Quando l’ho visto in fumetteria
ho pensato che si trattasse di un omaggio, di un ammiccamento per attirare
curiosi o al massimo di un elseworld
che riprendeva solo superficialmente i personaggi rappresentati. Irretito dagli
splendidi disegni di Gary Frank ho preso le copie disponibili e ho scoperto
così che (almeno da quello che ho potuto leggere) si tratta veramente di un
seguito di Watchmen mischiato con
l’universo DC!
Non ho i primi numeri, ma grazie
a quello che ho letto su internet posso ricostruire la situazione di partenza:
nel 1992 la montatura di Ozymandias è stata scoperta e la popolazione americana
incazzatissima vuole giustamente la sua testa, visto che il suo piano per
salvare il mondo non ha funzionato. Adrian Veidt, malato di cancro (ma negli episodi
successivi questo particolare viene dimenticato…) fugge quindi in una realtà
alternativa insieme al nuovo Rorschach (!) e a una coppia di nuovi criminali
mai così ridicoli, per trovare il Dottor Manhattan e fargli mettere a posto le
cose.
Ovviamente finirà nell’universo
DC, o meglio in uno degli universi DC, per la precisione uno in cui i
supereroi, o “metaumani”, sono una novità relativamente recente (ma ci sono
anche riferimenti a personaggi degli anni ’40) che voci incontrollate dicono
essere stati creati con fini politico-militari, come nuove armi di distruzione
di massa. A quanto pare il governo ha anche ingaggiato delle persone dotate di
“metagene” per attivarne i poteri latenti e far recitare loro la parte dei
supercattivi, anche se lo scopo principale del Department of Metahuman Affairs è
la proliferazione superumana con cui tenere testa ai supereroi della altre
nazioni – ma in America c’è già la più alta concentrazione di metaumani al
mondo: il 97%.
Non è difficile cogliere un
sottotesto di critica alla comoda pratica di servire panem et circenses a una plebaglia di cittadini/lettori creduloni,
tanto più che in alcuni dialoghi tra Ozymandias e Batman (!) Geoff Johns
critica aspramente il mondo dei fumetti di supereroi, che si ripetono sempre uguali
e senza alcuno spessore. Da che pulpito viene la predica, però: questo Doomsday Clock è molto pretenzioso,
ridicolo in tante parti e in definitiva ben poco più maturo di un fumetto di
supereroi canonico.
La prosa di Johns vuole imitare
quella aulica e ispirata di Alan Moore, ma i risultati (pur se non pessimi)
sono soporiferi, inadeguati, privi della ricchezza lessicale di quelli del
Bardo di Northampton. Inoltre l’idea di ibridare Watchmen, un universo narrativo pensato come opera chiusa in sé,
con un altro universo che per sua natura deve essere potenzialmente eterno e
rinnovarsi di continuo (con trovate assurde che però fanno parte del gioco)
porta inevitabilmente a una lacerazione della sospensione dell’incredulità,
anche in una storia con delle basi fantastiche. Quello non può essere il “vero”
Ozymandias, calato in un contesto così semplificato rispetto all’originale. E
poi, dio ce ne scampi e liberi, viene pure resuscitato
il Comico!
Certe trovate potrebbero
funzionare benissimo all’interno di un
comic
book per ragazzi, ad esempio il potere del Mimo di sparare con pistole
immaginarie, oppure certi dialoghi come quello tra gli sgherri di Mister
Freeze, il quale ha una pessima calligrafia ma prova tu a scrivere bene con i
guanti da neve sempre addosso. Ma qui questa ostentazione di facile umorismo e
di superpoteri coreografici quanto assurdi fa a pugni col ricordo della
profondità e della levatura di
Watchmen.
E anche l’ostentazione della violenza e un fugace accenno al sesso finiscono
come al solito per sottolineare i limiti invalicabili del fumetto
nordamericano, che cercando di spingere sempre più in là l’asticella del
rappresentabile finisce per sottolineare ancora di più quanto sia presente e
invalicabile.
Una delle poche cose che ho
inizialmente apprezzato è il riferimento a Nathaniel
Dusk, una vecchia miniserie hard-boiled della DC Comics incensata da più
parti, in primis l’Enciclopedia dei
Fumetti della DeAgostini. Poi però si scopre che il personaggio è solo un McGuffin
e le sue versioni cinematografiche nascondono probabilmente degli indizi sul
nascondiglio del Dottor Manhattan.
Doomsday Clock riprende pedissequamente la grafica del modello
ispiratore, e con essa anche il formato prestige
senza pubblicità tra le pagine a fumetti e con un’appendice scritta alla fine.
Superfluo ribadirlo, i testi di Johns sulla biografia fittizia dell’attore che
interpretava Nathaniel Dusk o sulla documentazione interna al Dipartimento per
gli Affari Metaumani sono un pallido ricordo di quello che fece Moore a suo
tempo.
Una contaminazione tra narrativa
a fumetti alta e bassa può esistere benissimo, e potrebbe pure dare degli
ottimi frutti. Il Tex d’Autore di Eleuteri Serpieri è
un gioiello,
così come lo sono molti volumi “
vu par”
di serie franco-belghe classiche. Purtroppo in
Doomsday Clock si è scelta la strada di far convivere forzatamente
due tipologie di fumetto che non stanno affatto bene assieme, anche perché una
è il riflesso deformante dell’altra. Ma chissà, forse Johns saprà stupire il
lettore nei prossimi episodi, anche se ne dubito fortemente.
Restano comunque i meravigliosi
disegni di Gary Frank, che potrebbero anche giustificare da soli l’acquisto
(magari facendo molta attenzione a non leggere le minchiate scritte nelle
nuvolette e nelle didascalie). Il suo fitto e sottile tratteggio ricorda delle
eleganti incisioni, ma il risultato complessivo è dinamico e molto espressivo:
immagino che sia stato ore e ore a guardarsi allo specchio per trovare le
espressioni giuste con cui fare recitare i personaggi.