sabato 15 gennaio 2022

Les Eaux de Mortelune volumi 1-5

Finalmente mi sono letto questa celebre saga di Cothias e Adamov. Cioè, già ne avevo letto qualche spezzone su Circus, ma figurarsi cosa ne avevo capito per quelle poche tavole che pubblicavano per volta, oltretutto con buchi consistenti tra una puntata e l’altra e numeri precedenti recuperati successivamente.

L’ambientazione è una Terra post-apocalittica come la si poteva immaginare in una colorata Francia anni ’80. Come in molte opere di fantascienza (il genere che invecchia peggio) la tecnologia e la scienza fungono in sostanza da sostituti della magia, con cui si possono creare senza difficoltà cloni e ibridi. Gli abitanti della città di Mortelune, che poi si scoprirà essere Parigi, vivono costantemente in deficit di cibo e soprattutto di acqua, sparita dopo il disastro se non sotto forma di pioggia acida che brucia tutto ciò che è organico. Ma peggio di loro stanno i Pallidi che vivono fuori dalle mura cittadine («Blêmes» vuol dire “Pallidi” in francese, giusto?), regrediti a uno stadio poco più che bestiale. Non manca però una casta ristrettissima di privilegiati che può permettersi più acqua e i vizi di un’aristocrazia decadente.

Il primo protagonista di cui facciamo la conoscenza è Pancrasse, uno degli ultimi macellai di Parigi che per arrotondare e invogliare la clientela fa prostituire la figlia quindicenne Violhaine, sovente con rappresentanti del clero. Pancrasse ha un altro figlio, Nicolas, sordomuto e un po’ tocco. Il cast dei personaggi contempla poi il Principe Jèrôme di Mortelune e il suo servitore nano Goliath (anche loro introdotti all’inizio della saga), il Duca Malik che vorrebbe rubare al Principe il segreto della sua eterna giovinezza e poi il saggio Barnabé e una neonata con la coda da topo che dopo aver rischiato di finire macellata da Pancrasse viene adottata da Violhaine. Su tutti vigila un profeta bizzarro che la mattina sveglia Mortelune cantando come un gallo, e che annuncia una nuova epoca all’orizzonte.

Il Principe Jèrôme (ultracentenario ma col corpo di un ventenne) è colui che presiede alla depurazione e alla distribuzione dell’acqua potabile alla popolazione di Mortelune, ma per far funzionare i macchinari che gli permettono di farlo ha bisogno del gasolio di cui è invece il Duca Malik ad avere il monopolio, che a sua volta necessita ovviamente di acqua, portando a uno stallo in cui nessuno dei due parenti serpenti osa attaccare l’altro.

Nei primi volumi la storia è Patrick Cothias all’ennesima potenza: personaggi sopra le righe, situazioni estreme per épater la bourgeoisie, scene epiche e spettacolari, alto e basso che si incontrano, cinismo stemperato da un po’ di umorismo, una trama che si intuisce ben architettata ma che stenta a decollare. Come nei primi volumi delle Sette Vite dello Sparviero, i personaggi sembrano infatti girare un po’ a vuoto: ci si chiede come andrà a finire il gioco che Violhaine conduce col Principe da lei sedotto, che ruolo avrà la bambina-ratto e come si svilupperà la tematica del rinnovamento del mondo. E magari i vaghi riferimenti ai poteri di Nicolas troveranno una spiegazione. Ma dal quarto episodio, Les Yeux de Nicolas, Cothias manda tutto a monte ammazzando un bel po’ di personaggi (anche quelli che pensavo avrebbero avuto un ruolo di rilievo) e si concentra sulla caccia del Duca Malik, che dispone di una fortezza mobile, al Principe Jèrôme. Da qui in poi più che Cothias ogni tanto sembra di leggere Jodorowsky, con un incremento delle crudezze a cui si abbandonano i personaggi (cannibalismo, che già era presente, e alla fine anche incesto) e con una vena ecologista che giustifica l’introduzione di enormi insetti parlanti. Ma per un lettore francese immagino che sia stato divertentissimo vedere le varie città francesi in versione post-atomica sul tragitto che dovrebbe portare verso l’ultimo mare dei deliri di Nicolas. Il finale amarissimo è apprezzabile, anche se ho stentato ad appassionarmi alle vicende di personaggi che sono, chi più chi meno, tutti dei pezzi di merda o degli stupidi.

I disegni di Adamov sono spettacolari, veramente molto belli. È una sorta di Moebius/Giraud più squadrato. Gli sfondi e i panorami sono particolarmente curati, così come i mezzi di locomozione di questo mondo apocalittico. Particolarmente riusciti gli scorci della Parigi post-atomica e delle altre città, con i monumenti ridotti a rovine. Immagino però che a suo tempo i pinailleurs della rivista BoDoï si siano scatenati con lui: Pancrasse è monco e ha sostituito una mano con una lama-spuntone, che però passa dalla mano destra alla sinistra di vignetta in vignetta, anche nella stessa pagina! E a volte ha ancora tutte e due le mani. Sarà una protesi mobile che si sposta da una vignetta all’altra? Forse, però in altre pagine ci sono ferite che passano da una gamba all’altra, rovine che non proiettano le ombre corrette, pantaloni che cambiano forma di vignetta in vignetta…

Più ancora che nell’altra opera di Cothias-Adamov, Il Vento degli Dei, qui ci sono un sacco di bambini e bambine nudi spesso coinvolti in scene di sesso, soprattutto nei primi episodi, per cui è improbabile che vedremo mai la saga in Italia.

Da quanto ho letto su internet, il secondo ciclo di 5 episodi di Les Eaux de Mortelune è unanimamente considerato peggiore del primo, ma ormai che ci ho messo le mani sopra dovrò pur leggerlo…

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