Come si poteva riprendere la
serie dopo il finale disperato e nichilista dell’
ultimo volume?
Cothias ce la fa senza imbrogliare poi troppo.
Mille anni dopo gli eventi della
prima pentalogia una nave spaziale è in rotta verso Plutone e il suo equipaggio
viene catturato dal sogno latente di Nicolas che gli è sopravvissuto, e che ha
fatto rinascere tutti gli altri personaggi della saga, compreso il Duca Malik
che è riuscito a ottenere un’autonomia propria al di là del sogno e quindi (fuso
con l’intelligenza artificiale dell’astronave) torna a sfidare Jèrôme,
Violhaine e gli altri personaggi redivivi a cui si aggiunge la ciurma della
nave spaziale. In sostanza è il soggetto del terzo episodio di Druuna.
Tra gli umani della navetta ci
sono anche una bestiolina aliena chiama Puce che immagino essere un omaggio a Zig et Puce,
fumetto storico francese. Di sicuro un omaggio alla BéDé lo è Alfred, il
pinguino/robot di bordo che si chiama come il personaggio che è stato
trasfigurato nel premio che danno ad Angoulême.
Un mondo onirico, dicevo: Cothias
modifica la caratterizzazione di alcuni protagonisti (gli stronzi non sono più
così stronzi), mutila i suoi personaggi e poi li rigenera, li ammazza e poi li fa
tornare in scena. Tanto è tutto un sogno. Almeno con questa scusa Pancrasse può
avere il moncherino su una mano o sull’altra senza dover sottostare a nessuna
logica. Alfred, però, passa alternativamente da quattro a cinque dita per
“mano”, e lui dovrebbe essere un personaggio “reale”, per quanto ci si possa
chiedere se un robot riesca effettivamente a sognare.
La vicenda è un tale coacervo di
false partenze e riposizionamenti che anche stavolta Cothias tira fuori dal
cilindro una cosa mai citata prima pur di far procedere la storia da qualche
parte: a metà del ciclo, nell’ottavo volume, salta fuori che Paule (una delle
astronaute) è incinta di una creatura aliena. Ma nell’episodio successivo la
cosa si sviluppa in maniera differente e Les
Eaux de Mortelune diventa il Bilbolbul
di Mussino, coi personaggi che rendono concrete le loro frasi idiomatiche. Il
tutto mentre l’umorismo greve di Cothias si fa sempre più greve. Mio dio…
La saga si conclude come il
disastro ferroviario che annunciava di essere, con citazioni ingombranti fuori
luogo (da Lovecraft a Proust) e tentativi velleitari dello sceneggiatore di
attirare l’attenzione del lettore alzando sempre di più la posta, col risultato
di dare l’impressione di non sapere in che direzione andare, cosa probabilmente
vera, finendo nella psicanalisi spicciola che porta a un bel resettone di tutta
la saga… cosa che sarebbe pure stata interessante se condotta con maggior
criterio e le idee chiare sin dall’inizio.
I disegni di Adamov si sono
purtroppo fatti più semplici. È ancora uno spettacolo e a tratti la sua sintesi
mi ha ricordato Juillard, ma certi virtuosismi si sono persi, nonostante la
storia permettesse di sbizzarrirsi in architetture e panorami alieni.
Oltretutto non si colora nemmeno più da solo, ma quel compito è demandato a J.
J. Chagnaud. E il lettering fatto col computer a volte è tremendo.
In definitiva questo secondo
ciclo è veramente caotico e strutturato male, ma se neanche il primo brillava
per coerenza stavolta sembra quasi realizzato controvoglia. D’altra parte se ne
può godere lo stesso abbandonandosi alla follia di Cothias (il primo a non
prendersi sul serio) tanto più che stavolta i molteplici buchi nella
sceneggiatura sono quasi giustificati. Ma forse lo dico solo per non
rimpiangere il tempo perso a leggere questo guazzabuglio. Non saprei dire se è
veramente tanto peggiore rispetto al primo.
Si tratta di due bruttezze diverse e difficilmente paragonabili.