

Villa Mimbelli, Sala degli Specchi

dal 21 luglio al 12 novembre 2023

 


Il fumetto diventa protagonista a Livorno, nella suggestiva cornice dei Granai di Villa Mimbelli, con la mostra Simone Bianchi. L’arte dei supereroi promossa da Comune di Livorno e Fondazione Livorno, con il contributo di Castagneto Banca 1910 e il patrocinio di Lucca Comics & Games: il community event dedicato a fumetto, gioco, videogioco, narrativa fantasy, manga, anime, cinema d’animazione, serie TV e cosplay.

Curata da Giorgio Bacci l'esposizione resterà aperta ad ingresso gratuito fino al 12 novembre 2023.

 

La più grande finora in Toscana, nonché la più lunga per estensione temporale fra quelle dedicate a Simone Bianchi, è stata realizzata grazie anche a 22 collezionisti che hanno prestato le loro opere.

Per oltre 16 settimane sarà possibile ammirare la produzione dell’illustratore nel suo complesso.  Si potranno contemplare più di 110 opere - di cui 20 inedite - che ripercorrono gli anni Duemila.  Dalla copertina di “Wolverine Origins #24” del 2009, alle pagine interne di “Astonishing X- Men “del 2008, fino ad arrivare alle copertine di prossima pubblicazione negli States (questo luglio) di “Amazing Spider-Man #26” e “Edge of Spider - verse # 4” in anteprima mondiale per la mostra di Livorno. 

 

C’è un altro piccolo primato che spetta a questa monografica di Simone Bianchi. È la prima volta che un rappresentante della nona arte espone a fianco dei grandi autori dell’Ottocento presenti all’interno del Museo Fattori. Un sodalizio con l’arte tout court che Simone da sempre porta avanti con estremo entusiasmo e lungimiranza. 

 

A coronare l’esperienza nel mondo di Simone Bianchi, una stanza immersiva aspetta il visitatore lungo il percorso espositivo. Realizzata da Art Media Studio - che ha nel suo portfolio mostre interattive di prestigio a livello mondiale che spaziano da Leonardo a Van Gogh, da Raffaello a Klimt - la sala permette alle immagini dell’artista di prendere letteralmente vita.  L’universo di Simone si anima e stupisce lo spettatore come dentro un vero e proprio film. 

 

Nel panorama globale contemporaneo, Simone Bianchi è sicuramente tra i maggiori interpreti dei più famosi supereroi che hanno segnato l’immaginario collettivo di intere generazioni. Superman e Batman, Iron Man e Spider-Man, Thor e Capitan America, oltre a Wolverine, gli X-Men, gli Avengers, Sharkey  The Bounty Hunter (in collaborazione con Mark Millar, per Netflix), solo per citarne una minima parte, sono tutti passati attraverso la fervida vena inventiva di Bianchi, primo europeo a essere incaricato di eseguire il progetto Upper Deck Marvel Masterpieces, oggetto nel 2018 di una doppia, contemporanea, esposizione: a Lucca Comics & Games e a New York, presso la Metropolis Gallery.

La mostra presenta al visitatore una vasta selezione di opere comprendenti dipinti, bozzetti e manifesti e si pone l’obiettivo di ricostruire il processo creativo dell’artista, partendo dal disegno preparatorio per arrivare all'opera definitiva, pronta per la stampa. Un percorso immaginifico e ricco di sorprese, pensato per un pubblico ampio (dai bambini agli adulti, fino agli appassionati di settore).

Una sezione dell’esposizione è inoltre dedicata al rapporto dell’artista con la scena musicale internazionale, a completare idealmente un vero e proprio viaggio, unico, nel mondo creativo di un interprete della contemporaneità.

 

Simone Bianchi

Fin da bambino si interessa all’illustrazione. Non solo ha tradotto questa sua passione in professione, ma è anche diventato una vera e propria icona del mondo del fumetto.

Illustratore e pittore con un passato di insegnante d'arte, è conosciuto in tutto il mondo per i suoi lavori nell'ambito del fumetto americano. Maestro della Comic Art contemporanea, si distingue per il suo stile pittorico ricco e dettagliato. Negli Stati Uniti ha collaborato prima con DC Comics e poi in esclusiva con Marvel per più di un decennio, creando diversi albi e copertine di famose testate, tra cui Wolverine, X-Men, Thor, Thanos, Spider-Man e Star Wars.

mercoledì 19 luglio 2023

Quanti guai, Piccolo Nicolas!

Finalmente ho avuto modo di leggere questo libretto che era rimasto in attesa a causa della stizza di quando lo avevo comprato. Non è che in fumetteria si trovino sempre occasioni interessanti al 25% o al 50% in meno, o discreti affari a 1 o 3 euro, quindi se non arriva niente di nuovo tocca cercare tra le altre proposte. Ricordando vagamente che Le Petit Nicolas era un fumetto ho acquistato questa edizione incellofanata e solo dopo averla aperta ho scoperto che si trattava di una raccolta di racconti illustrati, altro che fumetto (che comunque esistette brevemente). Raccolta datata 2013 ma immagino rimessa in circolo a seguito della distribuzione dei film in Italia.

Il primo approccio non è stato per nulla entusiasmante: le storie si dilungano in quelle situazioni tipiche che coinvolgono i bambini delle elementari, come l’arrivo di un fratellino, i giochi coi compagni di classe, la visita dei parenti, ecc. Ma come ho scoperto leggendo la prima storia si tratta di una cosa intenzionale, perché i racconti reiterano una medesima struttura: dopo essersi profuso in approfondimenti e divagazioni sul tema per alcune pagine, René Goscinny ribalta causticamente la situazione di partenza nelle ultime righe con effetti esilaranti. Questo meccanismo non perde la sua freschezza nemmeno quando lo si è capito, perché il lettore si chiede cosa si inventerà stavolta Goscinny, che per inciso non deluderà mai. I quasi settant’anni di questi racconti si notano da certi dettagli come l’universo esclusivamente maschile della scuola dell’epoca e l’assenza del politically correct (uno degli amici di Nicolas è grasso, un altro sembra ritardato, ecc.), ma il divertimento rimane intatto nonostante gli anni passati. Tanto più che in controluce si nota una visione critica del mondo degli adulti, con padri che si riducono a zerbini nei confronti del capoufficio e responsabili scolastici che stigmatizzano il gioco d’azzardo ma poi ci cascano pure loro. Ma la satira non è comunque il primo obiettivo di Goscinny.

Il protagonista della serie è un bambino poco o nulla caratterizzato, quasi indistinguibile da altri ragazzini dei fumetti e della letteratura. Non ha tratti caratteristici marcati (ma questo è addirittura il quinto libro della serie, forse erano stati evidenziati prima) e, ad esempio, non sembra nemmeno preferire un gioco piuttosto che un altro – almeno in questo libro. Il resto del cast abituale comprende la combriccola della scuola (con il compagno manesco, quello secchione, quello stupido, ecc.), una madre sarcastica, un padre borghese e il personale della scuola tra cui spiccano una maestra sin troppo umana nel dimostrarsi alternativamente arrendevole e spietata e “il Pavone”, cioè il sorvegliante.

Lo stile di scrittura è pensato ad altezza di bimbo, e simula i resoconti dello stesso Nicolas. Credo (spero) che per questo ci sia un po’ di libertà con la lingua, ad esempio la formula «chissene» invece di “chi se ne” frega. Forse sarebbe stato opportuno segnalare nell’edizione italiana che la prospettiva di andare a scuola anche di sabato è terrorizzante per un bambino francese perché Oltralpe non è uso andarci (come neanche di mercoledì, stando a quanto mi dice un mio amico che abita a Strasburgo).

Il disegno di Sempé non è nulla di eccezionale, che non è un eufemismo per dire che fa schifo ma significa che pur interpretando alla perfezione lo stile umoristico “graffiato” di marca anglosassone in cui si inserisce, non ha alcun guizzo che lo elevi dalla media di illustratori analoghi. I suoi personaggini hanno tutti la stessa faccia, tanto che si ricorda di disegnare gli occhiali a un bambino solo quando è indispensabile per coordinarsi con il testo.

In appendice ci sono le biografie dei due autori, a loro volta molto divertenti.

domenica 16 luglio 2023

Rise of the Dungeon Master - Gary Gygax e la creazione di D&D

Non ricordo dove lessi che il fascino delle fanzine risiede(va) nel rileggere per l’ennesima volta le notizie già risapute sui propri idoli. Forse sul Kamikaze di Giuseppe Pollicelli, ma visto che il riferimento è a fanzine dedicate a personaggi dello spettacolo è improbabile che fosse quello. In ogni caso, questa biografia a fumetti di Gary Gygax soddisfa questo requisito, e in linea di massima penso che lo si possa dire di qualsiasi altra biografia di un personaggio che già si conosce e apprezza. Al di là di questo, però, non è che abbia molto altro da offrire. Sì, c’è qualche aneddoto di cui non ero a conoscenza, c’è il piacere di vedere i protagonisti “recitare” la loro storia (e di alcuni di questi non ricordo di avere mai visto una foto), c’è una ricostruzione abbastanza scrupolosa degli anni e del contesto in cui si sviluppò il gioco di ruolo, ma la scelta stilistica di usare delle interpellazioni per evocare i fatti («Arrivi in una piccola città su un grande lago.») alla fine viene a noia, il flusso della narrazione si disperde in sottofiloni poco utili all’economia del fumetto (il caso del ragazzo scomparso, lo sviluppo dei videogame, la diffusione dei gdr online, ecc.) e alla fine la prospettiva non è più quella di una biografia del creatore di Dungeons & Dragons ma di una storia generica del gioco con un occhio di riguardo ai padri fondatori Gygax e Arneson. Alla fine si resta un po’ a bocca asciutta, insomma, perché un approccio del genere avrebbe meritato maggior approfondimento e almeno il doppio delle pagine di cui è composto il fumetto.

Mi sembra inoltre che ci siano degli errori abbastanza evidenti: non mi pare che Gygax inventò da subito quattro classi, perché i Ladri (che erano ancora “thieves” e non “rogues”!) li avrebbe introdotti insieme ai Paladini nel suo supplemento Greyhawk. Ma, appunto, prendetela con beneficio d’inventario: magari David Kushner ha avuto accesso a materiale che testimoniava che erano già nei progetti di Gygax prima di diventare materiale ufficiale. Di certo un punteggio alto di intelligenza non influisce sulle possibilità e sulla qualità degli incantesimi lanciati dai Maghi! È poi arrischiato dire che Advanced Dungeons & Dragons sia l’evoluzione di D&D, confondendolo con esso, perché di fatto fu un gioco a parte che convisse col suo “genitore”, ed esistono accordi extragiudiziari che lo certificano.

I disegni di Koren Shadmi, che già ebbe modo di deludermi un pochino come autore completo, non possono fisiologicamente essere troppo curati trattandosi di un “graphic novel” piuttosto lungo e con ogni probabilità retribuito con un anticipo più eventuali royalty. Tutto sommato, per la nicchia cui appartiene è pure disegnato bene, ma è desolante notare che pur realizzando un fumetto sui giochi di ruolo Shadmi non sappia disegnare i dadi: quelli di pagina 27 sono entrambi sbagliati: il 2 deve essere opposto al 5 come il 3 al 4! Anche se meno macroscopici, questi errori torneranno anche altrove. E, tra le altre cose, non sa nemmeno come sono fatti i troll.

Interessante, per me che non la conoscevo, la nascita del primo gioco di ruolo per computer, Colossal Cave Adventure, anche se considerate le sviste che ho evidenziato non posso escludere che ci siano anche qui errori o semplificazioni.

In definitiva questo Rise of the Dungeon Master mi sembra un’occasione sprecata, né la svolta mistica con cui Kushner ha scelto di chiudere la storia è ben amalgamata col resto.

giovedì 13 luglio 2023

Lo Squadrone Supremo

Con il suo inserimento nel purgatorio del Tutto a 3 euro finalmente ho avuto la possibilità di leggere questa serie in 12 capitoli che da qualche parte ho letto essere considerata un po’ il Watchmen della Marvel.

La storia comincia in medias res, ignoro se il pregresso che viene rievocato sia solo un ricordo dei protagonisti o sia stato effettivamente narrato altrove. In sostanza, la Terra è ben oltre la soglia del collasso dopo che un alieno si è impossessato dei membri dello Squadrone Supremo (versione made in Marvel della Justice League of America della DC) portando alla guerra globale e a una dittatura planetaria con Nottolone, cioè Batman, al comando. L’unico a essere riuscito a salvarsi e a salvare il resto del gruppo è Hyperion, cioè Superman. Per riparare ai danni che hanno involontariamente causato, i supereroi decidono di estendere a tutto il mondo gli ideali di Utopia, l’isola da cui proviene Zarda cioè Wonder Woman. Che il mondo lo voglia o no. La decisione non è però plebiscitaria e alcuni membri dello Squadrone Supremo hanno il sospetto che così si tornerà a instaurare una tirannia, per quanto mossa da buone intenzioni: a uscire dal quadro, però, al momento è il solo Nottolone, che nella sua identità pubblica era anche stato Presidente degli Stati Uniti e su cui grava quindi la maggiore responsabilità delle azioni compiute quand’era sotto il controllo mentale dell’alieno.

Il programma prevede inizialmente la distribuzione di cibo e il ripristino delle infrastrutture, cui farà seguito il disarmo totale della popolazione per poi eliminare del tutto la criminalità grazie a un marchingegno in grado di modificare la personalità dei soggetti (verrebbe da dire che quel paraculo di Mark Millar non aveva inventato nulla col suo Red Son, ma in fondo è un’idea vecchissima). Ultimo passo, l’eliminazione della morte stessa tramite un sistema di ibernazione.

Lo Squadrone Supremo è tutto fuorché moderno: ci sono molte didascalie e balloon di pensiero con cui vengono chiariti e riassunti gli eventi e le azioni. La struttura delle storie prevede che a ogni episodio ci sia una sorta di riassunto degli eventi salienti o del passato del personaggio sotto i riflettori in quel numero. Però pian pianino qualcosa di diverso, più originale o maturo, si fa strada nella storia: si comincia a parlare di cancro, c’è qualche vago riferimento sessuale, si trattano problematiche concrete (senza più criminali né malati come si manterranno quelli che lavoravano nelle carceri e negli ospedali?) e soprattutto i supereroi vengono mostrati con le loro debolezze assai umane: c’è quello che si sente inferiore agli altri per la sua statura e il suo aspetto fisico, quello che fa pensieri su una collega anche se è sposato, quello infantile che va fuori di testa per la morte dei genitori, quell’altro che fa scherzi idioti. E ovviamente trattandosi di una miniserie con personaggi minori non è necessario che tutti i protagonisti sopravvivano.

Siccome la vita quotidiana di questi personaggi potrebbe diventare leziosetta, Mark Gruenwald innesta nel corpo centrale della trama qualche avvenimento che porta a sottotrame più interessanti e anche alcuni scontri con supercattivi uno più ridicolo dell’altro, chissà se creati appositamente o preesistenti (forse sono delle parodie di nemici della Justice League of America?). In effetti il rimescolamento tra personaggi “buoni” e “cattivi” è un elemento molto interessante della trama, e sarà anche quello che ne determinerà la svolta conclusiva.

L’ultimo episodio mi è sembrato un bel virtuosismo da parte di Gruenwald, un gioco col lettore che sa già che ci dovrà essere una battaglia finale, ma che lo sceneggiatore rimanda sapientemente per far montare la tensione. E alcune morti sono veramente eccellenti e inaspettate, come solo con dei personaggi “usa e getta” si può fare.

La serie portante è integrata da un crossover con Capitan America a metà della saga che mi sembra più che altro una marchetta pubblicitaria per sostenere la serie principale, anche se le ripercussioni a breve termine ci saranno (ma non avevano bisogno di essere introdotte su un’altra testata). Inoltre il volume ha una “coda” con l’episodio lungo Morte di un Universo di qualche anno dopo, in cui la storia riprende una settimana dopo gli eventi della miniserie. A quanto pare l’universo verrà distrutto entro 12 ore e lo Squadrone Supremo deve ricorrere anche all’aiuto dei suoi due peggiori arcinemici per salvare il mondo. La storia è anche simpatica, ma forse è stata tirata troppo per le lunghe, anche se il finale un po’ ironico è piacevole. Il team creativo è quello consolidato ma alle chine, noblesse oblige, c’è nientemeno che Al Williamson.

Per quanto ne capisco io di comic book, la qualità dei disegni mi sembra quantomeno dignitosa e anche buona in alcuni frangenti. A disegnare Lo Squadrone Supremo si sono avvicendati Bob Hall e Paul Ryan, inchiostrati da Sam De La Rosa (inizialmente le chine le fece John Beatty). Le cafonate della Image erano ancora di là da venire quindi lo stile è quello classico statuario dei supereroi, senza essere troppo ipertrofico. Il lavoro è però discontinuo e accanto ad anatomie pressoché perfette ed espressive ci sono dei dettagli un po’ tirati via, a testimonianza della probabile realizzazione travagliata della miniserie: ma d’altra parte l’impegno mensile sulla serie deve essere stato assai gravoso, tanto più che il primo e l’ultimo episodio durano ben quarantuno tavole invece delle canoniche 24, che solo in un paio di numeri si riducono a 23. In un’occasione la mano è passata addirittura al grande John Buscema, il cui intervento non si fa però apprezzare molto, forse dovette lavorare di fretta in quanto tappabuchi (di lusso ma pur sempre tappabuchi) o forse il suo collaboratore Jackson Guice non era all’altezza. Comunque per apprezzare il lavoro di Hall e Ryan basta confrontarlo con quello dell’accoppiata Paul Neary-Dennis Janke nell’episodio di Capitan America.

In conclusione mi sembra che Lo Squadrone Supremo sia un buon fumetto di supereroi con una certa originalità e anche dei buoni spunti di riflessione, sebbene ancorato a uno stile forse ritenuto vecchio già all’epoca. Mi chiedo perché non abbia avuto gli onori che forse meritava. Può darsi che l’attenzione dei lettori Marvel dell’epoca fosse catalizzata dal mega-evento Secret Wars e ovviamente i ragazzini preferivano vedere un infinito match di wrestling tra supereroi e loro nemesi piuttosto che leggere di supereroi che parlano di politica. Forse l’uscita dei praticamente contemporanei Crisis on Infinite Earths, Dark Knight Returns e Watchmen può averlo messo in ombra (ma magari, in versione deluxe…), forse i protagonisti non avevano lo stesso appeal di supereroi più famosi, oltre a essere un palese pastiche di una proprietà intellettuale della concorrenza che avrebbe potuto adire a vie legali o, peggio ancora, ottenere una pubblicità indiretta dalla serie se troppo pubblicizzata. O magari Lo Squadrone Supremo è famosissimo e apprezzato e ha già avuto centinaia di ristampe di cui io non mi sono mai accorto!

Il volume Panini è di grandi dimensioni, ma la qualità di stampa è quella che è e qualche redazionale di approfondimento sarebbe stato gradito.

lunedì 10 luglio 2023

Fumettisti d'invenzione! - 184

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

VALENTINA MELAVERDE & C.

(Italia 1969, in Il Corriere dei Piccoli, © Eredi Nidasio, umorismo)

Grazia Nidasio

Figlia di mezzo dei Morandini, famiglia della piccola borghesia milanese, Valentina è stata un pilastro della testata Il Corriere dei Piccoli e poi de Il Corriere dei Ragazzi, con le sue vicende ad altezza di adolescente in cui lettori e lettrici potevano facilmente identificarsi. Nel 1976 Grazia Nidasio bisserà il successo con lo spin-off dedicato a Stefi, la sorella minore di Valentina.

Nel cast della serie compare occasionalmente una zia disegnatrice, che però (pur essendo forse ispirata alla stessa Nidasio) si occupa di illustrazione e moda e non di fumetti. Inoltre la vita editoriale di Valentina ha avuto una “coda” metanarrativa nell’ultimo volume dedicatogli da ComicOut, in una storia inedita in cui incontra e si confronta con Sergio Bonelli. Ma in un’occasione Valentina ha incontrato veramente un fumettista, per quanto sui generis:

Una festa a sorpresa in Il Corriere dei Ragazzi 1 (1972). Grazia Nidasio

È Natale e tra i regali ricevuti da Valentina dai suoi compagni di classe c’è anche un “libro a fumetti” disegnato da un suo compagno di classe che proviene da una scuola differenziale.

Pseudofumetto: Storia di un marziano infelice, fumetto in un’unica copia realizzato dal compagno di banco di Valentina, Mauri, ovviamente non pensato per la pubblicazione e la diffusione.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

VERTIGO POP! TOKYO (IDEM)

(Stati Uniti 2002, nel comic book omonimo, © Jonathan Vankin e Seth Fisher, avventura, umorismo)

Jonathan Vankin (T), Seth Fisher (D)

Storia scatenata e disegnata con uno stile molto singolare in cui si intrecciano le vicende di vari personaggi: dal gaijin che lavora a Tokyo al giovane yakuza, da sua sorella aspirante rockstar alla vera rockstar Hine.

Alla fine uno dei personaggi diverrà scrittrice di manga per bambine.


Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

LO STRANO CASO DEL DOTTOR FREAKILL & MR. LAID

(Italia 1977, in Cannibale, © Eredi Tamburini, umorismo)

Stèfano [Stefano Tamburini]

Il dottor Freakill, soggetto borderline fresco di laurea in Lettere, va in facoltà per acquistare della droga ma qui, suggestionato dalla pagina sul cinema de L’Espresso curata da Moravia, si trasforma in un mostro stupratore costretto alla fuga.

In facoltà Freakill incontra il suo stesso autore. Il fumetto è oltretutto inserito in un contesto da “fumetto nel fumetto” in quanto viene letto dal protagonista della storia precedente, Catastrofe.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

PARODIE (pag. 67)

THE HUMAN SCORCH VERSUS THE SUNK-MARINER (IDEM)

(Stati Uniti 1967, in Not Brand Echh, © Leading Magazine Corp., Marvel Comics Group, parodia)

Roy Thomas [Roy William Thomas Jr.] (T), Ross Andru [Rostislav Androuchkevitch], Bill Everett [William Blake Everett], Mike Esposito (D)

Presentata come ristampa di un classico degli anni ’40, la storia segue lo scontro senza fine tra i due protagonisti, parodie dei primissimi supereroi Marvel, finché non vengono interrotti da Chaplain America che spiega loro quanto siano demodé e li conduce alla casa di riposo per vecchi personaggi dei fumetti.

Pseudofumetti: in apertura viene fatto un rimando alle inesistenti testate Fancy Masterpizzas e Marble Mystery.

venerdì 7 luglio 2023

Chi l'ha visto?

Conosco e apprezzo il lavoro di Francesco Tozzuolo Editore, che mi ha permesso mi riscoprire due bei fumetti che, anche se non sono capolavori, costituiscono delle letture piacevoli – e anche un ottimo esempio di archeologia fumettistica. I libri dell’editore sono curati anche se non certo lussuosi, cosa che consente di mantenere il loro prezzo entro limiti più che accettabili. Purtroppo del terzo fantomatico volume, ordinato chissà quanto tempo fa, non ho ancora visto traccia. Da mesi (anni?) Fumo di China ospita una pubblicità dell’editore in cui è presente anche la seconda fatica di Bernasconi, ma sul sito dell’editore non ce n’è traccia.

Che debba ancora uscire?

mercoledì 5 luglio 2023

Il Corriere dei Piccoli - Una supernova tra le riviste d'autore

Il sottotitolo del volume è ingannevole: non si tratta di una storia de Il Corriere dei Piccoli e nemmeno la proposta di una teoria che voglia far risalire la nascita del fumetto d’Autore a una fase dell’esistenza della rivista – il fumetto «d’autore» viene citato di sfuggita solo due volte. Anche la presentazione in quarta di copertina sembra essere stata scritta per un altro volume: questo fornisce semplicemente la cronologia ragionata e critica dei fumetti (e di alcuni romanzi) pubblicati nelle sedici annate che vanno dal 1961, quando la direzione del giornale passò a Guglielmo Zucconi, fino al fatidico 1976 che ne vide la trasformazione in CorrierBoy. Di supernova, a voler essere puntigliosi, non c’è poi la minima traccia.

Per catalogare le varie opere Andrea Carta ricorre a una categorizzazione opinabile, come lui stesso ammette, in base alla quale certi fumetti rimangono esclusi (come Ernie Pike che comparve solo una volta, Lo Zoo Pazzo che viene considerato alla stregua di una raccolta di barzellette e i personaggi tratti dalla televisione perché appunto di origine televisiva). L’autore elabora anche la definizione di “pseudoliberi” per quegli episodi isolati che, pur facendo parte di una collana-ombrello, sono storie autoconclusive: La Parola alla Giuria, Uomini Contro, ecc. I motivi di queste scelte sono abbondantemente spiegati, cionondimeno mi resta il sospetto che alcune inclusioni o esclusioni siano state fatte col proposito di toccare proprio quota 100, il Re di Picche di Bottaro viene ad esempio ricordato per essere stato principalmente un “ponte” pubblicitario verso Il Corriere dei Piccoli quando comparve anche su quello dei Ragazzi.

Il volume è una lettura piacevole, interessante e approfondita, in cui Carta profonde anche una buona dose di umorismo, soprattutto nelle didascalie e nelle note. Chiaramente non mancano le curiosità, ad esempio non sapevo che la causa della crisi della rivista che porterà alla sua trasformazione in CorrierBoy fu la svolta a sinistra decisa nel passaggio dal Corriere «dei Piccoli» a quello «dei Ragazzi», che avrebbe allontanato i giovani lettori e soprattutto i loro genitori. Molto interessante anche il mistero (svelato) sulle origini e sul perché della mancata ripresa de La pattuglia scomparsa. È evidente inoltre la grandissima passione di Carta per l’argomento, cosa che però finisce per penalizzarlo dal punto di vista metodologico. Il suo amore per il fumetto franco-belga classico contrapposto a molte delle altre proposte della rivista è ribadito, sottolineato, evidenziato e ripetuto talmente tanto da sfiorare quasi il fanatismo degli estimatori di Frank Miller e Jack Kirby (ma loro, poveretti, non hanno mai conosciuto altro). Mi sembra inoltre che critichi più per partito preso che per ragioni oggettive l’introduzione delle serie a episodi al posto delle storie a puntate invise ai lettori (attribuendo a questa scelta della redazione i prodromi del crollo qualitativo della testata): infatti quando ammette che questa impostazione non inficia la qualità di Altai & Jonson deve ricorrere alla desueta formula dell’“eccezione che conferma la regola”, che di per sé non vuol dire nulla e che serve solo per giustificarsi quando viene scoperta una falla nella metodologia usata – tra l’altro pensavo che ormai nessuno usasse più quell’espressione.

Carta non dimostra alcun timore reverenziale verso i Maestri e i Classici mentre esibisce un grande coraggio nel non adeguarsi ai cori di critiche ecumenicamente positive. A farne le spese è anche Valentina Melaverde, di cui non nega però le qualità. Ovviamente la sua schietta onestà è molto lodevole e gli permette di non scadere nell’agiografia, ma spesso si esprime con termini esagerati tanto che in molti casi certe affermazioni sembrano più che altro delle provocazioni. È pacifico che l’ultimo Pratt non fosse ai livelli grafici di venti o trent’anni prima, ma come si può definire «approssimativo» il suo tratto su Anna nella Jungla, che è forse il suo lavoro più curato? Pur non amando Micheluzzi, non trovo molto elegante dire che «solo molti sforzi rendono passabile» il suo disegno. Carlos Gimenez è «modesto» solo in Dany Futuro o Carta lo considera in generale uno scalzacani? Al povero Alessandrini viene poi riservata un’annotazione impietosa riferendosi alla serie Anni 2000: «dopo questo buon inizio, non riuscirà a migliorare il suo disegno più di tanto»! Forse voleva essere un complimento per segnalare quanto Alessandrini fosse bravo già cinquant’anni fa, ma dimostra di non conoscere le sue derive moebiusiane ne Il Maestro o quelle umoristiche in Planet Arium e Anastasia Brown o la sua linea chiara (poi rimpolpata di neri) de L’Uomo di Mosca. Nessun dubbio, invece, sul fatto che Carta non sopportasse Mario Uggeri.

Tutte queste considerazioni molto personali tolgono ogni valenza accademica al volume (nelle schede dei fumetti sono addirittura presenti delle valutazioni espresse in stelline), cosa che probabilmente non voleva nemmeno avere, ma si rimane un po’ perplessi nel vederlo inserito nella stessa collana che ospita Eccetto Topolino e Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti.

L’elenco dei fumetti è inframmezzato comunque da introduzioni dall’approfondito approccio storico, in cui con grande scrupolo documentaristico Carta segnala le variazioni di formato, foliazione e politica editoriale. Solo che nel conclusivo capitolo 6 «last but not least» si dà la zappa sui piedi da solo dimostrando forse che oltre a queste sedici annate del Corriere dei Piccoli/Ragazzi di fumetti non deve averne letti molti altri, ricorrendo a internet e alle sue scempiaggini per recuperare qualche tassello. La rivista L’Eternauta non chiuse affatto nel 2000, ma col numero 148 del 1995 (la testatina venne mantenuta nei successivi volumi monografici per questioni d’opportunità), e se veramente la sua «agonia» fosse dovuta alle dichiarazioni di Oreste del Buono sulla qualità della “Linea Latina” rispetto a quella francese (ma limitata alla sola linea chiara, se ben ricordo) sarebbe stata ben lunga, durando 15 anni!

Corto Maltese, poi, non mi pare proprio che abbia pubblicato fumetti «naif» o «sperimentali»… sì, certo, da quelle pagine transitarono anche Benicio Nuñez e Jô Oliveira, che alla pittura naif possono essere associati, ma la loro presenza fu assai sporadica. Se con naif Carta voleva intendere prodotti ingenui e dilettanteschi si potrebbe ricordare quel fumetto assai bruttino su Arthur Rimbaud e forse Fan di Rosco non era adattissimo alla rivista, ma anche l’inesperta Nives Manara a un certo punto si sarebbe fatta onore. Di sperimentale poi cosa ci sarebbe stato? Madaudo, subito sparito? Muñoz e Sampayo, già abbondantemente “digeriti” dal pubblico della Milano Libri?

A integrare l’elenco delle serie ci sono delle interviste a Mino Milani, Alfredo Castelli e Sauro Pennacchioli e delle appendici sugli Albi Ardimento e Sprint e sull’effimera Zack Avventura, oltre all’elenco delle dieci storie più meritevoli del periodo preso in esame secondo l’autore.

L’edizione è molto curata (non come in altri prodotti analoghi), grafica e impaginazione sono buone e non ci sono praticamente refusi – o nulla che infici la lettura: non è difficile capire cosa si intenda con «invisbile» e se a una data manca il numerale dell’anno di pubblicazione lo si evince da quelli precedenti o successivi. Un indice analitico però ci sarebbe stato proprio bene.

Una nota di merito al copertinista Sebastiano Barcaroli che ha realizzato un’immagine sintetica ed elegante, sintesi ed eleganza che evitano problemi con i detentori dei diritti delle immagini dei personaggi raffigurati, sapientemente stilizzati.

Forse in altri tempi mi sarei incazzato per aver speso 25 euro per un volume che si finge qualcos’altro, ma in un periodo di magra anche questo va bene. Inoltre come dicevo sopra lo stile di Carta è piacevole e gli aneddoti sono simpatici. Se però cercate «La storia della prima rivista di fumetti italiana» (come promette lo strillo in quarta di copertina) dovete cercare altrove.