Prima di avventurarmi
nell’acquisto di questo volume ho cercato di farmi un’idea dello stile della Antonioni,
che da alcuni esempi trovati in rete non sembrava affatto male:
Una volta aperto il volume, però,
mi sono trovato davanti a questa roba qua:
L’impatto grafico è stato
decisamente spiazzante, per non dire peggio. La Antonioni, che pure in altre
sedi ha dimostrato di saper dare corpo ed espressività ai suoi disegni, ha
utilizzato probabilmente la penna biro per disegnare
Non bisogna dare attenzione alle bambine che urlano, forse una di
quelle con quattro punte di colori diversi che non sapevo esistessero ancora, e
che fa una comparsata a pagina 116. D’altra parte la penna biro viene citata
almeno tre volte nel libro: nella dedica, nei dialoghi e appunto sotto forma di
disegno.
Ora, non è che uno strumento
costituisca di per se un limite per chi lo usa: anche Manara, Gibrat, Federici
e Mannelli disegnano con la penna biro, anche se occasionalmente integrata da
altre tecniche, e i risultati sono ben diversi da questi. Non ho dubbi sul
fatto che lo stile di disegno sia stato ricercato e voluto appositamente, ma il
risultato è di una freddezza terribile, che mal si adatta al tipo di storie che
vengono raccontate.
Non potendo modulare il tratto, i
contorni sono tutti uguali e monocordi, gli sfondi sono assenti o piatti e i
tratteggi, quando ci sono, non sono pensati per dare corpo o profondità alle
immagini ma come riempitivi, per simulare il colore compatto di una maglione e
di una chioma: purtroppo l’accumulo di segnetti finisce per appesantire le
tavole invece che alleggerirle facilitando la lettura.
I disegni della Antonioni non
sono affatto brutti, ed è anche lodevole che abbia scelto questa tecnica che
non permette la “rete di sicurezza” delle matite, ma leggere le tavole è stata
veramente una faticaccia, anche perché tutte le protagoniste hanno lo stesso
volto e solo quando qualcuna ha le lentiggini o gli occhiali (o, chiaramente,
capelli di colori diversi) si distinguono l’una dall’altra. Inoltre il particolare
modo di disegnare le bocche, con il labbro inferiore spesso assente,
contribuisce a rendere inespressivi i personaggi, di cui capiamo le emozioni
principalmente grazie all’arrossamento del viso e alle linee cinetiche – mezzi
che comunque non sempre funzionano.
Come dicevo, non si può certo
dire che le tavole siano brutte, il problema è che sono gelide, ingessate,
sospese nell’ambra anche nelle sequenze più movimentate, che sono presenti in
gran numero.
La motivazione di ricreare
l’impressione dei diari delle protagoniste convince fino a un certo punto: uno
stile
sketchy o al contrario
iperrealista sarebbe stato più efficace per evocare questa sensazione.
Preferisco pensare che, a causa delle situazioni un po’ scabrose in cui sono
coinvolte le minorenni protagoniste, sia stato preferito un approccio grafico
freddo e distaccato, che però ha finito per produrre tavole a fumetti che somigliano
a dei progetti tecnici o ai
rough
preliminari di un visualizer frettoloso.
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"stroiza"... errore o neologismo? |
La storia, scritta da Francesca
Ruggiero, segue tre diverse ragazzine italiane dei tardi anni ’90 le cui
storie, come Nouvelle Vague insegna,
sconfinano l’una nell’altra. La trama è strutturata anche un po’ come un
musical, in cui si percepisce la tensione verso l’evento risolutivo finale, che
in questo caso è un misterioso provino a cui alcune di loro, entusiaste o
disincantate, parteciperanno.
Giulia è abbastanza
insignificante e piuttosto complessata ma inaspettatamente Federica, la più
bella, ricca e navigata della scuola, la sceglie come nuova migliore amica dopo
che ha litigato con la sua scudiera precedente. L’esperienza sarà traumatica
per Giulia, che è ancora un po’ bambina, ma la farà maturare.
Anna è una ragazzina senza
apparenti problemi né slanci, probabilmente non popolarissima ma con un suo
gruppetto di amici e una certa inclinazione artistica. Nella sua vita si
insinua la problematica Marilena, appena giunta in città, che a poco a poco le
farà vivere nuove esperienze fino a riservarle una cocente delusione.
Clarice è chiusa nel suo mondo di
corse e walkman, un po’ attratta dal suo insegnante di ginnastica. Sarà proprio
lei a traghettare la storia verso un finale inaspettato, talmente inverosimile
che con ogni probabilità è basato su fatti veramente accaduti (credo che su
Youtube si possa vedere lo spezzone incriminato di Sabrina Vita da Strega). Da notare che, per i motivi ricordati
sopra, la Antonioni ha dovuto disegnare Clarice con un naso molto pronunciato
per renderla distinguibile e far capire cosa succede veramente nel finale.
Cionondimeno, sono dovuto tornare alle prime pagine per avere conferma dalla
pettinatura di un personaggio che fosse proprio quello.
La Ruggiero ha infarcito Non bisogna dare attenzione alle bambine che
urlano di citazioni degli anni ’90: poster, gadget, spot televisivi e
tantissima musica. Il ritmo della storia è sincopato e non disdegna sin
dall’inizio il ricorso al flashback. Ovviamente non si tratta di una storia
d’avventura, ma si rimane comunque incollati alle pagine mentre si dipanano gli
eventi tra cui ci saranno delle sorprese (alcune prevedibili, altre meno). Un
tocco di classe della Ruggiero nel dettare il ritmo di lettura è il ricorso a
stacchi in cui un’unica piccola immagine per pagina serve da pausa, commento o
anticipazione, formando degli ulteriori capitoli tra i tre di cui è formalmente
composta l’opera.
Non so se sia una cosa voluta, ma
in Non bisogna dare attenzione alle
bambine che urlano i personaggi che fanno la figura peggiore sono gli
adulti, non solo i genitori: assenti, rincoglioniti o stronzi tout court.
A voler proprio cercare un
difetto nella sceneggiatura della Ruggiero, il primo capitolo è quello più
denso di testo, che si rarefa progressivamente fino ai lunghi silenzi del
terzo: in questa maniera si percepisce un calando
invece che un crescendo che ci
sarebbe stato invertendo i capitoli – ma d’altra parte l’episodio di Clarice
doveva essere l’ultimo visto che riannoda tutte le trame.
Sinceramente non so se
consigliare questo volume. A conti fatti è stata una lettura abbastanza piacevole,
ma i disegni della Antonioni (o meglio: lo stile scelto dalla Antonioni, che ha
dato prova di saper disegnare bene in altre occasioni) possono costituire uno scoglio
difficile da superare.