Sin dai disegni questo trentottesimo
numero si stacca dagli altri numeri della collana: Nicoby disegna infatti con
uno stile istintivo e caricaturale che rimanda ai lavori dell’Association più
che a quelli di un disegnatore di fumetti storici. Anche la struttura delle
tavole asseconda questo estro riducendosi spesso a sole sei vignette per
pagina.
Come già nel precedente Klimt
Paul Gaugin non affronta che un
periodo ben determinato e circoscritto della vita del protagonista, con qualche
sparuto flashback qua e là. E come
nel caso di Leonardo da Vinci
non è che il protagonista sia proprio lui, non del tutto almeno. In queste 46
pagine Gaugin divide infatti la scena con Van Gogh, che nel 1888 lo chiama ad
Arles per concretizzare il progetto di lavorare insieme nello stesso atelier.
Il progetto naufraga presto a causa della diversa concezione dell’arte dei due
pittori e delle asperità dei loro caratteri: Van Gogh è isterico e ossessionato
dalla natura, Gaugin sembra più misurato e razionale però nasconde delle
ambizioni da megalomane. Il tutto culminerà col celeberrimo (e quasi irritante,
o perlomeno noioso, a vederselo riproposto per l’ennesima volta) episodio
dell’orecchio tagliato.
Pur con una concessione all’onirismo
dovuta a una “illuminazione” di Gaugin, Patrick Weber scrive in maniera pulita
e rigorosa, privilegiando la concatenazione naturale degli eventi rispetto alle
pindariche disquisizioni sull’arte che comunque sono presenti. Il ricorso a un
po’ di aneddotica spicciola permette di rendere più umani e simpatici i due
protagonisti.
I disegni sono quelli che ho
descritto sopra e non ne sono affatto entusiasta (tanto più che sono collocati
in una collana che nacque realistica), anche se sicuramente Nicoby avrà i suoi
estimatori. Di certo i monologhi di Van Gogh sulla forza dei colori perdono
ogni senso davanti all’uso greve che Kness fa del computer per colorare il
volume non lesinando su alcuni effetti che danno una forte impressione di
artificialità.
Tra l’approccio grafico di Nicoby
che prevede sfondi poco curati (o proprio assenti) e la narrazione a volte
costretta in sole sei vignette per tavola la lettura si conclude con una certa
rapidità, eccessiva se la confrontiamo a quella di altri lavori ospitati su
questa collana.
Alla fine la parte che ho
apprezzato di più di Paul Gaugin è il
dossier finale a cura di Dimitri Joannidès, breve ma esaustivo nel raccontarne
la vita e i molti rovesci di fortuna (ma non ho capito perché insistere tanto
sul suo allontanamento dall’Impressionismo, cosa di cui si potrebbe discutere).
Nessun commento:
Posta un commento