lunedì 15 giugno 2020

Young Justice 1: Gemworld

Contrariamente a quello che si poteva pensare dal titolo e dalle immagini, Young Justice non è un titolo per bambini (non più di quello che siano già i supereroi). Michael Brian Bendis gioca con la metanarrazione, satireggiando sulle periodiche “Crisi” dell’Universo DC (veramente sono state solo sette?), sbertucciando le convenzioni dei supereroi DC (mica sempre Superman arriva quando uno lo chiama…), citando le possibili varie versioni dello stesso personaggio, lavorando sulle frasi a effetto dei “cattivi” e infarcendo i dialoghi di doppi sensi metanarrativi, lavorando anche sull’aspetto grafico come i balloon che si sovrappongono.
La storia prende le mosse quando Jinny Hex giunge a Metropolis proprio quando da Gemworld decidono di invadere la terra. Finiti su quel mondo, i sei componenti della Young Justice ritrovano uno dei vari Superboy e si alleano con la principessa Ametista che deve far fronte a problemi di politica interna (cioè altre casate vogliono ammazzarla). Mentre la trama principale si snoda nelle prime metà dei capitoli, l’altra metà approfondisce il passato di alcuni dei protagonisti e con questa scusa vengono impiegati dei disegnatori ospiti.
La vicenda è abbastanza semplice e Bendis cerca di renderla più interessante con continui flashback. È purtroppo inevitabile che forzando la mano sugli stereotipi dei fumetti di supereroi finisca per usarli a piene mani. E peccato anche che la storia nasca o si sviluppi o si inserisca nel contesto di una trama più ampia in cui questo Robin ha perso memoria degli ultimi eventi (retroscena di chissà quale cross-over).
I disegni di Patrick Gleason sono un po’ pupazzettistici, soprattutto quando si concentra sui personaggi più giovani e umoristici come Kid Flash, ma azzecca spesso dei bei volti e delle belle inquadrature accanto a semplificazioni anatomiche che non amo molto. A livello grafico poteva andare molto peggio, e infatti dal quinto episodio andrà drammaticamente peggio, ma lo stile un po’ deformed ben si adatta al taglio spiritoso imposto da Bendis. Un po’ meno efficace la Lupacchino, ma sempre meglio del terribile Viktor Bogdanovic: come ho anticipato, però, il vero bagno di sangue qualitativo arriverà col quinto capitolo visto che Gleason non ce l’ha fatta a disegnare gli ultimi due episodi che sono passati nelle mani di John Timms (che proprio per il quinto episodio si è fatto aiutare da Kris Anka ed Evan “Doc” Shaner, non so chi sia peggio).
Questo primo arco narrativo ne introduce un altro ma è comunque godibile anche a sé stante. In sostanza un fumetto divertente che sarebbe stato più piacevole con un comparto grafico meno improvvisato.

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