Contrariamente a quello che si
poteva pensare dal titolo e dalle immagini, Young
Justice non è un titolo per bambini (non più di quello che siano già i
supereroi). Michael Brian Bendis gioca con la metanarrazione, satireggiando
sulle periodiche “Crisi” dell’Universo DC (veramente sono state solo sette?),
sbertucciando le convenzioni dei supereroi DC (mica sempre Superman arriva
quando uno lo chiama…), citando le possibili varie versioni dello stesso
personaggio, lavorando sulle frasi a effetto dei “cattivi” e infarcendo i
dialoghi di doppi sensi metanarrativi, lavorando anche sull’aspetto grafico
come i balloon che si sovrappongono.
La storia prende le mosse quando
Jinny Hex giunge a Metropolis proprio quando da Gemworld decidono di invadere
la terra. Finiti su quel mondo, i sei componenti della Young Justice ritrovano
uno dei vari Superboy e si alleano con la principessa Ametista che deve far
fronte a problemi di politica interna (cioè altre casate vogliono ammazzarla).
Mentre la trama principale si snoda nelle prime metà dei capitoli, l’altra metà
approfondisce il passato di alcuni dei protagonisti e con questa scusa vengono
impiegati dei disegnatori ospiti.
La vicenda è abbastanza semplice
e Bendis cerca di renderla più interessante con continui flashback. È purtroppo inevitabile che forzando la mano sugli
stereotipi dei fumetti di supereroi finisca per usarli a piene mani. E peccato
anche che la storia nasca o si sviluppi o si inserisca nel contesto di una
trama più ampia in cui questo Robin ha perso memoria degli ultimi eventi
(retroscena di chissà quale cross-over).
I disegni di Patrick Gleason sono
un po’ pupazzettistici, soprattutto quando si concentra sui personaggi più
giovani e umoristici come Kid Flash, ma azzecca spesso dei bei volti e delle
belle inquadrature accanto a semplificazioni anatomiche che non amo molto. A
livello grafico poteva andare molto peggio, e infatti dal quinto episodio andrà
drammaticamente peggio, ma lo stile un po’ deformed
ben si adatta al taglio spiritoso imposto da Bendis. Un po’ meno efficace la
Lupacchino, ma sempre meglio del terribile Viktor Bogdanovic: come ho
anticipato, però, il vero bagno di sangue qualitativo arriverà col quinto
capitolo visto che Gleason non ce l’ha fatta a disegnare gli ultimi due episodi
che sono passati nelle mani di John Timms (che proprio per il quinto episodio
si è fatto aiutare da Kris Anka ed Evan “Doc” Shaner, non so chi sia peggio).
Questo primo arco narrativo ne
introduce un altro ma è comunque godibile anche a sé stante. In sostanza un fumetto
divertente che sarebbe stato più piacevole con un comparto grafico meno
improvvisato.
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