giovedì 27 febbraio 2020

Infedele

Infedele non è proprio il solito fumetto americano. Con la scusa dell’horror cerca di affrontare il tema del razzismo e della paranoia.
Aisha è una giovane donna musulmana che frequenta Tom, un cattolico (o quant’altro, non viene specificato) che ha una figlia dalla precedente relazione e una madre che forse non tollera molto gli islamici, anche se sta facendo di tutto per avvicinarsi ad Aisha dopo qualche incomprensione. L’appartamento dove vivono è stato teatro tempo addietro di un’esplosione accidentale di materiale accumulato da un inquilino che successivamente si è scoperto aver fatto qualche ricerca su internet in merito all’ISIS. Il palazzo (costruito in cemento prima della guerra, per questo ancora in piedi) potrebbe quindi ospitare le anime delle sei vittime, e forse sono loro che si manifestano ad Aisha, ma non solo a lei, spingendola a compiere involontariamente un gesto inconsulto che avrà gravi ripercussioni sulla vita dei suoi familiari e dei suoi amici. O la causa delle sue allucinazioni sono solo i medicinali di cui fa uso?
Più che un horror è un thriller, perché l’aspetto sovrannaturale non è poi così preponderante e l’attenzione è posta maggiormente sulle indagini con qualche colpo di scena. Pichetshote inserisce vari riferimenti pop forse per sdrammatizzare o calare la storia in un contesto subito riconoscibile al lettore, ma un po’ stonano. Anche qualche occasionale frase a effetto mi è risultata un pochino stonata, ma per fortuna sono pochissime.
Il finale è soddisfacente, ma la chiave di volta del tutto non è proprio chiarissima, chiamando in causa contemporaneamente entità cthulhoidi e fantasmi. Ma ovviamente si tratta solo di una scusa per introdurre un discorso sulla paura del diverso, sul razzismo, ecc.
I disegni di Aaron Campbell sono piuttosto buoni, l’uso massiccio di fotografie come base è funzionale anche se occasionalmente certi dettagli (come i baffetti di un personaggio) sembrano improvvisati sul momento. L’“inchiostrazione” è un po’ strana, integrata da puntini granulosi ovviamente digitali che forse vorrebbero fingere di essere tracce di grafite. Molto meglio lo stile sketchy con cui ha disegnato qualche flashback. Ma mille volte meglio delle ipertrofie supereroistiche, comunque. Un po’ meno convincenti i colori di José Villarubia, professionista di lungo corso che qui ha fatto anche da editor: sono generalmente piuttosto piatti pur con qualche rara deriva psichedelica per movimentarli un po’. Ma anche qui, nulla di cui lamentarsi.
Sicuramente avrebbe reso meglio in un film, e chissà che anche questa come il Lovecraft disegnato da Enrique Breccia non sia una sceneggiatura cinematografica riciclata. Anche il finale che lascia aperta la possibilità di un seguito mi fa sostenere questa ipotesi.
Non malaccio come lettura, ma assolutamente non così irrinunciabile da meritarsi l’esborso di 22 euro.

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